Il piano della principessa: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Lucas Garcia non pensava che la missione affidatagli dal re, riportare sua figlia ad Arunthia, potesse nascondere tante insidie. Claudine Verbault, infatti, non ha alcuna intenzione di tornare a casa, e la sua cocciutaggine è pari solo alla sua bellezza.
Un'attrazione impossibile da negare.
Lontana dai riflettori e dal rigido protocollo di Palazzo, Claudia è diventata una donna indipendente e ben diversa dalla principessa che le si chiede ora di tornare a essere. Lucas però sembra intenzionato a portare a termine il proprio compito a qualunque costo, quindi l'unica soluzione è trovare un modo per distrarlo dal suo dovere...
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Anteprima del libro
Il piano della principessa - Victoria Parker
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Princess in the Iron Mask
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2013 Victoria Parker
Traduzione di Velia De Magistris
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-333-4
1
«Lucas, amico mio, ho una missione da affidarti...»
Una missione?
Lucas Garcia era sopravvissuto alle peggiori situazioni in cui un essere umano poteva essere coinvolto, dunque per lui la parola missione evocava esplosioni di granate, fucili automatici e aerei per il trasporto delle truppe. Quello che invece non evocava era volare a Londra per recuperare una ragazzina capricciosa che non rispettava il volere del padre e non manifestava alcuna considerazione per la sua famiglia e la sua patria.
La sua irritazione si tinse di un senso di disagio mentre correva a rifugiarsi sotto un tendone a strisce di un bar a Regent Square. Anche se l’estate era ormai alle porte, la pioggia cadeva scrosciante, e l’umidità filtrava attraverso i vestiti fino a lambirgli la pelle.
«Cielo, questa città è terribile» borbottò fra sé, lo sguardo fisso sull’ingresso del ChemTech, uno fra i centri di ricerca biomedica più all’avanguardia d’Inghilterra.
La sua missione stava per iniziare, e aveva un nome.
Claudia Thyssen.
«Riportala a casa, Lucas. Solo tu puoi riuscire dove gli altri hanno fallito.»
Era lieto di essere considerato degno di tanta stima, e onestamente nei tre anni in cui aveva prestato servizio come capo della Sicurezza Nazionale di Arunthia aveva eseguito con successo ogni ordine ricevuto, attenendosi al suo codice morale che gli imponeva di obbedire, proteggere e farsi onore. Ma questo...
«Le scrivo di continuo... Ma lei ignora ogni mio appello...»
Lucas piegò la testa al fine di alleviare la tensione che gli aveva aggredito i muscoli del collo sin da quando, due giorni prima, era uscito dall’ufficio del suo regale datore di lavoro.
Ma che razza di persona voltava le spalle alla propria eredità, ai diritti e ai doveri che aveva per nascita? Quale persona poteva preferire una pericolosa e fredda città fatta di acciaio e cristallo allo splendido, dolce paesaggio di Arunthia?
La risposta a quella domanda scese in quel momento da un tipico taxi londinese, le braccia cariche di documenti. Avvolta in un impermeabile, stivali neri ai piedi, si avviò svelta, incurante della pioggia. Lucas osservò l’alta cintura che sottolineava la vita sottile, evidenziando i fianchi tondi e i seni generosi. I lunghi capelli mogano erano costretti in una coda di cavallo, ma lui li immaginò comunque folti e morbidi come seta. Grandi occhiali le nascondevano parzialmente il viso ovale, spingendolo a ipotizzare sul colore degli occhi.
La principessa Claudine Marysse Thyssen Verbault.
A capo chino per proteggersi dal vento, l’elegante nuca esposta, sembrava... vulnerabile. La vide accelerare il passo, combattendo contro l’orologio per non arrivare in ritardo al meeting che lui invece aveva già provveduto a cancellare.
Lucas sollevò appena la manica del soprabito per dare uno sguardo al Rolex di platino che portava al polso. Aveva previsto di tornare al jet che attendeva pronto alla partenza al massimo entro quattro ore e, francamente, non aveva alcuna intenzione di sprecare dell’altro tempo in quella missione.
Lanciò un’ulteriore occhiata alla principessa che avanzava scansando pozzanghere, macchiandosi di fango l’impermeabile, e si massaggiò la mascella.
Addestrato per la guerra, e abituato a individuare il punto debole del nemico, quell’incarico per lui avrebbe dovuto essere facile come bere un bicchier d’acqua. Diavolo, la donna era solo una biochimica, e lui aveva catturato feroci assassini in metà del tempo. Tuttavia...
«Oh, no... No!» Claudia Thyssen guardò l’orologio appeso alla parete e vacillò, ferma sulla soglia della porta del suo laboratorio. Il suo deserto laboratorio. Istintivamente si aggrappò allo stipite e lo strinse con tale forza da avvertire un dolore sordo risalirle lungo il braccio.
In un qualsiasi altro momento, sarebbe stata felice di tanta tranquillità. Quindi, era decisamente ironico che, proprio quando aveva più bisogno di avere intorno quei pezzi grossi in grado di finanziare le sue ricerche, il posto fosse vuoto come un ufficio postale il giorno di Natale.
Una smorfia di disappunto alterò i bei lineamenti del suo viso.
Era in ritardo, per la precisione di venti minuti, ma non aveva potuto evitare di fare una sosta al reparto pediatrico dell’ospedale St. Andrew’s, dove da settimane raccoglieva dati. Purtroppo non aveva previsto il temporale, e la conseguente paralisi del traffico.
Aveva impiegato giornate per prepararsi emotivamente per quell’incontro. Lunghe giornate, considerando le notti trascorse lavorando. Una lacrima le rigò la gota. Tutti gli articoli incorniciati appesi alle pareti, che la definivano come la migliore nel suo campo, persero di importanza. Perché era a un passo dallo scoprire una cura per la JDMS, una malattia dei bambini che le stava molto a cuore, e il suo budget si era esaurito. Quindici mesi di ricerche sprecati, e la colpa era solo sua.
Ignorando il tremito alle gambe, ordinò al suo corpo di muoversi e, vacillando, attraversò la stanza per appoggiare i documenti che aveva in mano su un tavolo di acciaio. Si sfilò l’impermeabile fradicio, che lasciò cadere per terra con noncuranza, e si arrampicò su uno sgabello. Sollevò gli occhiali sulla fronte e nascose il viso fra le mani ghiacciate.
No, decise, quella giornata non poteva peggiorare ancora...
«Mi scusi, signorina...»
Claudia raddrizzò la schiena di scatto, e quasi cadde dal sedile. «Lei chi è?»
Appoggiandosi una mano sul cuore che batteva all’impazzata, si mise in piedi e guardò quell’uomo il cui fisico massiccio occupava quasi tutto il vano della porta. Con mano incerta, sistemò il camice da laboratorio finché il bordo arrivò a sfiorarle le ginocchia. «E come ha fatto a entrare?»
Fu quasi sorpresa che la terra non tremasse quando lo sconosciuto iniziò a camminare. Anzi, era anche possibile che stesse accadendo proprio quello, perché all’improvviso si sentì come se qualcuno la stesse scuotendo con forza inaudita.
La causa del fenomeno doveva essere lo shock dovuto a quell’intrusione, la goccia finale dopo tutti gli eventi disastrosi della mattinata. E il fenomeno non aveva nulla a che fare con il fascino dell’uomo che aveva davanti, si disse.
Non aveva mai mostrato troppo interesse per gli uomini, e sicuramente mai si era sentita scossa alla presenza di uno di loro.
Bello, bellissimo, pelle abbronzata, capelli neri e folti, superava il metro e novanta di altezza. Indossava un completo grigio antracite e una camicia bianca, ed era circondato da un’aura di potere e autorità.
Un brivido le corse lungo la schiena. Se era timore o invidia quello che provava, non avrebbe saputo dirlo.
«Mi perdoni se non ho bussato, ma ha lasciato la porta aperta» spiegò lo sconosciuto.
Quella voce ferma e dal lieve accento agì sui suoi sensi come la più leggera delle carezze, causandole un nuovo fremito. Claudia abbassò gli occhi sul camice, e decise che la sua bizzarra reazione era dovuta esclusivamente al pessimo clima inglese.
Trasse un profondo respiro e sollevò la testa per guardare l’uomo negli occhi. Qualcosa di simile a un incendio le divampò dentro, ma l’espressione di gelido sdegno che lesse sul viso di lui le suggerì che il suo corpo stava solo sprecando calore ed energie vitali.
Ma chi pensava di essere quel tizio? Si presentava non annunciato nel suo laboratorio e la squadrava come se lei gli avesse rovinato la giornata?
«Non dovrebbe essere qui» affermò, avvilita al pensiero che in effetti aveva rovinato la giornata a qualcuno, cioè a migliaia di bambini. E non solo... aveva messo a rischio il loro futuro, la loro salute e la loro felicità. A meno che non fosse riuscita a organizzare un altro meeting. Diavolo, ma perché erano andati via tanto in fretta? Venti minuti di ritardo non erano poi la fine del mondo... «Aspetti un attimo» disse, mentre un’idea si faceva strada nella sua mente. «Lei è qui per la riunione sul mio budget?»
Forse lo sconosciuto era uno dei finanziatori, ipotizzò. E forse avrebbe potuto fare appello al suo buon cuore, posto che ne avesse uno. In effetti, la perfezione del suo abbigliamento e della sua postura non riusciva a nascondere del tutto una natura che aveva poco di civilizzato.
L’uomo scosse la testa, mandando in frantumi le sue speranze.
«Mi chiamo Lucas Garcia» si presentò avanzando di un passo, l’atteggiamento fiero e orgoglioso di un gladiatore che faceva il suo ingresso nell’arena.
Con quel viso da dio greco, gli occhi color dello zaffiro, gli zigomi pronunciati e la mascella quadrata, sembrava una statua. Una statua bellissima, ma priva di vita. Claudia rabbrividì, questa volta per il freddo.
«Bene, signor Garcia, immagino che si sia perso.»
Un sorriso arrogante gli incurvò gli angoli della bocca. «Mi creda, io non perdo mai nulla, meno che mai me stesso» replicò Lucas.
Oh, gli credeva. Bastava la sicurezza che emanava dalla sua persona a confermarlo. Ed era anche sicura che, se si fosse trovato al suo posto, il signor Garcia non avrebbe perso l’opportunità di ottenere un finanziamento di tre milioni e mezzo di sterline.
Claudia sentì una morsa richiudersi sul cuore. A cosa serviva la sua vita, se non era in grado di risparmiare agli altri le sofferenze che aveva patito lei? Certo, la maggior parte dei bimbi che incontrava avevano genitori amorevoli che si prendevano cura di loro, contrariamente a lei, che era stata abbandonata all’età di dodici anni. Però, dovevano comunque sopportare il dolore e la vergogna.
Come molte patologie infantili, con l’età i sintomi svanivano, ma lei sapeva per esperienza che le cicatrici incise nell’anima erano incancellabili.
Chiuse gli occhi per un istante e sospirò. Era andata così vicina al successo da riuscirne a sentire l’odore... Oppure era il profumo di sandalo e muschio dell’uomo che le solleticava le narici?
Cielo, stava perdendo il lume della ragione.
«Ho bisogno di discutere con lei di una faccenda della massima urgenza» affermò lui, la voce cadenzata che riecheggiava fra le pareti rivestite di piastrelle bianche del laboratorio.
Quella voce...
«Noi due ci siamo già incontrati prima?» si informò Claudia, percependo nell’uomo qualcosa di familiare.
«No» replicò Lucas, fermo al centro della stanza, le gambe leggermente divaricate, le mani dietro la schiena.
Claudia resistette all’impulso di scattare sull’attenti. Era l’individuo più autoritario che avesse mai visto, con il suo atteggiamento quasi militare. Non che avesse molti esempi con cui paragonarlo. Uno degli aspetti negativi del suo autoimposto esilio era che non usciva spesso. Di contro, quello positivo era la solitudine. Non aveva nessuno, e così le piaceva. Nessuno che potesse minacciare il suo cuore e la sua mente, e di conseguenza nessuno che avesse il potere di farle versare lacrime.
«Sono molto occupata, signor Garcia» dichiarò, tirando giù un polsino del camice. «Dunque, se non le dispiace...»
Le parole le morirono in gola, soffocate dal severo sguardo dell’uomo che seguiva ogni sua mossa.
Smetti di agitarti e lui smetterà di fissarti!, ordinò a se stessa. «Cosa vuole da me, con precisione?»
«Posso entrare?» domandò Lucas, muovendo un passo.
Il suo fisico le sembrò ancora più massiccio e, istintivamente, Claudia si portò dietro la scrivania, in modo da mettere fra loro una sorta di barricata.
Mostrando un minimo di intelligenza sotto la montagna di muscoli, l’uomo si fermò, poi i suoi occhi le divorarono il viso. Claudia lo osservò come stregata, il cuore che le martellava nel petto, quindi batté le palpebre, un modo per interrompere l’incantesimo. Uno stratagemma che non ebbe l’effetto sperato. La temperatura nel laboratorio divenne incandescente, e un caldo languore le dilagò nel basso ventre.
«Perché mi guarda così?» riuscì a chiedergli.
«Lei assomiglia...» Lucas lasciò la frase in sospeso, emozioni contrastanti che si avvicendavano sul suo volto,