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Vento di guerra: I Romanzi Storici
Vento di guerra: I Romanzi Storici
Vento di guerra: I Romanzi Storici
E-book292 pagine6 ore

Vento di guerra: I Romanzi Storici

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815 - Giunta a Londra insieme al fratello e alla sua sposa, Rose è convinta che di lì a poco tutti e tre proseguiranno in nave per l'Europa. Ma la situazione politica in Francia è così pericolosa che Bennet Varner, un affascinante agente del controspionaggio, li convince a non partire e a trattenersi piuttosto nella capitale. Rose, dopo aver cercato invano di combattere contro l'attrazione che prova per Bennet, finisce per arrendersi all'amore. Un giorno tuttavia arriva in città di Lord Foy, l'uomo con cui Rose era fidanzata e che le ha rovinato la reputazione, e la situazione precipita. Perché non appena si rende conto che la fanciulla non è più succube del suo fascino, il perfido gentiluomo la rapisce, e per salvarla Bennet dovrà dar fondo a tutte le proprie risorse.

LinguaItaliano
Data di uscita11 mar 2013
ISBN9788858909324
Vento di guerra: I Romanzi Storici
Autore

Laurel Ames

Affermata autrice statunitense, ama scrivere romanzi ambientati preferibilmente nell'Ottocento, con una particolare attenzione alla condizione femminile dell'epoca.

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    Anteprima del libro

    Vento di guerra - Laurel Ames

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Infamous

    Harlequin Historical

    © 1998 Barbara J. Miller

    Traduzione di Paola Picasso

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 1999 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5890-932-4

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    Londra, febbraio 1815

    «Gli uomini sono gli esseri più arroganti, inutili e stupidi sulla faccia della terra» brontolò la signorina Gwen Rose Wall, mentre procedeva lungo la South Audley Street, spazzata da un vento gelido, la reticella ben stretta tra le mani. «Soprattutto mio fratello Stanley» concluse con un vigoroso cenno della testa, arrivando davanti alla casa che cercava e osservandola con occhio critico.

    La sua mole imponente, le finestre veneziane a trifore e il lungo portico laterale distinguevano Varner House dagli altri edifici circostanti, ma non fu il suo aspetto a impedirle di entrare, bensì le stridule grida femminili che provenivano dall’interno. Sebbene il significato delle parole fosse soffocato dalle spesse mura del palazzo, era chiaro che la donna doveva essere furibonda.

    Quando infine le urla cessarono, Rose salì la breve scalinata che portava al portico, dicendosi che, nonostante quello che pensava Stanley, una volta espletata quella visita di dovere il tempo che le restava da passare a Londra sarebbe appartenuto solo a lei.

    In quell’attimo un giovanotto uscì di casa, calcandosi il cappello in testa e scendendo la scala così in fretta da andarle a sbattere contro. L’impatto sbilanciò Rose che perse l’equilibrio, ma lui la sostenne con prontezza e subito dopo la guardò con tale stupore da farle dubitare che l’avesse riconosciuta. Eppure il viso fanciullesco di lui, illuminato da un paio di occhi ridenti, non le era per niente familiare.

    Mentre osservava lo sconosciuto, stringendo tra le mani il cappello che gli era caduto dalla testa, Rose dovette soffocare l’impulso di respingergli dalla fronte i lunghi capelli scuri e un po’ scarmigliati.

    «Bennet!» strillò la stessa voce di prima attraverso la porta aperta. «Torna subito qui e spiegami... Come ti permetti di baciare una donna sui gradini di casa?»

    La donna che apparve era piccola e si stringeva sotto il mento appuntito uno scialle di lana. I suoi capelli di un nero innaturale, annodati in una crocchia, circondavano un volto segnato dagli anni e dalla stanchezza.

    «Non la stavo baciando, mamma» rispose il giovane, lasciando Rose. «Nella fretta l’ho investita. Sono spiacente, signorina...?»

    Rose si schiarì la voce e gli restituì il cappello.

    «Gwen Rose Wall.»

    «Io sono Bennet Varner e lei è mia madre, Edith.»

    «Lo so. Voglio dire, sono venuta a fare una visita alla mia madrina, Edith Varner.»

    «Wall? Wall? Santo cielo, devo essere la madrina di metà delle ragazze inglesi! Chi è vostra madre?»

    «Eldridge Wall» rispose Rose, e vedendo che quel nome non risvegliava alcun ricordo, aggiunse: «Prima di sposarsi si chiamava Maryanne Varner. Credo che sia una vostra lontana cugina. Ma vedo d’essere giunta in un momento sbagliato. È meglio che torni un’altra volta. Vi lascerò il mio biglietto da visita» concluse, estraendolo dalla reticella e porgendolo a Bennet.

    «Sciocchezze» protestò lui. «Dovete entrare in casa. Oggi è troppo freddo per restare qui fuori.» Parlando, la prese per un braccio, le fece salire gli ultimi gradini e poi passare davanti alla madre che lo guardò come se gli avesse dato di volta il cervello.

    «Ma voi stavate uscendo e in gran fretta, mi pare» protestò Rose, mentre consegnava la sua pelliccia al maggiordomo e cercava di non trasalire alla vista dell’ampia scalinata ricurva che portava al piano superiore.

    «Oh, non stavo andando in nessun posto importante.»

    «Hai detto che avevi un appuntamento» l’accusò la madre, seguendoli in un salottino allegro, dove un fuoco scoppiettava dentro un caminetto e una ragazza sedeva in posa affettata davanti a uno scrittoio.

    «Mia sorella Harriet Varner. Harriet, ti presento Miss Gwen Rose Wall di...»

    «Wall» spiegò lei, sedendosi sul divano che Bennet le indicava. «È vicino a Bristol.»

    Harriet scrutò la nuova arrivata con una tale attenzione che Rose pensò stesse valutando il costo del suo semplice abito di lana blu da passeggio, confrontandolo con quello di mussola incrostata di perle che indossava.

    Che ridicolo costume di Carnevale, pensò. Tra l’altro, ormai era la fine di febbraio. Harriet era abbastanza graziosa e il suo viso un po’ spigoloso era addolcito dalla gioventù, ma era stata mal consigliata a tagliarsi i capelli così corti. Quel tipo di capigliatura ondulata stava meglio lunga, piuttosto che dover arricciare le ciocche con il ferro tutte le mattine.

    «Pensate di trattenervi a lungo qui a Londra, Miss Wall?» La voce imperiosa di Mrs. Varner la fece trasalire.

    «Circa una settimana. Accompagno mio fratello e sua moglie in un viaggio in Europa.» Rose non se la sentì di dire che fungeva da bambinaia per la giovane sposa. Aveva lei stessa appena ventitré anni e solo a sua madre poteva venire un’idea del genere.

    Bennet si alzò di scatto e andò a tirare la corda di un campanello. Il maggiordomo arrivò subito, come se fosse stato in attesa dietro la porta.

    «Portaci un tè, Hardy, e qualche pasticcino. E del vino adatto» ordinò Bennet, sfregandosi le mani. «Oh, immagino che tu sappia quello che serve.»

    Rose sorrise udendo la sua voce imperiosa ed ebbe il sospetto che Hardy faticasse a non fare la stessa cosa. Aveva già capito che Mrs. Varner doveva essere una donna petulante e noiosa e sospettava che anche Harriet rendesse la vita difficile al fratello. Altrimenti per quale ragione lui sarebbe uscito di casa con tanta fretta? Il giovane si muoveva con naturalezza e non si dava arie come suo fratello Stanley. Ed era forte, pensò, ricordando la stretta delle sue braccia. Ma non doveva pensare a lui. Non era il caso, si disse, cercando di concentrare altrove la sua attenzione.

    «Suppongo sappiate che i percorsi marittimi sono quasi tutti impraticabili» dichiarò lui a un tratto.

    «Dove?» domandò Rose.

    «In Europa.»

    «Dove in Europa?» insistette lei. «In Francia?»

    «Un po’ dappertutto. Forse dovrei spiegarvi che mi occupo di commercio marittimo, per cui mi capita di ricevere le notizie...»

    «Lui non è nel commercio» lo corresse Harriet. «Ha degli interessi, come tutti noi.»

    «Certo» mormorò Rose, notando che Bennet alzava gli occhi al cielo. A lei non importava che quel giovane fosse un commerciante, ma tale realtà pareva mettere a disagio la sorella e la madre.

    Il vassoio con il tè venne portato, ed Edith Varner cominciò a servirlo. «Come sta vostra madre, Miss Wall? È ancora viva... immagino.»

    «Sì, certo» rispose Rose, notando che Bennet digrignava i denti. «Sta organizzando il trasloco nella nostra casa di Bristol perché pensa che Stanley e Alice vorranno avere per loro Wall House. Vi ha scritto che noi tre saremmo passati da Londra, ma forse la lettera non vi è arrivata.»

    Edith lanciò uno sguardo imbarazzato allo scrittoio e Rose s’impose di non guardare nella stessa direzione.

    «È un peccato che non vi fermiate più a lungo» dichiarò Mrs. Varner. «Avremmo potuto organizzare un trattenimento. Stando così le cose...»

    «Un ballo!» decretò Bennet.

    «Che cosa?» Harriet si voltò a guardarlo. «Non avevi detto...»

    «Quanto tempo ci vorrà a organizzarlo? Un paio di giorni, non di più. Dirò al mio segretario di aiutarti. Inoltre il tuo compleanno è il tre di marzo, Harriet. Dobbiamo festeggiarlo.»

    Ignorando l’espressione sgomenta della sorella e della madre, Bennet si mise a camminare per la stanza, suggerendo chi invitare e quali musicisti ingaggiare come se qualcuno stesse prendendo nota. Rose si rallegrò di non avere responsabilità in quella faccenda. Bennet le piaceva come uomo, ma immaginava che come fratello e figlio lasciasse molto a desiderare.

    «Penserò a tutto io» decise Bennet, prendendo in mano la tazza di tè e voltandosi di colpo verso Rose. «Siete certa che non vi ho fatto male quando vi ho investito?»

    «No, no. Sono abituata a stare tra i cavalli e non mi ferisco con facilità.»

    «Ah, sapete cavalcare. Ci andremo domani. La mia scuderia è piena di cavalli che scalpitano dal desiderio di muoversi.»

    «Non posso imporvi un tale disturbo.»

    «Mi farete un favore. In quale albergo siete scesa? Verrò da voi alle dieci.»

    «Al Greeves Hotel, ma...»

    «È solo a poche miglia da qui. Che felice combinazione.»

    «Ecco, vedete, non so che cosa abbia organizzato mio fratello Stanley, perciò...»

    «In ogni modo porterò con me i cavalli. Se non altro monteremo noi due.»

    «Senza uno chaperon, Bennet?» s’intromise la madre in tono d’ammonimento.

    «Con uno stalliere, naturalmente» aggiunse il figlio.

    «Sarò felice di fare una cavalcata» dichiarò Rose al solo scopo di vedere Edith Varner incupirsi.

    Bennet parve pensieroso. «Come sapete, la Stagione è appena agli inizi, Miss Wall. Suggerirei a tutti voi di fermarvi a Londra almeno un mese per parteciparvi prima di andare all’estero. Potreste alloggiare a Varner House

    Quella proposta fece sobbalzare in modo così evidente sia Edith sia Harriet, che Rose si affrettò a declinarla. «Non possiamo imporci in questo modo. Tra l’altro sono quasi certa che Stanley abbia già trovato un passaggio su una nave.»

    «Gli parlerò io. Lasciate fare a me. Posso mettervi a disposizione le cabine migliori di una delle mie navi» proclamò Bennet e continuò su quel tono finché la mezz’ora di prammatica fu trascorsa.

    A quel punto Rose chiese se il maggiordomo potesse chiamarle un landò, ma Bennet fece preparare la carrozza e insistette per accompagnarla al Greeves Hotel di persona, illustrandole via facendo la storia degli edifici che sorgevano su Oxford Street.

    Rose stette bene attenta a non dire che le piacevano i dolci o i gioielli perché temeva che lui fermasse la carrozza e gliene comprasse qualcuno. Era uno strano tipo, ben diverso dagli esperti e sofisticati damerini che si aspettava di conoscere in città. Un uomo un po’ rozzo con una famiglia che aspirava a entrare nell’alta società. Ripensandoci, si sentì quasi dispiaciuta per Edith e per Harriet. Quasi, ma non del tutto, perché se non fosse stato per lui, non sarebbe mai entrata in casa Varner. E allora? Era stata snobbata altre volte e c’era abituata.

    Finché non aveva visto Varner House, aveva pensato che il Greeves Hotel fosse una costruzione imponente con la sua lunga fila di finestre e le balconate in ferro battuto, tuttavia Bennet aveva dato delle istruzioni precise al suo cocchiere per cui l’albergo non doveva essere considerato troppo umile. In ogni modo, che cosa le importava di quello che pensava Bennet Varner?

    «Domani alle dieci» le ricordò lui, baciandole la mano guantata e aiutandola a scendere dalla carrozza aperta. «Spero di conoscere vostro fratello e sua moglie.» Poi impartì rapidi ordini al cocchiere e scomparve con uno sferragliare di ruote.

    Mentre saliva la scala ed entrava nella sala d’ingresso, Rose si chiese se quel giovanotto la stesse corteggiando. Sapeva di essere graziosa, ma non aveva mai pensato al proprio aspetto perché aveva deciso che non si sarebbe mai sposata. Bennet era simpatico, divertente e gentile, ma com’era quando si ubriacava? Il punto importante era quello.

    Arrivata al terzo piano, dove si trovava la sua stanza, tolse dalla valigia il completo da amazzone di velluto verde e ne allisciò le pieghe, pensando con gioia alla cavalcata dell’indomani.

    «Ancora tre firme, sir.» L’impiegato, un giovane con gli occhiali, porse dei documenti a Bennet che li controllò con attenzione, cercando di togliersi dalla mente lo sguardo degli occhi verdi della signorina Gwen Rose Wall mentre la teneva tra le braccia sui gradini di casa sua. No, si disse, cercando di richiamarli alla memoria, i suoi occhi erano più grigi che verdi. Poi firmò il documento senza leggerlo. Quello sguardo da gazzella, i capelli ramati che le sfioravano le spalle, il naso impertinente e quelle labbra morbide...

    «Non vi sentite bene, sir?»

    «Sto benissimo, Walters.» Bennet si schiarì la voce. «La Celestine è ancora in porto?»

    «Sì, deve salpare domani.»

    «La sua partenza verrà rinviata» mormorò Bennet con aria assente.

    «Aspettate un carico speciale?»

    «No. Ha bisogno... il suo albero maestro dev’essere sostituito.»

    «L’albero maestro? È la prima volta che lo sento dire. Pensavo che il capitano Cooley...»

    «Lui non lo sa ancora» replicò Bennet con fermezza.

    «Ma, sir...»

    «Ho la sensazione che l’albero maestro stia per rompersi e voglio che sia sostituito. Sono certo che potrai occupartene tu.»

    Sotto il suo sguardo severo, il giovanotto uscì di corsa dall’ufficio, lasciandolo alle sue meditazioni.

    Doveva impedire in tutti i modi a Rose Wall di salire a bordo di una nave diretta in Europa, si disse Bennet.

    Attraverso la porta aperta, vide Walters spedire un messaggio al capitano Cooley per informarlo del suo destino e poi firmare un ordine per un nuovo albero maestro.

    Con tutta probabilità ne avrebbero trovato uno a Londra, ma lui avrebbe insistito nel perseguire il suo scopo anche a costo di mandare Walters nelle Highlands per sradicarlo dal suolo. Aveva delle ottime ragioni per voler rimandare la partenza della Celestine.

    Respingendo le carte che ingombravano lo scrittoio, Bennet si mise a pensare agli occhi grigioverdi di Rose e ai suoi capelli di seta. Alla fine si mise cappello e pastrano e uscì dall’ufficio del segretario senza dire una parola, lasciando che Walters inventasse una storia da ammannire al capitano quando fosse piombato lì come una furia.

    «Non m’importa se siamo lontani parenti» dichiarò Stanley, scendendo nell’atrio dell’albergo il mattino seguente. «Non puoi andare a cavallo con un perfetto sconosciuto.»

    Rose guardò il fratello: un giovanotto serio con i capelli scuri e sinceri occhi azzurri. «Non andrò da sola. Verrà con me il mio stalliere» replicò, indicando un ragazzo smilzo che le stava alle spalle.

    «Martin è poco più che un bambino. Che tipo di protezione ti darà?»

    «Tutta quella di cui ho bisogno. Lui è...» Rose s’interruppe, vedendo che Martin apriva la porta.

    La strada davanti al Greeves Hotel brulicava di uomini a cavallo. Bennet smontò da un purosangue nero e gettò le redini al suo stalliere, un uomo più anziano di lui che aveva già le mani piene di finimenti.

    «Ho portato abbastanza cavalli per tutti. Ognuno può scegliere quello che preferisce» annunciò.

    Imbarazzata dall’espressione severa del fratello, Rose presentò i due uomini. Ignaro, almeno in apparenza, dello sguardo scrutatore di Wall, Bennet gl’indicò uno stallone dall’aria irrequieta, consigliandoglielo, nel caso lui desiderasse fare una bella galoppata. Invece di scegliere una mite giumenta, Rose preferì un castrone con una macchia bianca sulla fronte, di nome Gallant, che le rivolse uno sguardo incuriosito. Martin sostituì lo stalliere di Bennet e la compagnia si mosse.

    Mentre percorrevano le strade affollate in direzione di Hyde Park, la conversazione si svolse solo sui cavalli, ma quando giunsero nel parco e vide i prati verdi che si allungavano all’infinito davanti a lei, Rose rise di felicità. «Non credevo che a Londra ci fosse tanta erba!» esclamò.

    Bennet sorrise deliziato. «Oh, la città non è tutta pietre e sassi» rispose, lasciando che lei lo precedesse, incitando Gallant.

    Rose sorrise a Stanley che montava Victor e fu soddisfatta nel vedere che lui le sorrideva di rimando. Le sole volte in cui lei e il fratello si trovavano in perfetto accordo era quando stavano in sella.

    Voltandosi, Rose vide che Bennet stava chiacchierando con Martin e si preoccupò. Lo stalliere era molto discreto, ma Bennet Varner era così disarmante da indurre chiunque alle confidenze.

    Mentre Stanley spingeva Victor al galoppo, Rose trattenne il cavallo, rinunciando a una corsa veloce per poter parlare con Bennet.

    «Avete una bella scuderia, sir» commentò.

    «Chiamatemi Bennet. So che non si dovrebbe, ma lo fanno tutti.»

    «Chi fa muovere di solito i vostri cavalli?» domandò Rose, cercando di tenere il passo con il purosangue nero che mordeva il freno.

    «Io o gli stallieri. Esercitarsi nel traffico cittadino fa bene ai più giovani. Calmati, Chaos!» ordinò al cavallo che roteò gli occhi per guardarlo.

    «Quindi allenate voi i vostri cavalli?»

    «Ogni volta che mi è possibile. Gli affari mi costringono a stare spesso in città, perciò porto con me i miei preferiti. Vostro fratello è un ottimo cavallerizzo.»

    «È molto bravo a montare. Non ho alcuna preoccupazione a lasciare nelle sue mani l’allevamento che abbiamo a Wall.»

    «Ciò significa che in precedenza questo compito è spettato a voi?»

    «Stanley è stato al college finché ha terminato gli studi. Adesso...»

    «Intendete trasferirvi con vostra madre nella vostra casa di Bristol?»

    «Speravo di restare a Wall per aiutarlo, ma Stanley non vuole il mio aiuto. E di certo non sono di conforto ad Alice, per cui penso che dovrò andare a Bristol.»

    «Sarà uno spreco del vostro talento.»

    Rose gli lanciò uno sguardo interrogativo.

    «A meno che non vi sposiate» aggiunse lui in fretta.

    «Questo non succederà» rispose Rose, chiedendosi a quale talento si riferisse.

    «Londra è piena di uomini che s’innamorerebbero del vostro bel viso, anche se non possedete una fortuna.»

    «Guarda caso, da parte di mia madre erediterò la metà del patrimonio di famiglia. Il problema è proprio questo.»

    «Problema?» Bennet si voltò a guardarla. «Con la vostra bellezza e un capitale, per non parlare del modo in cui montate a cavallo e della vostra conversazione intelligente?»

    Rose sperò di non arrossire. «Come potrei capire se un uomo mi sceglie per il mio viso, per il modo in cui mi esprimo o per il mio patrimonio? No, non intendo sposarmi. Sto bene da sola. E se Bristol si rivelerà troppo noiosa, tra qualche anno sarò abbastanza vecchia da poter allestire un allevamento di cavalli per conto mio.»

    «Non sarete mai abbastanza vecchia da poterlo fare. In quanto al resto, potrete essere sicura dei sentimenti del vostro uomo se lui possederà un capitale uguale al vostro» replicò Bennet con un sorriso soddisfatto.

    «Può darsi che io preferisca mantenere la mia indipendenza» obbiettò lei, spingendo Gallant al galoppo per interrompere la conversazione.

    «Non è detto che lui non ve lo conceda.» Bennet incitò Chaos all’inseguimento e le si affiancò. «Non tutti gli uomini desiderano gestire il denaro della moglie.»

    «Questo non mi preoccupa perché, come ho detto, non mi sposerò.» Tirando appena le redini, Rose indusse il cavallo a rallentare il passo.

    «Anche dopo che avrò rimosso tutti gli impedimenti?» domandò Bennet, sorridendo.

    «Non tutti. Gli uomini non mi piacciono» dichiarò lei.

    «Tutti quanti?» insistette lui, sorpreso.

    «Tutti quelli che mi è capitato di conoscere.»

    «E quanti sono?» la stuzzicò Bennet, spingendo avanti il purosangue per intercettare lo sguardo di Rose.

    «Troppi.»

    «Capisco. Che fortunata coincidenza, allora» commentò lui, rallentando.

    Rose fu costretta a voltarsi. «Quale coincidenza?»

    Gli occhi di Bennet scintillarono di malizia. «Anch’io temo il matrimonio e ho deciso di non sposarmi.»

    «Direi che questa è una coincidenza strana» commentò Rose, mordendosi le labbra.

    «Pare anche a me, ma visto che siamo due scapoli incalliti, non vedo alcun impedimento alla nostra amicizia.»

    «Amicizia? Non ne vedo la ragione.»

    «Sentite, vostro fratello ci sta umiliando. Facciamo una gara fino in fondo al parco.»

    Rose partì al galoppo nel tentativo di superare sia Bennet sia Stanley. In un certo senso quei due uomini si assomigliavano. Quando capivano di perdere, sapevano come interrompere una discussione.

    «Non facevo una cavalcata così bella dal periodo della caccia» dichiarò Stanley, battendo una mano sul collo sudato di Victor e affiancandosi

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