Oggi, domani e per sempre: Harmony Destiny
Di Metsy Hingle
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Info su questo ebook
Metsy Hingle
Inguaribile romantica, crede fortemente nel potere dell'amore... e scrive per dimostrarlo.
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Anteprima del libro
Oggi, domani e per sempre - Metsy Hingle
successivo.
Prologo
«A giudicare dalla sua faccia, agente, mi pare di capire che nessuno ha reclamato la bimba.»
Seduta nell'ufficio dell'orfanotrofio Sant'Anna, la bambina in questione rimase in silenzio, ma lanciò un'occhiata in direzione della porta presso la quale suor Mary Patrick stava parlando con qualcuno sot-tovoce.
«Non capisco proprio, sorella.»
Era lui, il poliziotto che l'aveva trovata nascosta dentro il confessionale nella grande chiesa. Improv-visamente, la piccola si illuminò. Forse era venuto a dire alla suora che non doveva più tenerla lì. Che la mamma era tornata a prenderla proprio come aveva promesso.
«È passata più di una settimana dall'uragano» affermò il poliziotto. «Abbiamo fatto pubblicare la fotografia della piccola sui quotidiani locali e l'abbiamo mostrata in ogni telegiornale trasmesso nell'a-rea di New Orleans, ma finora nessuno si è fatto avanti per reclamarla, e tanto meno è stata sporta denuncia per una bambina scomparsa che rispondesse alla sua descrizione. Non ha proprio senso.»
«A volte certe cose non hanno spiegazione» gli disse la suora.
«Ha sì e no... quanto? Tre anni? È solo una bambina. Appartiene a qualcuno. E allora com'è che nessuno viene a cercarla?»
Lei apparteneva a qualcuno. Apparteneva alla sua mamma, e la sua mamma sarebbe tornata a ripren-derla. Era sempre tornata da lei.
Suor Mary Patrick si diede un'occhiata alle spalle in direzione della bimba e questa trattenne il respiro, cercando di rimanere immobile come una statua come le aveva detto di fare la mamma. Finalmente, la suora tornò a rivolgersi al poliziotto. «Ho paura che potremmo non conoscere mai la risposta a questa domanda. Si ostina a non parlare. Non vuole dirci il suo nome né chi era sua madre, posto che lo sap-pia.»
«Crede... crede che abbia qualche problema?»
«I medici dicono di no. Capisce chiaramente ciò che le viene detto, perché fa tutto ciò che le si chiede di fare. Ma per una qualche ragione, si rifiuta di parlare. I dottori ritengono che abbia subito un qual-che trauma. Ed è ovvio dai lividi e dalle escoriazioni che presenta che si tratta di una bimba che ha subito violenza.»
Il poliziotto sfoderò un'espressione rabbiosa che le ricordò Carl. Impaurita, sarebbe voluta scappar via per tornare a nascondersi. Invece strinse forte a sé il suo orsacchiotto di peluche. Doveva rimanere lì, per il momento. Doveva fare la brava e aspettare. Esattamente come aveva promesso di fare.
«Prometti che farai la brava bambina, topolino, e che non farai rumore. La mamma deve sistemare una certa faccenda, per assicurarsi che Carl non possa trovarci. Poi tornerà da te.»
Un tuono era rimbombato all'esterno, e lei si era aggrappata alla gonna della mamma. «Non lasciarmi, mammina! Ho paura. Il cielo ce l'ha con me.»
«Il cielo non ce l'ha affatto con la mia bambina. È solo un temporale, tesoro. Niente di più. Okay?»
«Okay.» Lei si era asciugata le lacrime dalla guancia indolenzita, nel punto in cui Carl l'aveva picchiata quella mattina.
«Sarai al sicuro qui fino a quando non tornerò. Ma ricordati, se qualcuno ti trova non dire una sola parola. Non dire nemmeno il tuo nome. Fa' solo la brava e fa' come ti dicono. Non preoccuparti, la mamma tornerà a prenderti.»
«Che cosa ne sarà di lei?» s'informò il poliziotto.
«Abbiamo avviato le pratiche perché resti qui al Sant'Anna.»
«Intende dire fino a quando qualcuno non la adotterà, non è così?»
Un'espressione triste attraversò il viso della suora. «Naturalmente l'adozione è la soluzione che ci auguriamo per tutti i nostri bambini. Ma la maggior parte delle coppie che intendono adottare cerca dei neonati. Ho paura che l'età giochi contro di lei. Il suo rifiuto di parlare e il fatto che abbia subito violenza rendono meno verosimile l'adozione per lei. Ma se abbiamo fortuna e se il Signore lo vorrà, troveremo una buona famiglia che l'accoglierà.»
La sorella si sbagliava. Lei non aveva bisogno di nessuna famiglia. Sua mamma sarebbe tornata a prenderla esattamente come le aveva promesso.
«È così piccola» disse l'agente. «Non sembra giusto.»
«Non lo è, infatti. Così come non è giusto che una bambina così piccola abbia degli occhi così tristi. Purtroppo, la cosa è ricorrente nella maggior parte dei bambini che vengono da noi. È per questo che abbiamo bisogno delle vostre preghiere.» La suora gli toccò un braccio. «Le andrebbe di farle un salutino?»
«Io... ehm, ma certo. Perché no?»
La suora lo condusse nella stanza, fino alla sedia sulla quale sedeva la bimba. «Claire, ricordi l'agente Jamison, vero? È il simpatico poliziotto che ti ha portata da noi. È passato a vedere come stai.»
«Claire?» ripeté il poliziotto, accovacciandosi di fronte alla piccola.
La suora fece una piccola smorfia. «Be', un nome dovevamo pur darglielo e così, dato che lei l'ha tro-vata durante l'uragano Claire, ci è sembrata una scelta appropriata. Quindi, fino a quando non ci dirà di fare diversamente, abbiamo deciso di chiamarla Claire.»
1
Venticinque anni dopo
«Dov'è mia moglie?»
Gli occhi le si spalancarono di scatto nell'udire il tono sferzante di quella voce maschile. Tirandosi su a sedere nel letto, lei sussultò quando un dolore acuto sembrò esploderle in testa. Gemette, si portò una mano incerta al capo e si bloccò quando le sue dita incontrarono la spessa medicazione fatta di garza all'altezza della tempia destra.
«Dannazione, voglio vedere subito mia moglie!»
L'impaziente comando si fece strada attraverso il dolore e la confusione di cui era vittima. Lanciando un'occhiata verso il punto da cui proveniva quella voce arrabbiata, lei vide la porta appena socchiusa e corrugò la fronte. Un brivido di apprensione le scivolò giù per la spina dorsale mentre fissava quella porta per nulla familiare e il pavimento con le piastrelle bianche e beige.
Dov'era?
Lasciandosi ricadere la mano sul grembo, vide il braccialetto d'identificazione di plastica che aveva attorno al polso. «Claire Gallagher» disse, leggendo ad alta voce il nome stampato sulla fascetta e aspettandosi che le giungesse in qualche modo familiare, che le desse un qualche indizio circa il fatto che le apparteneva. Poiché non ottenne alcun risultato, si sentì rimescolare lo stomaco. Improvvisamente ansiosa, scalciò le lenzuola che le si erano attorcigliate attorno alle gambe e accusò una fitta di dolore alla caviglia sinistra. Trattenendo il fiato, se l'afferrò e si sentì tirare il braccio da qualcosa.
Col cuore che le batteva all'impazzata, Claire spostò lo sguardo alla sua sinistra, e il respiro le si bloccò da qualche parte fra il petto e la gola alla vista dell'aggeggio attaccato al suo braccio. Una veloce occhiata al tubicino e all'ago che era fissato con del nastro adesivo alla sua mano la gettò in pieno panico.
«Buon Dio» mormorò. Stava per sentirsi male.
Sentendosi rimescolare il sangue, si portò una mano alla bocca e si sforzò di tornare calma. Doveva respirare lentamente, doveva cercare di mettere a fuoco la situazione, si disse, sospirando a fatica. C'era una semplice spiegazione per tutto. Doveva esserci. Era sufficiente che analizzasse bene le cose.
Rapidamente fece un inventario di ciò che la circondava. Il letto stretto che occupava, le bianche lenzuola sterili e la coperta color cachi ai suoi piedi. Deglutendo il nodo che le si era formato in gola, lasciò scorrere lo sguardo sul resto della stanza. In un angolo vide un paio di sedie. Un tavolino era addossato a una parete e su di esso c'erano una brocca e una tazza di plastica. Delle tristi tende beige pendevano alla finestra.
Anche ignorando l'eloquente braccialetto di identificazione e la flebo che aveva al braccio, bastava l'arredamento per capire che si trovava in un ospedale. La constatazione non contribuì affatto ad allentare il suo disagio. Lasciandosi ricadere contro i cuscini, Claire provò a riflettere, tentò di ricordare. Ma entrambe le cose le risultarono difficili, dato che la testa e la caviglia le pulsavano incessantemente. Era tutta un dolore. Aveva come la sensazione che le facessero male perfino i capelli.
Cosa diamine era accaduto? Era rimasta coinvolta in un qualche incidente? Quando? Dove?
Toccandosi con circospezione il bendaggio alla testa, chiuse con forza gli occhi e cercò di ricordare... qualcosa... qualunque cosa le potesse dire per quale motivo era finita in un ospedale.
Ma fra il dolore che avvertiva alla testa e il vociare che proveniva da oltre la porta, era impossibile concentrarsi. E poi tutto sembrava così indistinto. Aveva solo una vaga reminiscenza di un uomo che indossava un camice bianco che le agitava una mano di fronte al viso mentre le puntava negli occhi una luce e le chiedeva quante dita vedesse.
«O mi ci porta lei a vedere mia moglie, oppure ci andrò da me.»
Le pulsazioni di Claire aumentarono ulteriormente. Premendosi le dita fra le sopracciglia, si domandò come mai la voce di quell'uomo avesse un effetto così sconvolgente su di lei. Lo conosceva? C'era qualcosa nella sua voce... qualcosa che le stuzzicava la memoria. Ma qualunque cosa fosse, ogni ricordo con una minima parvenza di nitidezza rimaneva fuori della sua portata. Rinunciando a profon-dere i propri sforzi in quella direzione, Claire cercò di concentrarsi sul suo dilemma. Ma più tentava di ricordare cos'era successo e com'era finita in ospedale, più la testa le faceva male.
«Torni pure alla sua postazione, infermiera Galloway. Gestisco io la faccenda.»
Claire tirò su la testa ed ebbe un sussulto a quel movimento. Ma riconobbe la voce del secondo uomo, il medico che le aveva chiesto di contargli le dita.
«Cerca di mantenere un certo contegno, Matt. Stai facendo una scenata.»
«Ah, sì? Be', se non vedo mia moglie entro i prossimi dieci secondi, ne farò una memorabile.»
E sarebbe stato di parola, pensò Claire, mentre ascoltava lo scambio di battute fra il dottore e l'altro uomo. La determinazione nella voce dell'uomo contrariato, infatti, era inequivocabile.
«Vedi, amico, non ero tenuto ad avvisarti che lei era qui. Quando l'hanno ricoverata, era in stato di semincoscienza e non era nemmeno stata identificata. È stata una vera fortuna che fossi io di turno al pronto soccorso e che abbia potuto riconoscerla. Considerata la situazione fra voi due, non sarei sor-preso di scoprire che ho infranto una qualche regola di riservatezza ospedaliera chiamandoti. Non farmi pentire di aver fatto quella telefonata, Matt.»
«Oh, accidenti, Jeff. Scusami. È solo che quando hai detto che era ferita e che il tizio aveva usato una pistola, io... io... devo aver perso un po' la testa.»
«Un po'?»
«Va bene, va bene. Tanto. È solo che... temevo che... pensavo di...» La voce gli si spezzò. «Santo cielo, al diavolo cosa pensavo. Da come sono andate le cose tra noi negli ultimi tempi, lei probabilmente non vorrà nemmeno vedermi. Ma io ho bisogno di vederla, Jeff. Non posso farci nulla. Ho bisogno di vedere coi miei occhi che sta bene.»
«Calmati, adesso. Nessuno t'impedirà di vederla. Ma da quando è stata ricoverata non ha fatto che perdere e riprendere conoscenza. Dammi un istante per controllare se è sveglia. In tal caso, potrai en-trare.»
«Jeff, aspetta! Prima devo sapere come