La sala d'attesa
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Anteprima del libro
La sala d'attesa - Grazia Romanoni
978-88-9369-204-5
Presentazione
Sono Albert Preston, l’ultimo dei tre figli di mister Arthur Preston, nonché fratello minore di Jhonatan e Thomas, con i quali ho condiviso soltanto il gene paterno. Anche per via della marcata differenza di età le mie relazioni con Jhonatan, seppure ottime, non sono mai state di particolare condivisione e confidenza. Quando sono entrato nelle loro vite lui era quasi diciassettenne, aveva già iniziato a frequentare il college e viveva perlopiù lontano da casa. Totalmente diverso è il tipo di rapporto che ho con Thomas, da tutti chiamato Tommy. Lui mi è stato da subito molto vicino e, nonostante abbia dodici anni più di me, mi ha sempre trattato al suo pari, senza mai mostrare alcun segnale d’invidia, di competizione, tantomeno di autoritarismo. Anzi! Ci sono state situazioni, soprattutto dopo il mio dodicesimo compleanno, in cui era lui a sembrare in soggezione nei miei confronti.
Ma anche questo, in effetti, ha un suo ragionevole perché, che in realtà non è tanto semplice da spiegare.
Molto dipende dal fatto che Tommy è stato dotato sin da bambino di una particolare sensibilità, che gli ha permesso di capire cose delle quali molti adulti, che pure ostentano diplomi, dottorati o saggezza, non riescono a coglierne nemmeno l’esistenza.
Stiamo parlando di quella peculiarità che solitamente viene chiamata con nomi piuttosto bizzarri come il terzo occhio, oppure sesto senso. In realtà si tratta solo di una grande capacità di ascolto e di osservazione, proprie di qualunque individuo impavido, capace di accettare appieno questo mondo, in ogni sua parte e in tutte le sue sfaccettature.
Ad oggi, purtroppo, sono ancora molte le persone che credono che tutto sia materia e che qualsiasi risposta a qualsivoglia domanda, debba strettamente e unicamente dipendere da essa. Sono quelli che non sono in grado di vedere al di là del proprio naso, quelli che se non posso toccarlo non esiste, i poveri di spirito e fantasia. Gente talmente insicura che per sopravvivere, si barrica dietro le sue convinzioni, e il solo pensare che c’è dell’altro o il credere nella spiritualità del genere umano, fa crollare loro il mondo addosso. Ma per fortuna sono molte di più le persone che accettano queste possibilità alternative, con mente aperta e libere da ogni preconcetto, e sono quelle le sole, alle quali è possibile svelare certi segreti.
I
«Tommy Preston, torna subito a letto! Devi essere pazzo a gironzolare a piedi scalzi per casa. Forse la febbre è così alta che ti ha divorato il cervello?»
E mentre lo sgridava, lo sollevò con vigore tenendolo stretto a quei suoi grandi seni color cioccolata che, nonostante l’evidente maturità, erano ancora un sodo ma comodo guanciale dove Tommy, anche se ormai grandicello, poteva trovare calore e conforto in qualunque momento. Sam era una donna nigeriana che viveva da sempre in quella casa senza che nessuno ne conoscesse esattamente l’età. Soleva raccogliere i lunghi capelli neri e crespi in una specie di ciambella che fissava con una stecca di legno, lasciando intravedere qua e là dei delicati e sottili fili d’argento, che le illuminavano la fronte spaziosa e sotto la quale spiccavano due grandi e profondi occhi scuri. Labbra carnose e naso all’insù, finivano un viso tondo e gioviale che si accendeva alla sola vista del ragazzino.
Lo amava e lo proteggeva più d’ogni altro membro della famiglia e forse anche più del necessario. Pure il signor Arthur Preston, padre di Tommy e di Jhonatan suo primogenito, si domandava il perché di tanta apprensione poiché, di fatto, non era né di salute cagionevole né debole di carattere.
«E tu signorino Jhonatan! Perché stai lì a fissarmi impalato? Torna in camera tua a finire di studiare scienze; non vorrai prendere di nuovo un brutto voto quando il professore sarà di ritorno e ti interrogherà...? Andiamo, piccolo mio!» disse, rivolgendosi di nuovo a Tommy con un filo di voce. «Dio mio, senti come scotti! Ora ti riporto a letto e poi ti preparo una bella tisana calda. Vedrai che ti farà bene.»
«Che cosa sta succedendo qui? Sam, perché stai urlando in questo modo?»
Il signor Preston uscì dallo studio, avvolto in una purpurea e calda giacca da camera. Aveva gli occhiali appoggiati sulla punta del naso e il libro ancora aperto tra le mani. Era calmo ma visibilmente irritato per essere stato disturbato durante il suo prezioso momento di lettura.
«Oh, signor Preston, mi perdoni! È che Tommy ha la febbre alta già da stamattina, fuori nevica e lui era in giro per casa a piedi scalzi e... Allora quando l’ho visto girovagare così, senza vestaglia...»
«Sì, sì, ho capito Sam, ho capito! Rimettilo a letto e soprattutto calmati. Sei agitata come se qualcuno avesse appena attentato alla sua vita. Santi numi, sarà solo un po’ d’influenza! Ti hanno mai detto che ogni tanto le persone si ammalano?»
«Sì, signore! Scusi se l’ho disturbata; scusi signore, scusi tanto!» abbozzò un inchino e di corsa si diresse verso la stanza di Tommy; pareva che la peste la stesse inseguendo.
Arthur restò sulla soglia a guardarla, mentre fingendo un colpo di tosse copriva con la mano un sorriso di tenerezza, poi si richiuse nella stanza e tornò a immergersi nella sua lettura.
La porta dello studio era massiccia e pesante, fatta di noce antico e decorata con eleganti intagli di nodi senza fine, che incorniciavano un bassorilievo centrale raffigurante lo stemma del casato. Lo stesso che era esposto sul fronte della casa, un piccolo castello parzialmente ristrutturato, sul vessillo che sventolava perennemente sopra il portone. Consisteva in un bianco scudo crociato, a ricordare i valorosi tempi di battaglie e di conquiste fatte al servizio della Santa Madre Chiesa, arricchito con inserti diversi nelle quattro sezioni formate dalla croce. In quella in alto a sinistra c’era una P, iniziale dei Preston, ricamata in verde; in alto a destra, in oro e verde, c’era una torre stilizzata a rappresentare il patrimonio della famiglia. Sulla punta dello scudo, in basso a sinistra, c’era una corona, quale manifesto di fedeltà e devozione alla monarchia e infine, sulla punta in basso a destra, un simbolo di cui non si conosceva l’esatto significato: un cerchio che circondava le lettere R.A.
Sia Arthur che il giovane Jhonatan, in più di un’occasione, avevano cercato di trovare qualche informazione su quel simbolo, ma senza alcun successo. D’altronde la biblioteca della casa, era un enorme stanzone dove gli scritti e i volumi di proprietà dei Preston, dal capo stipite sino all’attuale generazione, erano sistemati su ben quattro livelli, dove nel più alto erano conservati i testi antichi e in quello più basso, a piano terra, i più recenti. Ma nonostante ogni libro fosse meticolosamente catalogato in base all’argomento, e ogni categoria differenziata da rilegature di diverso colore, riuscire a trovare il bandolo della matassa era un lavoro che richiedeva tanto tempo e molta pazienza. Per questo, dopo qualche fallimentare tentativo, entrambi concordarono che sì, scoprire il significato del simbolo sarebbe stato interessante, ma non era indispensabile!
Per Arthur era infatti più importante seguire gli affari e dedicare il tempo che gli restava ai figli e alla lettura mentre per Jhonatan, l’impegno al momento più importante, era quello di recuperare un non brillante rendimento scolastico, decisamente inferiore alle aspettative del suo tutore, il professor Michael Breitner. Questi era un omone barbuto e dallo sguardo burbero, con le sopracciglia folte e scure come la pece, che sembravano fatte apposta per mettere in evidenza due occhi piccoli e sottili del colore del ghiaccio. Di origini austriache, aveva un’eccellente padronanza di almeno cinque lingue, oltre che di tutte le materie oggetto di studio nelle più importanti e prestigiose università del paese. Qualità professionali che, aggiunte a uno spiccato senso etico, facevano di lui un tutore perfetto la cui missione, sicuramente impegnativa ma non impossibile, era quella di preparare Jhonatan agli esami di ammissione per il college.
«Signorino Jhonatan! Ti ho detto di tornare a studiare che il professor Breitner sarà di ritorno tra soli due giorni. Su, cosa aspetti ancora? Vai!» gridò Sam dal fondo del corridoio, prima di salire le scale che portavano alla stanza di Tommy. A Jhonatan non restò che tornare nella sua camera, che prima si trovava al piano superiore vicino a quella del fratello, ma che da qualche anno era stata spostata di fianco all’ufficio di Herr professor. Era pure comunicante con la biblioteca, che a sua volta si trovava di fronte allo studio del padre... Insomma, un’ubicazione strategica studiata appositamente per consentirgli una comoda consultazione di qualsiasi testo necessario agli studi, ma anche per essere meglio tenuto sotto controllo. Dunque, suo malgrado, rientrò e riaprì il testo di scienze, con lo stesso interesse di un leone per un ciuffo di lattuga. Nel frattempo Sam raggiunse la stanza di Tommy e lo rimise sotto le coperte.
«Sam sto meglio ora, non voglio restare ancora a letto!»
«Ma se hai ancora una febbre da cavallo! No caro mio, credo che per