Cucino ergo sum: Che ne sai tu di un campo di fave?
Di Eliselle e Carlo Vanni
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Info su questo ebook
La storia dei filosofi e delle loro filosofie contiene molti gustosi aneddoti che ci avvicinano a queste personalità dalle quali scaturivano tanti incredibili pensieri, facendoli compatire,
comprendere ed amare nella loro dimensione umana. Perché la filosofia si può imparare lungo infinite ore sui banchi di scuola, oppure con un bel piatto di pastasciutta ed un bicchiere di vino davanti: noi preferiamo la seconda opzione. E voi?
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Anteprima del libro
Cucino ergo sum - Eliselle
Carlo Vanni & Eliselle
Cucino ergo sum
Prima edizione eBook 2015 © Damster edizioni
ISBN 9788868102xx
Copertina e illustrazioni: Chiara Renda
Damster Edizioni
Via Galeno, 90 - 41126 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
Carlo Vanni & Eliselle
Cucino ergo sum
Che ne sai tu di un campo di fave?
Indice
INTRODUZIONE
LA REPUBBLICA DEI FICHI SECCHI
LE RICETTE DI PLATONE
Pancarré con fichi e salmone
Tagliatelle di farro con prosciutto e fichi
Involtini di spatola con prosciutto e fichi, profumo di mirto selvatico
Insalata di fagiolini, fichi e noci
Pitta ‘nchiusa
Torta di fichi e uva
Gelato di ricotta di capra con fichi e mandorle caramellate
VINI
CHE NE SAI TU DI UN CAMPO DI FAVE?
LE RICETTE PER PITAGORICI INDECISI
Flan di fave con besciamella e pesto
Falafel di fave
Macco di fave
Risotto di farro con asparagi e fave fresche
Spaghetti alla chitarra con le fave
Fave e cicorie
Fave fresche con salsiccia
VINI
MANGIARE DA CANI
LE RICETTE PER GLI ASPIRANTI CINICI
Pane d’orzo
Feta greca al forno
Insalata greca
Zuppa di lenticchie alla greca
Polpo alla greca
Alici gratinate al forno
Datteri di Afrodite ai frutti di Eros e miele
I VINI
PANE SECCO, ACQUA E ACETO
LE RICETTE S.P.Q.R.
Pane di farro
Uova in trippa alla romana
Asparagi con uovo e pecorino
Saltimbocca alla romana
Abbacchio allo scottadito
Ostriche lunari
Cassata di Oplontis
I VINI
SECOLI DI CATTIVI E BUONI UMORI
LE RICETTE AYURVEDICHE
Riso semplice all’indiana
Ceci saporiti
Tofu e funghi
Zuppa di lenticchie rosse
Torroncini di frutta fresca
Succo misto di verdure
Infuso caldo allo zenzero
MANGIARE DA RICCHI,
MANGIARE DA POVERI
LE RICETTE PER ASCETI E NON
Trote in carpione
Pesce alla griglia con erbe e spezie
Torta di erbe
Uova ripiene
Pollo all’arancia
Salsa camelina
Torta imbalchonata
I VINI
IL SALAME DISSETANTE
DI MONTAIGNE
LE RICETTE PER CHI CERCA L’APPETITO
Lumache in umido
Uova strapazzate alla francese con asparagi e tartufo
Pesce marinato
Baccalà con patate e olive
Cinghiale in umido con olive
Carciofi in padella
Gelato al melone
I VINI
CRITICA DELLA RAGIONE ETILICA
LE RICETTE PER KANT E COMPAGNIA
Baccalà mantecato tradizionale
Spalla di maiale con mostarda
Fonduta di formaggio
Mozzarella in carrozza
Insalata di pollo fredda
Torta di pere
Mousse alla ricotta
I VINI
VEDI TORINO POI MUORI
LE RICETTE PER NIETZSCHE
Risotto piemontese
Salsa verde o bagnet verd
Bollito misto
Bagna cauda
Cassoeula
Polenta
Salame di cioccolato
I VINI
RACCONTO
La Locanda dell’Oca
EPILOGO E NOTE
GLI AUTORI
Carlo Vanni
Eliselle
I Quaderni del Loggione
INTRODUZIONE
Se potessimo avere 10 euro per ogni volta che abbiamo sentito qualcuno dire che l’uomo è ciò che mangia, adesso non saremmo qui a scrivere questo libro. O forse sì, ma lo faremmo dettando frasi al nostro fido ghost writer inginocchiato al fianco delle nostre sdraie, mentre noi su una spiaggia polinesiana sorseggiamo qualcosa di fresco con un ombrellino dentro. Il ché vorrebbe dire che saremmo qualcosa di fresco con un ombrellino dentro, stando a ciò che diceva Feuerbach. Invece, Pitagora sarebbe stato di sicuro qualcosa di diverso dai legumi, che detestava; Schopenhauer probabilmente pollo con patate, e anche abbondante, Platone fichi secchi, Diogene pane e lenticchie, Nietzsche salsicce, Rousseau grissini, Kant baccalà e Wittgenstein sarebbe stato troppo occupato a masticare per dircelo (del resto, perché parlare quando non si ha niente da dire, o si ha la bocca piena?). Marx, dal canto suo, avendo avuto lo stomaco vuoto tutta la vita non è chiaro cosa sarebbe stato. Forse, una sovrastruttura.
Il bello è che Feuerbach non stava mica pubblicizzando qualche dieta dell’epoca; voleva solo rampognare i tanti pensatori con la testa tra le nuvole che era ottima cosa restare coi piedi per terra, dare un po’ di spazio al materialismo anziché rincorrere pregiudizi filosofici e credenze religiose che, messe in un piatto, finirebbero per saziare solo gente tipo, poniamo, Angelina Jolie. In tutto l’Illuminismo, per dire, ci sono meno calorie che in un gambo di sedano. E poi il suo era un gioco di parole: "L’uomo è ciò che mangia in tedesco suona
Der Mensch ist was er isst, quasi uguale a
L’uomo è ciò che è", che ci eravamo arrivati anche noi. Insomma, un burlone. Da qui a vedere intere generazioni di nutrizionisti appropriarsi della sua frasetta, disgraziatamente, il passo è stato breve, e ora ce la dobbiamo strozzare a ogni due per tre.
Ci è venuta l’idea di questo libro che eravamo ancora piccoli, quando, alla domanda ansiosa dei nostri genitori ma insomma, si può sapere cosa vuoi fare da grande?, noi fornivamo risposte inconsulte e potenzialmente pericolose del tipo: il poeta, lo scrittore, il filosofo. Al che i genitori dei nostri filarini ci chiudevano di netto la porta in faccia, e i nostri, strappandosi i capelli, decretavano la nostra morte per inedia, oppure lo sviluppo dell’abilità darwinianamente molto vantaggiosa di poter campare d’aria. C’è mai stato qualcosa di più aleatorio del mestiere di filosofo? Uno che comincia a perorare una causa e, addirittura, si sforza di mostrarsi coerente con essa? Qualcosa di meno pratico e meno terreno? Eppure anche loro – non sempre, certo, e sicuramente non tutti ci riuscivano – dovevano riempire la pancia in qualche modo, per poter continuare a filosofare. Persino Platone, che pure aveva provato a cibarsi di idee iperuraniche, di tanto in tanto doveva mettersi a tavola, non avendo ancora trovato la via per quella rivoluzione della quale cantavano Gaber e Luporini per la quale le idee in se stesse si potessero mettere nel piatto.
Feuerbach, dal canto suo, essendo un materialista, per un po’ cercò di far valere le sue idee e di insegnarle ma, dopo aver preso un certo numero di bastonate sul groppone, fece quello che ogni buon materialista deve fare: sposò una donna molto benestante e si sistemò, perlomeno per un certo numero di anni; anni nei quali si divertì a dire agli altri (non materialisti) che non dovevano asservire il loro pensiero alle necessità materiali, che lui al momento non aveva. Poi, quando le cose andarono a rovescio, ebbe un moto di orgoglio e si risolse per il vivere grazie alla carità altrui. Sempre filosofeggiando. Perché come disse Ernst Bloch, l’uomo non vive di solo pane, specialmente quando non ne ha.
Perché alla fin fine, i filosofi erano gente come noi. Ciascuno con le sue stupidaggini e le sue idiosincrasie, brillante in un paio di campi, potenzialmente imbecille in una moltitudine di altri; tutte persone che, a invitarle a cena, ci si sarebbero pure potute fare due risate: a volte assieme a loro, a volte alle loro spalle. E allora, siccome ci piace sia divertirci che mangiare, li abbiamo invitati a cena noi. O a pranzo, insomma; coi piedi sotto a un tavolo, per vedere cosa avevano da raccontarci e cosa avrebbero ordinato dal menù. Tipo: Eraclito non si sarebbe mai deciso, perché tutto scorre e quello di cui aveva voglia al momento magari una volta portato in tavola l’avrebbe schifato subito; Parmenide al contrario avrebbe chiesto il solito, tanto nulla cambia, e Zenone il brodo di tartaruga, ben sapendo che il cuoco non sarebbe mai riuscito a raggiungerla. Epicuro si sarebbe lamentato perché, come mai se tutto scorre qui il vino non arriva mai? Ed Epitteto l’avrebbe rimbeccato, contentati dell’acqua gassata, perché di quella ce n’è in abbondanza
. La Mettrie si sarebbe lagnato di avere troppa fame, Diogene di avere troppa ombra, Schopenauer troppa compagnia, Platone, troppa poca. Marx avrebbe fatto mettere in un sacchetto gli avanzi. Wittgenstein non si sarebbe lagnato affatto perché, mentre tutti sarebbero stati impegnati a pensare che non parlava per via dell’impossibilità di comunicare l’incomunicabile, egli, al contrario, sarebbe stato troppo occupato a masticare.
Noi, invece, tra una bottiglia di quello buono stappata, un polletto infornato, un’insalata messa in tavola e un sacco di risate (per non dire dei surgelati passati al microonde), ci siamo divertiti a immaginare come si comporterebbero tutti questi strabilianti pensatori con una forchetta in mano, a pensare per loro degli ideali (o idealistici) menù pescati dalle innumerevoli tradizioni culinarie e, lo ammettiamo, spesso e volentieri a prenderli in giro. Perché non c’è piacere più grande di trovarsi a mangiare qualcosa assieme spettegolando sugli assenti e prendendoli per i fondelli.
Ci fate compagnia? Aggiungiamo una sedia.
LA REPUBBLICA DEI FICHI SECCHI
Se i detrattori di Platone (ne aveva tanti!) fossero nati con già in tasca l’adagio di Feuerbach, l’uomo è ciò che mangia, avrebbero avuto facile gioco nello schernire il filosofo: se Platone è ciò che mangia, egli è soprattutto un bel fico secco. Magari un giudizio un po’ ingeneroso, però non del tutto ingiustificato: di fichi, pregiati frutti dal lontano Oriente, ne mangiava a quintali, anche mentre faceva lezione, fermandosi di tanto in tanto nell’enumerazione delle categorie del mondo delle idee per sputacchiare i semini. Che, immaginiamo, i suoi discepoli si lanciassero a cogliere al volo, come ogni cosa uscisse poi dalla sua bocca in quei tempi. Furono la costante della sua vita. Cioè, entrambi, i fichi secchi come i giovani discepoli; Platone non si stancava mai né degli uni, né degli altri, sebbene poi in tutti gli altri campi stesse sempre a fare il precisino invitando tutti alla moderazione.
Nessuno sa se questa moderazione gli venisse dalla sua educazione originaria, oppure dall’incontro con un altro seccatore compulsivo, il suo idolo Socrate. Quello che sappiamo per certo è che il giovane Platone era un bel giovanotto noto per le spalle larghe (e forse per gli occhi dolci). Di qui il nomignolo; cioè, non dagli occhi, dalle spalle. Perché il suo vero nome era Aristocle, come il suo nonno paterno; ma il soprannome che gli affibbiò il maestro di pancrazio Aristone come nome d’arte faceva molto più figo, perciò rimase. Spalle larghe, occhi dolci e parlantina all’epoca comunque non salvavano, come ebbe a scoprire anche Elvis, dal servizio militare, del quale Platone ebbe a godersi ben tre spedizioni facenti parte della Guerra del Peloponneso. Poi conobbe Socrate, e da allora in poi la sua vita cambiò per sempre. Innanzitutto, fece un fascio di tutte le sue poesie e le distrusse, cercando di dare uno splendido esempio che molti poeti nel corso dei secoli successivi avrebbero dovuto seguire, se fossero stati onesti. Poi, acquistò un parco, dedicato all’eroe Academo, e lì fondò la sua scuola di Filosofia. Ad Atene, in effetti, in quei giorni era un po’ come nella Cina dei Wu Xiao Pian: ognuno apriva la sua personale scuola di Kung Fu, e Platone, forte di un misto tra alcune sue sognanti riflessioni personali e della saggezza traspirata dall’immarcescibile Socrate, non fece eccezione. Da lì a monopolizzare il pensiero filosofico per almeno ottocento anni il passo sarà breve, anche perché Platone non parlava da solo: era tre filosofi in uno. Lui stesso, Socrate, del quale fece di tutto per essere l’unico portavoce (il suo scostante Maestro non scrisse una sillaba intera in tutta la vita, e se lo fece andò persa) e l’allievo Aristotele, che invece al contrario era un grafomane compulsivo di prima grandezza, e che per ricordarlo o per confutarlo ne parlò in continuazione.
Il lavorìo filosofico di Platone, ben supportato da una notevole quantità di scritti, fu incessante e sostenuto, come