Un dono per l'infermiera: Harmony Bianca
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Un regalo prezioso e un nuovo, dolcissimo amore.
Per le amiche Emma e Abbie questo sarà un Natale davvero speciale.
Quando l'infermiera Abbie Cook incontra l'affascinante paramedico Callum Baird l'attrazione è immediata. Ma il momento non può essere più inopportuno... Emma, la migliore amica di Abbie, sta per regalarle un figlio con una maternità surrogata, mentre Callum, schiacciato dalle responsabilità, non è in grado di assumersi un impegno duraturo.
Mentre si avvicina il Natale, tuttavia, Callum e Abbie non possono più soffocare la passione che ormai li consuma. E forse sarà l'improvviso arrivo della piccola Gracie a regalare loro il miracolo che attendono.
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Anteprima del libro
Un dono per l'infermiera - Louisa George
successivo.
Prologo
Nella testa di Abbie Cook risuonarono campanelle e un canto natalizio. Una risata. Pianti di neonati affamati. Il tintinnio di tazze. L'odore del caffè le diede ancora la nausea.
Mondo, vattene lontano.
I pianti dei bambini le provocavano un dolore sordo e forte come una pugnalata. Tenne gli occhi chiusi mentre combatteva disperatamente la voglia di vomitare.
«Buon Natale, Abbie. Sveglia. Il medico arriverà a minuti per la visita. Dovresti poter andare a casa, oggi. Desideri essere a casa per Natale, vero?»
Anche se continuava a tenere gli occhi stretti, Abbie sentiva le lacrime scorrerle lungo le guance e girò il viso nella direzione opposta alla voce dell'infermiera che le stava parlando. L'ultima cosa che desiderava era tornare con il cuore distrutto in quella casa vuota, vuota come il suo ventre. Starsene come ibernata in quel letto d'ospedale era la cosa migliore, quel giorno soprattutto.
Il suo terzo Natale senza Michael. Il primo era stato un confuso insieme di messaggi di cordoglio. Il secondo una simulazione di divertimento con gente che non poteva credere che lei volesse restare da sola, mentre era esattamente quello che lei desiderava. E ora questo. Un altro anno senza albero di Natale, un altro anno andato senza mantenere la promessa che aveva fatto a suo marito.
Ma era inutile provare dispiacere per se stessa in quel reparto dell'ospedale dove lavorava. Erano bastati gli sguardi pietosi delle colleghe le settimane precedenti. In realtà anni. E anche troppa autocompassione. Cosa avrebbe pensato Michael di lei? Di sicuro non avrebbe voluto che si sentisse così. Avrebbe desiderato che reagisse, che vivesse appieno la sua vita indipendentemente dalla tragedia che l'aveva colpita. Avrebbe voluto che lottasse per essere felice. E che facesse l'albero, celebrasse il Natale e si godesse la vita.
Si sollevò a sedere e guardò la tazza di tè fumante sperando che l'infermiera la lasciasse sola. «Bene. Grazie.»
L'infermiera mise una mano sulle sue. «Senti, tesoro. Vedrai che andrà tutto bene. Tu...»
«Abbie, Abbie, buon Natale!»
«Ah, ah. Visite.» L'infermiera si affrettò a togliere la mano mentre dei passi di corsa rompevano il silenzio del reparto e una bambina di quattro anni saltava sul letto ridacchiando con un pacchetto in mano.
«Ehi, demonietto, fammi vedere.» Era difficile essere tristi se si aveva intorno Rosie, che afferrava la vita con i suoi piccoli pugni e spremeva il meglio da ogni istante. Abbie prese il pacchetto. «Cosa ti hanno regalato di bello?»
«Un tablet per scrivere e giocare.»
«Oh, tesoro.» Abbie lanciò un'occhiata a Emma, la madre di Rosie, che era entrata nella stanza poco dopo la figlia. «Un tablet? Bene.»
«Sembra il regalo migliore al mondo» rispose Emma. «Qualcuno non si è reso conto che io volevo aspettare che diventasse più grande.» Poi alzò le spalle con aria rassegnata e si sedette sul letto, violando una delle norme di comportamento dell'ospedale. Era tipico di Emma non rispettare le regole imposte dall'alto, ma Abbie l'amava anche per questo. E suppose che quel qualcuno fosse riferito al fratello della sua migliore amica che viziava Rosie per compensare il vuoto che la mancanza di un padre aveva lasciato nella vita della bambina.
«Come stai?»
Abbie si sforzò di ritrovare il suo buonumore. Era il giorno di Natale. Non era il caso di rovinare una festa tanto attesa a una bimba di quattro anni. «Bene, grazie.»
«Si vede che stai meglio.»
«Sì. Sono a posto.» Abbassò la voce per non farsi sentire dalla piccola. «Ho pensato un sacco in questi giorni.»
«Anch'io!» Gli occhi di Emma si illuminarono scacciando per un momento il velo di tristezza che Abbie vedeva sempre nello sguardo dell'amica.
«Parla tu per prima!»
«Parla tu per prima!» dissero insieme Emma e Abbie.
Per la prima volta da molto tempo, Abbie rise. Era così che succedeva fra amiche che avevano condiviso per vent'anni le emozioni più importanti. Si sviluppava una specie di sintonia molto profonda. «Va bene. Se non ti secca voglio essere del tutto sincera. Va bene?»
«Bene» annuì Emma mentre sistemava distrattamente i capelli della sua bambina. Un gesto istintivo che Abbie avrebbe desiderato con tutta se stessa poter fare a suo figlio.
Abbie prese un'aria solenne. «Il fatto è che non posso più continuare così. Mio Dio, io desidero un bambino più di ogni altra cosa al mondo, ma il dottor Morrison è stato chiaro: non posso portare a termine nessuna gravidanza. Mai. Ho tentato e ritentato, ma non ce la posso fare. Devo guardare in faccia la realtà. Non potrò mai avere un bambino da Michael.» Combatté contro il nodo doloroso che avvertì allo stomaco. Quella era la dura realtà e lei doveva affrontarla con coraggio. «È così. Non ci proverò mai più. Basta ormoni o iniezioni. E basta leggere libri su come crescere bambini e preparare babbucce.»
A Emma tremarono le labbra. «Tesoro, sono così triste per te.»
«Non ero ancora pronta per questa notizia, e non sono ancora sicura di essere pronta nemmeno adesso, ma devo accettare il fatto che mio marito è morto. E che non posso avere un bambino da lui perché... perché non posso.» Ad Abbie sembrava che un peso enorme le gravasse sul petto. «Ho provato. Mio Dio, quanto ci ho provato.»
Torcendo fra le dita il bordo della coperta cercò di riscuotersi. «Quindi devo darmi da fare. Anzitutto ho bisogno di lasciare il reparto di Terapia Intensiva Neonatale perché non ce la faccio a lavorare con quei piccini ogni giorno. Non so ancora come, ma sono decisa a trovarmi un nuovo lavoro il prossimo anno. Forse una nuova carriera potrà rendermi più facile la vita. Ho preso la decisione di chiudere con il tentativo di diventare madre. Pensare questo mi fa un male del diavolo, ma...» In realtà la sua decisione le sembrava un tradimento a tutto quello che aveva promesso a Michael, a tutto quello che avevano cercato di costruire insieme. Ma... «Comunque basta ormoni e questo sarà un bel sollievo per me. Quindi Buon Natale a me. L'anno prossimo potrei anche decorare un albero di Natale. Chi può dirlo? Ah, vi avevo comperato un regalo, ma l'ho lasciato a casa. Questo è tutto. Tu cosa hai pensato?»
«Tesoro, so bene quanto ti costa dirmi tutto questo. Credo che tu abbia bisogno di tirare il fiato per un po', ma è bello vederti con un atteggiamento comunque positivo.»
Abbie fece un sospiro. «Quindi non pensi che mi sia arresa troppo in fretta? Grazie. E, allora, tu cosa volevi dirmi?»
«Rosie, tesoro. Lascia che ti faccia vedere come puoi fare un bel disegno...» Emma fece sedere sua figlia su una sedia e le diede il suo tablet. Non avrebbe mai permesso che la tecnologia diventasse la baby-sitter della sua bambina, ma forse stava imparando che poteva essere un ottimo strumento per distrarla quando lei, Emma, non poteva dare retta alla piccola.
«Ecco, Abbie, mi sono fatta un grosso esame di coscienza. Non so bene come dirtelo...» Si interruppe ridendo nervosamente. «Io voglio fare qualcosa per te. Occuparsi di un marito malato di cancro è stato brutto, ma perdere un bambino dopo l'altro ti sta uccidendo. Sono felice che tu desideri cambiare lavoro e atteggiamento verso la vita, ma so anche che hai sognato di diventare mamma fin da quando eravamo piccole. E saresti una madre favolosa. Fra tutti sei la persona che merita di più di avere un figlio, tuo e di Michael. Quindi...» Emma posò una mano su quelle di Abbie. «Voglio averlo io per te» le disse in un soffio.
«Tu... cosa?» Abbie provò un improvviso impeto di gioia, subito seguito da un senso di ansia, ma anche di colpa e di vergogna per non essere in grado di farcela da sola. Guardò l'amica. Le era immensamente grata e si sentiva piena di speranza. «Vuoi avere un bambino per me? Come? Dove?»
«Voglio essere la tua madre surrogata, il tuo utero.» Emma strinse gli occhi. Ora sembrava anche lei un po' spaventata. «Ti sembra una cattiva idea? Io credo di no. Io penso...»
Il suo bambino. Il figlio di Michael. Un regalo prezioso. «Ma ci vuole tanto... Non so... È una sorpresa. Un miracolo.»
«Una bella sorpresa?»
«Oh, sì. Sì. Non so cosa dire...»
«Lascia che faccia questo per te. Ogni volta che vedo come guardi Rosie mi si spezza il cuore. Mi sei stata sempre accanto nei momenti buoni e in quelli meno buoni.» Emma sorrise guardando sua figlia, e Abbie capì che si stava riferendo al padre di Rosie. «Sei stata la mia roccia e io voglio essere la tua. Ti prego, dimmi di sì.»
Ad Abbie sembrava che stesse per esploderle il cuore in petto, ma aveva anche la testa piena di domande. Come si sarebbe sentita sapendo che suo figlio veniva concepito nel corpo di un'altra? E la gente cosa avrebbe detto? E Rosie? Avrebbe capito? E avrebbero capito le loro famiglie?
E se poi Emma avesse cambiato idea? La loro amicizia si sarebbe spezzata e sarebbero cominciate le battaglie legali? Scacciò quei dubbi dalla mente. Non sarebbe successo niente di tutto questo. La loro amicizia era solida. E che regalo per quel Natale! Un bambino. Suo figlio. «Sì, sì! Mio Dio! Grazie. Grazie mille. Ti voglio tanto bene.»
«Anch'io. E buon Natale.» Emma si chinò sul letto e l'abbracciò. Aveva gli occhi lucidi. «Bene. È il momento di occuparsi delle cose pratiche.»
1
«Accidenti... Penso che sia un alieno.»
«O un mulino a vento. Guarda come si agitano quelle braccia e quelle gambe.»
Scrutare la forma del nascituro sullo schermo in bianco e nero era più facile via via che la gravidanza procedeva. Finalmente riuscivano a vedere completamente il bimbo, il cui corpicino riempiva interamente l'immagine. Il naso corto? Come quello di Michael? Le labbra a cuore. Come le mie? E poi il rumore del battito cardiaco che riempiva la stanza. Meraviglioso!
Abbie, triste ed eccitata allo stesso tempo, scacciò le lacrime e strinse la mano della sua amica. «Sono proprio una pappamolla, ma non riesco a credere che sia vero.»
«Lo hai detto tutte le volte che abbiamo fatto un'ecografia» disse Emma ridendo e passandosi una mano sul ventre prominente. «Non credere che sia vero non ti ha impedito di comperare completini da neonato come una pazza.»
L'operatore alzò lo sguardo verso di loro. «Volete conoscere il sesso?»
«No, no.» Abbie non era ancora pronta a pensare di essere sul punto di avere un figlio da Michael. E avrebbe desiderato essere lei incinta e con suo marito a tenerle la mano. Di colpo perse tutto l'entusiasmo. «Lasciamo che sia una sorpresa, Em. Sei d'accordo?»
«D'accordo. Del resto è il tuo bambino» ridacchiò Emma, e Abbie capì che la sua amica era curiosa di vedere la reazione dell'ecografista. La storia del loro bambino era abbastanza inusuale; la maternità surrogata non era una cosa di tutti i giorni nella piccola, vecchia Queenstown. «Comunque penso di sapere di che sesso è. Sono una di quelle che è sicura di essere incinta prima ancora del test di gravidanza e sono convinta di conoscere il sesso per come sta procedendo la gravidanza. Ma terrò la bocca chiusa.»
Abbie non riuscì a trattenere la domanda che le girava per la testa giorno e notte. D'altra parte chi avrebbe potuto biasimarla se ogni tanto si lasciava prendere dal panico dopo tutto quello che le era successo? Si rivolse all'ecografista. «La cosa principale è che vada tutto bene. È così?»
«Assolutamente.»
«Sicuro?»
«Qui c'è la prova che il bambino è assolutamente perfetto» sorrise l'uomo. «Vi preparerò anche un DVD. Sì, Abbie, il bambino è assolutamente nella norma per essere di trentaquattro settimane. E anche la mamma... volevo dire, Emma, è in ottima forma.»
Emma si pulì il ventre dal gel. «Certo che sono in forma. Me lo dicono tutti. Bene, signora, non devi tornare al lavoro, ora?»
Emma era sempre allegra e durante le visite non perdeva occasione per ridere e scherzare, ma per lei non si trattava di un'esperienza