Sullo yacht dello sceicco: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Una volta sbarcati, Ra'id torna a essere quello che è sempre stato: un sovrano che ha a cuore il bene del proprio popolo prima di ogni altra cosa, ma dimenticare Antonia non è così facile come pensava.
Susan Stephens
Autrice di origine inglese, è un ex cantante professionista oltre che un'esperta pianista.
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Anteprima del libro
Sullo yacht dello sceicco - Susan Stephens
1
Aveva il fisico di una modella, il viso di un angelo e... lo stava minacciando con un coltello.
Non era da tutti i giorni che il suo yacht fosse abbordato da un’amazzone seminuda. Brandelli di indumenti coprivano a malapena il corpo escoriato della ragazza e il coltello che agitava veniva apparentemente dalla cambusa, così come il pezzo di pane e formaggio che stringeva nell’altra mano.
Valeva la pena di uccidere per uno sfilatino?
Probabilmente sì, rifletté lo sceicco Ra’id al Maktabi, pensando all’ottimo giro d’affari di un famoso panettiere francese che lavorava sull’isola di Sinnebar.
Mentre incerti raggi di sole penetravano a fatica la nebbia, lui rimase immobile per non spingere la principessa pirata a compiere gesti ancora più avventati di quelli che già aveva compiuto.
Lei era molto giovane e chiaramente doveva aver subito un trauma. Osservò la massa intricata di riccioli biondi e il viso coperto di graffi, illuminato da un paio di occhi azzurri pieni di paura. «Cosa pensi di fare?» le chiese pacato.
«Non muoverti!» esclamò lei, agitando la lama in aria.
Ra’id trattenne a stento una risata, sollevato nello scoprire che, dopotutto, la donna stava bene. Doveva essere salita a bordo approfittando della tenace foschia, mentre lui si trovava in acqua a controllare che la tempesta non avesse in qualche modo danneggiato la carena.
«Ti avverto!» lo minacciò la sconosciuta, anche se lui non si era mosso.
Se fosse arretrata di un solo altro passo, sarebbe caduta giù dalla murata.
Lo shock che doveva aver subito vedendolo comparire all’improvviso l’aveva spinta a impersonare il ruolo dell’aggressore, pensò Ra’id. Ovviamente non lo aveva riconosciuto, altrimenti avrebbe abbassato subito la sua piccola e inutile arma. «Perché non mi consegni il coltello?» le propose, certo che la bionda non avesse intenzione di attaccarlo. «O meglio, perché non lo getti in mare?»
«Non ti avvicinare» replicò la ragazza, «oppure...»
«Oppure cosa?» la interruppe lui, prima di disarmarla senza difficoltà. Percepì per un istante il calore della sua pelle sotto le mani, poi fu tutto un divincolarsi e un graffiare, come se la sconosciuta stesse lottando per la propria vita. «Piccola gatta selvatica!» sbottò, mentre i denti bianchi di lei affondavano nel palmo della sua mano. «Non ho intenzione di farti del male.»
Gli occhi della donna fissarono per un attimo il grande pugnale che gli penzolava dalla cintura. Evidentemente non aveva neanche sentito le sue parole, perché continuò a dimenarsi mentre lui cercava di trascinarla verso il boccaporto che dava accesso al ponte inferiore, dove era riposta la cassetta del pronto soccorso. Infine, esaurita la pazienza, la sollevò di peso e se la issò in spalla. «Smettila» le ordinò, i piccoli pugni di lei che gli percuotevano la schiena. «Vuoi per caso battere la testa?» chiese, scendendo gli scalini che conducevano sottocoperta.
La donna si era finalmente calmata, ma era ancora in stato di shock, si rese conto mentre la sistemava sull’unica panca a disposizione. Tutto il resto dell’arredamento era stato spostato sul ponte inferiore per lasciar spazio al suo equipaggiamento di navigatore solitario, ma a bordo c’erano anche abbondanti provviste e piccole comodità che avevano lo scopo di rendere il tempo a bordo più piacevole, come i morbidi cuscini che aveva disseminato sul ponte esterno per dormire sotto le stelle.
Quando la ragazza, gemendo, nascose il viso fra le mani, il suo primo pensiero fu di reidratarla. «Ecco» disse, porgendole una bevanda a base di glucosio che aveva preso dal frigorifero.
L’espressione del viso di lei non cambiò. Rimase rigida e distante, lo sguardo fisso verso un punto lontano.
«Bevi, o ti costringerò a farlo tappandoti il naso.» Aveva usato una tattica simile anni prima, quando suo fratello minore Razi aveva rifiutato di prendere delle medicine.
«Non osare!» urlò la donna.
Una sola occhiata bastò a sedare quella protesta. La ragazza tese la mano, lui le porse la bottiglia. La guardò mentre deglutiva avidamente lunghi sorsi. «Quando hai bevuto l’ultima volta?» volle sapere.
La bionda non rispose. Si asciugò le labbra con il dorso della mano e puntò gli occhi azzurri su di lui.
Schegge di ghiaccio avrebbero prodotto più calore.
Non si era arresa, concluse Ra’id. E di certo non avrebbe chiesto scusa per essersi intrufolata sul suo yacht.
Riempì una bacinella di acqua calda, poi frugò in un armadietto alla ricerca di cotone idrofilo e disinfettante. Da un armadio prese una coperta e gliela porse. «Copriti» le disse.
La donna rifiutò di guardarlo. Tirò le gambe al petto in un atteggiamento di difesa. Ma fu quando si strinse le braccia intorno al busto che Ra’id perse la pazienza.
«Guarda che il tuo corpo non mi interessa» affermò. Al fine di chiarire la questione, appoggiò il recipiente e fece per metterle la coperta sulle spalle, cercando di non notare il seno pieno parzialmente scoperto.
La ragazza gli strappò la coperta dalle mani e vi si strinse dentro con tale forza che le nocche delle dita divennero bianche.
«Stai tranquilla, non ho mire su di te.»
Era al sicuro con lui, perché era troppo giovane per i suoi gusti, troppo spaventata e imperdonabile per l’intrusione. In un altro posto, in un altro momento, avrebbe ordinato alle guardie di sbatterla immediatamente in prigione.
Però doveva avere un carattere di ferro, altrimenti a quest’ora sarebbe stata preda di una crisi isterica, pensò. E oltre che coraggiosa era pure bella, una ventata di aria fresca in confronto alle arpie artefatte che regolarmente si presentavano a corte per ottenere la sua attenzione.
Solo una cosa non quadrava: la ragazza gli ricordava qualcuno. Quei riccioli indomabili, quegli occhi penetranti, lo inducevano a pensare alla concubina di suo padre, una donna che aveva distrutto la vita di sua madre e che aveva definito Razi – il fratellastro che non avrebbe potuto amare di più neanche se avessero condiviso lo stesso sangue – il peggiore errore della sua vita. La donna ormai era morta, ma si era lasciata un disastro alle spalle e, a suo parere, era stata l’artefice della debolezza di suo padre. Una debolezza che aveva distolto l’attenzione del potente sceicco dal suo paese e dalla sua gente. Ben consapevole della lezione, le cose erano cambiate per il meglio da quando lui era salito al trono. Non c’era più confusione a Sinnebar e la gente sapeva che alcuni errori non sarebbero stati ripetuti. Per nulla al mondo lui avrebbe permesso al cuore, o al richiamo dei sensi, di avere il sopravvento sulla razionalità.
Riprese a guardare la ragazza che si agitava sulla panca. «Ora ti disinfetto le ferite» la informò.
La luce che lampeggiò negli occhi di lei indicava che lo avrebbe colpito se si fosse permesso anche solo di avvicinarsi. «Non lo farei se fossi in te» l’ammonì. «Quando hai mangiato l’ultima volta?»
Lo stomaco rispose al suo posto con un borbottio, e Ra’id si ricordò che il pezzo di pane e formaggio di poco prima le era caduto sul ponte. «Quando avrò finito di medicarti potrai mangiare.»
La ragazza puntò il mento in avanti e riprese a fissare un punto lontano.
Che muoia di fame, se preferisce, pensò lui, pur costretto ad ammirare tanta fermezza. Apprezzava anche quella sorta di elettricità che vibrava fra loro, ma nessuna delle due cose avrebbe influenzato il trattamento che aveva intenzione di riservarle. L’avrebbe curata e poi consegnata alle autorità. «Le braccia» le ordinò bruscamente, poi decise di impartirle qualche delucidazione su cosa significava rischiare la vita nel Golfo. «Hai mai sentito parlare di codice della navigazione?»
La donna scosse lievemente la testa.
«Se denunciassi il tuo comportamento allo sceicco di Sinnebar... Sicuramente avrai sentito parlare dell’uomo conosciuto con il nome di Spada della Vendetta.» Ebbe la soddisfazione di vederla impallidire. «Se gli dicessi che sei salita sul mio yacht, che hai rubato il mio cibo e che mi hai minacciato con un coltello, rischieresti come minimo il carcere a vita.»
«Ma tu non farai una cosa simile!»
Gli occhi di lei continuavano a scintillare di sfida. A Ra’id piaceva quel fuoco. Gli piaceva la sua voce. Gli piaceva... «Denunciarti?» ipotizzò, distogliendo la mente da quei pensieri pericolosi. «Dipende da quello che mi dirai. Voglio sapere come hai fatto ad arrivare qui. E non mentire. Me ne accorgerei subito.»
Percependo la minaccia nella sua voce, la ragazza abbassò le gambe, come se avesse capito che una tregua era l’unica opzione. «Eri ormeggiato in prossimità dell’isola, così ho pensato...»
Di correre il rischio, concluse lui mentalmente, provando una fitta di improvviso desiderio. La ragazza parlava un inglese corretto con un vago accento italiano. «Sei italiana?» chiese.
«Mio padre è italiano, mia madre era inglese» replicò lei prima di richiudere in fretta la bocca, quasi sentisse di aver già rivelato troppo.
«Comincia a spiegarmi cosa ti ha portato nel Golfo e come sei arrivata sul mio yacht.»
«Mi sono tuffata e ho nuotato.»
«Hai nuotato? Mi stai dicendo che ti sei tuffata da un’imbarcazione e che hai nuotato... in queste acque? Con questo tempo?»
«Per quelle che mi sono sembrate ore.»
«Continua» la esortò lui, mentre si accingeva a pulirle le ferite.
«Prima che calasse la nebbia, la barca su cui eravamo navigava lungo la costa.» «Eravamo?» La donna scosse la testa, come se stesse tentando di
concentrarsi. «Riuscivo a vedere l’isola, dunque ero certa di poterla raggiungere.»
«Devi nuotare bene» sottolineò lui.
«Infatti.»
Era tentato di crederle, ma neanche un atleta professionista avrebbe potuto sopravvivere alla tempesta, e comunque il fisico esile non le avrebbe permesso di opporsi alle impetuose correnti delle acque del Golfo. La ragazza, si rese conto Ra’id, aveva evocato in lui un istinto di protezione che non aveva più provato da quando Razi era cresciuto. «Perché ti sei tuffata?» Si era già fatto un’idea, ma gli serviva una conferma.
«La nostra barca è stata assaltata» replicò lei, il viso se possibile ancora più pallido.
«Ho bisogno di ulteriori informazioni.» Se i suoi sospetti erano giusti, la guardia costiera avrebbe avuto bisogno di ogni dettaglio possibile, rifletté Ra’id. «La tua barca è stata assaltata dai pirati?»
«Tu come fai a saperlo?» domandò lei, guardandolo con il terrore negli occhi, come se lo credesse uno di loro.
Fu di nuovo tentato di offrirle conforto, e di nuovo resistette all’impulso. «Avevo un sospetto che tu mi hai appena confermato» spiegò, mentre la ragazza continuava a fissarlo come se gli fosse spuntata una seconda testa. «Comunque, io non sono un criminale. Anzi, l’esatto contrario. Io assicuro i delinquenti alla giustizia.»
«Sei un poliziotto?»
«Una cosa del genere.»
Parzialmente rassicurata, la donna si appoggiò allo schienale della panca. «Sono stata fortunata a sopravvivere» mormorò. «Molto fortunata.»
Adesso c’era una nota forzatamente drammatica nella sua voce e, mentre lei lo osservava per valutare il modo in cui avrebbe reagito, Ra’id ebbe la netta impressione che fosse abituata a manipolare qualcuno a suo piacimento, forse un fratello maggiore. Ma con lui cascava male, non era facile ingannarlo. «Sì, sei stata fortunata a sopravvivere, e bada che non sto parlando dei pirati. Sei salita a bordo del mio panfilo senza averne il permesso. Ho delle armi con me e non avrei esitato a usarle. A cosa ti sarebbe servito il tuo coltellino in quel caso?»
Le guance le si tinsero di rosso, mentre gli occhi intelligenti brillarono come due zaffiri. Ra’id non aveva bisogno di altro per capire che doveva creare una distanza fra loro. Andò alla radio e comunicò all’ufficiale di