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Le più belle poesie romanesche
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Le più belle poesie romanesche
E-book944 pagine5 ore

Le più belle poesie romanesche

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Info su questo ebook

• I sonetti • Le favole • Nove poesie • Lupi e agnelli • Le cose • Le storie • Ommini e bestie • La gente • Libro n. 9 • Giove e le bestie • Libro muto

Introduzione di Claudio Rendina
Edizioni integrali

Trilussa è il poeta dialettale più famoso d’Italia, grazie a un linguaggio romanesco che ha il dono di farsi capire da tutti. Questo volume presenta il meglio della sua produzione, con le edizioni integrali delle raccolte pubblicate tra il 1922 e il 1935. Nelle parole di Trilussa la cronaca della vita romana e nazionale, filtrata attraverso una bonaria ironia, si svolge dai Sonetti a La gente, approdando alla “favola” di Lupi e agnelli e a Ommini e bestie. La sua poesia divenne interprete della borghesia, che vide riflessi nei versi i propri vizi e le proprie debolezze: così è in particolare nel Libro n. 9 (del 1929). Vicende e costumi italiani furono espressi da Trilussa con affabile arguzia, venata a tratti da una crepuscolare malinconia: elementi di un classico da riscoprire oggi più che mai e da tornare a frequentare.
Trilussa
pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, nacque a Roma nel 1871. Divenne ben presto popolare in tutta Italia come interprete di poesia dialettale romanesca, attraverso una serie di recital e numerose raccolte poetiche. Il genere della “favola” gli si rivelò congeniale come mezzo espressivo, all’insegna di una morale corrente e corriva, che si fece anche portavoce di un’avversione al regime fascista. Morì nel 1950.
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2020
ISBN9788822753472
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    Anteprima del libro

    Le più belle poesie romanesche - Trilussa

    EC592.trilussa.cover.jpgec.png

    592

    Prima edizione ebook: gennaio 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5347-2

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica a cura di Corpotre, Roma

    Trilussa

    Le piu belle poesie romanesche

    IntroduzioneIIsoRazzini

    I sonetti; Le favole; Nove poesie; Lupi e agnelli; Le cose; Le storie; Ommini e bestie; La gente; Libro n. 9; Giove e le bestie; Libro muto

    Introduzione di Claudio Rendina

    Edizioni integrali

    Edizione integrale

    marchio.tif

    Newton Compton editori

    Indice

    Introduzione

    Gli anni di Trilussa

    Le opere di Trilussa

    Gli scritti su Trilussa

    I sonetti (1922)

    Er ventriloco

    Er barbiere e l’avventore

    Er macchiavello de certe…

    Io e voi

    L’assicurazzione de la vita

    L’istinto

    La lapida sur portone

    Pe’ le scale

    L’ingresi

    L’innesti

    Un carzolaro che se fida

    L’ecrisse

    Dar botteghino

    L’arte di prender moglie

    Er sentimento de certe…

    Questioni de razze

    A un amico

    La regazza de Toto

    A chi tanto e a chi gnente!

    In pretura

    L’indovina de le carte

    A Nina

    Dispiaceri amorosi

    L’antiquario

    Pippo a la festa de beneficenza

    Er pignoramento

    Er sorvejato sincero

    Poveraccio!

    Per direttissima

    Er ministro novo

    Er reggistratore de cassa

    Dar pretore

    li calennari

    i

    ii

    l’ostessa ammosciata

    i

    ii

    la fattucchiera

    i

    ii

    iii

    fifì

    (già mariantonia)

    i

    ii

    er prete spretato

    i

    ii

    li boni posti

    i

    ii

    li bacilli

    i

    ii

    a giggia

    i

    ii

    a piazza gujermo pepe

    i

    Il coccodrillo vivente

    ii

    La donna barbuta

    iii

    La donna gigante

    iv

    Il museo-storico-artistico-meccanico

    gente de servizzio

    Er pappagallo scappato

    Le corrisponnenze amorose

    Maria, la serva stufa

    L’arbero genaloggico

    Le soprascritte

    Li stemmi

    Li scrupoli de la cammeriera

    Li mercoldì de la marchesa

    Lisetta sparla…

    La serva ar telèfono

    L’imbroji de la padrona

    Le delibberazzioni der portiere

    La tintura

    La serva sedotta

    Er busto de la padrona

    La signora infilantropica

    La risata de la duchessa

    Lisetta cor signorino

    parla maria, la serva…

    i

    ii

    iii

    er principe rivoluzzionario

    i

    ii

    iii

    iv

    v

    la consegna der portierato

    i

    ii

    iii

    iv

    v

    vi

    vii

    viii

    dialetto borghese

    La presentazione

    La lingua francese

    Li complimenti

    Er gatto de Lisetta

    La visita

    La casa nova

    ii (In casa)

    iii (Cose intime)

    Incontri

    i

    ii

    Le scappatelle de la signora

    la morale der codice

    i

    ii

    caffè-concerto

    i

    ii

    iii

    iv

    v

    vi

    vii

    viii

    ix

    la nomina der cavajere

    i (Prima)

    ii (Doppo)

    er fabbro ferraro

    i

    ii

    varî

    In pizzo ar tetto

    Momenti scemi

    L’onestà de mi’ nonna

    Er battesimo civile

    L’ingiustizzie der monno

    Er pranzo a l’ambasciata

    Lo sciopero

    Er teppista

    Er teppista a la dimostrazzione

    L’arrestato

    Li bisogni de la giustizzia

    Uno sbajo

    La settimana der lavoratore

    La statistica

    La politica italiana

    li frammassoni

    i

    ii

    onore ar merito

    i

    ii

    l’assassino moderno

    i

    ii

    iii

    li burattini

    i

    ii

    Le favole (1922)

    La cecala e la formica

    L’acqua, er foco e l’onore

    Er sorcio lombetto

    Er Sole e er Vento

    Er Sorcio de città e er Sorcio de campagna

    Er Fume e la Nuvola

    L’elezzione der Presidente

    favole moderne

    La Ranocchia ambizziosa

    Er Leone ariconoscente

    Er Porco

    Er Buffone

    La caccia a la Vorpe

    La Violetta e la Farfalla

    Er bijetto da cento lire

    Er Pipistrello

    Li cappelli

    L’Omo e er Serpente

    La Purcia

    Er Rospo e la Gallina

    La carriera der Porco

    L’Omo e la Scimmia

    L’Ortolano e er Diavolo

    C’era ’na vorta un povero Ortolano

    Er Cane e la Cagna

    Er Gallo e er Cane

    La Margherita

    L’omo

    Er Pavone

    Er Bacillo

    La corte der Leone

    La Purcetta anarchica

    Er Maestro de musica e la Mosca

    Er Porco e er Bovo

    Er congresso de li Cavalli

    Er Gatto e er Cane

    Core de Tigre

    L’amori der Gatto

    La Pantera

    La solidarietà der Gatto

    Le penne d’Oca

    La Bandiera e la Banderola

    Er Ragno socialista e er Bagarozzo democratico-cristiano

    Er Coccodrillo

    L’incarico a la Vorpe

    La guerra

    L’editto

    La Tarla e la Coccotte

    Er Pappagallo

    La Tartaruga

    Er Sovrano pratico

    La Vorpe antimilitarista

    La carità

    La fine der Leone

    Er Somaro monarchico e er Ciuccio repubblicano

    La Campana de la chiesa

    Er Re e er Gobbo

    La Cecala rivoluzzionaria

    La libbertà de pensiero

    L’unità der partito

    La Cornacchia libberale

    Le bestie e er crumiro

    Lo Scimmiotto

    La religgione

    Er brindisi de Re Baiocco

    Er compagno scompagno

    La fame der Lupo e le tendenze der Cane

    L’Automobbile e er Somaro

    La libbertà der Gatto

    La Spada e er Cortello

    Carità cristiana

    L’Aquila

    La Gallina lavoratora

    L’aristocrazzia

    La Maschera

    Nove poesie (1922)

    Er comizzio

    La ribbejone

    La fine de lo sciopero

    Lupi e agnelli (1922)

    Er Leone e er Conijo

    La Lucciola

    Er Montone, eroe prudente

    Er Mulo neutralista

    La razza

    La Mosca e er Ragno

    L’educazzione

    L’istruzzione

    L’ingegno

    La fama

    L’Omo e er Lupo

    Basta la mossa!

    Er Cane e la Luna

    L’Ape, er Baco e lo Scorpione

    Er Rospo e er Gambero

    Er Somaro e er Leone

    La Pecorella

    La Farfalla e l’Ape

    Scenza e preggiudizzio

    Festa da ballo

    Lo spauracchio

    Adamo e la Pecora

    L’arrivisti

    La previdenza

    Le Lucciole

    La speculazzione de le parole

    La trappola

    Er Pastore e l’Agnelli

    Lo Scorpione

    Noè er Pollo

    Li Rospi contro l’Aquila

    dalla guerra alla pace

    La ninna-nanna de la guerra

    La Madre Panza

    Natale de guerra

    L’«Internazzionale» tedesca

    Un Re umanitario

    Sermone 1914

    Ne la Luna

    L’Ape

    Natale 1915

    Voci lontane

    Er Drago e er Ranguttano

    Adamo e er Gatto

    L’Orso bianco

    La Lupa e l’Orso

    A casa de la Pace

    La pace der Lupo

    Er disarmo

    Er Lupo

    L’eroe a pagamento

    L’omo nudo

    Se è vero che la guerra…

    La Lega

    Er Ragno Bianco

    varie

    L’omo inutile

    Lo sborgnato

    L’assoluzzione

    Fra cent’anni

    Banchetto

    L’Eroe e li pupazzi

    Le cose (1922)

    La barchetta de carta

    La favola vera

    L’Angelo custode

    L’accompagno

    A Mimì

    Ricordi d’un comò

    L’illusione

    La riconoscenza de li posteri

    Bolla de sapone

    La gente

    Sciampagne

    La rassegnazzione

    favolette

    L’Oca

    Er Cane polizzotto

    Re Leone

    Tempo perso

    La modestia der Somaro

    Er primo Pescecane

    L’evoluzzione

    Er Pollo e er Mastino

    La bestia raggionevole

    libertà, uguaglianza, fratellanza

    La Libbertà

    L’uguaglianza

    La fratellanza

    sempre bestie…

    La Zampana

    La raggione der perché…

    L’Orco innammorato

    Raji e grugniti

    Er Moscone e la Rosa

    Seimila anni fa…

    Comizzio

    La rivoluzzione nell’orto

    fiabe rosse

    La perla

    Come la va la viè’…

    L’incoronazzione

    Li peccati capitali

    Le decisioni der Re

    Tre pappagalli

    Tropea

    Er professore de filosofia

    Er Vento e la Nuvola

    Le storie (1923)

    Er discorso de la corona

    Roccasciutta

    Er punto d’onore

    Er coco der Re

    Li convincimenti der Gatto

    Tutti contenti!

    Per aria

    Er Diavolo de stoppa

    L’Aquila romana

    Un Re senza pennacchio

    Li pensieri dell’Arberi

    La Vipera

    L’incontro de li sovrani

    Er pranzo de l’alleati

    Er monumento

    La Mosca bianca

    Lo Scimmiotto malinconico

    Er libbro der Mago

    Autunno

    La Cecala e le Formiche

    Er testamento d’un arbero

    La prudenza

    L’esperienza

    La Verità

    La calunnia

    L’affezzione

    La gratitudine

    L’egoismo

    Er disinteresse

    La fede

    Er principio

    Er carattere

    Er coraggio

    L’incontentabbilità

    L’orloggio cor cuccù

    La pupazza

    L’onestà

    La fiducia

    La morale

    Er sentimento

    La sincerità

    L’inganno

    L’ideale

    Ommini e bestie (1923)

    La morte der Gatto

    politica e dipromazzia

    Le coscenze all’asta

    Riunione monarchica

    Riunione repubbricana

    Riunione socialista

    Riunione clericale

    Li ricevimenti

    La Dipromazzia

    Ministro

    elezzioni

    La propaganda ner Colleggio

    L’elezzione

    L’indennità

    La sincerità ne li comizzi

    Doppo l’elezzioni

    La Purcia ar ballo a Corte

    Le Formiche e er Ragno

    Un volo de ricognizzione

    La guerra co’ li turchi

    sonetti ripescati

    i

    Er primo amore

    ii

    Doppo quattr’anni

    L’amante de prima e quello d’adesso

    La regazza arrabbiata

    L’amore

    L’illeggittima difesa

    Er vino

    Er cinto de castità

    Una bella accojenza

    Tango e Furlana

    La partita

    Li consiji boni

    Quanno ce vô, ce vô!

    Er decimo giurato

    Tutto sfuma

    Bella filosofia!

    tre strozzini

    i

    Er macellaro

    ii

    Isacco e C.°

    iii

    Don Micchele

    bestie e ommini

    L’antenato

    La Tigre

    Er core der popolo

    i

    ii

    La paternità

    Le fatiche der Ragno

    Li cambiamenti

    (Prima)

    (Adesso)

    Democrazzia reale

    Suffraggio universale

    Li debbiti

    La guerra carestosa

    Gatta ce cova…

    Le notizzie allarmiste

    L’eroe ar caffè

    Er bijetto da mille

    L’Aquila vittoriosa

    Romanità

    Er Pollo nazzionalista

    Er Cane moralista

    Er Somaro filosofo

    Er Sorcio vendicatore

    Er Gatto avvocato

    er ceco

    i

    ii

    iii

    iv

    La gente (1927)

    Superbia

    Avarizzia

    Lussuria

    Ira

    Invidia

    Gola

    Accidia

    pappagalli e scimmiotti

    l’illusioni

    nove favole nove

    L’opportunismo

    Er propio dovere

    La vanagloria

    Er bonsenso

    Parole e fatti

    Er Cervo

    La scappatella der Leone

    La Gallina che covava

    L’editto

    lo specchio

    sogni

    le lucciole

    fiabe

    L’Orco nero ossia la sincerità

    La battecca der commanno

    Pero’…

    per cui…

    Libro n. 9 (1929)

    i

    ii

    iii

    iv

    v

    la maschietta d’oggi

    i

    Parla cor fidanzato

    ii

    Parla cor boccetto

    la madre bona

    la madre previdente

    er cammeriere indeciso

    er consumo de la fede

    er marito che rinvia

    la terza roma

    i

    ii

    giove

    i

    ii

    iii

    l’animali

    i

    ii

    er telefono

    l’amore d’oggiggiorno

    malinconie

    li cannibbali

    i

    ii

    er marito infelice

    i

    ii

    li frammassoni d’oggi

    i

    ii

    zi’ prete

    i

    ii

    l’adulterio

    i

    ii

    iii

    iv

    la toletta de la marchesa

    i

    ii

    lisa e mollica

    i

    ii

    iii

    iv

    v

    vi

    vii

    er marito filosofo

    demolizzione

    er pensiero politico

    Uno che svicola…

    La crisi de coscenza

    Er martire de l’idea

    Er saluto romano

    lo «smemorato»

    le donne mezze nude

    quello che dice meo…

    la stretta de mano

    er duello de jeri

    cronaca mondana

    er sonatore ambulante

    er signore decaduto

    i

    ii

    iii

    paesetto

    i

    ii

    iii

    iv

    v

    vi

    er sogno bello

    i

    ii

    iii

    dodici sonetti vecchi e scordati

    La serva de la marchesa

    Ar Pincio

    Li bagni de mare

    Le canzonette de San Giovanni

    Giordano Bruno

    Lisetta co’ la signora

    La Francia

    La scoperta de Woronoff

    La scenata der signorino

    L’aresto der commendatore

    Li libbri antichi

    Li boni consiji de la servetta

    Giove e le bestie (1932)

    All’ombra

    L’azzione

    La guerra

    La pace

    Er nemmico

    La Giraffa e l’Elefante

    Rimedio

    La pena

    La folla

    La Cucuzza

    Li vecchi

    Leccazzampe

    Cortiggiani

    Er Cane lupo e la Pecorella

    Attila

    La Margherita

    Fedeltà

    La Mosca invidiosa

    Le misure

    Lo sfratto

    Er Gambero e l’Ostrica

    Un Ragno umanitario

    L’Oca e er Cigno

    Un martire: l’ucello de richiamo

    La morale

    L’amor proprio

    Li sbafatori de la gloria

    La stima

    Legge de natura

    Er Lupo convertito

    La fine dell’Orco

    La bontà provisoria

    Er Re indeciso

    L’Orso venditore de fumo

    La Libbertà

    L’incrocio

    L’Omo e l’Arbero

    La Candela

    Er provedimento

    L’Aquila e er Gabbiano

    L’Omo e er Lupo

    La musarola

    La giustizzia aggiustata

    Le pretese der Camaleonte

    Lo Specchio

    Er miracolo

    La nascita

    Er Grillo zoppo

    Pasquino sempre scontento

    Matina abbonora

    Un Conijo coraggioso

    Favole…

    Libro muto (1935)

    Libbro muto

    Cerimonia

    Giardino

    Le parole inutili

    La Gloria

    Sensibbilità

    Bonsenso pratico

    La paura

    Abbitudine

    L’amicizzia

    L’ospite

    Coscenza

    La guida

    L’Ape

    Pecore

    La Vipera convertita

    Er Destino

    Presunzioni

    La Tartaruga

    Fischi

    La Colomba

    L’indecisi

    L’Agnello infurbito

    Disinteresse

    L’Idolo

    Statura

    Er Salice piangente

    La gloria artificiale

    Pretenzioni

    La generosità der Leone

    Questione de razza

    Massime eterne

    La Vorpe sincera

    In finestra

    La Tartaruga lemme-lemme

    Peccato n.° 1

    Ripari

    Dignità

    L’Agnello prudente

    La Lumaca

    La fedeltà

    La proprietà

    Lo scialletto

    Soffitta

    Bar dell’Illusione

    Compassione

    Cortile

    Una mano

    Mania de persecuzzione

    La strada mia

    Introduzione

    «Se la sera volete pijà più fresco, sapete indove ve ne dovete annà? Da Guardabassi a piazza Montecitorio. Lì v’assicuro che ce passate n’oretta co’ tutti li fiocchi. Ve gustate la vista de tante ciumachelle. Ce ne so’ co’ li capelli rossi, neri, biondi, castagni, ce so’ pallide, ce so’ colorite. Ma tutte de ’na leganza che levateve!!! Chi è quello che possiede un cinquanta centesimi e nun se va a gode ’sta grazzia de Dio!? Quanno che c’è la musica sentite le sonate uguarmente come che stassivo a piazza Colonna. Quanno nun c’è, ce penza Paganini seconno, a fa tricche e tracche cor violino. Ho raccorto un buggerìo de scenette, de dialighetti che succedono lì, e forse, forse, puro quarche macchietta…»

    Così si legge sul «Rugantino» del 5 luglio 1888. A scrivere questo invito ai lettori del settimanale in dialetto romanesco è Marco Pepe, pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, diciottenne giornalista che alle cronache cittadine alterna versi firmati con un altro pseudonimo, Trilussa. Un giovanissimo poeta, eppure già famoso nella sua Roma. Quella che è allora, una grande città provinciale, capitale da neanche vent’anni, che vive le sere e la domenica, animata dal generone ai tavoli dei caffè concentrati tra piazza Montecitorio e il Corso, come il Falchetto, il Colonna, il Guardabassi e il Ronzi & Singer con i concerti del maestro Vessella, mentre la piccola borghesia mette in mostra le sue belle ragazze da marito sotto il palazzo Chigi, «dove un intraprenditore modesto», rievoca Livio Jannattoni, «aveva ottenuto il privilegio di affittare le seggiole di legno impagliate, a due soldi l’una». Uno spaccato significativo di una Roma che non arriva a contare 400.000 abitanti e che, politica a parte, vive di scandali e scandaletti, omicidi e suicidi, fattacci di cronaca e stravaganze di sedute spiritiche. Tutti avvenimenti di cui la cittadinanza è avida di sapere, per chiacchierare, commentare, ridere.

    E questa Roma è alla base della poesia di Trilussa, che da subito, da giovanissimo, ha la straordinaria capacità di carpirla nei propri versi, coinvolgerla in prima persona, ponendosi in comunicazione diretta con il cittadino-lettore, senza intermediari, senza l’oste che racconta o il popolano che funge da «storico». Come testimonia la nota sul «Rugantino»: un invito a vivere quella certa città e a leggere le cronache in prosa di Marco Pepe e i versi di Trilussa che esaltano le belle «ciumachelle», le Stelle de Roma.

    Ed è in sostanza vero quanto ha scritto Pietro Pancrazi, che «Trilussa nacque alla poesia… dalla cronaca cittadina degli spettacoli, dei teatri, dei caffè-concerti e delle altre novità o curiosità quotidiane».

    Cronista ancor prima che poeta, così che «l’incontro con la pungente e cangiante attualità del giornale fu per lui un definitivo scoprirsi a se stesso: gli si rivelò in quel punto la vocazione di poeta chansonnier (l’occasione colta al balzo, il pronto avvertimento e commento al fatto del giorno), cui resterà a suo modo fedele tutta la vita». Che poi le Stelle de Roma, esaltanti alcune fanciulle quiriti, siano state ripudiate dal poeta maturo ha poca importanza; quelle poesie restano la base del linguaggio poetico che fin da allora non appariva «romanesco» al cento per cento, ma diluito, annacquato nel quotidiano, non più «belliano» e aperto alla «lingua» in molteplici sfaccettature.

    È vero però che Roma non era soltanto quella salottiera e dei caffè, vissuta dalla borghesia. Roma era anche quella popolare di Trastevere e Borgo, meno blasonata e più in linea con la tradizione «romanesca», sia per costume che per lingua. Città dell’osteria, del botteghino del Lotto e del portierato; città del plebeo belliano. Alla quale Trilussa si rivolge con i sonetti nella linea tenuta viva allora da Zanazzo, ma sempre ammorbidendo il dialetto, puntando sul senti-mento.

    Sono i sonetti di Er Mago de Bborgo. Una poesia all’insegna della semplicità, che registra l’epoca e l’ambiente con realismo ma senza drammi, con l’immediatezza che ha il timbro dell’improvvisazione, come cronaca in versi della vita filtrata attraverso una bonaria ironia. Trilussa bamboleggia con i personaggi (Er piantinaro, La strega, L’ottobrata de Nannarella), scende alla macchietta in una rapida impressione e si diverte alle piccole vicende quotidiane. Valga per tutti come esempio il sonetto Li comprimenti der barbiere:

    Sì… S’accommodi qui, sor cavaiere:

    Se metta puro a ssede. La famija

    Sta tutta bbene? Ciò tanto piacere.

    Quer fijo?… Come je s’arissomija!

    Che be’ raponzoletto! Quello pija

    Tutto de lei… l’ingegno… le magnere…

    Jeri me disse la contessa Ersija,

    Che llei la va a trovà tutte le sere.

    Vecchio?! Adesso j’aggiusto ’sto ciuffetto,

    Se guardi. Cià ’na cera colorita,

    ch’a vvedella arissembra un giovenetto.

    Lei stia sempre accusì gajardo e ttosto,

    E nun sarà mai vecchio… Ecco è sservita,

    Tanti rispetti a llei… Bon feragosto.

    Uno dei sonetti ripudiati, ma nel quale è già il Trilussa autentico, almeno quello stesso dei sonetti di Robba vecchia, Dialetto borghese e Caffè Concerto, nei quali in più la macchietta si apre dal monologo al dialogo, ma sempre legandosi al contingente della realtà spicciola con grande brio e spigliatezza. Così che lo stesso barbiere torna integro e vitale in un altro sonetto, non ripudiato, scambiando battute con il cliente questa volta, ma non maturando più di tanto. Er barbiere e l’avventore nasce evidentemente proprio da quel sonetto di Er Mago de Bborgo, quasi confondendosi con quello, magari perdendo il colore locale e mantenendo di romanesco solo la forma, perché la macchietta ora è diventata personaggio di vita nazionale e la poesia trilussiana si è fatta «satira molto pungente della società e in special modo della società borghese», secondo una nota critica della Nuova Antologia del 1901:

    In questo qui so’ come San Tomaso,

    o Sonnino o Giolitti, sia chi sia…

    Famme la barba, Pippo, tira via…

    Er proletario ormai s’è persuaso

    che se un governo de la borghesia

    sfrutta er lavoratore, in de ’sto caso…

    Abbada, Pippo, m’insaponi er naso…

    – È tanto peggio pe’ la monarchia!

    – Peggio per me! me scortichi! fa’ piano!…

    Ma intanto er socialismo progredisce…

    Attento ar pedicello!… E a mano a mano…

    M’hai fatto du’ braciole sur barbozzo…

    Un giorno o l’antro sa come finisce?

    Finisce che me taji er gargarozzo!

    L’evoluzione poetica c’è, tutta dettata da una straordinaria facilità di verseggiare e modellata su quella che resta poi l’idea geniale di Trilussa, la rivisitazione della favola. La poesia «giornalistica» si sgancia dalla linotype, accanto alla quale è nata, per scendere nella strada, salire nelle case, librarsi nell’aria: più che Roma «in pantofole», secondo la definizione di Giuseppe Antonio Borgese, Italia «in pantofole»,fissata in versi lontanissimi da una condizione culturale letteraria, ma piuttosto elaborati sulla cultura del luogo comune, che è fatto di sorridente moralità, priva comunque di sferzanti impennate e nutrita di un conciliante scetticismo. Cultura di vita, non di arte, dalla quale tutti gli ismi della letteratura fioriti dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento sono ben lontani dal comparire, sia pur vagamente. A cominciare dal crepuscolarismo.

    C’è chi invece considera Trilussa un anticipatore dei crepuscolari, un gozzaniano ante litteram; questo anche perché il poeta romano protestò sull’originalità di certe movenze malinconico-borghesi proprie dei Colloqui e le rivendicò come sue. Trompeo gliele riconobbe. Anche Pancrazi. Ma in un Mondo di Là, dove Antonio Baldini immaginava che i poeti si dessero a volte convegno, «il pur modesto Guido vi starà come persona di casa, mentre Trilussa potrà forse sentircisi un poco spaesato», ha scritto l’autore di Michelaccio, anche se «nel Mondo di qua la sua vena sappia esilararci e commuoverci e cavarci la sete di un po’ di poesia, meglio di altri che poi di Là potranno essere magari accolti con fiori e bande».

    Trilussa è molto probabilmente un romantico tardivo, con tutto quel che di negativo questo attributo purtroppo porta con sé, in riferimento a certo sentimentalismo fiutato nell’aria deamicisiana di bonario paternalismo. Quello che riesce ad essere attenuato, diventando fonte di scetticismo, gli può derivare dalla conoscenza di Lorenzo Stecchetti, ma senza il tono blasfemo o il gusto maudit del poeta forlivese. Perché resta difficile credere a tracce di scapigliatura, anche se, osserva Livio Jannattoni, «non si può misconoscere che nel finale a singhiozzo di alcuni suoi sonetti – In pizzo ar tetto, Ar Pincio – si rifletta, se non l’amaro interrogativo di Georg Pfecher, il compiaciuto, improvviso concludersi della boitiana Lezione d’anatomia».

    Trilussa è evidentemente, quanto a cultura, Trilussa e basta. Anche quando si apre alla favola; la riscopre e la fa sua, senza misurarsi in «riscritture» a confronto di Esopo, Fedro, La Fontaine o Clasio. «Il suo vero titolo», ha scritto infatti Emilio Cecchi, «è la creazione di un tipo di favola che, nella prima idea, avrebbe dovuto essere una sorta di parodia delle favole classiche, ma si sciolse subito in libere invenzioni, metricamente sempre più variate». La «riscrittura» si fa in caso «reinvenzione»: i personaggi della favola sono lo spunto per un cambiamento di tendenza moraleggiante, più cruda dell’ipotetico originale, per un «finale» diverso e nuovo, che è più di un «grazioso per finire». Valga per tutti il raffronto tra La Cigale et la Fourmi di La Fonfaine e La cecala d’oggi, dove all’elemosinante cicala del francese che si sente rispondere dalla formica con quel sentenzioso «Ora balla!» Trilussa oppone un amorale strafottente insetto canterino in risposta all’«Ancora canti? / ancora nu’ la pianti?» della previdente interlocutrice:

    Io? – fece la Cecala manco a dillo:

    quer che facevo prima faccio adesso;

    mó ciò l’amante; me mantiè quer Grillo

    che ’sto giugno me stava sempre appresso.

    Che dichi? l’onestà? Quanto sei cicia!

    M’aricordo mi’ nonna che diceva:

    Chi lavora cià appena una camicia,

    e sai chi ce n’ha due? Chi se la leva.

    La favola trilussiana nasce quando il poeta si rende conto che la favola già esiste intorno a lui, nella stessa Roma in cui vive, come in altre città dove lo porta il mestiere di giornalista da «cronista», nonché quello di lettore dei suoi versi. Ha scritto giustamente Cesare Giulio Viola: «Trilussa pensa che in quelle sue creature siano manifesti costumi, sentimenti, propositi, relazioni che son di tutti gli uomini, a guardar bene; quasi che nel piccolo mondo plebeo e borghese si verifichino con maggior certezza leggi spirituali e sociali di tutta la razza umana; astraetele, fatene l’ordito di una rappresentazione nella quale agli individui siano sostituiti i tipi, ai tipi gli animali, ed avrete le favole». È un fatto che Trilussa resta Trilussa. Non cambia connotati di scrittura quando si impegna e si ingegna nella favola. Mentre personifica gli animali (aquile, volpi e leoni, ma anche pulci e pidocchi) Trilussa seguita a scrivere epigrammi e raccontini, quadretti d’ambiente e macchiette, dove l’elemento culturale non ha spazio, ma neanche ha ragion d’essere.

    È probabilmente vero allora che «la sua poesia è segnata da un movimento di abbassamento, che riconduce entro confini più dimessi e feriali la favola d’animali», come ha scritto Franco Brevini. Anche «perché Trilussa ebbe il merito (e il grande vantaggio) di rimanere romano, con tutto quanto di nobile e di popolaresco, di pregi e di difetti, può racchiudersi in questo attributo», ha sottolineato Livio Jannattoni, «e facilitato, nella conservazione di tali caratteri, dal più o meno splendido isolamento, soprattutto intellettuale, culturale, in cui si relegò, costantemente, malgrado la discreta quanto gradita presenza in riunioni e cenacoli. Tanto discreta da farlo apparire quasi avulso, a volte, dalla vita, dalle correnti letterarie che attraversarono anche la sua esistenza». Con tutta la coscienza dei propri limiti intellettuali, evidentemente, e che fu la sua stessa forza. Quella per cui credette in se stesso, in quello che dicevano i versi, sempre in linea con l’insegna della romanità diluita nell’italianità.

    Sarebbe infatti quanto mai arduo, se non impossibile, ricostruire all’interno della poesia di Trilussa gli ambienti di una particolare Roma, cosi come è invece possibile in Belli, Zanazzo o Pascarella. Certo, notò Ceccarius, «non mancano, è vero, nei suoi versi nomi di strade e di piazze, ma con un significato puramente occasionale, spesso per comodo di rima». E in sostanza il volto della città s’intuisce tra i versi, è alla portata di chi vuole inoltrarsi in alcuni vicoli o sostare in certi ambienti; ma è un volto intuito dal romano che ci abita; non è un volto delineato. Perché non è questo lo scopo di Trilussa, il quale, quando nomina piazza Colonna o S. Maria in Via, potrebbe allo stesso modo indicare, non dico piazza della Scala o il Duomo di Milano, ma una qualunque via o monumento ignoto al romano. Perché il lettore di Trilussa è, allora come oggi, l’italiano. E in barba anche al dialetto, che è però la base del linguaggio poetico di Trilussa.

    Sulla funzione che il dialetto ha in questa poesia mi sembra che siano state già espresse ben precise indicazioni. Non siamo di fronte ad un vernacolo che da solo regge il discorso, nel senso che non si tratta di un romanesco autentico. E questo fu notato fin dagli esordi trilussiani, e con particolare severità, da quel purista del dialetto romanesco che era il Chiappini. Se vogliamo insistere in quella critica, diremo che è un dialetto privo di cultura semantica propria. È un arrangiamento di dialetto, perché Trilussa lo parlava così e non si è curato di renderlo «dotto», ovvero autenticamente romanesco, al pari di quello «plebeo» del Belli o del «popolano» del Pascarella. È «dialetto borghese», come lo stesso poeta segnalò nel sottotitolo di un gruppo di sonetti; ma in pratica è un italiano scritto «male», se lo passiamo al vaglio delle buone regole dell’italiano. «Non è un dialetto, ma una non-lingua, una fuga dalla lingua, una regressione dalla storia alla natura», secondo un’indicazione di Franco Brevini. Ma questo «macheronico italo-romanesco», come lo chiamò Pier Paolo Pasolini, non è frutto di un’elaborazione; non nasce da una sovrapposizione di lemmi, non è giocato in un doppio senso fonico. Nasce così: sonoro e lineare nella sua naturale scorrettezza.

    È un linguaggio che ha il dono peraltro di farsi capire da tutti, di entrare nell’orecchio del milanese come del siciliano. Ciò che ha costituito la fortuna e la popolarità del suo autore, o meglio del suo «dicitore». Perché Trilussa deve gran parte della fama di poeta in Italia a «letture poetiche» che ancor giovane lo portarono ad essere applaudito in numerose tournées. Una poesia che ha parlato a tutti ed è stata di tutti, perché si presentava nella sua semplicità, «bella e vera che ha in sé il segreto di agitare con sentimenti diversi chi l’ascolta; poesia che è come un felice amalgama di riso, di pianto, di scetticismo fine e di amarezza sarcastica, attinto a sorsi ed a pennellate alla inesausta fonte di immagini e d’impressioni che ci offre la vita», annotava entusiasta il cronista de «La Provincia di Ferrara» facendosi interprete dell’entusiasmo destato negli spettatori presenti al recital di Trilussa al Comunale di quella città il 18 novembre 1909. Cronache di questo tipo restano quanto mai valide per chiarire il successo che ha avuto da allora in poi Trilussa, tanto da non risultare «datate», ovvero superate da successive critiche che non fossero di carattere più strettamente letterario. È il cronista di questi recitals che offre la misura più precisa dello spessore poetico di Trilussa, quando definisce in lui «non l’eco di una scuola o di un partito, ma la semplice e sincera voce d’un animo che osserva e che canta, foggiando i suoi canti a satira pungente, senza predilezione, a staffile terribile ma elegante; la poesia di Trilussa ne ha per tutti; per il socialista e per il prete; per il liberale e per il conservatore; per il poeta e per il commerciante; per l’amore e per l’ipocrisia».

    È in questi anni che si è definito, parallelamente al poeta delle favole, il «personaggio». Che dipende non tanto dai versi quanto dalla «taglia della persona, il modo di vestire». Prima di tutto è la statura che si è imposta, attirando l’attenzione degli ascoltatori delle letture fino a diventare una macchietta. Come fosse un personaggio della sua poesia. E sul «Secolo xix» di Genova si leggeva questa autentica caricatura:

    «Le sue proporzioni sono colossali: vi fu un tempo in cui pareva crescere a vista d’occhio, tanto che un amico che gli avesse fatto una carezza alle cinque, alle sette non arrivava più a fare altrettanto. E colossali sono anche le sue cravatte, con ognuna delle quali si potrebbe rivestire un orfanatrofio».

    Trilussa stava al gioco di certa aneddotica che facilmente confondeva l’artista con l’uomo, maschera e volto di una persona che si adattava al gusto del tempo. Faceva il dandy a suo modo. In un’epoca in cui si «dannunziava», Trilussa faceva il verso all’imaginifico. Il tutto rientrava nel lancio della sua poesia a livello nazionale che, una volta approdata alle edizioni Mondadori, ebbe un riconoscimento benevolo anche da parte della critica accademica.

    Il personaggio Trilussa divenne in tal modo l’etichetta di autenticità della sua stessa poesia, in una vera e propria scalata alla celebrità. Così «La Tribuna» del 29 ottobre 1908 presentava l’iter di quel successo: «L’immagine di Trilussa divisa in capitoli come la puntata di un romanzo, agevolmente si prestava a promuover la risata e il poeta vide aperta innanzi a sé la porta della fama: entrò per quella strada, ridendo e facendo ridere, ma osservando e studiando le persone e le cose per mezzo cui passava e non si compiacque mai di fermarsi dove la facile lode ispirata dal facile sorriso lo invitava con le sue lusinghe a sostare; egli seguitò ad avanzare forbendo con amorevole cura il diamante grezzo che la fortuna gli aveva posto tra mano, e quando lo ebbe sfaccettato e pulito e reso limpido e chiaro di splendore, lo levò sopra il capo e ne fece abilmente vibrar la luce d’attorno. Il sesquipedale Trilussa era diventato il poeta delle favole: e la sua fama fu questa volta compiuta».

    Cosi la società edonistica fine Ottocento e primo Novecento ha esaltato Trilussa, poeta e personaggio; era il simbolo di un’epoca e della classe borghese. E cosi si espresse

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