L eredità del marchese
Di Carla Kelly
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Info su questo ebook
Grace Curtis, figlia di un baronetto in difficoltà economiche, per sopravvivere è costretta a lavorare presso un fornaio, dove si guadagna la stima e il rispetto non solo dei proprietari, ma anche di un eccentrico marchese. Ed è proprio l'anziano gentiluomo, morendo, a lasciarle un'eredità a dir poco insolita: dovrà occuparsi di un prigioniero di guerra americano. Così, Grace e Robert, che all'inizio sono riluttanti a passare tanto tempo insieme, piano piano scoprono di avere molte affinità e finiscono per legarsi profondamente. Tanto che lui osa farle una scandalosa proposta...
Carla Kelly
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
L eredità del marchese - Carla Kelly
Immagine di copertina:
Nicola Parrella
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Marriage of Mercy
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2012 Carla Kelly
Traduzione di Daniela Mento
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-583-0
Prologo
Robert Inman, marinaio dell’Orontes, aveva un ottimo carattere. Era abituato ad accettare il bello e il brutto della vita, e ad affrontare ogni circostanza con la sua esperienza. Ma neppure per lui sarebbe stato facile un altro anno di prigione a Dartmoor, un carcere costruito di recente, ma dove i prigionieri americani venivano trattati senza umanità.
Negli ultimi tempi aveva notato un cambiamento nei discorsi dei sopravvissuti. Durante l’anno precedente, il 1813, non parlavano che della loro cattura al largo di Land’s End, dove le navi mercantili britanniche assalivano e dove il Capitano Daniel Duncan, con un sospiro di rassegnazione, si era arreso al vincitore, il quale aveva avuto dalla sua parte il vento.
Per Rob era stato un duro colpo vedere ammainare, dall’albero maestro dell’Orontes, la bandiera a stelle e strisce e salire al suo posto quella inglese.
Quando l’umiliazione era diventata meno cocente, gli uomini avevano cominciato a discutere d’altro. Perfino il mozzo aveva cominciato a vantarsi che non esisteva nessuno, in tutta l’Inghilterra, che potesse tenere in prigione uno come lui. L’ufficiale in seconda sosteneva invece che la guerra sarebbe finita presto e così anche la loro prigionia.
Entrambi erano stati i primi a lasciare Dartmoor, anche se non come avrebbero voluto. Il mozzo per un’infezione a un dente, non curata adeguatamente perché lui era solo un prigioniero di guerra americano, e l’altro per lo scorbuto e una vecchia ferita alla coscia, ricordo dei pirati di Tripoli, che si era riaperta e infettata.
Il realtà nessuno credeva davvero che la guerra sarebbe finita presto. Il carpentiere teneva il conto dei giorni che passavano, segnandoli sulla parete della cella. Erano giorni tutti uguali, interminabili per la noia, ricordati soltanto per la scarsezza di cibo.
All’inizio avevano discusso proprio di cibo e anche di donne, immaginando quanto avrebbero mangiato e con quante donne avrebbero fatto l’amore, una volta liberi. Adesso erano così affamati che il primo argomento era accuratamente evitato e, in quanto alle donne, non era qualcosa che potesse interessare dei moribondi come loro.
Robert sentiva di non avere più nemmeno l’energia necessaria per immaginare quello che avrebbe fatto, con una donna.
Sedevano in silenzio per tutta la giornata. Di notte dovevano vedersela con i sorci che infestavano le celle, e con i ricordi di altre battaglie, di altre prigionie.
Lui, che era un ottimista, pensava sempre che le cose sarebbero potute andare anche peggio. Dartmoor era un carcere solido, ben costruito, ma il vento riusciva ugualmente a entrare fra le sbarre e d’inverno faceva un freddo cane, anche perché ai prigionieri non veniva concesso molto per coprirsi.
Quello era il suo principale problema. Gli sarebbe piaciuto sentire la brezza marina sul viso, non quel vento che gli gelava le ossa.
Sapeva bene quanto il vento fosse importante per una nave. Sapeva come usarlo per gonfiare le vele e correre sul mare, su un vascello.
Ma a Dartmoor il vento non faceva altro che gelare le ossa.
Robert Inman invece avrebbe voluto sentire sul viso il vento dell’estate, dei mari del Sud.
Il vento giusto per lui.
1
Se Grace Curtis, che un tempo era nota come l’Onorevole Miss Grace Curtis, avesse voluto compiangersi avrebbe avuto come modello altre gentildonne e gentiluomini caduti in povertà.
Agatha Ralls, per esempio, abitava in una stanzetta in affitto sopra la locanda, dopo l’infanzia trascorsa a Ralls Manor, un palazzo costruito all’epoca di non si sapeva bene quale re Edoardo e che ora alloggiava soltanto pipistrelli. Ai tempi di Cromwell, un conte suo antenato aveva scelto di stare dalla parte sbagliata e c’erano voluti un secolo e mezzo per ridurre in polvere il patrimonio di famiglia: adesso la poveretta era in miseria.
Poi c’era Sir George Armisted, che cercava di sopravvivere alla meno peggio nella sua tenuta, pur sapendo che gli sarebbe convenuto venderla a qualche mercante con più soldi che lignaggio e pagare i debiti.
Il padre di Grace scuoteva la testa, quando si parlava di Sir George, ma anche lui aveva fatto la stessa fine ed era morto senza un soldo, consigliando alla sua unica figlia di andare a Londra per la Stagione mondana e di trovarsi un marito ricco.
Grace, naturalmente, non gli aveva fatto notare che non poteva permettersi una stagione a Londra e che, comunque, nessun gentiluomo benestante si sarebbe mai sognato di sposare una fanciulla dotata solo di bell’aspetto.
Quando Sir Henry morì, gli chiuse gli occhi, coprì il viso con il lenzuolo e si ripromise di trovare il modo per guadagnarsi da vivere, piuttosto che continuare a tirare avanti in quella nobile miseria.
Sarebbe stata comunque povera, ma niente le vietava di essere felice.
In gramaglie, con il vestito ornato solo di una spilla di giaietto, ascoltò la lettura del testamento, e così ebbe la conferma di avere ereditato soltanto dei debiti. Il notaio si era preso il disturbo di cercare qualche mercante che volesse acquistare la sua casa, in una zona non certo signorile, e lo aveva trovato.
Il mercante, un tipo intraprendente, aveva fatto buoni affari importando merci dal Baltico, comperò tutto in blocco, perciò lei si infilò in tasca la sua spilla di ametista, l’unico gioiello che possedeva a parte quella di giaietto, perché non la pretendesse insieme ai mobili e alla biancheria.
Dopo avere firmato il documento che la lasciava senza nemmeno un tetto sulla testa, condusse i nuovi proprietari a visitare la dimora.
La moglie ebbe l’indelicatezza di chiederle quando avrebbe potuto lasciare la casa libera, ma Grace era sempre stata un tipo pragmatico.
«Me ne andrò domani mattina» promise.
Ai nuovi proprietari non era passato nemmeno per la testa che non avesse un posto dove andare.
Per tutta la notte rimase sveglia in camera sua, con le due valigie già pronte, pensando e ripensando a quello che avrebbe potuto fare. All’ora di colazione prese i bagagli e lasciò a testa alta la casa dove aveva vissuto per diciotto anni.
Le rimaneva una sola scelta, e pregava che fosse quella giusta.
Grace andò a piedi fino a Quimby, un villaggio vicino a Exeter e non molto lontano da casa sua. Era una bella giornata di agosto e una leggera brezza faceva oscillare l’insegna del negozio di fornaio di Adam Wilson.
Aveva sperato che non ci fosse nessuno all’interno e per fortuna trovò solo il proprietario e sua moglie. Appoggiò a terra le valigie e si avvicinò al bancone.
Adam Wilson si pulì sul grembiule le mani bianche di farina e le sorrise con la gentilezza che aveva sempre avuto per lei, anche quando gli chiedeva di farle credito.
«Sì, mia cara?» le domandò Mrs. Wilson, mettendosi accanto al marito.
«Vi devo una grossa somma, lo so» dichiarò lei con molta calma. «Sono venuta a farvi una proposta.»
La guardarono con interesse e rimasero ad ascoltarla.
«So che la ragazza che vi aiutava in negozio si è sposata con un carrettiere di Exeter. Se mi darete una stanza per dormire, lavorerò al suo posto per pagare i miei debiti. Poi, se vi avrò soddisfatto, potrei continuare a lavorare per voi in cambio di un regolare stipendio.»
Con suo grande sollievo nessuno dei due sembrò sorpreso dalla proposta.
«Che cosa sapete del nostro lavoro?» chiese Adam.
«Molto poco» ammise lei con sincerità. «Ma sono onesta e volonterosa.»
I Wilson si scambiarono un’occhiata, mentre Grace fissava il cartellino che offriva sei panini per un soldo.
«Mia cara, avete un bel visetto. Supponiamo che un gentiluomo del vostro rango vi chieda in moglie...»
«Nessuno mi chiederà in moglie, Mrs. Wilson» rispose. «Non ho dote, quale gentiluomo vorrebbe sposarmi? E un uomo di classe inferiore alla mia non vorrebbe sposare una donna che si riterrebbe superiore a lui. Sono assolutamente a prova di matrimonio, quindi un’aiutante ideale per voi.»
I Wilson abitavano sopra il loro negozio di fornaio, sulla via principale. I due figli maschi si erano arruolati in marina; le femmine invece vivevano a Portsmouth.
Le diedero una stanzetta dietro il forno per dormire: era piccola ma fragrante di lievito e di erbe aromatiche. La notte prima Grace aveva pianto le sue ultime lacrime, adesso era diventata una donna adulta, aveva preso una decisione e non si sarebbe voltata indietro.
Se ne rese conto la prima volta in cui una delle persone che una volta frequentava entrò in negozio. Prima o poi sarebbe dovuto accadere, e per fortuna capitò presto. Una delle sue migliori amiche venne in negozio insieme a sua madre e l’ignorò completamente. Grace Curtis era caduta in disgrazia, e non solo perché era rimasta senza un soldo.
La circostanza l’addolorò meno di quanto avrebbe creduto, visto che aveva preso in considerazione anche la possibilità di chiedere aiuto proprio alla famiglia di quell’amica.
Dopo due anni di lavoro, Mr. Wilson le disse che il debito della sua famiglia era stato pagato. Sembrò sorpreso quando lei, dopo un profondo sospiro, gli chiese se intendesse continuare a darle da lavorare.
«Non erano i nostri patti?» le domandò mentre metteva a bagno il lievito.
«Così speravo» mormorò Grace prendendo il sale.
«E così sarà, Gracie. Siete la migliore aiutante che abbiamo mai avuto.»
E così le vennero affidati sempre di più compiti di responsabilità, come quello di occuparsi della contabilità. Non le dispiaceva, perché era sempre stata una persona meticolosa. Però amava in particolare preparare i biscotti, e specialmente quelli che aveva chiamato Quimby Crèmes, morbidi e ricoperti di una glassa di mandorle.
Di questi era particolarmente goloso Lord Thompson, l’anziano Marchese di Quarle, che era stato colonnello di un reggimento di fanteria di stanza a New York durante la guerra di indipendenza americana.
Non era facile andare d’accordo con Lord Thompson, il quale non tollerava nessuno, che si trattasse di altri aristocratici, dei ricchi mercanti che si davano più arie del Papa, o dello spazzino che puliva le strade.
Solo Grace riusciva a prenderlo per il verso giusto, cioè per lo stomaco. Aveva notato la sua predilezione per i biscotti con la glassa di mandorla, quando veniva nel negozio, che aveva preso a frequentare regolarmente, con grande stupore di Mrs. Wilson.
«Mia cugina fa la cameriera da lui, ha tutta la servitù che vuole. Perché viene personalmente a prendere i biscotti?»
Grace lo sapeva. Lei stessa, da ragazzina, si era recata dal fornaio per il piacere di scegliere questo o quel biscotto. Lord Thompson faceva lo stesso e, quando usciva con il suo pacchettino di dolci, si sedeva al sole e se li gustava uno dopo l’altro. Sapeva quello che stava provando.
Poi, una mattina, il gentiluomo arrivò ancora più di malumore del solito e si spazientì perché il ragazzino davanti a lui ci metteva troppo tempo a scegliere i dolci, così finì per sollecitarlo con la punta dell’ombrello, facendogli male.
«Adesso basta, Lord Thompson!» si indignò Grace, mentre il piccolo Tommy scoppiava in lacrime.
«Che cosa avete detto?»
«Mi avete sentito benissimo» rispose lei dando un biscotto al limone al ragazzino. «Tommy era qui prima di voi e ha il diritto di scegliere.»
Il marchese le gettò un’occhiata risentita, girò sui tacchi e se ne andò, sbattendo la porta così forte che il gatto sulla finestra trasalì.
«Temo di avervi fatto perdere un cliente» mormorò Grace, scusandosi con Mr. Wilson, che aveva assistito alla scena.
«È un vecchio permaloso» rispose il padrone accarezzando Tommy sulla testa.
Le settimane passavano e il marchese non si faceva più vedere in negozio. Arrivò Pasqua, e ancora di lui non c’era l’ombra. Quimby era un paese molto piccolo, quindi tutti sapevano quello che era successo.
Quando finalmente Lord Thompson ricomparve, la clientela si fece da parte per lasciarlo passare, temendo che si arrabbiasse di nuovo. Lui, però, attese il suo turno, mentre la folla rimaneva a guardare anche se aveva già fatto gli acquisti, per non perdersi la scena.
Grace decise di prendere il toro per le corna. «Lord Thompson» lo apostrofò, «ho sempre preparato i biscotti alla mandorla, sperando che tornaste.»
«Eccomi qui, infatti. Li prendo tutti, se verrete fuori a mangiarli insieme a me.»
Grace non se l’era aspettato. Vide apparire un sorriso di trionfo sul viso del gentiluomo, felice di averla sorpresa. «Come volete» accettò dopo avere chiesto con gli occhi il permesso a Mr. Wilson.
Così mangiarono insieme i biscotti con la glassa di mandorla e divennero amici.
Anno dopo anno, il marchese continuò a frequentare il negozio, anche quando l’età cominciò a pesare su di lui. Poi, un giorno, un valletto avvertì Grace che Lord Thompson era malato e la pregava