Le scomode verità nasconste nella II Guerra Mondiale: Dalle donne vittime di soprusi e schiavizzate, al Governo americano spregiudicato e privo di scrupoli sullo sgancio delle bombe atomiche, fino alla complicità degli stessi americani nella fuga dei criminali nazisti
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Nello sterminio degli ebrei, la vile giustificazione dei soldati del Führer fu: “Mi sono limitato a obbedire a degli ordini”. Nel contempo tutto il popolo tedesco abbassò la testa e fece finta di non vedere. Una donna sopravvissuta ai campi di concentramento raccontò: “Avrei voluto essere un cane. Li aizzavano contro di noi e ci mordevano i genitali e il seno e poi per ricompensa venivano premiati con carezze e coccole smisurate”.
Il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki è stata una scelta incauta, premeditata e scellerata da parte del Governo americano. Proprio quella minoranza che aveva il potere in mano non volle sentire ragioni e prevalse su una larga maggioranza di teste sensate, tra cui scienziati e illustri personaggi i quali avevano espresso pareri negativi prospettando quindi altre soluzioni.
Infine altre verità scomode, tra cui la scomparsa dello scienziato italiano Ettore Majorana, il quale si era reso conto del grande pericolo della nuova bomba atomica, fino alla complicità del Governo americano nella fuga dei criminali nazisti e tra questi i loro scienziati.
Infatti l’utilizzo di quest’ultimi da parte degli USA è stato a tutti gli effetti un’arma di contrasto nell’imminente ascesa dei due blocchi USA e URSS nell’era della guerra fredda.
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Anteprima del libro
Le scomode verità nasconste nella II Guerra Mondiale - Michele Di Vincenzo
CAPITOLO 1
Il dramma delle donne schiavizzate
e delle violenze subite
Durante la seconda guerra mondiale, i soldati tedeschi avevano l’obbligo di usare il preservativo e venivano sottoposti a cure sanitarie, tra cui un’iniezione disinfettante nei genitali. Le prostitute no. L’atteggiamento dei nazisti nei confronti della prostituzione fu sprezzante e spregevole, soprattutto verso le prostitute polacche, con le quali commisero vere e proprie atrocità. Furono oggetto di soprusi da parte di soldati violenti e ubriachi. Quelle che erano affette da malattie veneree vennero internate negli ospedali e nessuna attenzione fu rivolta ai loro figli.
Addirittura, come riportato in una nota delle SS del 7 ottobre del 1939, furono assassinate 38 prostitute tutte insieme nella città di Bromberg perché si prevedevano per loro lunghi periodi di degenza e il forte timore del Führer era che, se rilasciate, avrebbero potuto trasmettere le malattie ai suoi soldati.
Sul fronte orientale, i tedeschi violentarono le donne russe mentre in Ucraina e Bielorussia rastrellarono e sterilizzarono le giovani donne e poi le assoldarono per soddisfare i desideri sessuali del loro esercito. Terminata la guerra, cambiò lo scenario, ma a farne le spese furono sempre le donne. Questa volta le vittime dei soprusi erano proprio le tedesche.
La Germania era totalmente distrutta e in una situazione di grave indigenza. Erano morti più di 15 milioni di soldati e pochi uomini giovani erano sopravvissuti. Così, in preda alla disperazione, le donne tedesche, pur di dare un sostegno economico ai loro figli, intrapresero relazioni sessuali con i soldati delle forze alleate. Ragazze e vedove furono costrette a prostituirsi in cambio di soldi, calze, cioccolato, vari altri generi alimentari e capi d’abbigliamento.
Nelle città tedesche, oramai ridotte a cumuli di macerie, queste donne intrattenevano i loro rapporti con i soldati nelle cantine, in condizioni igieniche deplorevoli. Ma la cosa che destò più scalpore fu l’enorme numero di gravidanze che si riscontrò in quel periodo nonostante la distribuzione di preservativi da parte dell’esercito americano ai loro soldati. Molte di queste abortirono manualmente e il più delle volte morirono dissanguate, mentre altre portarono a termine di nascosto la gravidanza e poi abbandonarono i nascituri in strada.
Sul fronte giapponese c’erano invece le cosiddette donne di conforto, le quali non erano altro che donne e ragazze costrette a far parte di gruppi di schiave al servizio dell’esercito giapponese. Si stima che l’Impero nipponico avesse schiavizzato più di 200.000 donne. L’idea di creare i centri del comfort aveva lo scopo di prevenire gli stupri di guerra, che avrebbero incrementato l’ostilità delle popolazioni locali contro i soldati giapponesi.
Queste donne provenivano dalla Corea, dalla Cina, dalle Filippine, dalla Thailandia, dal Vietnam, dalla Malesia, da Taiwan, dall’Indonesia e da altri territori occupati.
Queste ragazze furono prelevate dalle loro case e vennero ingannate con promesse di lavoro in fabbrica o nell’ambito della ristorazione. Una volta reclutate, venivano incarcerate e destinate nei centri preposti di altre nazioni, ove erano localizzati i soldati dell’esercito nipponico. Raccontò una donna olandese schiavizzata: "La peggiore violazione dei diritti umani commessa dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale è stata la storia delle donne di conforto. Nei centri del comfort, sono stata sistematicamente picchiata e violentata giorno e notte. Anche i dottori giapponesi quando venivano nei bordelli per visitarci a causa delle malattie veneree, mi stupravano ogni volta".
Lungo la linea del fronte, soprattutto nelle campagne dove vivevano meno persone, i militari giapponesi si imposero sui governanti locali affinché fornissero loro le donne per i bordelli. I militari giapponesi distrussero molti dei documenti per paura di essere perseguiti per questi crimini di guerra. La storia di tutte queste donne di conforto fu purtroppo indelebilmente segnata. La maggior parte morì e le poche sopravvissute persero la fertilità a causa dei traumi e delle malattie trasmesse. Una volta terminata la guerra, un soldato giapponese riportò la seguente testimonianza: "Le donne che lavoravano nei bordelli dovevano soddisfare i nostri desideri sessuali. Erano obbligate a fare orari prolungati: ogni giorno dovevano ricevere tra i trenta-trentacinque soldati. Piangevano, ma non c’importava se le donne vivevano o morivano. Noi eravamo i soldati dell’imperatore e sia nei bordelli militari che nei villaggi, violentavamo senza alcun timore".
Durante la seconda guerra mondiale furono commessi veri e propri crimini nei confronti delle donne anche sul fronte italiano. Nel 1942, gli americani sbarcarono ad Algeri e le truppe coloniali francesi del Nord Africa, fino ad allora agli ordini della repubblica filonazista di Vichy, si arresero senza sparare un colpo. Il generale Charles De Gaulle, fuggito dalla Francia occupata dai tedeschi e capo del governo francese in esilio, creò un corpo militare denominato MEF, costituito per il 60% da truppe coloniali (marocchini, algerini e senegalesi) e per il resto da francesi europei, per un totale di circa 110.000 uomini. Tra questi vi erano reparti formati esclusivamente da soldati marocchini (circa 8.000 unità combattenti), tutti provenienti da zone montane e strettamente legati fra loro con vincoli tribali e di parentela diretta. Indossavano il caratteristico copricapo arabo e vestivano una tunica di lana verde a bande verticali multicolori e ai piedi calzavano sandali di corda.
Oltre alla mitragliatrice portavano con sé il koumia, tipico pugnale ricurvo con cui, secondo una loro antica usanza, tagliavano le orecchie ai nemici uccisi per farne collane e ornamenti. A capo del corpo di spedizione francese in Italia misero il generale francese di origine algerina Alphonse Juin. Gli stupri delle truppe marocchine ebbero inizio nel luglio 1943, con lo sbarco alleato in Sicilia. I magrebini, non appena sbarcati a Licata, compirono saccheggi e violentarono donne e bambini presso il paese di Capizzi, vicino a Troina. A seguire gli Alleati, insieme al corpo militare del MEF, risalirono verso il centro Italia al fine di conquistare e cacciare dal territorio le truppe naziste. La loro avanzata si arrestò però a Cassino, dove nel maggio 1944, sulla Linea Gustav, i tedeschi si arroccarono e costituirono l’ultimo baluardo per una resistenza a oltranza. Dopo tre battaglie sanguinosissime e prive di risultato, l’avanzata degli Alleati era stata ormai bloccata.
Si fece allora avanti il generale francese Juin, il quale propose ai colleghi statunitensi Clark e Alexander l’aggiramento del caposaldo nemico. Difatti egli aveva scoperto che il monte Petrella, a est di Cassino, era stato lasciato parzialmente sguarnito dai tedeschi. In quelle zone, solo le sue truppe marocchine di montagna avrebbero potuto farcela. Gli Alleati avallarono la proposta del generale Juin. Nei fatti, le truppe marocchine riuscirono a sfondare la Linea Gustav. Gli ultimi soldati tedeschi sopravvissuti si diedero la morte, per non finire decapitati come gli altri loro commilitoni catturati. Nel proseguo delle azioni, le truppe marocchine allargarono a 360 gradi il loro raggio d’azione, così commisero crimini di guerra spietati anche nei confronti della popolazione locale. Fu l’inizio di un assurdo calvario. Ad Ausonia decine di donne furono violentate e uccise; lo stesso capitò agli uomini che tentavano di difenderle.
Dai verbali dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra risulta che anche due bambini di sei e nove anni subirono violenze. A Sant’Andrea, i marocchini stuprarono 30 donne e due uomini; a Vallemaio, due sorelle insieme a una sessantenne dovettero soddisfare un plotone di 200 soldati. A Esperia, furono 700 le donne violentate su una popolazione di 2500 abitanti. Anche il parroco, don Alberto Terrilli, dopo il suo tentativo di difendere due ragazze, fu legato a un albero e stuprato per una notte intera. A Pico, una ragazza fu crocifissa con la sorella. A Polleca si erano rifugiati circa diecimila sfollati, per lo più donne, vecchi e bambini in un campo provvisorio. Qui si toccò l’apice della bestialità. Furono stuprate bambine e anziane; gli uomini che reagirono furono sodomizzati, uccisi a raffiche di mitra, evirati o impalati vivi. I soldati marocchini violarono le abitazioni del posto e presero le donne; le trascinarono fuori di peso e le violentarono davanti a figli e familiari. Anche le donne anziane, di settanta e addirittura ottant’anni, furono violentate. L’età avrebbe dovuto costituire una difesa per queste donne, o almeno così ritenevano, tanto che le stesse non pensarono neppure di mettersi in salvo; anzi, convinte che sarebbero state rispettate, affrontarono direttamente i marocchini per dar tempo alle giovani di scappare e di rifugiarsi tra le montagne. Invece furono seviziate e violentate anche loro. Migliaia furono le donne contagiate da sifilide, blenorragia e altre malattie veneree, e spesso contagiarono i loro legittimi mariti.
Migliaia furono quelle ingravidate: il solo orfanotrofio di Veroli accolse, dopo la guerra, circa 400 bambini nati da quelle unioni forzose. Molte delle donne violentate dai marocchini furono poi ripudiate dalle famiglie e relegate ai margini della società e molte di loro si uccisero. Questa scia di sofferenze fisiche e psicologiche si trascinò per molti anni.
Oltre alle violenze carnali, vi furono moltissimi danni materiali tra furti, incendi e