Tutto può accadere: eLit
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Bella, mora e dice sempre sì... o quasi. Per ben tre volte Charlotte viene abbandonata all'altare da tre diversi fidanzati. Ha tutti i motivi per dubitare degli uomini... e di se stessa. Se è stata lasciata forse la colpa è anche sua. Meglio togliersi di dosso quell'aria da ragazza viziata che non le si addice e trovarsi un lavoro per dimostrare a se stessa e agli altri che è diversa da ciò che appare. E quando incontra Gabe, che lavora come tappezziere dove lei fa l'arredatrice, Charlotte capisce in un solo istante...
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Anteprima del libro
Tutto può accadere - Karen Templeton
1
«Andrò a vendere gelati all'inferno prima di ripetere lo stesso errore» borbottò Charlotte tra sé entrando in casa dei genitori.
I sandali ticchettarono leggermente sul pavimento in marmo mentre si dirigeva in biblioteca. Entrò nella stanza rivestita di pannelli in legno e diede un colpetto all'interruttore della luce. Un paio di lampade di giada su entrambi i lati di un divano in pelle diffusero tutt'intorno una luce tenue. Quello era sempre stato il suo posto preferito, con quei colori scuri e i mobili classici.
Non era del tutto certa del motivo per cui si trovasse nell'appartamento dei genitori. Dopotutto era abbastanza indipendente da essere in grado di affrontare i piccoli traumi della vita. E in quel caso il trauma era rappresentato da duecentotrenta regali di nozze in bella mostra su una serie di tavoli portati lì per l'occasione.
Charlotte passò in rassegna i vasi, i candelieri, i piatti da portata in argento, la costosissima caraffa di cristallo e nientemeno che sei macchine da caffè. L'indomani ogni singolo oggetto doveva essere restituito al mittente.
«Tesoro, cosa ci fai qui?» Il tono di voce assonnato della madre irruppe nella stanza.
Doveva avere le orecchie bioniche. Non ancora pronta per affrontarla o parlarle, Charlotte sfiorò una statuetta prima di giungere le mani dietro la schiena.
Il fruscio della camicia da notte in seta e il lieve sbattere delle ciabatte le annunciarono l'avvicinarsi di Stella Westwood. «Charlotte Westwood, sai che non me la fai. Cosa c'è? Qualcosa non va, tesoro?»
Lei si girò appoggiandosi all'estremità del tavolo con le mani sui fianchi. «Il matrimonio è annullato» dichiarò calma.
La madre si strinse convulsamente al petto la camicia da notte tutta pizzi e merletti. «Oh... Charlotte...»
Quelle due parole la dicevano lunga. Lei sapeva che la reazione della madre sfuggiva a ogni tentativo di categorizzazione. Inoltre era la terza volta nel giro di anni che quella scenetta si ripeteva.
«Cosa è successo?» le chiese scivolando in un angolo del divano.
Charlotte le offrì un mesto sorriso, felice che non avesse aggiunto questa volta.
«Semplicemente Julian ha cambiato idea. Io... non ero ciò che voleva.»
Stella si accigliò. «Quattro giorni prima della cerimonia?»
«Meglio che quattro giorni dopo, immagino.»
Il silenzio nella stanza quasi le ferì le orecchie mentre restava in attesa della risposta della madre. Il viso di Stella si rilassò nei limiti concessi dai numerosi interventi di chirurgia plastica. «Vieni qui e lasciati abbracciare dalla tua mamma» la invitò tendendole le braccia.
Charlotte obbedì facendosi stringere nella morsa del suo seno generoso. «Domani andiamo a fare spese pazze. È solo un periodo sfortunato, cara. Atlanta è una grande città e il tuo Principe Azzurro non si è ancora fatto vedere, ma arriverà il momento.»
Benché anche lei fosse solita seguire i rimedi frivoli della madre contro la tristezza, qualcosa era cambiato. Quando, tra un boccone e l'altro di agnello, Julian le aveva annunciato in tutta tranquillità che aveva commesso un errore e che sperava con ciò di non causarle troppi fastidi, lei avrebbe voluto tirargli addosso le patate al gratin. Ma sapeva che alla sobrietà si accompagnava l'eccezionale abilità di essere una vera signora. Inoltre quella rottura del loro fidanzamento non l'aveva provocata abbastanza da scatenare i fumi dell'ira.
In quel momento Charlotte si era sentita come se qualcuno avesse lasciato uno spiraglio nella veneziana di una stanza rimasta sempre al buio. Un sottile raggio di luce adesso filtrava nella sua coscienza facendole balenare l'idea che forse aveva fatto le cose in modo sbagliato.
Se solo qualcuno fosse stato così amabile da indicarle il modo giusto, forse sarebbe riuscita a rimettersi sulla giusta carreggiata.
Gabe Szulinski imboccò il vialetto d'entrata con il suo vecchio furgoncino, spense il motore e restò in attesa con il sorriso sulle labbra. Era certo che di lì a poco un piccolo terremoto con gli occhi blu e i biondi capelli ricci sarebbe uscito come un fulmine dalla porta del modesto condominio in cui viveva. Alle calcagna del bimbo stava il suo angelo custode, una settantenne in abiti trasandati e senza la quale la sua vita sarebbe stata un disastro. E tra i due si muoveva pesantemente il cucciolo di un pastore misto che quasi fece cadere la vecchietta gracile strappandole di bocca una sfilza di coloriti improperi.
«Papà! Sei in ritardo. Vinnie ha detto che saresti tornato alle sei» urlò il ragazzino gettandoglisi fra le braccia non appena Gabe uscì dall'abitacolo.
«Sei caduto nella trappola delle lusinghe femminili» borbottò lui lasciando andare il bambino. Poi notò lo sguardo truce della donna.
«Conosco quell'espressione. Cosa ha fatto stavolta?» si informò Gabe afferrando la giacca di jeans e richiudendo la portiera.
«Vuoi la lista intera o soltanto i punti salienti?»
«Dimmi solo una cosa, dovrò chiedere un prestito per pagare i danni?»
Si avviarono verso l'appartamentino che Lavinia Jackson aveva trasformato in una sorta di duplex dopo la morte del marito. La parte di Gabe era semplice e tenuta in perfetto ordine grazie alla sua stupenda padrona di casa e babysitter tutto fare.
I figli ormai adulti e indipendenti, Lavinia non era più abituata ai livelli stratosferici di energia dei ragazzini. Tuttavia, l'ultima volta che lui aveva suggerito un sistema alternativo per la cura del bambino, per poco non si era beccato una mestolata in testa.
«Un prestito? Forse no, ma di sicuro mi devi una ventina di piantine. Tra i piedoni di tuo figlio e quel cagnaccio...»
«Il ragazzo ha bisogno di un cane, Vinnie» puntualizzò lui ben sapendo che la donna andava matta per il cucciolo tanto quanto per il bambino.
«Il ragazzo ha bisogno di una madre, che possibilmente abbia i piedi piccoli e abbastanza buonsenso da stare alla larga dai miei fiori.»
Le dita ancora ricurve sulla maniglia della porta a zanzariera, Gabe guardò quegli impavidi occhi marroni. «Non cominciare con la solita storia della mamma. Se rivuoi i tuoi fiori...»
«E allora tu non venirmi fuori con la musica del quando avrò tempo per una donna» lo interruppe. «Stai per laurearti in legge e almeno potresti iniziare a guardarti intorno.»
Lui spalancò la porta dirigendosi verso il suo appartamento. Vinnie lo seguì senza essere stata invitata.
«Lo faccio» sbottò Gabe entrando in camera da letto. Poi accostò con una spinta la porta e si tolse i vestiti impregnati di colla per carta da parati.
«Non abbastanza» gridò Lavinia dal salotto.
Con una risata sarcastica, lui ficcò la roba sporca nel cesto straripante di panni, annotandosi mentalmente che quel finesettimana doveva passare in lavanderia. Poi si diresse nel minuscolo soggiorno.
«Invece sì. Il problema è che non vedo niente che mi piaccia.»
Si chiese per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a tenere Lavinia a bada con quelle notizie sulla sua vita amorosa. Di fatto non aveva visto niente di interessante, ma la verità era che non voleva neanche vederlo. Essere un padre single era duro, ma un marito infelicemente sposato era ben peggio. Non voleva rischiare di nuovo.
«Atlanta ha la percentuale più alta di ragazze carine di tutti gli Stati Uniti e dovrei credere che non ne hai vista neanche una che stuzzichi la tua fantasia?»
«Questa volta sono alla ricerca di qualcosa di più sostanzioso di carina.»
«Allora prova all'università. Quello è il posto giusto per trovare la sostanza.»
Gabe scosse il capo ridendo. «Ti meriti un dieci per la tenacia. Il fatto è che non ho incontrato nessuno che mi interessi.» Poi scrollò le spalle e alzò entrambe le mani al cielo. «Denunciami!»
«Ci sono filetti di trota. Ti può interessare cenare insieme?» borbottò Lavinia.
Quel rituale quotidiano era divenuto parte integrante delle loro serate, ma Gabe sapeva che avere qualcuno con cui stare in compagnia faceva bene a entrambi. E il fatto di chiedergli se fosse interessato a fermarsi piuttosto che supporlo, permetteva a entrambi di mantenere la loro indipendenza. Tuttavia Gabe sapeva che Vinnie sentiva la sua mancanza quando doveva declinare i suoi inviti, cosa che rendeva quella sua insistenza a vederlo sposato un vero enigma.
La abbracciò rapidamente e andò in cucina a prendersi un bicchiere di tè freddo. «Non voglio che ti scomodi...» Anche questo faceva parte del rituale.
«È già tutto pronto e come al solito ho esagerato con le dosi. Hai lezione stasera?»
«No. Sono libero fino a lunedì» la informò lui ingollando il tè tutto d'un fiato.
«Bene. Allora, dopo cena, possiamo andare al centro commerciale così mi compri un po' di piante.»
«Affare fatto.» Gabe risciacquò il bicchiere, distratto dal rumore di latrati furiosi in giardino. Gettando un'occhiata esitante fuori della finestra che dava sul retro, mugugnò in modo indistinto.
«Non devo sapere, vero?» gli chiese Vinnie dietro di lui.
«Mettiamola in questo modo. Mentre siamo al centro commerciale forse dovremmo vedere anche qualche sdraio nuova.»
«Cosa?» L'esile donna si lanciò verso la porta di servizio spalancandola. «Se quel cagnaccio non sta attento, andrà al Creatore prima di quanto avesse previsto.»
Charlotte sarebbe dovuta essere in luna di miele su un'isola deserta sorseggiando una piña colada e invece stava uscendo a pranzo con l'amica Heather.
Ripensò a tutto il tempo che le ci era voluto per rimpacchettare i regali e decise che, se mai si fosse fidanzata di nuovo, il matrimonio in grande stile era fuori questione. E comunque chi si sarebbe più fatto vedere dopo tre figure del genere? Aveva persino la certezza che alcuni regali fossero stati riciclati... come una cornice in argento che era certa di aver restituito dopo la figura numero due.
Vedere le proprie foto sulla rubrica mondana per ben tre volte in tre anni vicino a tre nomi diversi l'aveva collocata direttamente nel girone dei mortificati. Ma piantare il fidanzato che se la faceva con la segretaria nel suo ufficio...
Charlotte sospirò in preda a un leggero attacco di nausea. Sulla scrivania, santo cielo. Era così... banale.
Il pranzo era stata un'idea di Heather. Lei si sarebbe accontentata di cuocere nella sua infelicità ancora per qualche giorno, ma la sua vecchia amica non ne aveva voluto sapere. Inoltre c'erano delle notizie che non potevano aspettare e glielo aveva comunicato con la sua solita risatina da oca che la contraddistingueva sin dagli anni dell'asilo.
Non appena fu davanti alla villa, Heather aprì la porta e corse ad abbracciarla con indosso un vestito fucsia stile tenda.
«Povero tesoro!» esclamò biascicando le parole e scostandosi la folta zazzera bionda dal viso. «Entra e raccontami tutto» la incalzò facendole strada in