Il ragazzo delle api
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Anteprima del libro
Il ragazzo delle api - Cristiano Pedrini
Duval
Capitolo Primo
Il ragazzo del miele
La calma è la base dell'apicoltura, se non hai calma impara ad averla. Era una frase che Jeremy aveva imparato a memoria, quasi un mantra che si era sentito ripetere molte volte dagli apicoltori che aveva frequentato prima di decidersi a mettersi in proprio.
La coppia di persone anziane, che aveva quella piccola azienda, all’inizio lo aveva accolto con un certo sospetto; forse i due temevano che un ragazzo così giovane non potesse affezionarsi a quel genere di lavoro. Con il passare del tempo Jeremy aveva dimostrato a Annie e Thomas che voleva davvero apprendere tutto quello che era necessario per vivere di quella professione e lo avevano accontentato.
La ritrosia di mostrare i loro piccoli accorgimenti e segreti non li aveva neppure sfiorati e nelle settimane in cui, ogni giorno, il ragazzo si era presentato in quel piccolo podere, alle porte di Red Deer, non gli avevano lesinato i consigli. In cambio Jeremy aveva offerto il suo impegno, aiutandoli in ogni lavoro, anche quello più umile.
Aveva appreso molto da loro, che erano apicoltori da quasi vent’anni, come l’uso dell’affumicatore per calmare le api. Aveva compreso che impiegarlo rappresentava comunque un fattore di stress per i piccoli insetti e cercava di usarlo il meno possibile. Aveva appreso anche come muoversi attorno alle arnie, riducendo i movimenti bruschi, che avrebbero potuto mostrarlo alle api come un predatore.
«Anche il nostro respiro deve rispettare l’alveare» gli aveva ricordato una volta Thomas facendolo sedere su una panca di legno, sotto un vecchio acero, a pochi metri dalle arnie. «Chiudi gli occhi e respira piano, con regolarità… deve divenire qualcosa di ritmico, come le note di una melodia» cercò di spiegargli posando le sue mani screpolate dal lungo lavoro nei campi sul petto del ragazzo. Fece una lieve pressione sul diaframma, aiutandolo a rendere la respirazione regolare.
Per Jeremy quell’apprendistato aveva gettato le basi per l’idea che da tempo lo aveva quasi ossessionato; quando si era avvicinato la prima volta alle arnie dopo aver indossato le protezioni, gli insetti lo avevano circondato e lui era rimasto immobile, intento a osservare i movimenti lenti e dolci di Annie mentre sistemava i teli spostando dolcemente le api che vi erano posate sopra.
«Le api possono emettere dei feromoni d’allarme. Se per errore schiacci una di loro, questo può mettere sul chi va là anche le altre… ecco perché devi porre molta attenzione ai tuoi gesti» spiegò la donna, osservandolo da dietro le sue grandi lenti rotonde.
Jeremy in poco tempo fu in grado di imitare i movimenti dei due anziani apicoltori; la sua capacità di tenere il mondo e tutta la sua frenesia lontani da quell’angolo di bosco, dove la natura seguiva unicamente i suoi ritmi, suscitava in loro sorrisi compiaciuti.
Ma il ragazzo sembrava andare oltre… Spesso lo scorgevano seduto a pochi metri dalle arnie e avevano la sensazione che trovasse piacere sono nell’osservarle, respirandone i mille odori. Sì, Jeremy si era accorto che rimanere a contatto con quegli insetti gli permetteva di riacquistare la propria autonomia, il proprio spazio nel mondo, ponendo ogni cosa in secondo piano. In uno dei tanti libri che aveva letto aveva trovato di frequente la parola apeterapia, il cui cardine era semplice: integrare la propria vita con le ore vissute insieme alle api poteva diminuire lo stress… All’inizio non ci aveva creduto, ma ora si stava accorgendo che in quelle teorie c’era qualcosa di vero e lui lo stava provando sulla sua pelle. Aveva forse trovato un modo di ricominciare una nuova vita?
I ricordi dell’ultimo giorno trascorso con loro erano un prezioso tesoro che avrebbe conservato per sempre nella sua memoria, come il sapore di quella torta al miele che Annie gli aveva preparato. Una ricetta tramandatale da sua madre, che ricordava molto la Lemon pound cake, il tipico dolce americano al sapore di limone.
«Ricordati che ogni volta che avrai bisogno di qualcosa, sai dove trovarci» gli ricordò la donna tagliando una grossa fetta del dolce e gliela diede su un piatto di ceramica.
«Siete stati molto gentili con me. Io non so davvero come ringraziarvi» confessò Jeremy rimanendo in piedi, con il piatto tra le mani.
«Siamo noi che dobbiamo ringraziarti per averci permesso di tramandare tutto quello che abbiamo imparato con anni di esperienza» gli disse Thomas inspirando l’aroma di tabacco dalla sua vecchia pipa di radica. «Ma l’insegnamento più grande lo avevi già appreso prima di venire qui. Quello di imparare a vivere con i ritmi delle api, di lasciare che essi ci insegnino che tutto va fatto con i modi e i tempi giusti.»
Jeremy si accomodò al tavolo e osservò fuori dal vetro le arnie che si intravedevano a distanza. Quante volte, nelle settimane passate, aveva interrotto le sue giornate di lavoro per gustare la cucina di Annie, o per svegliare Thomas dopo il riposo pomeridiano che si concedeva al termine del pranzo. La piccola roulotte bianca che i due usavano come alloggio quando erano nel loro podere sembrava essere lì da sempre, a pochi passi da alcuni pini che la riparavano dal sole. E anche se la vernice era in parte scrostata dal tempo, l’interno, dai tenui colori pastello, era accogliente, forse anche grazie alle piante che Annie aveva disseminato un po' ovunque, insieme ad alcuni quadri che abbellivano le pareti. Su tutti uno aveva sempre attirato l’attenzione del ragazzo. Il dipinto di un guerriero indiano, ritratto con gli indumenti di pelle e la lancia tra le mani. Era soprattutto il volto dalla pelle bronzea, con lunghi capelli neri, lisci, dai riflessi tendenti al blu, ad affascinarlo, e anche in quell’ultimo giorno non riuscì a non osservarlo.
«Ti piace?» domandò Annie.
«È… molto particolare…»
«Rappresenta un guerriero cree delle pianure. Fu Paul Kane, uno di quelli che oggi definiamo artisti-esploratori canadesi» raccontò Thomas indicando il dipinto. «Si unì a una spedizione commerciale raggiungendo Fort Garry, assistendo all’ultima caccia al bisonte, disegnando molti schizzi di Mount St. Helen e delle tribù che vivevano in quella zona.Quando fece ritorno a casa aveva con sé più di settecento disegni, decise che molti di essi divenissero soggetti di quadri che oggi sono esposti in diversi musei del Paese.»
«Confesso che non lo conoscevo affatto» ammise Jeremy gustandosi la sua torta. Notò Annie che scambiava uno sguardo furtivo con il marito, poi tolse dalla parete il dipinto e lo posò sul tavolo davanti agli occhi del ragazzo.
«Questa è solo una riproduzione, ma vorremmo regalartela lo stesso, così ti ricorderai di noi.»
«Io… non credo che mi dimenticherei di voi…» Ai suoi occhi quei due anziani erano i nonni che non aveva potuto avere. Li aveva incontrati quasi per caso e la sorte per una volta era stata benevola con lui.
Un anno dopo…
Il prossimo inizio dell’inverno, che portava con sé anche l’arrivo delle feste, non era un momento di felicità e speranza per Ethan… Al contrario, negli ultimi anni, era diventato del tutto indifferente a questo momento e poco importava se si trattasse di tradizioni o di riti e imposizioni legate al consumo sfrenato, ammantato da quell’ipocrisia soffusa che rendeva quei giorni quasi insopportabili.
Camminando lungo il viale si fermò davanti alla vetrina di un negozio. Si trattava di un’agenzia di viaggi che mostrava un ricco repertorio di offerte per trascorrere un periodo di riposo in località calde e invitanti. Non aveva mai pensato di andarsene in vacanza in quel periodo, forse sarebbe stata una buona occasione per evadere da quei giorni di festa. Riposare, lontano migliaia di chilometri dai primi freddi che avevano archiviato l’estate.
Entrò nell’agenzia, valutò le varie proposte che gli presentò una zelante donna di mezza età mostrandogli un numero imprecisato di dépliant e cataloghi. Si chiamava Odette, doveva ammettere che invidiava la sua vitalità. Una cinquantenne dava lezioni di voglia di vivere a un ventottenne che da tempo sentiva la sua vita trascinarsi giorno per giorno senza concedersi nessuna spinta a infrangere quella condizione di apatia.
La donna di colore si sistemò lo scialle fermato da una vistosa spilla d’oro di forma circolare con al centro una pietra rossa, e lo fissò.
«È molto bella» osservò Ethan indicandola. «Sembra antica.»
Odette la toccò con la mano annuendo. «Era di mia nonna, me la lasciò in eredità. La pietra è una ametista. Adoro questo suo colore così intenso.»
Il giovane la fissò per diversi attimi prima di tornare a sfogliare il catalogo delle offerte.
«Bene, Ethan, dimmi, hai già un’idea della meta? Caraibi, Hawaii… Sud America, Europa?» domandò la donna versandosi del thè da una teiera elettrica che aveva dietro la scrivania.
«Sinceramente no, vorrei solo passare qualche giorno al caldo» rispose Ethan indicando la vetrina dell’agenzia dalla quale si potevano scorgere i nugoli della prima neve accatastata ai bordi delle strade. «Quindi cosa mi consiglia?»
«Il caldo. Beh, perché non i Caraibi. St. John è incantevole, una delle Isole Vergini Americane, dove poter fare ogni genere di escursioni o semplicemente rilassarsi sulla spiaggia» rispose la donna porgendogli una nuova brochure.
Lo sguardo del giovane si posò all’istante sulle immagini, sicuramente ricercate e scelte per colpire i potenziali turisti ed effettivamente erano molto invitanti. «C’è una promozione per le coppie. Un prezzo davvero invitante.»
L’espressione di Ethan non riuscì a celare qualche istante di imbarazzo. Richiuse il dépliant e lo allungò verso la donna. «Veramente pensavo di andarci da solo» ammise e sfuggì al suo sorrisetto osservando in direzione della vetrina. Solo allora si accorse di una persona che se ne stava davanti a essa. Guardava verso la strada, alternando lo sguardo all’interno dell’agenzia, come se cercasse qualcuno o qualcosa. Più di una volta lo vide portarsi le mani, coperte dai guanti, verso la bocca alitandovi sopra per riscaldarle. Sotto il berretto di lana blu, dello stesso colore dei guanti, delle lunghe ciocche di capelli castani davano un tocco di colore a quel volto pallido.
«Le interessa, quindi?» domandò Odette.
«Ci penserò qualche giorno» rispose Ethan tenendo lo sguardo fisso sulla vetrata. «Penso che accetterò la sua proposta.»
«Quel ragazzo è dannatamente cocciuto! Ma in fondo è una brava persona» disse la donna accompagnando quell’affermazione con un lieve colpo di tosse. «E il suo miele è davvero eccezionale.»
Ethan si voltò perplesso. «Miele ha detto?»
Odette aprì lo sportello dell’armadio che aveva alle spalle e tolse un barattolo da una busta di plastica. «Questo l’ho acquistato oggi. Forza, lo provi» lo invitò. Svitò il coperchio e poi allungò il contenitore per fargli annusare l’intenso profumo che emanava.
Il giovane si sentì un poco in imbarazzo ma volle accontentarla. Si sporse lungo la scrivania e odorò il contenuto dorato. Doveva ammettere, era intenso e diverso dal miele che aveva gustato. In realtà non ne era un grande consumatore, da piccolo sua nonna glielo dava spesso con del latte, ma crescendo lo aveva assaggiato ben poche volte.
«Sembra davvero invitante» ammise Ethan indietreggiando. «È lui a venderlo?»
Odette richiuse il barattolo riponendolo di nuovo nell’armadio. «Si presenta qui da diverse settimane. Ora, tornando alla sua vacanza, attenderò la sua risposta, ma non perda tempo perché questo pacchetto ha posti limitati.»
Dopo aver salutato la donna, Ethan uscì in strada. Aveva ancora alcune commissioni da sbrigare prima di ritornare a casa, ma non riuscì a resistere all’impulso di avvicinarsi a quel ragazzo che se ne stava accanto a un tavolinetto ripiegabile sul quale erano posati