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Le incredibili curiosità di Napoli
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E-book389 pagine4 ore

Le incredibili curiosità di Napoli

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Storie sorprendenti di una città dal fascino infinito

Napoli è una città che lascia sempre a bocca aperta. Un luogo talmente complesso che può risultare spaesante, spiazzante per le sue contraddizioni, ma che impegna mente e cuore alla ricerca profonda dei suoi significati più reconditi. Oltre venti secoli ci regalano aneddoti singolarissimi, dalle corse lampadiche in onore della sirena Partenope ai romanzi cavallereschi miniati nel Medioevo, dalla tragica festa della cuccagna nel Settecento, fino all’estrema pulizia della città ai tempi di Ferdinando II di Borbone. Tanti i personaggi forieri di aneddoti, da re Alfonso d’Aragona e la sua estrema battaglia coi demoni fino a Wagner che scrisse il suo Parsifal a Posillipo. Lingua e canzone napoletana hanno le loro sorprendenti storie, concetti nascosti tutti da ascoltare. Così come il cibo: dal dolce al salato sono diverse le curiosità da assaporare. Perché Napoli è una realtà che si comprende attivando tutti i sensi che abbiamo a disposizione.

Napoli è l’essenza stessa della curiosità

Tra le storie insolite:

I romanzi cavallereschi all’ombra del Vesuvio
Caravaggio e l’omaggio segreto al musicista assassino
1832: Napoli la città più pulita d’Europa
Il battistero più antico d’occidente
Il diavolo nascosto sulla facciata di un palazzo
La villa che guarì Wagner
Le scalette di Massimo Troisi
Un Halloween tutto napoletano
I tintinnabula segreti e l’origine della scurrilità
Storie singolari della canzone napoletana
La regola delle tre “c” e il trionfo del caffè
Il mistero delle carte napoletane
Marco Perillo
è nato nel 1983. Giornalista di «Il Mattino», è autore del romanzo Phlegraios / L’ultimo segreto di San Paolo. Con la Newton Compton ha pubblicato Misteri e segreti dei quartieri di Napoli, 101 perché sulla storia di Napoli che non puoi non sapere, Storie segrete della storia di Napoli, I luoghi e i racconti più strani di Napoli e Le incredibili curiosità di Napoli.
LinguaItaliano
Data di uscita22 ott 2020
ISBN9788822751010
Le incredibili curiosità di Napoli

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    Anteprima del libro

    Le incredibili curiosità di Napoli - Marco Perillo

    ES713-cover.jpg

    713

    Prima edizione ebook: novembre 2020

    © 2020 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5101-0

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Manuela Carrara per Corpotre

    Marco Perillo

    Le incredibili curiosità

    di Napoli

    Storie sorprendenti di una città

    dal fascino infinito

    Newton Compton editori

    Ai vicoli in cui sono nato, alla mia infanzia

    In memoria di Aldo Masullo

    Napule è nu paese curiuso,

    è nu teatro antico, sempre apierto.

    Nce nasce gente ca’ è senza cuncierto,

    scenne p’’e strade e sape recita’.

    Nunn’è che ’o ffanno apposta, ma pe’ lloro

    ’o panorama è na scenografia,

    ’o popolo è na bella cumpagnia,

    l’elettricista è Dio ch’’e fa campa’.

    Ognuno fa na parte, na macchietta;

    se sceglie ’o tipo, ’o nomme, ’a truccatura,

    l’intercalare, ’a camminatura

    pe’ fa’ successo e pe’ se fa guarda’.

    Eduardo De Filippo

    Indice

    Napoli, quel palcoscenico di speranza

    LE CURIOSITÀ DELLA STORIA

    La divina sirena dalle anforette alle banconote

    La città orientata verso le stelle

    Il poeta Antigelide e la setta di Dioniso

    Virgilio e il palazzo degli spiriti

    San Gennaro e i misconosciuti miracoli nella catacomba

    La morte dell’Augustolo e la fantastica nascita di Artù

    L’ultimo dei templari in visita al castello

    Rimedi contro le violenze sessuali ai tempi di Boccaccio

    I romanzi cavallereschi all’ombra del Vesuvio

    Alfonso il Magnanimo e l’estrema battaglia coi demoni

    Le subdole avventure amorose di re Ferrante

    Tasso e gli struggenti ritorni a casa

    Caravaggio e l’omaggio segreto al musicista assassino

    Pietre preziose, baccalà e altre follie contro la peste

    Le feste a mare del viceré e il destino di Ciulla

    Carlo di Borbone e la tragica cuccagna del 1734

    L’avversario del principe di Sansevero

    Le irrefrenabili passioni di Ferdinando

    Un Ippocrate napoletano contro le epidemie

    1832: Napoli la città più pulita d’Europa

    Verdi e l’inno delle Due Sicilie

    Il più nobile dono di una popolana al patrono

    Il Pulcinella che morì in scena

    Quel che accadeva ’o quatt’’e maggio

    Un medium jettatore per Mussolini

    La guerra e le nane del Pendino

    Amelia e la vera strega sul Vesuvio

    Un dinosauro nel cuore della città

    LE CURIOSITÀ DEI MONUMENTI

    Una sorpresa nel ventre dei Girolamini

    Il battistero più antico d’Occidente

    La Vergine puerpera e l’origine del presepe

    Il diavolo nascosto sulla facciata di un palazzo

    San Marcellino e le nobili sorelle assediate

    La spaventosa piscina degli Incurabili

    Il vicolo dei sospiri

    Gli ammirevoli cavalli dello zar

    Il fantasma di Torre Palasciano

    «A Pordenone si fa festa, a Napoli si muore»

    La villa che guarì Wagner

    Il rifugio dei bambini al Palazzo dello Spagnolo

    Lo scheletro che parlò a Totò

    L’amica geniale e la chiesa traslocata

    Il giardino più amato da Eduardo

    Le scalette di Massimo Troisi

    Vico Maradona

    LE CURIOSITÀ DELLE FESTE

    Un Halloween tutto napoletano

    Una processione d’anime per Natale

    Un presepe anche a Pasqua

    Riti perduti d’estate

    LE CURIOSITÀ DELLA LINGUA

    Parole perdute e ritrovate (da mezzo mondo)

    I tintinnabula segreti e l’origine della scurrilità

    I cafoni (con la fune)

    Una gestualità che la dice lunga

    LE CURIOSITÀ DELLA MUSICA

    Storie singolari della canzone napoletana

    Tammorre, tarantelle e altre antichissime seduzioni

    Panettieri e guarracini, la storia che diventa melodia

    L’irresistibile fascino della parlesia

    LE CURIOSITÀ DELLA CUCINA

    Maccheroni dai nobili al volgo

    Pizza, ragù e genovese: quante storie

    Babà vs sfogliatella (e altri dolci aneddoti)

    La gelateria napoletana che inventò il Cornetto

    La regola delle tre C e il trionfo del caffè

    LE CURIOSITÀ DEL QUOTIDIANO

    Giochi d’altri tempi

    Il mistero delle carte napoletane

    Questi so’ numeri!

    Mestieri che scompaiono

    Nennella e Carmela,le ultime acquaiole

    L’eternità del panaro

    Bibliografia essenziale

    Napoli, quel palcoscenico

    di speranza

    «Io penso che Napoli possa essere l’ultima speranza che resta all’umanità per sopravvivere». Parole di Luciano De Crescenzo che chiudono il suo film Così parlò Bellavista, divenuto a tutti gli effetti un monumento alla Napoletanità, quella con la N maiuscola, pregna di verità e cultura, di filosofia e storia, di nobiltà e genialità popolare. Le motivazioni che l’autore nato nel quartiere di Santa Lucia nel 1928 adduceva a riguardo risiedevano nelle paure di un mondo in progresso, «pieno di missili e di bombe atomiche». Più gli anni passano, più la vita corre veloce, più ci rendiamo conto che De Crescenzo aveva ragione. Spesso e volentieri la tecnologia, il virtuale, la Rete, la globalizzazione selvaggia e la dimenticanza dei valori del passato rischiano di fare tabula rasa di un fattore fondamentale dell’essere umano: l’identità.

    A Napoli ciò accade più che altrove, essendo una delle città più identitarie del pianeta. Alle prese con le pandemie, le violenze quotidiane, le problematiche sociali ed economiche, oggi rischiamo di perdere memorie, tradizioni, leggende e aspetti curiosi che per secoli hanno contraddistinto un popolo come il nostro. Non è più d’attualità la convinzione pasoliniana dei napoletani visti come una tribù in grado di preservare sé stessa. Tante cose stanno sparendo all’ombra del Vesuvio, dai mestieri al linguaggio, dalla canzone a certe tradizioni culinarie. Motivo per il quale è bene ricordare certi aspetti, cercare di preservarli, magari a cominciare da un libro come questo; di parlarne affinché chi verrà e chi c’è già possa ricordarsene e farne tesoro.

    Napoli è un patrimonio sterminato di aneddoti, di conoscenza in tutti i campi, di arte e di bellezza, d’ideologia spicciola e profonda, di modi di vivere, di apertura verso la vita. Al di là dei suoi problemi atavici, Partenope è un pozzo senza fine da esplorare con passione. È una città che lascia a bocca aperta; un luogo che impegna costantemente mente e cuore alla ricerca dei suoi significati. Napoli è l’essenza stessa della curiosità. Forse è questo il motivo per cui, personalmente, continuo a esplorare le pieghe della sua millenaria storia. È una missione. Perché il Nulla – sì, quello di un altro mitico film degli anni Ottanta, La storia infinita – rischia davvero d’inghiottirci.

    Oltre venti secoli vissuti all’ombra del Vesuvio regalano aneddoti singolarissimi, dagli omaggi in onore della sirena Partenope ai romanzi cavallereschi miniati nel Medioevo, dalla tragica festa della cuccagna nel Settecento, fino all’estrema pulizia della città ai tempi di Ferdinando ii di Borbone. Tanti i personaggi protagonisti di aneddoti, da re Alfonso d’Aragona e la sua estrema battaglia coi demoni fino a Wagner che scrisse il suo Parsifal a Posillipo. I monumenti non sono da meno e non si finisce mai di passarli al setaccio, così come lingua e canzone napoletana che hanno i loro incantevoli risvolti. Per non parlare del cibo: dal dolce al salato sono innumerevoli le curiosità da assaporare e i retaggi storici da riscoprire.

    Nel mondo della dimenticanza, la cultura della quotidianità – quella che più tende a svanire – ci rivela quasi con malinconia memorie di panari e di acquaiole, di mestieri che furono e di giochi come echi lontani. Nel giro di trenta o quarant’anni Napoli è mutata profondamente e tante cose non sono più le stesse. Ci si sente come superstiti di una realtà cambiata troppo presto. Un palcoscenico su cui attori e copioni sono mutati nel tempo.

    Sulla teatralità partenopea – e sui suoi eventuali rischi – metteva in guardia Aldo Masullo, immenso filosofo scomparso il 24 aprile 2020 nel pieno della pandemia da coronavirus. In una delle sue ultime interviste rilasciate a Mimmo Sica per il quotidiano «Roma», Masullo diceva:

    Napoli è una città che ha il torto di rappresentarsi e non di presentarsi. È una città nella quale si ama recitare se stessi, è genialmente teatrale. Ma nella realtà è ferma, lenta sul piano politico e civile, non riesce a mettersi in moto, stenta a ripartire. Ogni tanto cerca di farlo, poi ritorna in uno stato letargico (…). Per lunghi secoli siamo stati divisi e sudditi di sovrani stranieri. Siamo stati abituati così ad essere cortigiani, ad azzuffarci tra di noi, ognuno per acquistarci l’un contro l’altro il favore del dominatore. Napoletano però è Pulcinella, tipo umano speciale. Io qualche anno fa ho immaginato e scritto un dialogo tra Pulcinella e Abelardo, celebre filosofo medievale (...). Pulcinella per me è il padre di Eros presentato da Platone nel Simposio. Si chiama Poros e in un occasionale incontro con Penia, misera vagabonda, genera Eros. Il termine poros in greco significa strettoia, ma anche l’abilità nel venirne fuori. Chi è Pulcinella se non chi si trova sempre in qualche angustia, e sempre riesce con un improvviso espediente a superarla? Egli sgattaiola negli stretti vicoli della nostra città e riesce sempre ad attraversarli, a risolvere le sue difficoltà e spesso anche quelle di altri. Accanto a tutti i suoi difetti, ha la virtù, che altri non hanno, di riuscire aguzzando l’ingegno, a salvarsi.

    Una lezione, come tante impartite dal professor Masullo, che terremo bene a mente ogni qualvolta ci ricorderemo di Napoli. E del suo eterno palcoscenico.

    Marco Perillo

    LE CURIOSITà DELLA STORIA

    Partenope in un'incisione del 1831.

    La divina sirena dalle anforette alle banconote

    Lei se ne sta lì, fiera e solenne, immobile e con lo sguardo arguto. Ha le ali nere spiegate, la coda di uccello eretta, gli artigli ben piantati a terra, il collo e il volto da fanciulla, i capelli lunghi e ondulati a ricaderle sulla sagoma aviforme, legati sulla fronte con una fascia di moda greca. Sì, è una sirena. Ed è raffigurata su un’anforetta calcidese a figure nere, risalente agli inizi del

    iv

    secolo a.C., proveniente dalla necropoli di Sant’Agata sui Due Golfi, in penisola sorrentina, oggi custodita nel museo archeologico Georges Vallet di Piano di Sorrento. Questo vaso, in cui altre figure di alate fanno da contorno a quella principale, è una delle più importanti testimonianze di come fosse diffuso il culto delle sirene in Campania, importato dai Greci quando colonizzarono le nostre coste.

    Ma non è l’unico reperto a raccontarci questa storia che ancor oggi è capace di farci sognare. Alcuni reperti archeologici, rinvenuti all’inizio del secolo scorso nella zona in cui oggi sorge il Castel dell’Ovo, fanno ipotizzare uno sbarco di coloni rodii sull’isolotto di Megaride fra il

    ix

    e l’

    viii

    secolo, elemento che combacia con le tesi dello storico, geografo e filosofo Strabone sulla fondazione della città partenopea. Una città che, come sappiamo, assume il nome mitico di una delle tre sirene – Leucosia e Ligea le altre – al cui canto Ulisse, transitando per le bocche di Capri, seppe resistere. Suicidatasi e venuta a spiaggiarsi proprio in quel di Megaride, allora un istmo collegato alla terraferma, Partenope fu sepolta – probabilmente proprio lì – dai primi abitanti del posto e venerata in quanto creatura extraterrena. Fu col suo nome che verso il 680 a.C. coloni cumani avrebbero fondato un primo nucleo cittadino sul colle di Pizzofalcone, prospiciente a Megaride, avamposto sicuro e soprattutto rocca strategica per dominare e difendere gran parte del golfo.

    Ci appare chiaro che prima dei cumani, devotissimi al dio del Sole Apollo, il culto delle sirene, diffusissimo, come abbiamo visto, anche in penisola sorrentina, fosse stato introdotto da quei primi coloni arrivati dalla Grecia orientale. Naviganti di lungo corso qual erano, i Greci non potevano che temere e venerare queste creature a guardia del mare, ancelle di Kore ree, secondo il mito, di non aver impedito il suo rapimento da parte di Plutone. Per questo le tre ragazze furono condannate a diventare esseri mostruosi da parte di Demetra, la dea delle messi, madre disperata di Kore, e ad attrarre con l’inganno i naviganti, facendo naufragare le loro navi nei meriggi calmi e assolati. Tutti tranne uno, Odisseo, audace eroe di Troia sfuggito a Scilla e Cariddi, capace di superare indenne il burrascoso canale di Capri, passando rasente a quegli isolotti de Li Galli dov’erano appollaiate le sirene.

    Chi avrebbe mai detto che proprio grazie all’impresa dell’eroe omerico si sarebbe data vita alla leggenda della fondazione di Napoli? Quanto tributo Napoli, in un certo qual modo, deve elargire nei confronti di Ulisse, non meno di Roma nei riguardi di Enea?

    Rinchiusa in un sepolcro ben visibile dal mare, la suicida Partenope sarebbe stata venerata anche quando il primo nucleo cittadino fu abbandonato – pare a causa di una pestilenza – e si sarebbe fondata una città nuova, Neapolis, finita poi sotto l’influenza ateniese. E furono proprio coloro che provenivano dalla città di Pericle, nel v secolo, a rinverdire il culto della sirena nella neonata cittadina che corrisponde all’attuale centro storico diviso in cardini e decumani. Non a caso Partenope fu omaggiata sulle monete correnti e sul suo sepolcro – gli storici dibattono ancora sul fatto che fosse stato traslocato o meno – si compivano libagioni e mitiche corse con le fiaccole, inaugurate in obbedienza all’oracolo sul lago d’Averno dall’ammiraglio ateniese Diotimo, figlio di Strombicos, lo stratega che preparò i piani per la spedizione a Corcira del 433 d.C.

    Disegno tratto da un antico vaso raffigurante Ulisse e le sirene.

    L’anforetta del museo Georges Vallet, come accennavamo, non è l’unico reperto che, tra Napoli e dintorni, attesta il diffuso culto in onore delle sirene. Nel museo Correale di Sorrento vi sono due vasi con coperchio chiamati lekane – di dimensioni notevoli, bassi e schiacciati, con due anse orizzontali, piede ad anello e orlo appiattito – sulle cui due facce sono rappresentate due delle tre sirene che suonano la tibia e la cetra, come vuole la leggenda, per ammaliare i navigatori e sedurli col loro canto foriero di dolci e ingannevoli ricordi. Una ceramica a figure rosse, stavolta, realizzata nella seconda metà del

    iv

    secolo. A Paestum, invece, all’interno del museo archeologico della cittadina dei templi, troviamo una grossa anfora dipinta dal vasaio Python nel 330 a.C. e raffigurante Odisseo che sfugge alle sirene a bordo della sua nave.

    Eppure, non vi erano soltanto vasi e monete a raffigurare le sirene, in antichità. Sempre a Paestum le troviamo scolpite nelle strutture murarie della città, quale monito a non avvicinarsi per coloro che avessero intenzioni malvagie. Lo testimonia la raffigurazione della sirena – probabilmente Leucosia, spiaggiata nella vicina punta Licosa – sull’omonima porta di accesso cittadina, a sottolineare la sua funzione di vero e proprio nume tutelare. Da quel momento in poi, le sirene sarebbero diventate una vera e propria effigie da apporre sui monumenti più importanti. Una tradizione che si sarebbe addirittura protratta fino al Medioevo, in piena epoca cristiana, quando le sirene erano raffigurate all’ingresso delle chiese romaniche, delle cattedrali o sui capitelli dei chiostri dei monasteri.

    Perché? Perché questi esseri di un’epoca pagana – e dunque mostruosi, infernali, nell’accezione della nuova religione – ebbero tanto successo e non furono dimenticati? Sicuramente perché le sirene, private come furono delle ali con l’avvento degli angeli e assumendo la nota forma con la coda di pesce, essendo duplici creature divennero, al pari di Eva, il simbolo della seduzione, della lussuria e del peccato che induce alla mostruosità. Nelle pievi romaniche erano raffigurate come monito per i fedeli; una messa in guardia dalle tentazioni. Come Ulisse avrebbe rischiato la morte se si fosse lasciato sedurre dalle sirene, così il devoto cristiano doveva lottare contro il male per tenersi lontano dal peccato.

    Eppure, nella sua accezione erotica, specie nella forma bicaudata, la sirena aveva anche significati positivi: era simbolo di fertilità e di abbondanza, emblema della conoscenza iniziatica rivelata, svelatrice dell’Alpha e dell’Omega, della vita e della morte. Non è un caso che le sirene, legate alla dea degli inferi Kore, fossero le guardiane dell’oltretomba, le accompagnatrici delle anime dei defunti in un’altra dimensione. Attributi che sono certamente validi per Napoli, dove Partenope, dalla cui morte scaturì l’intera città, non è mostro ma certamente una madre; una genitrice assoluta, una portatrice di beni, un genius loci a tutti gli effetti.

    Non è un caso che fino al 1926 sulle lire italiane, quelle emesse dall’allora glorioso Banco di Napoli, ci finisse anche lei, la nostra sirena. Può sembrare strano, ma è così. Ce lo racconta Vittorio Paliotti in Napoli sconosciuta, sbalordendoci nel ricordarci che sulla carta moneta stampata nella città di Partenope erano raffigurati alcuni personaggi storici napoletani, da Giambattista Vico a Salvator Rosa, da Gaetano Filangieri a Torquato Tasso. Un fenomeno che durò per cinquantadue anni; fu nel 1874 che il governo del Regno d’Italia autorizzò, attraverso la legge Minghetti-Finali, le emissioni del Banco di Napoli, rese possibile da un moderno stabilimento della ditta Richter nei pressi di piazza Carlo

    iii

    . Narra Paliotti che i biglietti da 50, 100, 200 e 500 lire stampati all’ombra del Vesuvio erano di fattura sublime e andavano dal beige, al rosso, dal verde al lilla. Capitava così che chi riscuotesse lo stipendio a Milano o a Torino si trovasse in possesso di banconote made in Naples. E guardando bene, sulla carta filigranata, in trasparenza, si poteva scorgere il suo volto: quello di Partenope, la mitica sirena, rediviva nelle sue funzioni e nei suoi significati, così tanti secoli dopo il suo sacrificio.

    La città orientata

    verso le stelle

    C’è una sorprendente simmetria nel centro antico di Napoli. Possiamo accorgercene istintivamente, passeggiando al suo interno, chiedendoci se tutta quella perfezione geometrica di strade squadrate, costruite a griglia in stenopoi che s’intersecano con plateiai, i cardini e i decumani romani, seguendo uno schema che ricorda quelli disegnati da Ippodamo da Mileto, possa rivelare qualcosa di sacro. Il dubbio ci assale, in quell’intrico di vie strette, racchiuse in una cinta muraria difensiva forgiata in granuloso tufo, di cui vediamo una parte in piazza Bellini, ma anche nella zona dell’acropoli, sul retro dell’istituto Campanella a piazza Cavour; nel ventre di palazzo Corigliano a piazza San Domenico Maggiore; accanto a un bar in via Mezzocannone, dalle parti del cinema Astra; in corso Umberto e persino a Forcella, dove c’è il celebre cippo di piazza Calenda.

    Il primo impianto urbanistico doveva essere limitato lì al centro, dove si discuteva la politica e avvenivano le funzioni religiose¹. Dopodiché, quando già verso la metà del

    v

    secolo la popolazione raggiunse i trentamila abitanti, oltre all’acropoli sorse l’agorà, lì dove furono costruiti la gran parte degli edifici pubblici e che culminava con il tempio dei Dioscuri, le cui colonne sono ancora visibili davanti alla chiesa di San Paolo Maggiore in piazza San Gaetano. Erano loro, Castore e Polluce, figli di Zeus e Leda, le divinità principali venerate a Neapolis, insieme con Diana, Cerere e soprattutto Apollo, il cui tempio sorgeva in corrispondenza dell’attuale Duomo.

    E proprio in onore di Apollo sembra che la città nuova fosse stata eretta, seguendo precise linee geometriche che testimoniano quanto la perfezione della Napoli antica seguisse dettami astrologici legati al sacro. Una storia che si conosce da tempo, ma che ha avuto conferme scientifiche nel 2019 grazie a un approfondito studio realizzato da due professori dell’Università Federico

    ii

    , Nicola Scafetta e Adriano Mazzarella, del dipartimento di Scienze della Terra, dell’ambiente e delle risorse. Secondo le ricerche di questi docenti emerge che Neapolis, su basi strettamente matematiche, fosse stata edificata per rendere onore al dio del Sole e alla sirena, quella Partenope che non avrebbe mai smesso di proteggere gli abitanti, anche se traslocati dal loro nucleo originario di Pizzofalcone. «L’intuizione, è stata che la costruzione di Napoli volesse raccontare qualcosa»² ha spiegato il professor Scafetta rilasciando dichiarazioni a diversi quotidiani, raccontando come lo studio sia partito dalla particolare pianta della città, osservabile dalla torre dell’Istituto meteorologico a San Marcellino, storica sede della Federico

    ii

    .

    La ricerca rivela che la griglia stradale di Neapolis fu progettata come un microcosmo ispirato dalla cosmologia di Pitagora, basato sull’armonia della sezione aurea che poneva il Sole divino al centro di un universo armonico composto da dieci sfere concentriche, simbolo dell’equilibro. La città, centrata nell’antico tempio dei Dioscuri, si sviluppava intorno a un quadrato che misurava ٢x٢ stadi greci – uno stadio è circa 190 metri – limitato dai decumani superiore e inferiore e dai cardini di via Atri e di via Duomo. Il quadrato centrale è ruotato rispetto agli assi cardinali di circa un sedicesimo di cerchio e la stella a sedici raggi che ne viene fuori non rappresentava altro, per i Greci, che il dio del Sole.

    Questo quadrato centrale era inoltre diviso in dieci settori dai cardini e definiva un cerchio con raggio uguale a √5 stadi che limitava lo spazio della città interna alle mura. Questo cerchio, secondo lo studio dei professori, definisce anche un altro cerchio concentrico con raggio uguale a 1+√5 stadi, cioè due volte la sezione aurea, che inscrive un decagono o una stella a dieci punte che, a sua volta, definisce simultaneamente sia lo spazio esterno della città che lo stesso quadrato centrale e la distanza tra i decumani.

    Il legame del tutto speciale di Neapolis con il Sole appare particolarmente nel giorno del solstizio invernale, ovvero quando il grande astro che illumina e riscalda la Terra sorge sopra i monti Lattari a 36° sud-est, e durante il solstizio estivo, alla stessa ora, apparendo 36° sopra il punto d’est. L’angolo di 36° è a tutti gli effetti l’angolo aureo che definisce il pentagramma e il decagramma pitagorico, ed è tra l’altro la frazione d’arco dei dieci settori del grande decagono che caratterizza la geometria della città. Le proporzioni geometriche tra le strade e il cerchio murario di Neapolis sono dunque determinate dalla sezione aurea, legata strettamente al numero dieci, al decagono e al pentagono, ovvero tutti simboli sacri pitagorici.

    Ma c’è dell’altro. Perché se questi sono elementi che a qualche esperto forse erano già noti – brillante, qualche anno fa, è stato al riguardo lo studio sulla città pitagorica dell’architetto Teresa Tauro che racconto in 101 perché sulla storia di Napoli che non puoi non sapere – la grande novità è che, invece di seguire il corso della costa, orientata a 40°, i padri greci scelsero per Neapolis un’angolatura diversa, fra i 23 e i 24. Perché? Da questa domanda, la sorprendente risposta. Quest’angolatura era molto vicina alla misura di ¹/16 di cerchio. E il 16 corrisponde proprio al numero di punte che possiede la stella che rappresenta il dio Apollo.

    Antica pianta di Neapolis.

    Insomma, da come abbiamo capito, la sezione numerica di Neapolis è un vero e proprio inno alla divinità solare, la più venerata fin dall’epoca dei cumani. Una città, dal centro fino alle sue mura – erette con calma in una decina d’anni, pianificate con cura proprio per rispettare la linea geometrica sacra – costruita per raggiungere la perfezione, in onore del dio. Non è un caso che i rapporti fra le lunghezze delle strade e la loro distanza risultino ovunque ottimali.

    Se da un lato c’è Apollo, dall’altro non può non esserci Partenope. In questo contesto non potevano mancare riferimenti a lei, la sirena, la divinità femminile da cui tutto era scaturito. In tal senso lo studio dei docenti della Federico ii va avanti, narrandoci dei singolari rapporti tra la geometria della città e l’astronomia. Come forse già sappiamo, il nome Partenope significa vergine e, da come abbiamo già trattato in precedenti libri, alla sirena era associata l’omonima costellazione che sorge durante l’equinozio d’autunno. Eppure, come spiega la ricerca, a Partenope era associata anche un’altra costellazione, quella dell’Aquila, in particolare riferimento alle sirene alate inviate da Demetra

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