La radio del cuore: Harmony Destiny
Di Nikki Rivers
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Anteprima del libro
La radio del cuore - Nikki Rivers
successivo.
1
«Mi scusi» disse Charlotte Riesling, affrettando il passo per raggiungere il facchino. «Non sono sicura di essere nell'hotel giusto.»
Il giovane non si fermò, si limitò a voltarsi e a camminare all'indietro, spingendo il carrello con le valige e cercando di non inciampare. «Come ha detto?» chiese, aggrottando le sopracciglia.
Il tappeto su cui stavano camminando era sicuramente costoso, ma non era certo quello che la ragazza si sarebbe aspettata. Non si trattava affatto di un prezioso e sobrio tappeto con decori floreali nei toni pastello, aveva anzi disegni geometrici con colori psichedelici su fondo nero. Suo nonno le aveva assicurato che quello era uno dei più vecchi e tradizionali alberghi di San Francisco. Ma nulla di quanto aveva visto fino a quel momento si poteva definire tradizionale.
«Volevo solo chiedere se questo è il Cameron House.»
«Sì, signorina, in un certo senso...»
Lei gli lanciò un'occhiata sconcertata. «Come sarebbe a dire in un certo senso?»
Lui fece spallucce. «Be', il vecchio proprietario è morto e ha lasciato il posto a suo figlio, che ha fatto dei lavori di ristrutturazione.»
«Vedo» commentò lei asciutta.
«Sì. E adesso lo chiamano semplicemente Cameron.»
Il facchino si voltò nuovamente nella direzione in cui stava camminando. Charlotte lo seguì fino a che si fermò davanti alla camera 1822. Mentre aspettava che aprisse la porta, pensò che il nome abbreviato non poteva essere più appropriato. L'erede era stato sicuramente molto avido di cambiamenti. Cambia menti. Charlotte era attaccatissima alla routine, Detestava gli imprevisti. C'era dell'ironia nel fatto di trovarsi in quel posto.
Seguì il facchino e il carrello delle valigie all'interno della stanza, ascoltando a malapena mentre lui le spiegava come si controllava l'aria condizionata, poi gli diede una mancia e chiuse la porta.
Come il corridoio, anche la camera era un caleidoscopio di colori, con un letto assurdo e mobili modernissimi. Charlotte era più il tipo da chintz a fiori in colori sobri. Be', avrebbe dovuto rimanere là solo fino a lunedì. Sarebbe riuscita a sopportare le lampade anni cinquanta e le litografie astratte fino a quel giorno.
Eppure tutto quello le sembrava solo uno scherzo di cattivo gusto. Era arrivata in quel posto per neutralizzare i danni della ristrutturazione effettuata alla WEND, la stazione radio di suo nonno a Madison, Wisconsin.
Non proprio neutralizzare, comunque. Era troppo tardi per quello. Suo nonno, Barnabas, era rimasto fermo sulla decisione di cambiare il formato della WEND da quello che era, una stazione radio che trasmetteva musica classica e conversazione colta, a una programmazione di rock classico e conversazioni alquanto futili. Charlotte quasi rabbrividì a quel pensiero. Era praticamente cresciuta in quella stazione radio. I più cari ricordi della sua infanzia, in un certo senso poco ortodossa, erano di quando si sedeva nella poltrona di cuoio di Barnabas, logorata da anni e anni di uso, con i piedi che quasi non arrivavano al pavimento, mentre la musica classica dissipava tutte le paure e la portava in quel suo mondo nascosto dove si sentiva protetta e sicura.
Si avvicinò alla sua valigia, che il facchino aveva messo su una panchetta di metallo. Era arrivato il momento di affrontare J. J. Tanner, l'uomo che avrebbe cambiato la sua guida. Ma prima avrebbe fatto una bella doccia e avrebbe indossato qualcosa di più fresco, per uscire ad affrontare il nemico.
Prese la chiavetta della valigia dalla tasca della gonna e aprì il lucchetto.
«Cosa?» esclamò a voce alta chiedendosi cosa stesse accadendo. Quella era davvero la sua camera d'albergo? Perché quelli, di sicuro, non erano i suoi vestiti.
Non c'erano più le sue gonne lunghe e scure, le sue tuniche, i suoi maglioni sformati e le sue maglie oversize. Non c'era nemmeno più il suo pigiama di cotone di taglio maschile.
Per un lungo istante rimase a fissare attonita la massa colorata di seta, raso e maglioni attillati, brontolando: «È tutto assolutamente da pazzi».
Be', no, pensò di nuovo. Non era da pazzi. Probabilmente aveva ritirato la valigia sbagliata all'aeroporto, ecco tutto. Ma allora perché la sua chiave aveva funzionato e sulla valigia c'era l'etichetta con il suo nome?
«Questa è la mia valigia. Ma questi non sono assolutamente i miei vestiti.»
Charlotte guardò le stoffe colorate cercando di immaginare chi mai si sarebbe preso la briga di rubare i suoi abiti per sostituirli con un guardaroba che era degno di una modella. Cercò anche di immaginare la conversazione che avrebbe avuto con quelli della linea aerea per spiegare la situazione.
Diede un'occhiata al suo orologio. Si stava facendo tardi. Voleva farsi la doccia e cambiarsi. Voleva andare alla WEXL e affrontare il nemico. Ci doveva essere qualcosa nella valigia che poteva indossare per il momento fino alla soluzione di quel rompicapo.
Mezz'ora più tardi Charlotte si stava guardando allo specchio.
«Oh, Signore, non andrà mai bene» mormorò.
Le uniche cose che le erano sembrate decenti erano state un paio di jeans e una maglietta nera. Ma ora, davanti allo specchio, guardandosi con occhio critico, si accorse che i jeans erano attillatissimi e rivelavano curve che lei aveva sempre cercato di nascondere e la maglietta rendeva fin troppo evidente un seno che lei aveva sempre considerato troppo formoso.
Non avrebbe mai potuto affrontare il nemico in quella tenuta!
«Ci deve pur essere qualcos'altro...»
Rovistò di nuovo nella valigia. Ma era tutto troppo corto, troppo vivace, troppo attillato. Troppo lontano dal suo stile.
Pensò di rimettersi gli abiti del viaggio, ma erano esageratamente pesanti per il clima di San Francisco. Sarebbe arrivata davanti a J.J. Tanner sudata fradicia.
E quell'uomo sicuramente l'aveva già catalogata come una peste. Si era rifiutato di parlare di nuovo con lei al telefono, e tutto perché la prima volta che si erano sentiti lei aveva completamente perso la calma. Da quel momento in poi lui aveva preteso di parlare solo con Barnabas. Il che era una cosa ridicola, visto che Charlotte sarebbe stata il suo capo.
Questo J.J. Tanner era famoso per ridare nuovo vigore alle radio che ne avevano bisogno. E anche se Barnabas possedeva la WEND, Charlotte, come direttore generale, era quella che la mandava avanti. E non avrebbe mai permesso che un suo impiegato le potesse mettere i bastoni tra le ruote.
J.J. Tanner avrebbe dovuto accettare il fatto che anche se lei aveva perso la battaglia per mantenere la musica classica, rimaneva comunque il comandante in capo e avrebbero dovuto lavorare insieme.
«Cosa significa che se ne è andato?»
La receptionist fece schioccare di nuovo la sua gomma da masticare prima di rispondere. «J.J. non lavora più qui, ecco cosa significa.»
«Be', lo sapevo che se ne doveva andare» ammise Charlotte. «Ma pensavo che sarebbe rimasto fino alla prossima settimana.»
«Sbagliato. Se n'è andato lunedì scorso.»
«Ma ne è proprio sicura, signorina?»
La ragazza le lanciò un'occhiata incredula. «Tesoro, se J.J. fosse ancora nei paraggi, lo saprei di sicuro. Non è esattamente il tipo di uomo che passa inosservato, capisci? Voglio dire, se avessi avuto anche una minima possibilità, credimi, avrei...»
Charlotte decise di interromperla prima che potesse scendere nei dettagli. «Potrei almeno avere il suo numero di casa?»
«Non ce l'ha.»
«Non ha un telefono?»
«No, voglio dire che non ha una casa. Almeno, non ce l'ha più a San Francisco. Se n'è andato. Da qualche parte nel Midwest. In qualche paesino sperduto dove non riesco a immaginare come potrà passare le serate. Se vuoi sapere cosa ne penso, un uomo così è sprecato in una fattoria o...»
«Grazie, ma non mi interessa» la interruppe nuovamente Charlotte.
La ragazza la squadrò con curiosità. «Sei una delle sue donne?» le chiese alla fine.
Inspiegabilmente Charlotte si sentì avvampare. «Naturalmente no!»
La ragazza le lanciò un'occhiatina ostile. «Bene. Comunque adesso ho del lavoro da fare.»
Detto questo, scartò una nuova gomma da masticare e si immerse nella lettura dell'ultimo numero di un noto mensile femminile senza più degnare Charlotte di uno sguardo.
Ma Charlotte non aveva intenzione di arrendersi con tanta facilità.
«Voglio vedere il direttore» chiese.
Da dietro la copertina della rivista, si udì un sospiro. Una mano con le unghie dipinte di azzurro si sporse e schiacciò un bottone sul telefono.
«C'è qualcuno che vuole vederti, Heather» disse la receptionist senza abbassare la rivista. «Penso che sia una delle ragazze di J.J.»
Charlotte fece una smorfia a quella descrizione e desiderò tanto di avere indossato una delle sue gonne lunghe e uno dei suoi maglioni sformati.
Dieci minuti più tardi era di nuovo in strada senza la minima idea di dove trovare J.J. Tanner. Dopo averle detto chi era, Charlotte era finalmente riuscita a convincere Heather del fatto di non appartenere al club delle fidanzate di J.J. Ma non era riuscita comunque ad avere nessuna informazione utile. Heather era rimasta muta come una tomba. Cosa aveva quell'uomo per generare una così strenua lealtà da parte del sesso femminile?
Be', Charlotte probabilmente lo sapeva. E quello che la irritava di più era che la centralinista ed Heather pensassero che anche lei non fosse immune dal fascino di quel J.J. Quel pensiero le fece venire una voglia indicibile di cioccolata e di pasta. Era proprio così, le era venuto in mente che non aveva ancora mangiato nulla in tutto il giorno.
Sarebbe rientrata in albergo, avrebbe pranzato e poi avrebbe chiamato la compagnia aerea per prenotare il primo volo disponibile. Perché se J.J. Tanner non era più a San Francisco, doveva essere già sulla strada per Madison. E, in un modo o in un altro, Charlotte era determinata ad affrontarlo prima che lui si presentasse al lavoro il lunedì