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Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità di Napoli
Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità di Napoli
Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità di Napoli
E-book658 pagine9 ore

Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità di Napoli

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Info su questo ebook

Napoli, una città tutta da scoprire

È attraversando le sue strade e le sue piazze, entrando nelle sue chiese, curiosando nelle biblioteche, visitando i musei, osservandone i palazzi, sedendo nei teatri e nei cinema, imparando a conoscere i protagonisti della sua storia che possiamo svelare il volto autentico di Napoli. Questo viaggio alla ricerca della Napoli “insolita” non intende affatto ignorare i grandi monumenti o i personaggi illustri e nemmeno sorvolare sull’importanza che la pizza e gli spaghetti, Pulcinella e gli scugnizzi, la canzone popolare e la tarantella hanno avuto nella definizione di un’immagine universalmente riconosciuta e amata. Intende solo spingersi oltre i luoghi comuni, andare a curiosare tra le pieghe meno visibili della storia, del costume, della cultura, alla scoperta di “stranezze”, particolarità, aneddoti che ogni vero amante della città dovrebbe conoscere.

In questo volume:

I segreti dei Campi Flegrei
Lazzari e scugnizzi
Il caffè e i caffè
Le catacombe e i misteri di Napoli sotterranea
L’invenzione della pizza
Miti, riti, favole e leggende
…e molto altro!
Romualdo Marrone
(1923-2003) è stato giornalista pubblicista, scrittore e critico letterario. È stato direttore editoriale di «Napoli Oggi», collaboratore ai servizi giornalistici della RAI e autore di programmi radiofonici. Per la Newton Compton ha diretto la collana «Napoli Tascabile», ha curato Tutto il teatro di Eduardo Scarpetta, Napoli figure e paesi e Luci e ombre napoletane di Salvatore Di Giacomo, Decameron di Boccaccio, Poesie di Ferdinando Russo, Ragionamenti. Sei giornate di Pietro Aretino, e ha scritto Le strade di Napoli.
LinguaItaliano
Data di uscita17 lug 2015
ISBN9788854185029
Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità di Napoli

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    Anteprima del libro

    Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità di Napoli - Romualdo Marrone

    286

    Prima edizione ebook: luglio 2015

    © 1999, 2015 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-8502-9

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Romualdo Marrone

    Guida insolita ai misteri,

    ai segreti, alle leggende

    e alle curiosità di Napoli

    Newton Compton editori

    I brani di testo incorniciati dai box si riferiscono ad argomenti o personaggi legati alla voce alfabetica all’interno della quale si trovano.

    Le tabelle cronologiche pubblicate all’interno del volume sono tratte da un’originale e utile opera monografica delle Edizioni Archivio di Bibbiena, dal titolo Archivio Napoli. L’editore ha gentilmente concesso il permesso di riproporle in questa pubblicazione.

    Perché insolita

    Guida insolita: è lecito chiedersi che cosa possa significare. Significa ciò che non rientra da sempre nel comune significato di Guida di una città, la quale, da sempre appunto, lascia immaginare un uomo che reciti le solite quattro cose o, se si vuole, un libello che le quattro, e questa volta forse più cose, le scriva, le racconti. Cose che riguardano il selciato, la pietra che si calpesta e ancor più quella che dà forma allo spazio, che immobilizza il gesto e la condizione emotiva e ne fa immagine inamovibile nella memoria collettiva...

    Insolita è una delle tante invenzioni dell’editore che tutte le cerca e le trova e se le ritrova alla fine nel buco della ciambella.

    L’autore, e solo in qualche argomento curatore, di questo volume ha già raccontato nelle sue Strade tutto quanto era possibile sui toponimi e su quel che si incontra lungo ogni strada. Lo ha fatto col preciso intento di mettere a punto il volto della città, quel che si vede. Ma quel che si vede, il volto, rispecchia ed evidenzia quel che nel corso della storia l’uomo, nel nostro caso l’homo neapolitanus, ha pensato, vissuto, sofferto, voluto; rispecchia i momenti di un universo interiore del quale lo spazio ha assunto forme a volte titaniche. Ma c’era e rimane dell’altro nel ricco e movimentato universo dell’homo neapolitanus: l’ironia del trascendente, l’invenzione letteraria, un esercito di canzonettiste e di cantanti che si esibisce nei ritrovi, e finalmente lo spaghetto, la pizza, una inesauribile fantasia di inventare e accoppiare cibi e innaffiarli con vini campani. In questi luoghi dell’universo dell’homo neapolitanus ci siamo avventurati questa volta e ne abbiamo tratta una campionatura che speriamo appaghi chi in un momento di geniale provocazione l’insolita l’ha inventata e chi si aspetta di leggere come sia stata interpretata in questo volume.

    R.M.

    Vita quotidiana a Napoli

    prima del Medioevo

    La forma

    Le mura

    Napoli è stata protetta da mura già all’epoca della sua fondazione (V secolo a.C.). La città aveva una estensione limitata e veniva naturalmente favorita a nord dalle colline e da un profondo vallone, oggi corrispondente a via Foria, a ovest dal corso del fiume Sebeto ora scomparso, attuale via Costantinopoli, a sud dal mare e a est da una estesa zona paludosa, ancora detta Sant’Anna alle Paludi. Le mura furono costruite con blocchi di tufo del tipo a doppia cortina, con elementi trasversali di collegamento e con materiale di riempimento tra le cortine. Delle antiche mura oggi sono visibili solo pochi tratti, come quelli scoperti a piazza Calenda, a piazza Bellini, a via Mezzocannone e ai piedi della salita Maria Longo.

    Lo spazio urbano era scandito da una precisa griglia; si sviluppava lungo tre assi stradali orientati est-ovest, ancora evidenti nella pianta della città moderna. I tre grandi decumani erano tagliati da strade più strette, perpendicolari a essi, così che gli incroci stradali delimitavano isolati dalla pianta piuttosto allungata, rettangolare.

    Rispetto alla Neapolis greca e poi romana, durante il periodo tardoantico e altomedievale la struttura cittadina rimase sostanzial-mente inalterata: una completa ristrutturazione si attuò soltanto successivamente alla dominazione normanno-sveva e angioina, dal XII secolo in poi: secondo la misurazione fatta dopo la presa di Ruggero II, il perimetro murario era stimato in 2363 passi, quantificati da B. Capasso in 4470 metri. In seguito, il complesso programma di pianificazione delle difese cittadine nell’Alto Medioevo portò all’inclusione dei borghi sud-orientali nello spazio difensivo della città; nel circuito delle mura si notano torri, quadrate e cilindriche, inserite nella cortina allo stesso modo di Castelcapuano nel lato orientale. Si tratta comunque di una delineazione di mura di cui mancano tracce ed eseguita sulla scorta delle fonti storiche.

    La struttura urbana

    Nel periodo tra il IV e il IX secolo è certo che la città si polarizza intorno ai nuclei del potere civile ed ecclesiastico e a una serie di fabbriche religiose che svolgeranno una funzione assai importante nelle vicende storiche della Napoli altomedievale. Ma dell’edilizia privata e dei palazzi costruiti a Napoli in epoca altomedievale resta molto poco; dove le costruzioni ecclesiastiche hanno subito trasformazioni e vandalismi, nonostante il loro carattere sacro, era inevitabile che le opere civili fossero completamente trascurate o elaborate secondo i gusti delle generazioni che si sono susseguite.

    A ciò si aggiunga che l’architettura privata risentì più di quella religiosa della instabilità provocata dalle continue guerre che si ebbero in quel tempo e dalla incertezza politica.

    Comunque, il vero fulcro della vita cittadina nell’Alto Medioevo fu sicuramente la sede del vescovo o, come si dovrebbe meglio dire, il complesso di edifici che formavano l’insula episcopalis. In questo sito, successivamente agli scavi intrapresi in occasione del restauro del Duomo angioino e delle strutture annesse, è stato possibile un lavoro di revisione delle fonti scritte e di reinterpretazione delle passate soluzioni storiche attraverso i più recenti contributi archeologici e critici.

    Tra gli edifici che la ricoprivano era in primo luogo la cattedrale costruita da Costantino nel IV secolo; una seconda basilica fu fondata dal vescovo Stefano I alla fine del V secolo, fu dedicata al Salvatore, ma dal nome di chi la fece costruire fu sempre chiamata Stefania. Un altro edificio che componeva l’insula episcopalis è il battistero di San Giovanni in Fonte, il più antico dell’Occidente; un secondo battistero, oggi scomparso, fu voluto intus episcopio dal vescovo Vincenzo, sul finire del VI secolo. Vincenzo fece costruire anche un accubitum, una specie di triclinio o cenacolo, cioè il luogo dove i sacerdoti si riposavano durante gli intervalli delle lunghe cerimonie liturgiche, come a Pasqua e a Pentecoste.

    Tra il praetorium e l’episcopio, nel cuore della città, nelle zone dove più intensa era la vita cittadina, sorsero per opera dei vescovi napoletani una serie di chiese e monasteri.

    Tra esse, è da ricordare particolarmente quella sorta sul promontorio di Pizzofalcone, dove si stanziò una comunità cenobitica che divenne, nel giro di pochi anni, uno dei centri più influenti della cristianità ed ebbe in usufrutto gran parte del territorio ai piedi della collina del Monte Echia. Tale comunità di monaci e altre che intanto si erano impiantate nella città diedero anche l’avvio per la creazione di nuovi centri affini in diverse zone al di fuori delle mura cittadine.

    016

    Il popolo

    Cittadini, politici e amministratori

    Sembra provato che per tutta la tarda antichità restarono sostanzialmente immutati gli ordinamenti romani con l’antica struttura sociale, compresa la divisione amministrativa in fratrie, che altrove tendono, comunque si chiamino, a scomparire in epoca ellenistica. Napoli manifesta una vita cittadina decadente e contraddittoria, al punto che molti storici, sulla scorta di una carente documentazione e suggestionati dal silenzio delle fonti, si sono orientati a ritenere la Napoli del IV e V secolo una città immobile, appartata, chiusa in se stessa; pur se la visione esterna di Neapolis, del suo golfo e delle sue decantate bellezze appariva allora come quella di sempre.

    Qualche studioso ha ipotizzato una recessione demografica durante il V secolo e la prima metà del VI, ma si può ritenere con maggiore probabilità che nel V secolo la composizione etnica della comunità napoletana non si sottragga al destino comune delle genti del Meridione e subisca delle significative trasformazioni e mutazioni.

    Certamente, durante la fase ostrogotica Napoli è oramai sotto il dominio di Teodorico, sede del comes goto e centro nevralgico della comitiva Neapolitana, che è una delle molte organizzazioni politico-militari dislocate nelle varie province ostrogotiche italiane. Successivamente, dalla conquista bizantina in poi, si nota una lenta trasformazione del governo ducale della città: prima chiaramente dipendente dai Bizantini, poi orientato verso un’autonomia sempre maggiore, anche se mai acquisita giuridicamente e costantemente mascherata sotto il velo dell’ossequio formale.

    L’amministrazione civile fu completamente assorbita da quella militare, come provano i molti indizi nei documenti fino ai secoli VI e VII; ma il popolo napoletano non era composto soltanto da soldati e ufficiali dell’esercito, locali o stranieri, né c’erano soltanto dei seniores o dei nobiliores.

    Accanto a essi, i testi ricordano ora i cives, ora il populus, ora la plebs e si tratta della maggioranza degli abitanti della città e della campagna, variamente articolati in gruppi, in corpi, in ceti: tra loro sono mercanti, artigiani e, al di sotto, i coltivatori della terra, che nelle testimonianze antiche vengono ben distinti in servi o liberi, cioè piccoli proprietari, coltivatori liberi, variamente legati a un dominus, personalmente o anche attraverso il possesso di un pezzo di terra non loro.

    Gli schiavi, il cui commercio fu appannaggio degli ebrei che li importavano dalla lontana Gallia, furono all’ultimo posto della gerarchia sociale napoletana.

    Fedeli, laici ed ecclesiastici

    Il clero prima del Medioevo occupò a Napoli, come in molte altre città d’Italia, una posizione sicuramente privilegiata. Aspreno fu il primo vescovo leggendario della città; seguito da Epitimito, Marone, Probo, Paolo, Agrippino, Eustazio ed Efebo. Tra questi, Agrippino, per aver acquistato maggiore popolarità, viene definito dalle fonti «amico della patria e difensore della città». Comunque, è l’episcopato di Severo, tra il 364 e il 410, che può essere indicato come limite della periodizzazione della storia non solo religiosa ma anche civile di Napoli: esso rappresenta la irreversibile decadenza del paganesimo cittadino e la definitiva affermazione del cristianesimo. In questo periodo è sicuro che la scelta del vescovo era delegata al clero e al popolo, è così lecito affermare che la sua elezione rappresenta l’espressione della intera cittadinanza. Allo stesso modo un ruolo di primo piano ebbe, a parte il vescovo, il clero in genere, la cui composizione era aperta a tutte le classi ma anche fuori dal clero molti semplici credenti avevano un loro ufficio. È sicuro che la comunità cristiana fu eterogenea, ne facevano parte fedeli appartenenti sia a classi elevate o a una élite privilegiata, sia credenti appartenenti a gruppi sociali meno abbienti. Non mancarono stranieri e profughi; oltre a molti africani, ai vari celebri abati e ai molti ecclesiastici trasmigrati in città durante l’avanzata dei Longobardi, le testimonianze attestano numerose altre anonime presenze.

    L’economia e i servizi

    Industria e commercio

    Tra il IV e il V secolo a Napoli vi fu un’ulteriore espansione della grande e grandissima proprietà terriera. I grandi proprietari, e dove era possibile gli stessi contadini, provvedevano da soli ai propri bisogni, ma pochi e rozzi erano gli utensili: aratri, falci, zappe, vanghe, roncole, scuri, reti, lenze e lacci. La qualità e la natura della produzione agricola permettono anche di ricostruire parzialmente il genere di alimentazione seguita a Napoli. Il pane costituì l’alimento più importante; tra i prodotti dell’orto, invece, i napoletani consumarono preferibilmente lattughe, cavoli, rape, cicorie, zucche, piselli, ceci, fave, mangiavano più di rado gli asparagi e i carciofi. Apprezzavano i funghi, che cucinavano insaporendoli con il miele, il latte e talvolta con il vino. Sulle loro tavole fu sempre presente frutta fresca, che mangiavano prima, durante e fuori dai pasti; apprezzavano l’uva e i fichi, poi le mele, i meloni, le noci e soprattutto le castagne, come attesta Plinio il Vecchio.

    Ma ai napoletani piaceva anche la carne, soprattutto insaccata o essiccata; oltre al maiale, al manzo e al capretto, prima del Medioevo mangiavano anche il pavone e il pappagallo. Ma in città furono sempre assai graditi i piatti a base di pesce, cucinato nei modi diversi e con le salse più svariate.

    Tra i mestieri esercitati in città, è probabile che dal V all’VIII secolo saranno stati attivi a Napoli un certo numero di sarti e di tessitori, e soprattutto di fabbricanti di lino, che divenne nel Medioevo il principale prodotto industriale di Napoli e veniva venduto in tutto il Mediterraneo. Furono presenti anche falegnami, vasai, sellai, ferrai, armaioli, muratori, costruttori di navi, calafati. Certa è la notizia di artigiani specializzati nella fabbricazione di sedie impagliate. Una epistola di papa Gregorio Magno, risalente al febbraio del 599, ricorda il corpus sapunariorum, una libera associazione cioè di fabbricanti di sapone.

    Molto apprezzati furono i pittori e i decoratori, oltre agli architetti. Infatti, la notevole attività edificativa di chiese e monasteri da parte di vescovi e ricchi benefattori richiese la presenza di valenti progettisti o mechanici, che saranno stati in massima parte stranieri.

    Acquedotti e terme

    Gli abitanti di Napoli fin dall’epoca del primo insediamento dovettero preoccuparsi di far giungere in città dall’esterno l’acqua necessaria, cioè fu necessario costruire acquedotti, che rimasero in uso almeno fino al V-VI secolo, come prova la chiara testimonianza di Procopio di Cesarea. Quando Belisario, generale di Giustiniano, assediò la città nel 537, provò a tagliare il condotto che portava l’acqua alla città, ma il suo tentativo fallì, poiché i pozzi, che erano entro le mura, fornivano il necessario per i bisogni.

    Assai antico è l’acquedotto che captava l’acqua ai piedi del Vesuvio, il Bolla, che consisteva in un intricato sistema di cunicoli e cisterne che attraversavano il sottosuolo della città. Nell’Alto Medioevo fu attivo anche l’acquedotto erroneamente detto Claudio, che fu una delle più importanti opere idrauliche realizzate durante l’epoca augustea in tutto l’orbe romano; restaurato agli inizi del IV secolo, le sue buone condizioni ancora all’epoca vicereale motivarono il desiderio di farlo ripristinare e riattivare; era lungo 170 chilometri.

    A Napoli prima del Medioevo l’acqua, come altrove, servì anche per alimentare le molte terme, che gli amministratori della città si preoccuparono di fondare o abbellire o restaurare. I vescovi napoletani non le proibirono mai di fatto, solo raccomandavano ai fedeli l’astensione dai bagni caldi, snervanti, e la pratica di quelli freddi per sedare la carne.

    Un complesso monumentale di notevole importanza per la città furono le terme costruite da Nostriano, che formavano un tutt’uno con gli edifici che le circondavano. Nelle loro immediate adiacenze, circa duecentocinquanta anni dopo, il vescovo Agnello (672-694), preoccupato del buon funzionamento dei bagni pubblici non meno dei suoi predecessori, fece erigere una struttura assistenziale specificamente incaricata dell’igiene dei poveri, dei monaci e delle monache.

    La cultura

    Lingua e istruzione

    La caduta di Roma e le invasioni barbariche determinarono per Napoli il definitivo abbandono delle forme greche e, come per le altre città, causarono la diffusione tra i secoli III e V della lingua latina e contribuirono alla formazione di una parlata latino-napoletana.

    Chiuse le scuole pubbliche, dove i bambini tra i sette e i dodici anni apprendevano a leggere, Napoli ebbe, presso gli edifici, maestri che facevano largo uso della frusta, con la quale tentavano di migliorare lo studio degli alunni negligenti o indisciplinati; inoltre, si può supporre che fosse impartito l’insegnamento della musica e delle materie letterarie, grammaticali e retoriche, e probabilmente per un certo tempo anche del greco, soprattutto dal IX e X secolo, quando Napoli divenne il principale centro degli scambi intellettuali tra il mondo greco e latino.

    Il grande numero di cenobi e monasteri fondati a Napoli prima del Medioevo determinò la diffusione in città anche delle scuole monastiche; tra le più famose, quella fondata nel castrum Lucullanum, nella cittadella sorta intorno alla tomba che la nobile vedova Barbaria, o Barbara, aveva preparato per san Severino, l’eremita del Norico. Qui, durante la direzione di Eugippio, si raggiunsero livelli culturali e intellettuali riconosciuti universalmente.

    Architettura e arti figurative

    Napoli, con Cimitile (Nola), fu prima del Medioevo il polo di diffusione dell’arte cristiana più attivo e per ora meglio conosciuto dell’Italia meridionale, anche se molti altri centri campani, come pure pugliesi, calabresi e siciliani stanno dando in questi ultimi anni notevoli contributi per una conoscenza più articolata e sistematica dei relativi apporti culturali e tradizionali.

    Tra le costruzioni meglio conservate, soprattutto nell’impianto planimetrico, è la basilica di San Gennaro extra-moenia (fine IV-principio del V secolo, o secondo altri VI secolo), nei pressi dell’omonimo cimitero in seguito al trasporto del corpo del santo nella catacomba. Tra gli esempi più autorevoli della maestria tecnica raggiunta dagli architetti napoletani prima del Medioevo è l’abside mirabile della basilica urbana di San Giorgio Maggiore. Nella struttura muraria, unico resto dell’antica chiesa voluta dal vescovo Severo tra la fine del IV e il principio del v secolo, si aprivano, retti da colonne romane, tre archi che davano accesso a un ambulacro concentrico, che, secondo l’ipotesi di G.B. de Rossi, comunicava con la parte della basilica destinata a matroneo: da quella zona, retrostante la cattedra episcopale, le donne potevano seguire le azioni liturgiche e sentire le letture e le prediche dei sacerdoti.

    Nulla rimane di antico della grande chiesa voluta dal vescovo Pomponio nella prima metà del VI secolo; la chiesa era la più grande e la più antica delle basiliche napoletane a quel tempo dedicate alla Madonna. Interessanti frammenti architettonici e musivi sono stati recuperati negli scavi della basilica di San Lorenzo Maggiore. La chiesa, preceduta da un nartece, che pare fosse tripartito da triforia laterali su colonne, era tutta compresa nell’ambito dell’odierna navata ed era conclusa da un’abside, di cui si sono individuate le strutture di fondazione, su altre di età romana e greca.

    Un altro edificio molto interessante è il battistero di San Giovanni in Fonte: il monumento è l’unico esempio cittadino di edificio a pianta centrale, inoltre è espressione di peculiari soluzioni architettoniche nell’ambito dell’arte cristiana antica. La volta conserva mosaici i cui soggetti si richiamano al tema dell’acqua e del battesimo.

    Le decorazioni musive di San Giovanni in Fonte non sono gli unici esempi napoletani superstiti di tale tipo di decorazione; nell’età compresa tra III e VIII secolo il numero veramente notevole di mosaici può far pensare, anzi, a una vera e propria scuola di musivarii cittadini, che svilupparono particolari tecniche sia per le decorazioni pavimentali (opus tessellatum), sia per quelle parietali (opus musivum). Diffusi furono anche gli affreschi, che rappresentarono il corredo privilegiato dei monumenti funerari di Napoli. Più vicine e assimilabili alla cultura artistica orientale e bizantina furono le espressioni napoletane delle cosiddette arti minori (plutei, transenne, oggetti vari).

    La fede

    Santi e patroni

    Probabilmente anche a Napoli tra il IV e il V secolo d.C. le antiche forme di culto pagane furono abbandonate. I luoghi del culto antico furono sostituiti dalle chiese cristiane: templi pagani esistevano dove ora sorgono, per esempio, Santa Restituta, San Paolo Maggiore, i Santi Apostoli, San Giovanni Maggiore, San Giorgio al Pendino, San Gregorio Armeno, Santa Maria a Piazza, Santa Maria delle Grazie a Caponapoli, Sant’Agnello.

    Gli dèi greci e romani vennero rimpiazzati nel giro di pochi anni dai santi, come i culti e le cerimonie pagane furono convertite nelle feste religiose e nelle tradizioni folcloristiche cristiane. Un particolare culto fu riservato ai personaggi che l’arcivescovo Giovanni Orsini definì, nella XV delle Costituzioni Sinodali promulgate nel 1334, i principali patroni della città: con san Gennaro e sant’Agrippino, erano sant’Aspreno, sant’Efebo, san Severo e sant’Agnello.

    Gennaro di Benevento, vescovo e martire, fu un santo importato da un’altra città. Decapitato a Pozzuoli intorno al 305, il suo corpo fu portato nelle catacombe di Capodimonte dal vescovo Giovanni I, tra il 413 e il 432. Con lui a Napoli furono molto venerati i cosiddetti compagni di martirio: Festo e Desiderio di Benevento, Proculo, Acuzio ed Eutiche(te) di Pozzuoli e Sossio di Miseno.

    Molti santi ossequiati in città furono campani: Castrese di Castelvolturno, Elpidio di Atella, Felice e Paolino di Nola, Fortuna di Patria, Giuliana e Massimo di Cuma, Auditore, Nicandro e Prisco di Capua (o di Nocera), Renato di Sorrento, Vitaliano di Caudium; molti altri furono adottati, nel senso che furono oggetto di un culto particolare riservato solo ai concittadini: in questo gruppo vi sono personaggi morti a Napoli, come Quodvultdeus di Cartagine, Gaudioso di Abitine e i suoi compagni, immigrati alla metà del V secolo, e l’abate Habetdeus; ma anche santi che in città furono trasportati da morti, come Adriano e Patrizia, Severino del Norico e l’africana Restituta, i cui resti furono traslati in città alla fine del V secolo. I napoletani ebbero molta devozione anche per i grandi santi della Chiesa universale: innanzitutto Pietro e Paolo, quindi Lorenzo, Stefano e Giovanni.

    016

    Liturgia e cerimonie sacre

    La liturgia cristiana napoletana non conserva per i primi cinque secoli della Chiesa fonti dirette dalle quali risalire alla struttura e alla organizzazione delle cerimonie sacre. L’antico rito presenta diverse analogie con gli altri riti esistenti in Italia, con il gallicano e l’ispanico (impropriamente detto mozarabico). Si è potuto notare come nel VI-VIII secolo, a proposito della liturgia prebattesimale, per i catecumeni napoletani avevano luogo tre traditiones: la prima dei Salmi, nella terza domenica di Quaresima, la seconda del Padre Nostro, nella quarta domenica di Quaresima, e la terza del Simbolo, cioè del Credo, nella quinta domenica di Quaresima.

    In questi ultimi anni varie ricerche storiche hanno consentito di identificare e di ricostruire con precisione il percorso liturgico-monumentale che i catecumeni napoletani coprivano. L’importanza che la comunità napoletana attribuiva al primo rito, il battesimo, è dimostrata dalla presenza in città di tre battisteri: San Giovanni in Fonte (IV secolo), il Vincenziano o battistero minor (VI secolo) e il battistero di Paolo II, ricavato in un ambiente delle catacombe di San Gennaro tra il 762 e il 764.

    L’analisi dei capitularia evangeliarum, conservati in Inghilterra, e di altri documenti ha reso possibile ricostruire anche l’anno liturgico della Chiesa di Napoli tra i secoli VI e VII. Si è stabilito che nella liturgia napoletana il Tempo di Avvento, cioè il periodo che precede il Natale, era composto da tre settimane, durante le quali il mercoledì e il venerdì erano giornate destinate al digiuno, come prevedeva l’antico rito orientale tradotto in Occidente. Posto di rilievo aveva il tempo di quaresima (precedente la Pasqua), al quale sono collegate, oggi come nell’antichità, le cerimonie religiose tradizionalmente più ricche di simboli e di suggestioni. Dopo l’ottava di Pasqua, detta appunto domenica in albis, perché i catecumeni toglievano le vesti bianche indossate durante il battesimo, il tempo liturgico napoletano (come pure quello delle altre Chiese), prevedeva una serie di cinque domeniche, chiamate post albas paschae.

    Quindi, anche la comunità cristiana di Napoli celebrava le feste dell’Ascensione, della vigilia di Pentecoste e infine della Pentecoste.

    La vita religiosa

    Eresie e controversie

    Non pare che a Napoli si siano avuti riflessi significativi delle più antiche questioni dottrinali, come lo gnosticismo o il montanismo, fino ai primi anni del V secolo. Ciononostante, un segno di autonomia teologica la chiesa cittadina manifestò sicuramente, come dimostra la pittura ispirata al Pastore di Erma rappresentata nelle catacombe di San Gennaro, che prova l’accoglimento della dottrina penitenziale e inserisce quella comunità nella celebre contesa sulla penitenza del II-III secolo.

    L’eresia donatista non deve avere avuto in città nessuna eco rilevante. Più gravi furono le conseguenze della questione ariana. Infatti, alcune fonti ricordano che Fortunato di Napoli sarebbe tra i destinatari di una lettera dei vescovi orientali fuggiti dal concilio di Sardica, i quali avrebbero tentato di trarlo dalla loro parte. Anche il vescovo Zosimo, un tempo di fede nicena, sarebbe entrato nella cerchia imperiale ariana, tuttavia fu costretto alle dimissioni dopo un terrificante giudizio di Dio: ogni volta che prendeva la parola davanti al popolo durante le liturgie sacre, la lingua gli rimaneva fuori dalla bocca penzoloni, come a un bue ansante.

    Diffuso a Napoli fu anche il pelagianesimo. La Campania aveva conosciuto l’eresia dall’Africa, dove essa fu più diffusa e radicata; gli scambi frequenti tra le due coste furono il veicolo privilegiato per la propagazione delle idee di Pelagio. Nella regione poi Giuliano, vescovo di Aeclanum (oggi Mirabella Eclano, in provincia di Benevento), si era espressamente rifiutato di sottoscrivere la condanna contro i pelagiani, preparata a Roma. In seguito un altro esule aveva diffuso le sue idee, Floro, che con Pelagio, Celestino, Giuliano e altri, era stato condannato durante il concilio di Efeso del 431. Per questo il vescovo di Napoli Nostrano, preoccupato della situazione e sollecitato dal vescovo Quodvultdeus, mandò il proprio fratello e un gruppo di altri preti della città, coordinati da Erio, a sconfessare l’eretico.

    La lotta contro le immagini sacre fu un’altra controversia che ebbe ricadute nella sfera sociale e politica cittadina; iniziata intorno all’anno 730 dall’imperatore Leone III l’Isaurico, si svolse attraverso l’opera di altri due imperatori fino al 780, con una ripresa polemica fra gli anni 815 e 842. A Napoli fu coinvolto il vescovo Paolo II, il quale fu costretto a rimanere lontano dalla città per due anni.

    Luoghi e forme della pietà popolare

    Nei cimiteri di Napoli è attestato nell’età più antica il rito del refrigerium, che consisteva in un pasto funebre collegato alla morte, cioè cristianamente al riposo eterno, o all’anniversario dei defunti o dei santi: lo scopo principale era di portare giovamento all’anima del morto, allo stesso modo con cui oggi in suffragio dei propri cari si fa recitare una messa o si dicono preghiere.

    Diffuso fu anche l’impiego di corone d’alloro intorno al capo del defunto.

    Allo stesso modo, in alcuni casi nei cimiteri si sono ritrovati dei fiori secchi, a riprova che anche a Napoli questa usanza fu praticata, specie a partire dal IV secolo. Di frequente nelle sepolture sono state scoperte anche delle monete nella bocca dei morti: si tratta di un ricordo e di una tradizione non cristiana. Esteso fu l’uso delle candele e dei candelabri, il cui significato è strettamente connesso al simbolismo della luce, deporre lucerne nelle tombe risale all’antichità classica e richiama il simbolo della fede nella luce e nella vita imperiture. I napoletani non mancavano, allo stesso tempo, di dare a questa pratica un valore apotropaico contro le forze del male: per loro tramite erano tenute lontane le nefaste potenze delle tenebre, così si applicavano alle lampade segni magici e simbolici.

    Assai peculiare fu il rapporto dei napoletani con i propri santi; il fedele di Napoli prima del Medioevo doveva espletare alcune pratiche: vedere, con gli occhi della fede, pregare, per richiedere o ringraziare, compiere un voto, cioè eseguire la penitenza che gli è stata chiesta, ottenere un favore, tra i quali sono primariamente la guarigione. Le tombe dei santi divengono i luoghi privilegiati delle liturgie e dei riti, diventano proprietà dei fedeli. Sono rese accessibili a tutti e rappresentano il punto centrale delle forme di culto.

    Presso le tombe di alcuni di questi santi-vescovi alcuni testi antichi fanno ritenere sicura la pratica della incubazione, pratica derivata in certa misura del paganesimo. La consuetudine era comune ai Greci e ai Romani, consisteva nel dormire dentro i confini di un tempio allo scopo di ottenere una visione o la guarigione di una malattia o di un disturbo: tutti gli dèi potevano parlare nei sogni e offrire dei responsi. L’incubazione a Napoli fu celebrata soprattutto presso la tomba e il cubicolo di San Gennaro, nell’oratorio di Sant’Agrippino, forse anche in prossimità del sepolcro di San Severo e della tomba di San Gaudioso, e ancora nel recinto di altre chiese e sepolture importanti all’interno delle mura.

    Cento date da ricordare

    VII sec. a.C. Sullo scoglio di Megaris (Castel dell’Ovo), navigatori greci fondano Parthenope, scalo commerciale poi esteso fino a Monte Echia

    470 a.C. I cumani stabiliscono più a oriente il nuovo agglomerato urbano: Neapolis (l’attuale centro antico), distinta da Palepolis (la città vecchia)

    326 a.C. Neapolis, la graeca urbs, diviene città foederata di Roma

    89 a.C. Con la Lex Julia si concede la cittadinanza romana ai napoletani

    161-180 d.C. Sotto l’impero di Marco Aurelio inizia il declino della città, divenuta colonia romana

    303 L’editto di Diocleziano ordina la persecuzione dei cristiani. San Gennaro ne è la vittima più illustre

    476 Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano d’Occidente, vinto da Odoacre, è rinchiuso nel Castrum Lucullanum, sull’isolotto di Megaride

    536 Belisario, inviato da Giustiniano, conquista Napoli e l’annette all’impero bizantino

    661 Abolito l’esarca bizantino, è nominato duca Basilio

    763 Il duca Stefano II è eletto vescovo. Il ducato napoletano rivendica l’autonomia, divenendo elettivo e poi ereditario

    831 Nell’ennesimo tentativo di espugnare Napoli i longobardi trafugano le reliquie di san Gennaro

    832 Il duca Stefano III è trucidato da congiurati alleati dei longobardi

    848 La flotta partenopea, comandata dal console Cesario, sconfigge a Ostia i musulmani che minacciano Roma

    877 Papa Giovanni VIII scomunica il duca Sergio II in rapporti commerciali con i saraceni

    929 I saraceni attaccano il ducato napoletano dal mare, ma sono respinti dal duca Giovanni III

    1030 Il duca Sergio IV, in lotta con il principe longobardo di Capua Pandolfo, concede la contea di Aversa al normanno Rainulfo Drengot

    1077 Roberto il Guiscardo e Riccardo d’Aversa assediano Napoli che resiste per trenta giorni

    1137 Il duca Sergio VII si sottomette al re normanno Ruggiero II d’Altavilla. Napoli godrà di parziale autonomia rispetto alla capitale Palermo

    1155 Una rivolta popolare viene sedata con l’aiuto dell’aristocrazia cittadina fedele a Guglielmo I

    1190 Tancredi concede ai napoletani il privilegio di battere moneta d’argento

    1191 Napoli, difesa da Riccardo d’Acerra, resiste per tre mesi all’assedio di Enrico VI di Svevia

    1194 Muore Tancredi. I napoletani aprono le porte a Enrico VI

    1224 Federico II istituisce il 5 giugno lo Studium, prima Università statale al mondo

    1251 Riccardo Filangieri è il primo podestà, nell’ordinamento comunale autonomo approvato dal papa Innocenzo IV, contrario alla dinastia sveva

    1266 Il 7 marzo Carlo d’Angiò, sconfitto Manfredi a Benevento, entra solennemente a Napoli, primo sovrano francese

    1268 Il 29 ottobre Corradino di Svevia, ultimo erede di Federico II, è decapitato in piazza Mercato

    1282 Dopo i Vespri siciliani gli Angioini perdono l’isola e trasferiscono la capitale a Napoli

    1290 Per ordine di Carlo II affluiscono a Napoli gli archivi angioini, con sede in Castel dell’Ovo

    1302 La pace di Caltabellotta fra angioini e aragonesi sancisce la separazione del Regno di Napoli dalla Sicilia

    1309-43 Regna Roberto d’Angiò, figlio di Carlo II

    1343 Il 20 gennaio re Roberto muore, designando alla successione la nipote Giovanna

    1352 A maggio è incoronato re Luigi di Taranto, secondo marito della regina Giovanna

    1382 Il 27 luglio la sovrana angioina viene soffocata per ordine di Carlo III di Durazzo re d’Ungheria

    1386 È proclamato re Ladislao di Durazzo, con la reggenza della madre Margherita

    1414 Alla morte di Ladislao, il Regno passa alla sorella Giovanna che, assediata dagli angioini e dagli Sforza, chiama in causa Alfonso d’Aragona, adottandolo

    1443 Il 22 febbraio, dopo avere a lungo assediato Napoli, Alfonso entra vittorioso in Castelnuovo. Il 28 febbraio convoca il primo parlamento

    1444-49 Alfonso I istituisce la Regia Camera della Sommaria e il Sacro Regio Consiglio

    1458 Alla morte del Magnanimo, il 27 giugno, subentra sul trono di Napoli il figlio naturale Ferrante

    1479 Prammatica di Ferrante I del 4 giugno sulla cittadinanza napoletana concessa ai forestieri

    1485-87 Lotta di Ferrante contro i baroni congiurati, arrestati e infine giustiziati

    1495 Con la capitolazione del 5 marzo Carlo VIII di Valois istituisce il seggio e l’eletto del Popolo, con sede nel convento di Sant’Agostino

    1503 Il Regno di Napoli è dominio spagnolo. Il 16 maggio si insedia il primo viceré Consalvo de Còrdova

    1510 Il 23 settembre scoppia una rivolta popolare contro il tentativo d’introdurre l’Inquisizione spagnola a Napoli

    1522-50 Il viceré don Pedro de Toledo inaugura una politica assolutista e antifeudale, contro gli abusi baronali

    1540 Don Pedro stabilisce l’unificazione dei tribunali e dei loro archivi in Castel Capuano

    1547 Nuova resistenza popolare all’Inquisizione all’uso di Spagna

    1585 Il 7 maggio l’eletto del Popolo Giovan Vincenzo Storace è ucciso dalla folla inferocita per il rialzo del prezzo del pane

    1599 È rinchiuso in Castel Nuovo Tommaso Campanella, accusato di congiura antispagnola

    1647 Il 7 luglio scoppia l’insurrezione antispagnola capeggiata da Giulio Genoino e da Masaniello, giustiziato nel convento del Carmine il 16 luglio

    1656 L’epidemia di peste causa circa 250 mila morti, metà dell’intera popolazione

    1683-85 Il viceré marchese del Carpio conduce la lotta al banditismo e alla feudalità coinvolta

    1701 Congiura dei nobili, capeggiati dal principe di Macchia e da Tiberio Carafa, in favore dell’intervento austriaco

    1707 Il 7 luglio s’insedia il primo viceré austriaco: il conte Giorgio Adriano von Martinitz

    1734 Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese e di Filippo V diviene re di Napoli, in seguito alle guerre di successione austriaca

    1734-37 Sono istituite le Segreterie di stato e la Real Camera di Santa Chiara, in sostituzione del Consiglio Collaterale

    1741 Con il Concordato stipulato il 2 giugno con il papa Benedetto XIV si limitano alcuni privilegi ecclesiastici

    1759 Carlo torna in Spagna dove viene incoronato re. A Napoli regna il figlio Ferdinando IV, di otto anni, affidato al Consiglio di Reggenza

    1767 Bernardo Tanucci è nominato primo ministro. Fra le riforme promosse: l’espulsione dei Gesuiti e l’organizzazione dell’istruzione pubblica in senso laico

    1775 La lotta di Tanucci alle logge massoniche, favorite dalla regina Maria Carolina, gli costa l’incarico

    1786 Il ministro John Acton organizza la riforma militare e l’anno dopo istituisce l’Accademia della Nunziatella

    1792 Conflitto diplomatico con la Francia: arriva nel golfo la flotta comandata da Latouche Tréville

    1793 Dopo l’esecuzione del re di Francia, i reali di Napoli si accordano con l’Inghilterra, che invia le navi al comando dell’ammiraglio Nelson

    1794 Il 3 ottobre si conclude il processo contro i patrioti filofrancesi, con le esecuzioni di De Deo e Vitaliani

    1798 Sconfitto dalle truppe francesi, Ferdinando fugge da Napoli il 23 dicembre

    1799 Il 21 gennaio viene proclamata la Repubblica Napoletana. Il cardinale Ruffo organizza l’armata realista e dalle Calabrie giunge in città il 13 giugno

    1799-80 La Giunta di Stato emana duecento condanne a morte. Muoiono fra gli altri la Pimentel e la Sanfelice, Cirillo, Pagano, Caracciolo

    1802 Ferdinando torna a Napoli, dove conduce una politica di neutralità sul fronte esterno, mentre Maria Carolina trama in direzione antifrancese

    1806 Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, è re di Napoli, Ferdinando fugge ancora a Palermo

    1808 A maggio Gioacchino Murat sostituisce il cognato Giuseppe

    1815 La Convenzione di Casalanza stabilisce il ritorno di Ferdinando a Napoli, primo re del Regno delle Due Sicilie

    1818 Nuovo Concordato con lo Stato pontificio

    1820-21 In seguito ai moti liberali, Ferdinando concede la Costituzione e convoca il Parlamento. Ma a Lubiana cede alle forze della restaurazione

    1825 Alla morte di Ferdinando I gli subentra il figlio Francesco I

    1835 Ferdinando II ordina il trasferimento degli archivi del Regno nel monastero dei Santi Severino e Sossio (attuale Archivio di Stato)

    1848 Il 10 febbraio Ferdinando concede la Costituzione. Il 15 maggio scoppia la rivolta sedata nel sangue

    1856 Attentato al re di Agesilao Milano

    1859 Muore Ferdinando II. Regna Francesco II, ultimo re di Napoli

    1860 Il 7 settembre Giuseppe Garibaldi entra a Napoli. Il 21 ottobre si vota con il plebiscito l’annessione al Regno d’Italia

    1861 Il 19 maggio hanno luogo a Napoli le prime elezioni amministrative

    1863 Il parlamento nazionale approva la legge Pica contro il brigantaggio nelle province meridionali

    1870 In settembre è eletto Paolo Emilio Imbriani, primo sindaco della Sinistra

    1884 Dal 9 maggio è sindaco Nicola Amore. Il colera pone all’attenzione nazionale la questione Napoli

    1889 Il 15 giugno si inaugurano i lavori del Risanamento

    1900 L’8 novembre è istituita la Commissione d’inchiesta sulla condizioni della città di Napoli, presieduta da Saredo

    1904 A seguito della legge speciale dell’8 luglio sullo sviluppo dell’area industriale, viene costruito lo stabilimento siderurgico dell’ILVA a Bagnoli

    1911-12 Comincia il processo Cuocolo che rivela l’entità del fenomeno camorristico

    1914 In giugno scioperi e sollevazioni popolari caratterizzano la Settimana Rossa

    1919 Il 30 marzo si costituisce il Fascio napoletano di combattimento

    1924 Il 20 maggio Giovanni Amendola fonda a Napoli l’Unione Meridionale antifascista

    1925 Viene istituito l’Alto Commissariato per la provincia di Napoli

    1938 Il 5 maggio Hitler è a Napoli

    1940 Nella notte del 31 ottobre la città subisce i primi bombardamenti inglesi

    1943 Il 13 settembre il colonnello tedesco Schöll occupa la città. Dal 28 settembre al 1° ottobre si combattono le Quattro Giornate di Napoli

    1945 L’8 gennaio Gennaro Fermariello è sindaco di Napoli liberata. Il 4 luglio cessa il coprifuoco

    1946 Al Referendum istituzionale per la Repubblica, la maggioranza dei napoletani vota per la monarchia

    1950 In luglio viene istituita la Cassa per il Mezzogiorno. È sindaco Achille Lauro

    1973 Nuova epidemia di colera

    1980 Il terremoto, con epicentro in Irpinia, ha gravi ripercussioni a Napoli. Inizia la ricostruzione, accompagnata da gravi episodi di corruzione

    1993 Antonio Bassolino è sindaco di Napoli

    1994 È l’anno del G7, il Vertice internazionale dei Sette Grandi

    (Edizioni Archivio)

    Guida alfabetica ai misteri, ai segreti,

    alle leggende e alle curiosità di Napoli

    A

    Accademie

    Il termine accademia sta non solo a indicare un’associazione di dotti che si propongono la diffusione e la crescita della cultura, ma anche la sede, il luogo nel quale gli associati si ritrovano. Napoli fu sempre ricca di accademie, a cominciare da quella istituita, sotto Alfonso d’Aragona, da Antonio Beccadelli detto il Panormita, che prese poi il nome di Pontaniana, alle gloriose Accademie del Cinque-Seicento: dei Colonnesi, dei Rinforzati, de’ Filosofici, degli Oziosi, degli Investiganti, de’ Discordanti ecc. Naturalmente non mancarono i cultori del vernacolo presso varie Accademie, o ne ebbero di proprie, come quella degli Scatenati, fino a quella detta del Portico della Stadera (che fu dedotta da quella di giuristi detta de’ Semplici, nel 1725), di cui Nunziante Pagano illustrò in versi napoletani le venti leggi.

    Acque

    10 maggio, inaugurazione dell’Acquedotto del Serino in piazza Plebiscito. L’«Illustrazione italiana» così racconta l’esaltante momento della inaugurazione dell’Acquedotto del Serino in piazza Plebiscito:

    Ed allorché, avutone il permesso dai sovrani, l’onorevole sindaco Amore aprì il rubinetto e le acque, al tuonar del cannone, al suono dell’inno reale, vennero fuori da oltre cento bocche, innalzandosi nel centro in colonna compatta di circa trenta metri, ricadente su se stessa come argentea cascata, fu una frenesia di applausi e di evviva. Era la gioia di vederle queste famose acque, delle quali tanto si è parlato, per le quali tanto si è combattuto e alle quali tante speranze si uniscono [...] Centinaia di migliaia di persone girano intorno alla fontana. La fontana! Eccola la magica parola, eccolo il vero successo delle feste.

    E Silvana Pignalosa così continua nell’ampia e informata didascalia che si legge alla voce delle edizioni Archivio:

    Quel 10 maggio 1885 i napoletani rinnovavan – dopo oltre un millennio e mezzo – un’antica consuetudine con le acque del Serino le fonti erano già sfruttate in epoca romana dal grandioso acquedotto Claudio (I secolo dopo Cristo) il cui tracciato serviva Napoli, dai Ponti Rossi proseguiva verso Pozzuoli e Bacoli, qui riforniva la piscina mirabilis e confluiva a Miseno per l’approvvigionamento della flotta. Caduti in disuso gli impianti intorno al V secolo, Napoli per più di un millennio fu servita soltanto dall’acquedotto della Bolla alimentato dalle sorgenti del Monte Somma: le condutture entrano in città nella zona di Portacapuana, a una quota di soli tredici metri, tale quindi da poter rifornire solo le zone basse. Nel 1629 venne completato il canale del Carmignano, originato da sorgenti nella zona di Sant’Agata dei Goti. La nuova struttura si rivelò inadeguata a far fronte alla insufficienza idrica: l’acqua era di cattiva qualità, poco adatta agli usi alimentari, inoltre le canalizzazioni erano ancora a una quota troppo bassa per rifornire le zone collinari. Ma soprattutto la maggior parte della fornitura fu stornata dagli usi civici a favore delle manifatture e dei mulini, che già avevano ottenuto agli inizi del 500 l’assegnazione di metà delle acque della Bolla [...]. Delle fontane pubbliche, elemento caratteristico del paesaggio urbano, si serviva la cittadinanza che non disponeva di pozzi privati. Le fontane per gli usi civici alimentate dalle acque della Bolla, mentre il Carmignano riforniva soprattutto quelle decorative. Ma i napoletani dovevano ricorrere alle sorgenti interne. Nella prima metà del XIX secolo se ne contavano cinque: l’acqua del pozzo nel chiostro di san Pietro Martire, che alimentava molti pozzi e le fontane del Vico Carbone, di Porta Caputo, dei Tre Cannuoli; quella della Quaquiglia, o Aquila, che aveva origine sotto il fabbricato di Santa Maria la Nova, la cui fontana era al Molo Piccolo; l’acqua sorgiva esistente nel casamento n. 30 a Piazza Francese, che confluiva in un pozzo pubblico al Molo, per il rifornimento dei bastimenti; quella del Leone a Mergellina; quella della Fontanella di Santa Lucia. Rimaneva irrisolto il problema della fornitura delle zone collinari, nelle quali pullulavano le raccolte dei pozzi di acque pluviali, numerosi anche in altre aree a compensazione della cronica insufficienza idrica: all’inizio dell’800 se ne contavano 9.000.

    Intorno agli acquedotti napoletani circolano storie di sapore leggendario. Si dice che Belisario sia entrato in città nel 537 attraverso le condutture della Bolla e che abbia distrutto l’Acquedotto della Bolla Claudio, il Croce attribuisce una storia del tutto simile ad Alfonso I che sarebbe penetrato nella Napoli angioina con le sue soldatesche nel giugno del 1441 attraverso i cunicoli dell’Acquedotto della Bolla che conducevano a un pozzo in pieno centro urbano.

    Aquila o Acquaquilia (Sorgente) – scomparsa

    La vena principale di questa sorgente correva sotto il monastero di Santa Maria La Nova.

    Vi si accedeva dal pozzo della struttura monastica, ma l’acqua sgorgava anche da una fenditura della roccia tufacea in via del Cerriglio, alle spalle del monastero. Da qui, una conduttura la trasportava fino alla fontana del Molo Piccolo che era caratterizzata da una grande conchiglia che raccoglieva l’acqua. Proprio da una corruzione del termine napoletano quaquilia (conchiglia) prese il nome la fonte Acquaquilia.

    L’acqua della sorgente di Acquaquilia, a parte la freschezza e la purezza, non presentava particolari caratteristiche. Non era molto leggera come quella di San Pietro Martire, ma era comunque abbondante durante tutti i mesi dell’anno.

    Astroni (Fonte degli)

    L’acqua del Bagno degli Astroni era probabilmente già conosciuta dai Greci che avevano colonizzato la costa e le isole della Campania. Chi, invece, sfruttò in maniera intensiva le sue qualità terapeutiche furono i Romani. Allora, l’area che oggi conosciamo come Parco degli Astroni (un cratere di origine vulcanica ricoperto da una folta vegetazione) si presentava molto diversa: un’attività vulcanica più intensa di quella attuale disseminava il terreno di fumarole e la vegetazione era più rada. Altri due piccoli laghi circondavano il laghetto che ancora oggi occupa il fondo del cratere e l’acqua del Bagno degli Astroni sgorgava a una temperatura tanto elevata da consigliare immersioni molto rapide per evitare il pericolo di scottature.

    Così un anonimo medico napoletano, vissuto durante il regno di Roberto d’Angiò, ne descrisse le qualità terapeutiche nel libro I Bagni di Pozzuoli:

    Con nome volgare è chiamato Astroni, giova ai denti rilasciati dal reuma, restituisce al suo posto l’ugola flaccida, giova all’ugola che per reuma soffra di raucedine; è di giovamento agli occhi lesi e alla tosse. In quest’acqua così calda troppo non devi stare. Una moderata immersione elimina i fastidi e ti ridà l’appetito se ti ci sai bagnare. Ogni tipo di reumatismi guarirai se i consigli che ti ho dato seguirai. Toglie la pigrizia alle membra, rischiara la voce e la gola, lenisce il petto, impedisce che il catarro fluisca dalla testa.

    La sorgente del Bagno degli Astroni è stata inghiottita dalla terra nel corso dei movimenti bradisismici che per migliaia di anni hanno interessato la zona.

    Balneolo (Fonte di)

    La sorgente del Balneulum Balneoli si trovava ai piedi del Monte Olibano, a Bagnoli, lungo l’attuale via di Pozzuoli. Utilizzata sin dal periodo greco, fu sommersa dalla cenere e semidistrutta durante l’eruzione del Monte Nuovo del 1540. Nel 1666, il viceré don Pedro de Aragona incaricò il medico irpino Sebastiano Bartolo di ripristinarla. La sorgente era considerata dai napoletani la dimora di un dio, la fonte delle fonti, quella che riuniva in sé tutte le qualità terapeutiche delle altre acque termali. Le sue acque assicurarono una miracolosa guarigione al principe Santo Buono de’ Caracciolo, colpito da impotenza e salvarono la vita alla principessa Eleonora Vallis Boschi, ammalatasi dopo un aborto.

    Nel 1865, quando la sorgente era ormai dimenticata, durante i lavori di dissodamento di un terreno di proprietà del professor Carmelo Patamia, i badili dei contadini urtarono contro i resti della fabbrica fatta realizzare dal Bartolo. Lo scavo portò alla luce l’intera struttura e anche la vecchia sorgente. Fu allora che Patamia realizzò lo Stabilimento termale del Balneolo. L’iniziativa ebbe una discreta fortuna, soprattutto negli anni a cavallo dei due secoli, quando sembrò che l’intera zona litoranea potesse riscoprire la sua vocazione per il termalismo.

    Nel 1910, mentre l’Italsider apriva i battenti, il povero professor Patamia morì e sulla sua eredità scoppiò una feroce battaglia legale.

    Alla fine, i creditori degli eredi ottennero dal tribunale l’espropriazione dei beni. Lo stabilimento Patamia fu trasformato in civili abitazioni.

    Così ne sono descritte le qualità terapeutiche nel libro I Bagni di Pozzuoli:

    Chi vuol fuggire da ogni infermità in questo luogo trova tutta la salute. Ti cura il capo, lo stomaco e i reni, dai piedi alla testa, tutto ti sanerà; se la sua mirabile acqua spesso berrai dai tuoi occhi tutta la caligine leverai.

    Qui, chi è deperito può ingrassare e ritrovare il perduto appetito. Giova ai consunti per fame patologica, consuma la materia della febbre terzana e anfimerina.

    Questo bagno può fare quello che non possono né il Sole né la Luna però Napoli lo deve coltivare e molto spesso visitare.

    Dell’antica e miracolosa acqua del Balneolo Bagnuolo si sono perse le tracce, ma tra le decine di palazzi e villette che hanno ricoperto l’area delle terme del Balneolo, sotto la parete a mare del Monte Dolce, c’è qualche pozzo che potrebbe essere in collegamento con l’antica fonte.

    Barbara (Sorgente di Santa) – scomparsa

    Questa sorgente correva sotto piazza Francese, nella zona del porto, e alimentava i pozzi di due fabbricati. «L’acqua sorgiva del pozzo esistente nel casamento n. 30 a Piazza Francese – scrive il Celano – per un condotto anima prima un pozzo nel casamento n. 2 alla strada del Piliero, e dopo fluisce in un pozzetto che trovasi sulla banchina del Molo nel principio della strada del Piliero».

    L’acqua della sorgente di Santa Barbara non presentava particolari caratteristiche. Non era molto abbondante in nessun periodo dell’anno, ma non mancava mai. Se ne approvvigionavano i bastimenti che facevano scalo nel porto di Napoli.

    Calatura (Fonte di)

    Cinquanta metri più avanti del Balneulum Balneoli, verso Pozzuoli, dove il Monte Dolce declina, si trovava l’antica sorgente di Calatura. Verso la fine dell’Ottocento, su due diversi rami della fonte nacquero le Terme minerali Di Leo e le Terme Vitolo.

    Così l’anonimo medico napoletano, vissuto durante il regno di Roberto d’Angiò, ne descrisse le qualità terapeutiche nel libro I Bagni di Pozzuoli:

    Questo bagno, che è detto di Calatura, sana dalla tosse e dà quiete al polmone. Dai reumatismi spesso libera tutta la tua persona, lo stomaco fortifica come un leone. In questo bagno cresce l’appetito e mangiare spesso ti fa piacere.

    Il volto rende chiaro e conforta mente e cuore. Dal tuo corpo e dal viso elimina il lividore. Libera dalle malattie dei polmoni, elimina i bruciori della tosse. Se sospetti di essere tisico, non stare fuori. Se spesso entrerai in questo lavacro, né tosse né corpo debilitato avrai. Ti dò un consiglio: se hai un inizio di tisi, seguita a venire in questo bagno, altrimenti per curarti potresti spenderci tutto il denaro della Zecca. Perché

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