Incontri infuocati
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Barbara Mccauley
Coltiva molti interessi, fra cui la scrittura. E proprio la passione che ha per i romanzi d'amore l'ha portata a diventare un'autrice di successo.
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Anteprima del libro
Incontri infuocati - Barbara Mccauley
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Cinderella Scandal
Silhouette Desire
© 2004 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Elisabetta Elefante
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-660-0
Frontespizio. «Incontri infuocati» di Mccauley Barbara1
Pioveva a dirotto, quella fredda sera di gennaio.
Gocce sottili come acuminati aghi di ghiaccio si abbattevano sulla campagna di Savannah. Il cielo nero veniva illuminato a tratti da fulmini. I tuoni roboanti sembravano insinuarsi tra le querce maestose che fiancheggiavano il lungo viale privato, agitandone i rami frondosi e i tronchi coperti di muschio.
Era una nottataccia infame, di quelle che invitano a barricarsi in casa, ma quando Abraham Danforth chiamava a rapporto i suoi cari, tutti arrivavano.
Giganteschi cavalloni spumosi si infrangevano sulle coste sottostanti a Crofthaven Manor, spinti da un gelido vento impietoso, ma Reid Danforth era al caldo e all’asciutto nell’abitacolo della sua BMW. Il lettore CD diffondeva le note di un pezzo di Duke Ellington, che si confondevano con il ticchettio della pioggia sul tettuccio e con il fruscio frenetico dei tergicristalli. Dopo una massacrante giornata trascorsa negli uffici della Danforth & Co., Reid si godeva quei trenta minuti di macchina e di rilassante silenzio.
Peccato che i trenta minuti volgessero già al termine, pensò, avvistando la grande cancellata di ferro battuto.
Esalando un sospiro stanco, azionò il telecomando e rimase a osservare la cancellata che si apriva lentamente. Un fulmine improvviso illuminò la sontuosa villa che si ergeva all’estremità del viale e l’ennesimo tuono sembrò quasi annunciare il suo arrivo, come un colpo di cannone. Persino a Reid, che lì aveva trascorso i lunghi periodi di vacanza durante gli anni scolastici passati in vari collegi, Crofthaven metteva una certa soggezione.
Costruita nel 1890 dal suo bisnonno, Hiram, quella dimora era stata progettata per sfidare il tempo e le avversità. Un tratto che Hiram aveva trasmesso anche a tutti i suoi discendenti.
Reid parcheggiò fra due delle tre limousine di famiglia, spense il motore e rimase ad ascoltare per qualche istante il ticchettio della pioggia sul tettuccio dell’auto.
Aveva sempre bisogno di concedersi qualche minuto per varcare la soglia tra il mondo reale e Crofthaven. Quella sera suo padre avrebbe preteso l’attenzione di tutti i Danforth mentre spiegava loro i motivi dell’imminente candidatura al Senato. Avrebbe chiesto l’appoggio della famiglia, che doveva mostrarsi unita e solidale, condizione indispensabile per il successo della campagna elettorale che stava per partire.
Abraham Danforth non conosceva il significato della parola fallimento. Non per niente il facoltoso industriale era riuscito ad accrescere di svariate volte il già ingente patrimonio ereditato dai progenitori. Al punto che adesso poteva permettersi il lusso di delegare le sue mansioni imprenditoriali per gettarsi in politica.
Sapendo di essere già in ritardo, Reid uscì dall’auto sotto la pioggia scrosciante e affrettò il passo verso il portone d’ingresso. Lo spinse con decisione, portando con sé una folata d’aria gelida all’interno del vestibolo di marmo candido.
«Signor Reid.» Joyce Jones, la governante di casa Danforth, sembrò spuntare dal nulla. «Cominciavo a preoccuparmi.»
«Ho fatto un po’ tardi, lo so» rispose Reid per rassicurare la donna che lo aveva visto nascere trentadue anni prima. «I soliti contrattempi, in ufficio.»
Ultrasessantenne, austera e anche poco abituata a plateali esternazioni di affetto, Joyce era stata comunque una presenza costante, un punto di riferimento fisso nell’esistenza di Reid, che era cresciuto sballottato tra un collegio e l’altro. Indossava lo stesso camice nero di quando era bambino, le stesse comode scarpe stringate da lavoro. Nemmeno la crocchia in cui raccoglieva i capelli dietro la nuca era cambiata, sebbene di recente Reid vi avesse notato qualche filo bianco.
«Che razza di tempaccio, eh?» Joyce si spostò alle sue spalle per aiutarlo a sfilarsi l’impermeabile bagnato. «Martin sta servendo gli aperitivi, nel salottino. Suo padre è impegnato al telefono, nello studio. Vado a dirgli che è arrivato anche lei.»
«Sì, grazie.»
Allentandosi la cravatta, Reid si avviò verso il salottino, ma si arrestò sulla soglia. Due dei suoi fratelli, Ian e Adam, erano accanto al caminetto con Jake, il cugino, sicuramente intenti a discutere della catena di coffee house che avevano inaugurato di recente nei dintorni di Savannah. Accanto al mobile bar, Marcus, il più giovane dei suoi fratelli, nonché l’avvocato della famiglia, parlava con lo zio Harold e con suo cugino Toby del ranch che quest’ultimo possedeva nel Wyoming.
Reid pensò a sua madre e desiderò che potesse essere lì in quel momento a vedere i suoi cinque figli. Lui aveva compiuto da poco otto anni all’epoca della sua morte, ma c’erano cose che non avrebbe mai dimenticato di Chloe Danforth: come amava cucinare per i suoi cari e le feste che organizzava lì, per esempio. Quante volte lui e Ian erano sgattaiolati fuori dalle loro stanze per sbirciare, dall’alto della scalinata, tutte quelle persone vestite elegantemente che ridevano, mangiavano e ballavano. Ricordava con sconcertante nitidezza la sera della festa di compleanno della madre, quando aveva visto Abraham ballare con la moglie nel salone, sotto lo scintillio dell’enorme lampadario di cristallo.
Lei era morta una settimana più tardi. E da allora Abraham non era più stato lo stesso.
«Reid!» Sua sorella Kimberly interruppe la conversazione con Imogen, sua cugina, per venirlo a salutare. «Ma guardati! Sei bagnato come un pulcino!»
«Lo hai visto o no che fuori diluvia?» le fece notare Jake, intervenendo dall’altra parte della stanza. «Ora ci siamo tutti, mi pare.»
«E zia Miranda?» chiese Reid alla sorella, che si sollevò sulle punte per baciarlo su una guancia.
«Sta mettendo a letto Dylan.» Un accenno di sorriso apparve sulle labbra di Kimberly mentre parlava del piccolo di tre anni. «Gli ho regalato un album di fotografie di pesci e dubito che si addormenterà prima di averlo sfogliato tutto.»
«Mi sa che presto avremo un altro biologo marino in famiglia» osservò Reid, ridacchiando.
«Se fossi arrivato puntuale e avessi sentito come suona il piano, non diresti così. Di questo passo, a dieci anni tuo nipote si esibirà alla Carnegie Hall» dichiarò Kimberly, orgogliosa.
«Anche a otto.» Imogen gli ficcò in mano un Martini. «Ciao, Reid.»
«Ah, la fiera zietta.» Reid baciò anche sua cugina su una guancia. «Come procede la tua folgorante carriera nel mondo degli investimenti?»
«Due promozioni in sei mesi. Sei tutto in disordine.» Lei gli strinse la cravatta che si era appena allentato. «Mai trascurare le apparenze, mio caro. A proposito di apparenze, come se la passa la tua bella?»
«Se ti riferisci a Mitzi, non ho la più pallida idea di dove si trovi, ma quasi sicuramente a fare shopping.»
Erano più di quattro mesi che lui non vedeva Mitzi Birmingham, per sua fortuna. Era stato molto impegnato a organizzare le cose in ufficio in modo da potersi concedere le successive quattro settimane di vacanza, che avrebbe dedicato alla campagna elettorale di suo padre. Ultimamente non aveva tempo di frequentare nessuna delle sue numerose fiamme. E gli andava bene così. Reid non riusciva a spiegarselo, ma aveva la sensazione di attrarre sempre e solo avide arrampicatrici senza scrupoli. Non appena scoprivano che era figlio di Abraham Danforth, che era il presidente della Danforth & Co. e che viveva in un lussuoso superattico, cominciavano a inondarlo di complimenti, a fargli gli occhi dolci e a svenire ai suoi piedi. O, peggio ancora, tutte e tre le cose insieme.
Sapeva che presto avrebbe cominciato a sentire la mancanza di una bella ragazza disposta a scaldargli il letto, ma per il momento era più che felice di concentrarsi sui suoi numerosi impegni.
«Reid!»
Si voltò, riconoscendo la voce profonda e imperiosa di suo padre. Accanto a lui, c’era Nicola Granville, responsabile della sua campagna elettorale.
«Papà. Signorina Granville.»
«Mi chiami pure Nicola, la prego. È un piacere rivederla, Reid.»
Reid aveva incontrato l’avvenente collaboratrice di suo padre una volta, nell’ufficio di Abraham, e ci aveva parlato in un paio di occasioni al telefono. Trentasette anni appena, Nicola si era già fatta un nome come consulente dell’immagine ed esperta di pubbliche relazioni. Abraham aveva scelto il meglio sul mercato, come sempre. Nicola era attraente, competente, sicura del fatto suo e infaticabile. Con suo padre, Reid ne era convinto, avrebbe svolto un lavoro eccellente.
«Aspettavamo solo te» disse Abraham.
Sebbene non avesse usato un tono irritato, Reid conosceva fin troppo bene suo padre per non capire che il suo era un velato rimprovero. E che non si sarebbe bevuto nessuna delle scuse che lui avrebbe potuto propinargli, per giustificare il proprio ritardo.
A cinquantacinque anni, Abraham Danforth era la quintessenza del politico destinato a conquistare le masse. Profondi occhi azzurri, fisico asciutto, capelli castani e il sorriso accattivante dei Danforth.
Reid era sicuro che non avrebbe fatto fatica a convincere i suoi elettori e a conquistare una poltrona in Senato.
«Un attimo di attenzione, prego» riprese Abraham, rivolto ai presenti. «A quelli di voi che non l’hanno già conosciuta, vorrei presentare colei che sarà il mio braccio destro nei prossimi mesi, Nicola Granville. Dopo cena, Nicola ci illustrerà passo per passo la campagna elettorale nella quale saremo impegnati più o meno direttamente tutti quanti.»
Mentre Nicola stringeva la mano agli intervenuti, Reid si avvicinò a suo cugino Jake. «E Wes?»
«Un viaggio d’affari. Almeno, così ha detto. Lo conosci.»
Reid sorrise. Pur essendo stato solo il suo compagno di stanza al college, Wesley Brooks era considerato da tutti uno di famiglia. Ma lui lo conosceva meglio di chiunque altro: nonostante la sua fama di sciupafemmine impenitente, Wes avrebbe fatto i salti mortali per essere presente a quell’incontro, se gli fosse stato possibile.
Jake rubò una tartina dal vassoio con cui Martin si aggirava nel salottino. «Mi è parso di capire che abbiate trovato una palazzina da affittare come sede per la campagna elettorale.»
«Solo il pianterreno» precisò Reid, sorseggiando il suo Martini. «Mi sono già messo d’accordo con il proprietario, ma non abbiamo ancora firmato niente. Ho appuntamento con lui domani, per dare un’occhiata ai locali. Un certo Ivan Alexander. Ha una pasticceria proprio lì accanto, la Castle Bakery.»
«Ah, sì, la conosco. Ne ho sentito parlare molto bene. Anzi, contavo di passare da quelle parti ad assaggiare i loro prodotti, uno di questi giorni. Sai, siamo sempre in cerca di specialità nuove da inserire nei menu dei D&D’s.» Jake alzò e riabbassò le sopracciglia. «Tra l’altro, pare che Ivan abbia tre figlie femmine. Tre bocconcini niente male.»
«Be’, se ti interessa, posso mandare te in avanscoperta. Anzi, quasi quasi propongo a papà di affidare a te l’incarico di allestire il quartier generale della campagna.»
«E toglierti tutto il divertimento?» La mano