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Breve storia di Genova
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E-book350 pagine4 ore

Breve storia di Genova

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Info su questo ebook

Oltre 25 secoli di eventi e imprese, dalle guerre dei liguri contro Roma al potere della repubblica marinara, dall’annessione nel regno sabaudo ai giorni nostri

Si può dire che la storia di Genova, quella con la “S” maiuscola, inizia con le crociate. La città era nata da un pezzo e aveva subito in sequenza: le ire dei cartaginesi; le intrusioni nordiche; gli assalti dei Mori. Alle soglie del XII secolo, in occasione della prima crociata, i genovesi fornirono il loro decisivo apporto liberando Gerusalemme e Cesarea, grazie al risolutivo intervento di Guglielmo Embriaco. In cambio poterono espandersi come mai prima d’ora, gettando le basi di quella che sarebbe diventata in tempi brevissimi una grande potenza. Dall’apogeo della Repubblica marinara alla conquista austriaca, fino all’Unità d’Italia e alla liberazione dal nazifascismo, passando per grandi personaggi come Cristoforo Colombo, Andrea Doria, Fabrizio De André o Eugenio Montale: l’affascinante storia della “Regina dei mari” è un’avventura tutta da scoprire.

Un’avventura da scoprire, tra storie curiose e personaggi affascinanti

Tra gli argomenti trattati:

Prima che fosse Genova
Genova romana
Caduta Roma, ecco i barbari
Le crociate: Genova diventa grande
Costantinopoli Costantinopoli
La resa dei conti
1453: cade Costantinopoli
Il secolo Doria
Il secolo d’oro dei genovesi
E oua?
1815: Genova diventa “piemontese”
Genova italiana
Genova entra nel Novecento
Resistere, resistere, resistere
Riconversione o tracollo?
Fabrizio Càlzia
È nato a Genova nel 1960. Con la Newton Compton ha pubblicato fra l’altro 101 storie su Genova che non ti hanno mai raccontato, Storie segrete della storia di Genova e 101 perché sulla storia di Genova.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2020
ISBN9788822748447
Breve storia di Genova

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    Anteprima del libro

    Breve storia di Genova - Fabrizio Càlzia

    ES707.cover.jpges.jpg

    707

    Prima edizione ebook: novembre 2020

    © 2020 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-4844-7

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica a cura di Corpotre, Roma

    Fabrizio Càlzia

    Breve storia di Genova

    Oltre 25 secoli di eventi e imprese, dalle guerre dei liguri contro Roma al potere della repubblica marinara, dall’annessione al regno sabaudo ai giorni nostri

    marchio.tif

    Newton Compton editori

    Indice

    Storia di Genova: storia di un non-luogo?

    Una provocazione

    I. PRIMA CHE FOSSE GENOVA

    In principio fu dove?

    II. GENOVA ROMANA

    III. CADUTA ROMA, ECCO I BARBARI

    Arrivano i Milanesi…

    Ci mancavano pure i Saraceni…

    Genova prima del Mille

    Genova si consolida

    La Compagna Communis

    Il trasloco di san Siro

    Il meccanismo della Compagna Communis

    La città murata

    Battaglie navali

    IV. LE CROCIATE: GENOVA DIVENTA GRANDE

    La Gerusalemme liberata

    Genova S.p.A.

    Caffaro, il primo reporter dal Medio Oriente

    Genova caput maris

    Dal Medio Oriente alla Spagna

    I Genovesi e la Spagna: un’alleanza che porterà lontano…

    Molti nemici, molto onore?

    Costantinopoli e dintorni

    La terza crociata

    Sicilia amara

    Con Federico ii non attacca

    Il Grifone riprende il mare

    Guglielmo Boccanegra capitano del popolo

    V. COSTANTINOPOLI COSTANTINOPOLI

    Un’ennesima riforma

    A futura Meloria

    Poi tocca a Venezia…

    Genova è ovunque

    Un naufragio precolombiano

    Una potenza senza terra

    La piazza dei Banchi

    Il Trecento genovese, fra ascesa e declino

    La pandemia medievale

    Venezia eterno nemico

    VI. LA RESA DEI CONTI

    Un lento declino

    VII. 1453: CADE COSTANTINOPOLI

    La musica non cambia

    Januensis, ergo mercator

    Poche produzioni. Ma buone

    La svolta di Colombo

    VIII. IL SECOLO DORIA

    Cronaca di un pareggio annunciato

    La congiura dei Fieschi

    Il Principe resta in sella

    C’è Doria e Doria

    IX. IL SECOLO D’ORO DEI GENOVESI

    Il Seicento, fra oro, pandemie e disfatte…

    La muraglia cinese

    Una congiura infame

    Un congiurato eretico

    1600: la classifica dei genovesi più ricchi

    Più che congiur poté la peste

    La peste francese

    X. E OUA?

    L’igiene urbana nel Settecento

    Con la cultura non si mangia?

    Goldoni console di Genova a Venezia

    Verso la fine di una Repubblica

    Un’intifada made in Genoa

    Capitan Barbarossa, il Che Guevara genovese

    Quando Genova soccorreva… gli Stati Uniti

    Rivoluzione!

    In balia di Napoleone

    Luigi Emanuele Corvetto

    Una Repubblica targata Napoleone

    Giuseppe Bavastro, corsaro di Sampierdarena

    XI. 1815: GENOVA DIVENTA PIEMONTESE

    Un ragazzo di nome Mazzini

    Il colera a Genova

    Nuovi impulsi

    A Genova il tricolore diventa nazionale

    Musiche di Verdi, parole di Mameli, regia di Mazzini: la Marsigliese italiana

    La rivolta repressa

    In crescita economica

    La storia d’amore fra Cavour e Anna Giustiniani

    XII. GENOVA ITALIANA

    Genova socialista e operaia

    La culla del calcio

    Svizzeri valdesi, nobili italiani, inglesi protestanti

    La business community svizzero-valdese e il foot-ball

    Industria e nobiltà

    XIII. GENOVA ENTRA NEL NOVECENTO

    La classe operaia va in paradiso?

    Genova in guerra

    La resa dei conti

    Il sindaco che disse no a Mussolini

    La Grande Genova

    XIV. RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE

    Paese di ferrame e alberature

    Cronaca di una città

    XV. RICONVERSIONE O TRACOLLO?

    Cantori, cantautori, comici

    La via della seta

    Bibliografia essenziale

    Storia di Genova: storia di un non-luogo?

    Una provocazione

    L’antropologo Marc Augè definisce non-luoghi tutti quegli spazi impersonali e di fruizione estemporanea delle nostre città moderne: stazioni ferroviarie o centri commerciali, outlet o sale giochi…

    Possibile che Genova, nella sua storia, sia stata essenzialmente anche o soprattutto un non-luogo?

    Per altri, e molti, versi sì: una città inospitale per la sua stessa natura, compressa fra mare e monti, pressoché priva di un territorio e quindi di materie prime che favorissero attività agricole o manifatturiere. Così i Genovesi si sono trovati, letteralmente, costretti a darsi al commercio e alla finanza per tirare avanti. Attività che richiedevano di spostarsi lontano da casa, e in questo erano messi più che bene: il mare da un lato, le vie di comunicazione con la pianura padana dall’altro, aprivano loro un mondo.

    Si sviluppano così imprese anche ardite, compiute individualmente o tutt’al più attraverso provvisorie alleanze, sempre all’insegna di una più o meno estemporanea convenienza comune.

    Un modus operandi visceralmente anarchico che non permetteva lo sviluppo di un senso di appartenenza comune né di una società civile che non fosse altro che una labile impalcatura, tenuta in piedi da interessi mutevoli e per contro minata da costanti diffidenze e rivalità, fonti di guerre interne, congiure, rivolte.

    Ecco perché Genova, in fondo, non è mai stata una città nel senso, reale ed etimologico, di civitas: piuttosto una base, un contenitore custode di forzieri; a cominciare dal Banco di San Giorgio, unica istituzione davvero solida e identitaria in città. Quindi il porto, con cantieri navali in cui si armavano navi e galee, necessarie laddove il commercio costringeva alla guerra.

    Città forziere, città cantiere, città dormitorio, la storia di Genova si sviluppa essenzialmente attraverso stucchevoli (ancorché spesso assai sanguinarie e durature) beghe di condominio. Una città avida e arida, in cui le concessioni al lusso, all’arte, alla bellezza, alla vita, sono centellinate e limitate all’opportunità: tanto che l’imponenza di chiese e palazzi serviva piuttosto a ribadire il potere o a garantire la dovuta protezione agli abitanti (nel Medioevo, quasi tutti i palazzi nobili erano muniti di torri).

    Sembra fare eccezione la Strada Nuova, magnifica quinta teatrale, primo esempio in Europa di area esclusivamente residenziale, sfilata formidabile di palazzi superbi, con spettacolari giardini pensili, nati tuttavia anch’essi dalla necessità di fare colpo, durante il Secolo d’Oro, sulle famiglie di nobili e di sovrani (in primis spagnoli) in visita alle ricchissime famiglie loro banchieri...

    Questa breve storia di Genova cerca, per quanto possibile date le esigenze di spazio, di non limitarsi alla città ma di seguire al contempo la storia dei Genovesi: raccontandone le vicende di mare e sul mare, di commerci, di insediamenti, di guerre, di imprese e di sconfitte.

    Storie che varrebbe la pena approfondire, quanto meno per i personaggi e le famiglie più influenti e importanti, che hanno avuto modo di fare fortuna lontano dalla loro città matrigna…

    Fabrizio Càlzia

    I. PRIMA CHE FOSSE GENOVA

    In principio fu dove?

    Storici e archeologi hanno a lungo sostenuto che le vicende genovesi avessero avuto inizio nella media età del ferro sulla collina di Castello, una ripida altura sul mare, ubicata nella parte orientale dell’attuale centro storico; la zona è ben riconoscibile anche oggi per la presenza della cosiddetta torre degli Embriaci e della chiesa di Santa Maria, per l’appunto di Castello.

    Parecchi rinvenimenti facevano pensare a un villaggio già strutturato, fatto di capanne e palizzate.

    Ma ecco che ritrovamenti più recenti spostano le origini di insediamenti all’età del bronzo antico, cioè tra il 4800 e il 4500 avanti Cristo; e non più a ridosso del mare ma nella piana del Bisagno, il cui esteso estuario permetteva accesso e riparo alle imbarcazioni, nonché maggiore facilità di sistemazione: un muro a secco, tracce di focolari, e di pasti, utensili di vario genere collocano e individuano qui la Genova preistorica.

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    Pianta topografica dell’antica Genova e del suo territorio.

    Intendiamoci: in realtà entrambe le tesi stanno in piedi, ché la collina di Castello può essere vista come la zona originaria della Genova propriamente detta, mentre l’area bisagnina, ben più distante dal centro, sarebbe stata inserita nelle mura cittadine soltanto in epoca medievale…

    Andiamo dunque a vedere cosa ci dicono i ritrovamenti del Castello: in quel settimo secolo a.C. circa, l’insediamento era dotato di un sistema di difesa certo esile, che però, già un secolo più tardi, risulta sostituito da una cinta muraria articolata all’interno della quale c’erano anche edifici in pietra. Manufatti etruschi e greco orientali ci parlano di scambi commerciali già di una certa importanza, a sottolineare la primigenia vocazione marinara dei Genovesi…

    Ma come si spiega la nascita, e lo sviluppo, di questo avamposto commerciale? Andiamo a guardarci un po’ più da vicino questa Collina di Castello (con un occhio al toponimo, che avrà una sua definizione più avanti nel tempo). Collina è in realtà un termine improprio, si tratta piuttosto di una rupe protesa su un’insenatura naturale, che si trovava dove oggi ci sono la piazza Cavour e il Porto Antico. Un approdo protetto relativamente raro, nel tormentato contesto orografico della costa ligure, in cui luoghi riparati come questo in cui approdare scarseggiano. Tanto che Fenici, Etruschi, Greci prendono per buono, durante i loro spostamenti, questo scalo presso la futura Genova. Genova che si ritrova così senza colpo ferire inserita lungo la rotta tirrenica, estesa dal mar Ionio alle foci del Rodano. Una manna, sotto il profilo commerciale. E mica finisce qui: ché subito alle spalle del nucleo abitato ci sono valichi appenninici che aprono le porte ai traffici con la pianura padana. Insomma Genova si ritrova fortunosamente a rappresentare una base commerciale, crocevia fra Europa e Mediterraneo.

    Il suo futuro è tracciato.

    II. GENOVA ROMANA

    Prima però ci sono i Romani.

    Ai quali Genova dà filo da torcere, confermando da subito lo spirito fiero e, diciamolo, decisamente scorbutico dei suoi abitanti.

    Roma è in forte espansione e quando marcia sulla Gallia si ritrova Genova fra i piedi. Decide di pacificarla ma i genovesi, pur scegliendo di fare buon viso a cattivo gioco, tanto bravi non se ne stanno, ribellandosi più di una volta, ancorché senza esito. Come meravigliarsi, quindi, se i vari storici dell’Urbe non ne parlano in termini proprio entusiastici: Catone li definirà ignoranti, bugiardi e infidi. Livio li francobolla come briganti, mentre Virgilio, nell’Eneide, canta il figlio di Auno, ligure dell’Appennino, come spergiuro, superbo, ipocrita e bravo solo a fregarti. Siamo messi bene. Tanto più che questi tratti caratteriali resteranno riscontrabili nella futura storia dei genovesi e che ne segneranno, nel bene e nel male, il percorso.

    Tanto per cominciare i Cartaginesi, alleati dei Liguri prima che arrivassero i Romani, non gradiscono il voltafaccia dei Genovesi, più o meno lesti ancorché restii il giusto a schierarsi, vista la mala parata con Roma: tanto che Magone, fratello di Annibale, se la lega al dito e nel 205 a.C. assalta Genova e la fa a pezzi. Il disastro è tuttavia relativo: Roma spedisce il proconsole spurio Lucrezio a ricostruire l’oppidum (attenzione al termine: indica che Genova non è più semplice vicus, anche se non ancora civitas, città: sulla buona strada per diventarlo, insomma). Un’azione da leggersi come ricompensa per la fedeltà dimostrata? Non diciamo eresie: molto più terra terra, una Genova prospera e forte veniva comodo a Roma, anche se restava da fare i conti con il caratterino dei suoi abitanti. I quali d’altra parte, una volta che riuscivi a gestirli, avevano i loro pregi. Mica per niente un altro storico (stavolta greco), Diodoro, li descrive impavidi e forti ogni qualvolta c’è da menare le mani o la situazione richieda abilità e coraggio: «Navigano il mare di Sardegna e il mare libico su imbarcazioni più semplici delle zattere, del tutto sprovvisti degli strumenti necessari alla navigazione».

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    Battaglia tra romani e cartaginesi in un’incisione di Bartolomeo Pinelli.

    E non si tirano indietro di fronte alle tempeste.

    Intanto la città (sì vabbè, l’oppidum) prende campo e si distende in aree meno impervie, seguendo lo schema urbanistico romano: parlare di zone pianeggianti è un parolone, resta il fatto che il cardo e il decumano si sviluppano pur sempre a levante dell’attuale cattedrale di San Lorenzo e corrispondono a grandi linee agli attuali vico Valoria e via San Bernardo. Tracce di abitazioni sono state rinvenute proprio fra San Lorenzo e la soprastante piazza Matteotti, mentre resti cospicui e interessanti sono stati portati alla luce di recente sopra piazza delle Erbe, nell’area degli attuali giardini Luzzati.

    Ovvio che stiamo parlando di una crescita graduale, per la quale ci sono venuti secoli. Ad ogni buon conto, la presenza di un anfiteatro testimonia il grado di pacificazione dell’oppidum, anche se di fatto i genovesi accetteranno, più o meno di buon grado, la pax romana solo dall’epoca augustea in poi.

    Una crescita urbanistica che è segno evidente di uno sviluppo commerciale della città: sviluppo favorito dalle strade romane, che raccordano il mare di Genova con l’intera pianura padana: vero che l’Aurelia costiera si ferma a Pisa e tira su per Piacenza, ma colà incrocia la via Postumia, che parte da Genova e ricalca in sostanza il percorso della attuale A7 (con meno interruzioni, si spera) fino a Tortona per toccare appunto Piacenza e proseguire attraverso Verona e Aquileia fino all’Adriatico.

    Per paradosso, la Genova pacificata e post augustea perde di importanza e vivacchia attraverso i secoli, come se l’assenza di conflitti annacqui contatti e commerci.

    Forse per ciò, Genova riprende la sua Storia solo dopo la caduta dell’Impero romano, con l’arrivo dei barbari…

    III. CADUTA ROMA, ECCO I BARBARI

    Il fatto che la Genova pacificata dai Romani non avesse granché voce in capitolo le risparmia, se non altro, caduto nel 476 l’Impero, con Odoacre che si autonomina re d’Italia, le incursioni di Eruli e Vandali, che per contro distruggono Savona, ipotetica, e in seguito sempiterna, concorrente commerciale.

    È con Teodorico, il successore di Odoacre, che il regno riprende vita e ordine, con buoni effetti sul tessuto commerciale. Teodorico pensa a potenziare fra le altre la città di Milano, o Mediolanum che dir si voglia, che diventa sede arcivescovile e cresce demograficamente a vista d’occhio. Per Genova è una pacchia, visto che la città è in grado di rifornire, in soli tre giorni attraverso la via Postumia, i milanesi di ogni bendidio e, più in generale, di ampliare i propri scambi commerciali.

    Un segnale di crescita è dato dall’autorizzazione di Teodorico a costruire a Genova una sinagoga: un dato importante non solo e non tanto sotto il profilo spirituale e culturale, ma soprattutto per il fatto che la presenza di ebrei è da sempre legata al mondo del commercio e della finanza…

    Non vanno tuttavia persi di vista i grandi avvenimenti, che si ripercuotono sul destino di Genova: l’Impero romano d’Occidente non c’è più ma vive quello di Oriente, che ha per capitale Bisanzio, poi Costantinopoli e oggi Istanbul. Arriviamo al 535 e Giustiniano decide di riprendersi l’Italia. Scoppia la guerra con i Goti e Genova si ritrova (capiterà quasi sempre, nella sua storia) a decidere da che parte stare. Sceglie Bisanzio e si ritrova inserita nella provincia di Liguria che – non traggano in inganno gli attuali riferimenti – abbraccia in pratica l’intero nord-ovest.

    La situazione non è rosea e Genova diventa presidio militare, ancorché lontana dai campi di battaglia: più che altro funge da base, e il generale Belisario vi piazza 1000 soldati che gli vengono bene per marciare su Milano, che riuscirà provvisoriamente a conquistare.

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    Presunto ritratto di Belisario in un mosaico della Basilica di San Vitale a Ravenna.

    Rimane il fatto che conviene attrezzarsi per scongiurare eventuali guai. Il territorio genovese viene militarizzato e sezionato in distretti castrensi. Sotto certi aspetti non è un male: la città-mercato si ritrova armata e quindi pronta all’eventuale difesa.

    La presenza bizantina regala peraltro a Genova il suo santo protettore: sono loro a introdurre il culto di san Giorgio, il santo che sconfigge il drago uccidendolo…

    In campo militare, la guerra fra Bizantini e Goti va avanti fino al 553. Giustiniano alla fine ha la meglio, ma non avrà troppo tempo per rilassarsi. Ecco che 13 anni più tardi, nel 568, calano in Italia i Longobardi, che si piazzano a Pavia eleggendola capitale e si (ri)prendono tutto il Nord Italia…

    La Liguria, quindi Genova, se la cavano: forse per la propria posizione vengono risparmiati dal conflitto, anche se per contro la zona nordoccidentale rimane tagliata fuori dall’impero.

    Arrivano i Milanesi…

    Resta pur sempre in piedi l’asse Genova-Milano, che diventa importante non solo per il traffico delle merci ma anche come via di fuga di nobili e religiosi milanesi che se la danno a gambe dai longobardi e si rifugiano in riviera

    Fra i fuggiaschi c’è anche il vescovo metropolita Onorato, che nel 569 fonda a Genova una propria chiesa nel cosiddetto Brolium (cioè bosco, od orto, dunque all’allora periferia cittadina) e la dedica a Sant’Ambrogio. La chiesa, ovviamente ampliata e modificata nei secoli, è ancora oggi dedicata al patrono meneghino e chiude a monte l’attuale pazza Matteotti…

    Ambrogio non è il solo santo milanese (o lombardo) che si farà una seconda casa a Genova: altri templi verranno dedicati a San Vittore, Santa Sabina nonché ai Santi Nazario e Celso. Un dato di fatto che, battute a parte, la dice lunga sull’importanza e sul radicamento dei milanesi a Genova, che per l’appunto diventa momentaneamente (ma parliamo di decenni) sede arcivescovile.

    La qual cosa favorisce una rete di contatti che non può che venir bene alla futura Superba…

    E questo è il lato positivo della faccenda: per contro la città entra nel mirino dei Longobardi, tanto che nel 647 il loro re, Rotari, la conquista e la saccheggia.

    Genova si ritrova di punto in bianco ridotta a villaggio, viene annessa al regno longobardo ed entra a far parte del ducato ligure.

    Nel frattempo (si fa per dire, visto che siamo passati all’890 circa) una folta comunità di pirati saraceni, di probabile origine andalusa, si insedia nella zona cosiddetta del Frassineto (Frejus) in Provenza, più o meno all’altezza dell’odierna Saint-Tropez: frequenti le scorribande, estese alla riviera di Ponente: e ben presto (935) questi Saraceni daranno filo da torcere alla stessa Genova…

    Ci mancavano pure i Saraceni…

    Il quartiere intorno all’attuale piazza Cavour era noto come Bordigotto; qui c’era una fontana alla quale le donne scendevano per prendere l’acqua e lavare i panni.

    Leggenda vuole che un giorno le popolane scese di prima mattina riscontrassero con raccapriccio come al posto dell’acqua sgorgasse sangue. La cosa andò avanti per tre giorni, fino a quando, all’alba del quarto giorno, la città fu invasa da orde di pirati saraceni sbarcati dal mare. Donne e bambini vennero caricati sulle navi pirate per essere deportati altrove e venduti come schiavi, mentre Genova veniva messa a ferro e fuoco.

    Al momento dell’assalto la flotta genovese si trovava in Corsica e, appreso dell’accaduto, si mise all’inseguimento dei pirati. Nei pressi dell’Asinara il nemico fu raggiunto e sconfitto: Genova si riappropriò del bottino e ovviamente dei propri cari.

    Leggenda vorrebbe che a questo episodio, peraltro non certo nella sua conclusione, sia legata una nota ninnananna: Ninnananna ninnaò/questo bimbo a chi lo do/lo daremo all’uomo nero/che lo tenga un mese intero….

    Genova prima del Mille

    Ma di quale Genova stiamo parlando? Il vicus longobardo è un lontano ricordo, la città conta almeno un migliaio di abitanti e ha le sue mura, le sue chiese, oltre a edifici già di una certa importanza in cui si custodiscono tessuti preziosi, testimonianza di un commercio florido ed esteso lungo un po’ tutto il Mediterraneo.

    Una città attrezzata anche sotto il profilo militare, tanto che nel 983 gli stessi genovesi si alleeranno con altre popolazioni provenzali e distruggeranno una volta per tutte la base saracena del Frassineto…

    Non si tratta di una semplice ripicca: i pirati mettevano a rischio le comunicazioni e i commerci lungo il Mediterraneo nord-occidentale, cosa che ai genovesi non poteva andare bene.

    La vittoria sui Saraceni è un ulteriore segno della crescita di Genova, certo non inviolabile ma in grado, già prima dell’anno Mille, di dire la sua sul mare…

    Genova si consolida

    Anno 1000 e dintorni: fatti fuori i Saraceni del Frassineto, le rotte navali tornano a essere percorribili senza problemi. Per Genova è un momento di crescita: visto che è un periodo buono anche dal punto di vista della pace pubblica, la città può concentrarsi su quella che per posizione è la sua attività naturale, cioè il commercio. Mare a parte, la strada di raccordo con la pianura padana la congiunge con la via Francigena, vera e propria autostrada medievale che dall’Europa centrale arriva a Roma.

    Il periodo di pace, abbinato evidentemente a condizioni meteorologiche abbastanza stabili che scongiurano carestie, porta con sé un boom demografico a livello continentale: più bocche da sfamare, più lavoro, più commercio.

    La pacchia, per Genova, si traduce a sua volta in una crescita urbanistica, vista la gente che arriva in massa dalle campagne: ne è prova – prima ancora che indizio – il diploma datato 958 e firmato da re Berengario ii con suo figlio Adalberto, che conferisce ai cittadini libertà e autonomia giuridica, esentandoli dal tributo che i vassalli dovevano sborsare al signore feudale: i Genovesi sono liberi di amministrarsi come meglio credono e riescono, e si elevano a soggetto giuridico al quale il sovrano si rivolge senza intermediazione. In pratica un diritto esclusivo in quell’Italia ancora pre-comunale.

    Ma perché tutta questa magnanimità da parte di Berengario?

    Andiamo a capire meglio: otto anni prima, nel 950, Berengario aveva suddiviso il Nord Italia in tre marche: Arduinica, Aleramica e Obertenga. Genova appartiene a quest’ultima, che deve il nome al suo gestore, il marchese Oberto e comprende la Lombardia nonché parti delle attuali Emilia, Toscana e Liguria.

    Allorché l’imperatore Ottone i si dichiara re dei Franchi e degli Italici scavalcando Berengario, Oberto gli giura fedeltà. In questa fase di impasse politica, Genova ne approfitta per ottenere da Berengario i privilegi di cui sopra. Di lì a breve Ottone i otterrà la completa sottomissione di

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