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Analisi pericolosa (eLit): eLit
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E-book151 pagine2 ore

Analisi pericolosa (eLit): eLit

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Info su questo ebook

L'ospedale psichiatrico dove lavora Nikita Sorensen è teatro di un orribile omicidio. È proprio lei a rinvenire il cadavere di un'infermiera orribilmente martoriato, ed è sempre lei che insieme alla polizia conduce le prime indagini. Daniel Vachon, il poliziotto a cui è stato affidato il caso, è ben deciso a non tralasciare alcun indizio. Finché inaspettatamente non avviene un altro misterioso assassinio: perché lui non è riuscito a evitarlo?

E perché sembra che...?
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2017
ISBN9788858966181
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    Anteprima del libro

    Analisi pericolosa (eLit) - Jenna Ryan

    successivo.

    Prologo

    25 gennaio

    Caro diario,

    credi nell'omicidio? Molti ci credono e io sono una di loro. Potrei commetterne uno anche in questo momento e ritengo che nessuno farebbe una dichiarazione simile così candidamente, a parte una persona che conosco.

    Forse in passato non sarei stata capace di un'azione tanto coraggiosa, ma le circostanze cambiano. Le circostanze, le necessità, le passioni e, in qualsiasi caso, una sottile perversione potrebbero guidare la mano di qualsiasi persona.

    Provo compassione per Lally e per Nikita; e per quella sciocca di Deana. E anche per Martin, di cui forse Deana è ancora innamorata, nonostante tutto quello che è successo. Provo compassione per tutti quelli che sono stati coinvolti in questo incubo perché credo che nessuno di loro, anzi, nessuno di noi, ne sia uscito incolume.

    Nella mia mente si affollano i ricordi di ciò che è successo. Nove giorni fa la morte è venuta a bussare alla porta del Beldon-Drake Hospital e io l'ho cacciata? No. Ho accettato che guidasse la mia danza.

    Certo, avevo capito che qualcuno tramava contro di me, ma non gli ho dato peso e così mi trovo qui con il pensiero della morte che mi martella le meningi. Ma l'incubo deve finire, così come è cominciato.

    Ed è cominciato...

    1

    17 gennaio. Ore 22.05

    «Odio le bufere, dottoressa. Il vento e la neve mi entrano nella testa e m'impediscono di pensare» piagnucolò Lally Monk tappandosi le orecchie.

    «Cerca di non pensarci» mormorò Nikita Sorensen inginocchiandosi accanto alla giovane donna rannicchiata sul tappeto. «Invece pensa ai fiori.»

    «Non posso.» La voce di Lally si udì a malapena attraverso le urla del vento e di alcuni pazienti dell'ospedale psichiatrico Beldon-Drake. «C'è troppa confusione.»

    Impossibile negarlo, pensò Nikita aiutando Lally ad alzarsi in piedi e facendo un cenno a uno degli inservienti. Era arrivata in quell'ospedale soltanto da due settimane e non ricordava il nome di quell'uomo, ma sapeva che non era Sammy Slide e quello bastava per essere certa che Lally sarebbe stata in buone mani. «Andrà tutto bene» le promise ravviandole i capelli. «Io passerò a trovarti più tardi.»

    Lally, un po' più tranquilla, ma pur sempre con un'espressione smarrita in volto, si lasciò accompagnare in camera sua.

    «Niky!» la chiamò la cognata, Deana Sorensen, temporanea direttrice dell'ospedale. «Vieni, presto! La signora Brewster ha bisogno di aiuto.»

    Esattamente come una dozzina di altri pazienti, rifletté Nikita mentre fuori la bufera imperversava. «A Phoenix dicono che il New England è pittoresco in inverno» commentò andandole incontro.

    Deana abbozzò un sorriso. «Forse non si sono mai imbattuti in una bufera come questa. Ce la fai?»

    Nikita annuì.

    «Perché è così buio?» piagnucolò l'anziana donna. «Non mi piace il buio.»

    Nikita le accarezzò il viso rugoso. «Lo so, ma sono certa che la luce tornerà presto.»

    «Ottimista come sempre» commentò una voce maschile familiare.

    Nikita si voltò verso il fratello Martin.

    «Cosa sta succedendo? Sembra un film dell'orrore. Dov'è Deana?»

    Nikita gli rivolse uno sguardo tagliente. Voleva bene al fratello, ma spesso e volentieri avrebbe voluto strangolarlo. Aveva la sensibilità di un elefante. «Si sieda su questa poltrona, signora» disse lei ignorandolo.

    Martin sospirò. «Dannato manicom...»

    «Forse Deana è nell'altro reparto. Perché non la vai a cercare?» lo interruppe subito Nikita.

    La signora Brewster ricominciò a piagnucolare, mentre l'elettricità tornava per qualche istante. «Il tetto sta per crollare, dottoressa.»

    «Non succederà» promise Nikita. «Questa antica costruzione ha sopportato tormente peggiori.»

    «È evidente che non sei uscita stasera.» Martin spazzolò via un po' di neve dal giaccone di pelle nero. «È la tormenta più violenta che abbia mai visto.»

    Nikita si sforzò di sorridere e di assumere un tono bonario. «Va' via, o ti farò tornare fuori, ma per la finestra.»

    «Non cambia mai, vero?» mormorò Verity Whyte, una vecchia amica di Nikita che in quel periodo era ricoverata al Beldon-Drake per un esaurimento nervoso.

    «Quel ragazzo sembra una rock star» commentò la signora Brewster aggrappandosi al vestito avorio di Verity.

    Nikita le diede un buffetto e sospirò. «È ciò che voleva diventare, ma mio padre non ha voluto nemmeno sentirne parlare. Così ha sposato la dottoressa Deana e si è accontentato di diventare avvocato.»

    «Me ne occupo io, Niky» si offrì Verity passando un braccio attorno alle spalle della vecchietta. «Non posso dire che questo tempo e questo trambusto giovino ai miei nervi, ma sono pur sempre una dottoressa.»

    Nikita gliene fu riconoscente. Verity era molto in gamba e si fidava di lei.

    «Due poliziotti di Boston vogliono parlare con qualcuno dei responsabili dell'ospedale» riferì un inserviente.

    «Ci mancava solo questo» borbottò Nikita sbirciando oltre le sbarre incrostate di ghiaccio. «Informerò Deana non appena posso.»

    La tormenta si faceva più violenta di minuto in minuto, le luci continuavano ad andare e venire e nell'ospedale aumentava la confusione.

    Riaccompagnando un giovane paziente in camera sua, Nikita vide che Deana era nel suo ufficio e si stava raccogliendo la massa di riccioli rossi in uno chignon. La cognata aveva ottenuto la carica come direttrice temporanea dell'ospedale e se la stava cavando molto bene. Tuttavia, almeno finché anche lei non era stata assunta lì, Nikita aveva provato un po' di risentimento nei suoi confronti. Sapeva di meritare quell'incarico quanto l'amica, ma sapeva anche di non avere un padre altrettanto influente in quell'ambiente.

    No, non aveva la certezza che Dean Hawthorne avesse esercitato pressioni per agevolare la figlia e non era bello sospettarlo perché Deana era una cara e vecchia amica. Inoltre era la moglie di Martin, anche se spesso quel playboy sembrava dimenticarsene.

    Il vento sferzò contro i vetri di quel vecchio palazzo adibito a ospedale e all'improvviso si sentì un gran rumore e una folata di aria fredda. Nikita corse a vedere e trovò un vetro rotto.

    «È stato il signor Bedrosian» bisbigliò il giovane uomo intimorito che le stava accanto.

    Nikita sospirò. Il signor Bedrosian aveva la fobia di tutto ciò che riluceva. Come aveva fatto a uscire dalla sua stanza? E dov'era in quel momento?

    Deana sopraggiunse di corsa. «Cos'è successo?»

    «David dice che il signor Bedrosian ha tirato qualcosa.»

    «Dannazione! Ora dov'è andato? Martin!» Deana chiamò invano il marito. «Susan! Laverne!»

    «Laverne non c'è» disse qualcuno nel buio.

    «Nemmeno Martin» borbottò Deana.

    Nikita scosse la testa sconsolata.

    «Dov'è andato?» chiese Deana.

    «Se ti riferisci a Bedrosian, non ne ho idea. Va' pure a cercarlo, io posso cavarmela.» Nikita si morse un labbro. Non aveva il diritto di darle ordini, ma era difficile abituarsi a trattare l'amica come un capo. «Qualcuno ha chiamato la manutenzione?»

    «Dubito che sentirebbero il campanello con questo finimondo» affermò una placida voce maschile.

    «Già» convenne Nikita senza nemmeno girarsi mentre cercava di chiudere il buco sul vetro infilandoci dentro la tenda damascata. «Va un po' meglio?» chiese alitando sulle dita gelate.

    «Un po'» replicò qualcuno in tono divertito. «Ma occorrerà sostituire il vetro prima che il vento sfilacci la tenda.»

    «Potrebbe andare a prendere un...» Si girò e s'interruppe rendendosi conto che chi parlava non era un inserviente, ma un perfetto sconosciuto.

    E che sconosciuto! Alto, con un loden nero, jeans e polo in tinta, capelli piuttosto lunghi e piacevolmente scompigliati. Nonostante l'oscurità, Nikita notò che gli occhi scintillanti erano scuri, la mascella volitiva adombrata da una barba di un paio di giorni e le labbra sensuali incurvate in un'espressione ironica.

    Per fortuna non era il tipo di donna che si lasciava incantare da un bel viso. «Chi è lei?» chiese con tono distaccato all'intrigante sconosciuto.

    «Daniel Vachon.»

    A giudicare dal leggero accento, quell'uomo doveva aver vissuto per qualche tempo nella zona di New Orleans. «Ci conosciamo?»

    L'uomo fece un passo verso di lei. «È più probabile che lei conosca Manny Beldon.»

    «Come Beldon-Drake?» Nikita ricordava che il vecchio Ezekiel Beldon, il proprietario dell'edificio lasciato in eredità a Haskell Drake cinquanta anni prima con la condizione che venisse trasformato in un ospedale, aveva due pronipoti che vivevano nel New England. Uno faceva il poliziotto e Nikita trasse la logica conclusione. «È della polizia.»

    «Già. Squadra omicidi» precisò Vachon senza smettere di studiarla con occhi luccicanti.

    Nikita dovette ammettere che quell'uomo aveva lo sguardo più conturbante e la bocca più sensuale che avesse mai visto in tutta la sua vita. Il detective Daniel Vachon possedeva un non so che di enigmatico e di incredibilmente intrigante, ma lei fece attenzione a non lasciarglielo capire.

    Quei pensieri furono interrotti dall'arrivo di Deana e di un uomo con i lineamenti delicati, i capelli biondi, gli occhi castani e un'aria angelica.

    «Niki, ti presento il detective Manny Beldon, un mio vecchio amico. Vedo che hai già conosciuto Vachon.»

    Nikita gli strinse la mano.

    «Ci hanno portato un nuovo paziente» la informò l'amica.

    «Come mai sono stati scomodati addirittura due agenti della quadra omicidi per una questione del genere?»

    «Casualità. Dovevamo venire in zona e così ci è stato chiesto di occuparcene. Sam è un po' paranoico, ma a parte ripetere le stesse cose tutto il giorno non darà fastidi» spiegò Vachon.

    Manny guardò le due donne con aria solenne. «Sistemata questa faccenda, avrei una domanda da porvi.» Dalla tasca del soprabito marrone, tirò fuori una pesante maniglia di ottone. «Quale dei vostri ospiti ha lanciato quest'arma impropria sul parabrezza della nostra auto?»

    «Non aspettavi altro, vero?» Vachon attraversò a grandi passi l'atrio dell'ospedale, seguito dal collega. Il cappotto nero gli sfiorava le caviglie e lui era conscio dell'aria da bel tenebroso che possedeva. Lo sguardo tagliente e i lunghi capelli scuri gli avevano spesso permesso di infiltrarsi all'interno di bande di pericolosi criminali e sgominarle.

    «Ho solo chiesto chi era stato a gettare quella dannata maniglia giù dalla finestra» si difese Manny.

    «Non ti è passato per la testa che forse lo sapevano già?»

    «I pazienti devono essere tenuti sotto controllo, Vachon. E non mi bevo la frottola che metà dello staff è assente perché ho controllato, e manca soltanto un'infermiera di nome Laverne Fox.»

    «È stata danneggiata la mia auto, Manny, e se non sono io a lamentarmi perché dovresti farlo tu?» Salì in auto e accese il motore prima che l'amico potesse rispondere.

    «Maledizione, perché stai difendendo quelle due? Mi sembra che se la sappiano cavare benissimo da sole.»

    Vachon non si degnò nemmeno di rispondergli.

    Manny sospirò. «Va bene. Vuoi la verità?

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