Ambizione milionaria: Harmony Destiny
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Proprio quando la vita di Lily Kincaid viene stravolta da uno scandalo che potrebbe distruggere tutta la sua famiglia, si trova costretta a dover fronteggiare il milionario Daniel Addison, l'uomo più sexy che abbia mai conosciuto e a cui ha celato uno scottante segreto. Ignorarlo è impossibile: il suo tocco è irresistibile, il ricordo della passata passione diviene di nuovo una realtà incandescente. E Daniel aspetta solo l'occasione per dimostrare a Lily che lei non è una semplice conquista di letto.
Kathie DeNosky
Inizia la sua giornata lavorativa alle due di mattina, in modo da poter scrivere in tutta tranquillità prima che il resto della famiglia si alzi.
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Ambizione milionaria - Kathie DeNosky
1
Un nodo cominciò a formarsi nello stomaco di Lily Kincaid mentre posava lo sguardo sulla sua famiglia e i tre estranei che, il giorno prima, avevano partecipato al funerale di suo padre. Erano seduti attorno a un tavolo, in attesa della lettura del testamento di Reginald Kincaid e, per quanto fosse difficile credere che il suo beneamato padre se n’era andato, il fatto che negli ultimi trent’anni avesse condotto una doppia vita era quasi impossibile da digerire. Superava l’umana comprensione pensare che, in tutti quegli anni, aveva avuto una seconda famiglia a Greenville.
Quando Harold Parsons, il legale di suo padre, entrò nella sala con un voluminoso faldone e si sedette a capotavola, estraendo numerose buste e carte, l’apprensione di Lily aumentò, mescolata a una rabbia sorda e sfiancante. Odiava che le avessero portato via il padre, odiava che il lavoro di tutta la sua vita stesse per essere diviso in quote. Più di tutto, però, odiava aver avuto di lui una visione che non era niente di più di un’illusione – un’illusione che era andata in frantumi e che, in apparenza, non era possibile riparare.
«Prima di cominciare, vorrei esprimere le mie più sentite condoglianze per la vostra perdita» disse il signor Parsons, con palese sincerità. «Conoscevo Reginald da molti anni e mi mancherà il suo senso dell’umorismo. Ricordo quella volta...»
Lily si morse il labbro per impedirgli di tremare quando l’uomo che sosteneva di essere il suo fratellastro, Jack Sinclair, si schiarì la gola e guardò l’orologio, come se volesse affrettare le cose. Come era possibile che un uomo cordiale e affettuoso come suo padre avesse generato un figlio così insensibile e freddo?
L’espressione sul volto di RJ, il suo fratello maggiore, era minacciosa. «Hai fretta di andartene, Sinclair?»
«In effetti, è così» dichiarò Jack. «Quanto tempo ci vorrà, Parsons?»
Le sopracciglia bianche del signor Parsons si incontrarono al centro, al di sopra degli occhiali, in segno di disapprovazione. «Tutto il tempo necessario, giovanotto.»
«Per favore, Jack» supplicò Angela Sinclair con voce tremante, mettendo una mano sul braccio del figlio. I suoi capelli biondi, tagliati all’altezza del mento, ondeggiarono quando scosse la testa. «Per favore, non rendere tutto più difficile di quanto lo è già.»
In circostanze diverse, Lily avrebbe provato pietà per lei. Il giorno prima al funerale e adesso, in attesa della lettura del testamento, era evidente che la morte di Reginald Kincaid era stata per lei un duro colpo. Ma considerando che, per gli ultimi trent’anni, l’infermiera era stata l’amante di suo padre e si era presentata per piangerne la morte come se lei e i suoi figli facessero di diritto parte della famiglia, era troppo perché Lily potesse sopportarlo. O Angela Sinclair non se ne rendeva conto oppure se ne infischiava che, per la famiglia Kincaid, sarebbe stata un’esperienza devastante.
«Dovete scusare l’impazienza di mio fratello» intervenne pacato Alan Sinclair, rivolgendo un sorriso contrito a Lily e alla sua famiglia. «Temo che Jack stia ancora cercando di elaborare e accettare la morte di Reginald.»
Il figlio più giovane di Angela, Alan, sembrava l’esatto opposto del fratello maggiore sotto tutti gli aspetti. Mentre Jack era alto, con capelli scuri, occhi azzurri e un atteggiamento freddo e insensibile, Alan era più basso, aveva capelli biondo scuro e occhi castani come la madre, e dava l’impressione di comprendere lo shock subito dai Kincaid. Non solo dovevano affrontare la morte del padre, probabilmente per sua stessa mano, ma anche la cruda verità della sua vita clandestina.
«Non scusarti per me» borbottò Jack. Nella sua espressione c’era tanta animosità che era evidente come tra i due non corresse buon sangue. «Non ho niente per cui dovrei farlo.»
«Basta così!» esclamò RJ in tono perentorio. Quindi si rivolse all’avvocato. «La prego, continui, signor Parsons.»
«Se Sinclair non vuole fermarsi per ascoltare i dettagli, sono sicuro che lei può scrivergli una lettera specificando che cosa nostro padre intendeva lasciargli» suggerì Matt, spalleggiando RJ.
Di pochi anni più grande di lei, suo fratello Matt aveva già avuto la sua dose di dolore. Era passato appena un anno da quando aveva seppellito la moglie, Grace, ed era rimasto da solo a crescere il loro figlioletto, Flynn. La perdita del padre, avvenuta a così breve distanza, doveva evocargli ricordi molto dolorosi.
Lily lanciò un’occhiata alla madre, per vedere come reagiva a quell’ultimo colpo di scena. Incarnazione dell’autentica signora del Sud, Elizabeth Kincaid aveva mantenuto una calma dignitosa durante tutta quell’ardua prova, tanto che Lily non poteva impedirsi di invidiarla. Si sarebbe detto che sua madre la stesse prendendo molto meglio di lei e delle sue due sorelle. Laurel, la sorella maggiore, continuava ad asciugarsi le lacrime con un fazzoletto di pizzo, mentre Kara sembrava in uno stato di totale shock.
«Ti prego, continua, Harold» disse sua madre, sistemando una ciocca dei corti capelli color castano ramato.
«Molto bene, signorina Elizabeth» rispose Parsons, usando il termine signorina come era consuetudine tra i gentiluomini più anziani del Sud quando si rivolgevano a una signora, nubile o sposata che fosse. Lesse ad alta voce i preliminari, quindi si schiarì la gola e iniziò a elencare le disposizioni di suo padre. «Riguardo le mie proprietà personali, vorrei che fossero suddivise come segue. A mio figlio RJ lascio l’Oak Great Lodge sulle Smoky Mountains. A mia figlia Laurel, lascio la mia casa sulle Outer Banks. A mia figlia Kara, lascio la mia casa per le vacanze sull’isola di Hilton Head. A mio figlio Matthew, lascio la fattoria di famiglia, dove eravamo soliti trascorrere le vacanze. E a mia figlia Lily, lascio la casa del Colonnello Samuel Beauchamp alla Battery.»
Gli occhi di Lily si colmarono di lacrime. Suo padre sapeva quanto amava le case storiche della Battery, una delle zone più belle di Charleston e forse di tutto lo stato della Carolina del Sud. Ma Lily ignorava che lui possedesse una delle dimore signorili di quel quartiere.
Dopo aver esposto i lasciti in denaro e le proprietà che suo padre assegnava a Elizabeth e ad Angela, il signor Parsons aggiunse: «Quando ha aggiornato il suo testamento, Reginald ha scritto queste lettere e mi ha chiesto di darvele dopo la sua morte». Consegnò a tutti i presenti, tranne Elizabeth, una busta sigillata con i loro rispettivi nomi prima di proseguire: «Quanto alle attività commerciali, andranno divise come segue: RJ, Laurel, Kara, Matthew e Lily riceveranno ciascuno il nove percento delle quote del Kincaid Group. Il mio primogenito, Jack Sinclair, riceverà il quarantacinque percento delle quote».
Il silenzio regnò per diversi secondi in un’atmosfera di pesante disagio mentre i presenti assimilavano la gravità delle ultime volontà di suo padre.
«Per la miseria!» L’esclamazione di RJ era un miscuglio di furore a stento contenuto e di totale incredulità.
Lily trasalì mentre il nodo nel suo stomaco si trasformava in nausea. Come era possibile che suo padre facesse una cosa del genere ai propri figli, soprattutto a RJ, il suo legittimo primogenito? RJ aveva lavorato indefessamente come vicepresidente del Kincaid Group, nella convinzione che, un giorno, quando suo padre avesse deciso che era arrivato il momento di ritirarsi, ne sarebbe diventato il presidente. La notizia che aveva invece lasciato la maggioranza delle azioni a Jack Sinclair era difficile da accettare per tutti i rampolli Kincaid, ma era sicuramente devastante per RJ.
«Così si arriva soltanto al novanta percento» fece notare RJ, cupo in volto. «E la percentuale mancante?»
Il signor Parsons scosse la testa. «Essendo tenuto al segreto professionale che intercorre tra l’avvocato e il suo cliente, non sono libero di dirvelo.»
Nella sala esplosero commenti adirati e minacce di ritorsioni legali da entrambi i lati del tavolo, e Lily ebbe l’impressione che le pareti si stessero richiudendo sopra di lei. Sapeva che, se non fosse uscita, si sarebbe sentita male fisicamente.
«Ho... ho bisogno di aria» disse, a nessuno in particolare.
Alzandosi in piedi, infilò la lettera del padre ancora chiusa nella borsa e fuggì dalla sala. Non avrebbe saputo dire se a farla sentire male era stata la notizia del tradimento di suo padre o la nuova vita che stava crescendo dentro di lei, ma doveva fuggire dallo studio legale.
Mentre percorreva di corsa il corridoio che portava alla reception, senza prestare attenzione, andò a sbattere contro qualcuno che sembrava inchiodato sul posto. Forti mani l’afferrarono per le spalle per impedirle di cadere e quando lei alzò la testa, il suo cuore saltò diversi battiti.
Di tutte le persone che avrebbe potuto incontrare allo studio legale, perché doveva scontrarsi proprio con il proprietario e amministratore delegato delle Addison Industries?
Daniel Addison era non soltanto il concorrente più agguerrito del Kincaid Group, ma anche il padre del suo bambino. Un bambino della cui esistenza lui era del tutto all’oscuro.
«Dov’è l’incendio, tesoro?» chiese Daniel, facendo recuperare l’equilibrio alla donna che, nelle ultime due settimane, l’aveva trattato come se fosse stato un appestato.
«Ho... ho bisogno di aria» replicò Lily con un filo di voce.
Daniel rimase turbato davanti al pallore innaturale del suo volto e alla disperazione che le appannava gli occhi azzurri, di solito pieni di vita. Il pomeriggio del giorno prima, quando aveva partecipato al funerale di Reginald Kincaid, aveva notato che era sconvolta, ma quello che aveva davanti agli occhi andava ben oltre il dolore per aver perso una persona amata. Lily dava l’impressione che tutto il mondo le stesse crollando intorno.
«Coraggio» le disse, mettendole un braccio sulle spalle e guidandola verso l’uscita.
«La mia famiglia... non posso andarmene.»
Fermandosi alla reception, Daniel disse alla donna dietro il banco che avrebbe poi telefonato per fissare un nuovo appuntamento, quindi la incaricò di informare la famiglia Kincaid che avrebbe accompagnato Lily a casa. Mentre la conduceva fuori attraverso le doppie porte a vetri, vedendola deglutire nella fredda aria di gennaio capì che stava per rivedere la colazione. Guidandola lungo il marciapiede verso un cestino della spazzatura, le tenne i lunghi capelli rossi scostati mentre vomitava.
«Per favore, vattene e lasciami morire in pace» disse Lily quando alla fine rialzò la testa.
«Non morirai, Lily» la rassicurò lui, mettendole una mano sotto il mento mentre le asciugava le lacrime con un fazzoletto.
«Sono sicura che ti sbagli.» Lei trasse un respiro profondo. «In questo momento, penso che la morte... sarebbe una benedizione.»
«Sei venuta con la tua macchina?»
«No, sono venuta con mia madre» rispose Lily con voce appena un po’ più ferma.
Daniel la circondò con un braccio e l’attirò vicino mentre la guidava verso il parcheggio. «Bene. Non dovrò mandare qualcuno a recuperarla.»
«Non posso andarmene» protestò lei, accennando a voltarsi verso lo studio legale Parsons, Gilbert & Humboldt.
Lui la bloccò. «Non se ne parla nemmeno, Lily. Sei troppo sconvolta.» Aprendo la portiera dalla parte del passeggero della sua Mercedes bianca, Daniel indicò l’interno con un cenno del capo. «Sali. Ti porto a casa.»
«È una vera prepotenza da parte tua» si impuntò Lily.
Daniel scosse la testa. «No, sto prendendo una decisione saggia. E adesso, vuoi salire oppure devo sollevarti io di peso?»
Lei lo fissò in cagnesco. «Non oseresti.»
«Mettimi alla prova, tesoro.»
Si fissarono per un lungo momento, in uno scontro di volontà, prima che lei alla fine si decidesse a salire. «Bene. Portami a casa, dopodiché vattene per la tua strada.»
Lui richiuse la portiera e girò intorno all’auto per andare a mettersi al volante. «Su questo punto, staremo a vedere.»
Considerando lo stato emotivo in cui si trovava, Daniel non intendeva turbarla ancora di più dicendole che non l’avrebbe lasciata da sola finché non avesse avuto la