Nero inchiostro
Di Sara Fenara
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Nero inchiostro - Sara Fenara
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Una notte allo Stark Motel
Prologo
L’uomo se ne stava seduto, immobile, su quella sedia da ore e ore. Dalla finestra dell’appartamento una luce estiva, intensa, illuminava i pochi e malandati mobili che arredavano la stanza: un letto sfatto; un vecchio armadio; un tavolo ingombro di vari oggetti e una parete piena di fotografie.
Con lo sguardo assente ma allo stesso tempo penetrante, l’uomo sembrava studiare, una a una, le fotografie. Ritraevano disparati paesaggi: una fattoria in campagna; un distributore di benzina nella nebbia; un motel sotto la pioggia; una via di case illuminate durante le feste di Natale.
Nella stagnante immobilità della stanza, un unico movimento: lo sbattere quasi impercettibile delle sue palpebre; leggere, iridescenti ali di libellula.
1.
«Cazzo!» urlò Ellen infastidita dall’ennesimo bip del cellulare. Quel suono l’avvisava che di lì a poco la batteria si sarebbe scaricata del tutto, privandola della possibilità di una veloce chiamata in caso di bisogno; cosa che non la entusiasmava particolarmente.
Naturalmente la meticolosità con cui la sera prima aveva preparato la valigia per il viaggio non l’aveva esentata dal dimenticarsi di prendere con sé anche il caricabatterie.
Staccò momentaneamente lo sguardo dalla strada e lanciò un’occhiataccia al display, appena in tempo per veder esalare l’ultimo lampo di luce verde prima di spegnersi definitivamente.
Odiava viaggiare con tutta se stessa, se fosse stato per lei sarebbe rimasta comodamente a scrivere nel suo studio con la sua affezionata gatta Paloma accovacciata ai suoi piedi.
Purtroppo, come le aveva più volte ripetuto la sua editrice, non poteva permettersi il lusso di non presenziare agli eventi promozionali dei suoi libri, se voleva in qualche modo portare a casa la pagnotta.
Quella notte, poi, ci si era messo pure il temporale autunnale a peggiorare la situazione!
Guidare l’auto era, più del solito, una snervante agonia: maledizione, non riusciva a vedere più in là di pochi metri, da quanto la pioggia batteva fitta e incessante sui vetri.
«Merda! Devo assolutamente farmi passare questa insensata, bastarda paura di volare!» mugugnò tra sé e sé esasperata, tentando di scrollarsi di dosso un’acuta sensazione di inadeguatezza che, in quel momento - sola, lontana da casa, in piena notte e sotto il temporale - la faceva sentire una perfetta idiota.
Sempre la stessa storia: ogni volta che partiva per un viaggio si riprometteva che avrebbe definitivamente risolto quell’insopportabile fobia, ma, poi, al ritorno, appena infilata la chiave nella toppa della serratura di casa, veniva immancabilmente colta da quella che i medici definivano perdita di memoria a breve termine... promesse da marinaio. E così, a ogni nuova partenza, si ritrovava, irritata e riluttante, al volante di un’auto che detestava, costretta a sorbirsi chilometri e chilometri di grigio asfalto.
«Fanculo!» sbuffò tornando a perlustrare la strada davanti a sé.
Nonostante procedesse a poco più di venticinque miglia orarie, l’estenuante diluvio, che sembrava uscito da un passo dell’Antico Testamento, non le permetteva di focalizzare bene la strada. Inoltre il fatto che fosse una notte cupa, senza luna e nera come il buco dell’inferno, non le era certo d’aiuto.
«Stramaledetta paura di volare!» borbottò nuovamente a bassa voce, aguzzando la vista tra i frenetici movimenti del tergicristallo.
Dio, quanto adorava restarsene a casa a scrivere la notte: questa era la sua vera vita!
Nel silenzio del suo adorato studio, insieme al battere incessante delle sue dita sulla tastiera del computer, si sintonizzava su un unico, rilassante rumore: le fusa di Paloma beatamente accoccolata ai suoi piedi; che delizia!
Purtroppo, essere una scrittrice di successo aveva anche i suoi inconvenienti, quelli che la sua editrice aveva denominato con estrema semplicità: inevitabili viaggi promozionali.
Ecco, quello era, appunto, un inevitabile viaggio di ritorno dal suo ultimo inconveniente: la promozione del suo nuovo avvincente thriller a tinte forti, che in un batter d’occhio era schizzato veloce come un razzo in vetta alla classifica dei libri più venduti dell’anno.
Avvolta nei suoi fastidiosi pensieri, respirò profondamente cercando di rilassarsi: era ormai notte fonda e il forte temporale non ne voleva sapere di calmarsi; prese, quindi, la decisione di fermarsi al primo motel che avrebbe incontrato lungo la strada.
«Cara amica mia, stanotte faremo festa insieme io e te» bofonchiò sconsolata verso la bottiglia di tequila accovacciata al posto di Paloma sul sedile del passeggero.
«Ellen e Tequila, proprio come Thelma e Louise!» aggiunse poi accendendosi una sigaretta e soffiando con complicità una boccata di fumo verso la sua inseparabile compagna di viaggio.
Dopo pochi chilometri scorse le luci di un motel. Stark Motel, camere libere, recitava un malconcio cartellone, gigantesco e decrepito come lo schermo di un vecchio drive-in in disuso.
Una volta raggiunto il parcheggio del motel, spense il motore e si guardò attorno incerta: un piazzale enorme, dall’aspetto tetro e abbandonato, completamente vuoto, fatta eccezione di un pick-up bianco mal parcheggiato davanti alla porta d’ingresso, probabilmente appartenente al gestore del motel.
«Cazzo, che razza di posto!» sbuffò pervasa dalla voglia di riaccendere il motore e andarsene.
Ma non appena fece il gesto di girare le chiavi per ripartire, sentì che i suoi occhi erano ormai troppo stanchi per continuare a guidare nel buio e sotto quel dannato temporale.
«Ok, tanto ci sei tu con me, vero, amica mia?» sospirò mettendosi sottobraccio la bottiglia di tequila.
«E allora: chi se ne frega! Caschi pure il mondo, stanotte io e te faremo baraonda!» poi scese dall’auto e corse sotto la pioggia verso la reception, pregustando il tiepido e avvolgente abbraccio che Louise, tequila d’eccezione, le avrebbe piacevolmente e generosamente regalato, strappandola finalmente dal freddo e dalla malinconia.
2.
Un’ondata di caldo artificiale la tramortì come uno schiaffo in piena faccia e quasi le tolse il fiato.
La stanza adibita a ricevere i clienti sembrava un rifugio di caccia di uno sperduto paesino del Vermont.
Teste dei più svariati animali erano malamente distribuite sulle pareti, le quali, del loro bianco colore originario, conservavano soltanto un lontano ricordo.
Nei due angoli adiacenti alla porta d’ingresso, due stufe a legna, nere come petrolio, divoravano famelicamente i