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L'allievo del male
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E-book261 pagine3 ore

L'allievo del male

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Info su questo ebook

Una solida amicizia lega Felix Bauer e Daniel Michol, due giovani che si sono conosciuti sui banchi del liceo. Nel momento in cui vengono promulgate le leggi razziali e Monaco, città in cui i due vivono, viene rastrellata dai nazisti in una folle caccia agli ebrei, i genitori di Daniel cadono nella rete dei rastrellamenti e spariscono nel nulla. Daniel, scampato miracolosamente al pericolo, rimasto solo e terrorizzato, capisce che l'unico modo per salvare se stesso e ritrovare la sua famiglia è spacciarsi per ariano. Spalleggiato dal suo amico Felix Bauer, che appartiene a una famiglia tedesca molto in vista, assume le di lui generalità e si arruola nelle SS. In un vortice di incubi e pazzia, scoprirà suo malgrado fino a quale inaudita malvagità può arrivare la natura umana.
LinguaItaliano
Data di uscita21 mag 2014
ISBN9788867930692
L'allievo del male

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    Anteprima del libro

    L'allievo del male - Enrico Tirotto

    © Edizioni SENSOINVERSO

    Collana SenzaTregua

    www.edizionisensoinverso.it

    ufficiostampa@edizionisensoinverso.it

    Via Vulcano, 31 – 48124 – Ravenna (RA)

    ISBN 9788896838525

    1° edizione cartacea – Maggio 2012

    © 2012 - Copyright | Tutti i diritti riservati

    Sensoinverso - P.I. 02360700393

    Copertina di Antonello Fine

    Creazione e impaginazione eBook | http://creoebook.blogspot.com

    Enrico Tirotto

    L'ALLIEVO DEL MALE

    romanzo

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio, pur rientrando in un periodo storico ben preciso. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    I

    L’atmosfera forzatamente allegra mise in risalto il disagio dei presenti. La torta posta al centro del tavolo ne seguiva i contorni ovali. Farcito con panna e amarene, il dolce riprendeva forme barocche poco adatte al compleanno di un ragazzo. La famiglia Bauer e un solo invitato partecipavano a quell’evento in un clima inconsueto.

    Felix percepiva lo stato d’animo dei presenti, che si manifestava in un’eccessiva premura e gentilezza nei suoi confronti. I capelli chiari e lisci ricadevano sull’ampia fronte, il suo viso smunto e patito era illuminato da un sorriso dolce e accattivante.

    Gelda accese le candeline e invitò il figlio a soffiarvi sopra. Felix non si fece pregare e si alzò per compiere quel gesto apparentemente semplice. Mise le mani sul tavolo e si protese con entusiasmo verso la torta. Rimase qualche istante a osservare le diciotto candeline e la citazione in rilievo sotto di esse: «Ai prossimi 100, Felix».

    Ebbe un attimo di smarrimento e il sorriso ormai spento si trasmise ai presenti. Gelda fece per intervenire ma il ragazzo, inspirando profondamente, soffiò sulle diciotto candele. Si spensero tutte tranne una, che caparbiamente decise di resistere. Felix appariva esausto, quel semplice gesto pareva aver assorbito tutte le sue già precarie forze. L’unico amico presente intervenne inaspettatamente. Si avvicinò a Felix sorridendogli e lo invitò a soffiarvi assieme. Daniel gli era simile, e non solo per l’età. Era biondo come lui e molti dei loro connotati coincidevano in modo sorprendente. Se non fosse stato per una lieve differenza d’altezza, li avrebbero potuti definire fratelli.

    Compagni di scuola prima e di vita negli anni successivi, condividevano molte passioni e idee, grazie a cui avevano consolidato la loro amicizia in un bel legame. Monaco aveva offerto loro la possibilità di esprimere in modo goliardico e fanciullesco la loro adolescenza, fino all’avvento di quel nuovo ordine politico e di quella terribile malattia che straziava giorno dopo giorno il corpo di Felix.

    Soffiarono insieme, ma fu Daniel a spegnere l’ultimo bagliore su quella torta innevata. Gelda sorrise commossa e lo scroscio degli applausi concluse quel rito. Baciò amorevolmente il figlio e carezzò il viso di Daniel. Nutriva per quel ragazzo ebreo una stima e un affetto non comuni.

    I giorni più tristi erano arrivati quando la poliomielite aveva colpito il suo unico figlio. Felix dovette abbandonare la scuola, sospendere qualsiasi attività e perse tutti gli amici: tutti tranne Daniel, lui continuò a frequentarlo come se nulla fosse accaduto, rinsaldando ancora di più il loro legame.

    La lama del coltello penetrò a fondo nella soffice pasta, in un silenzio rotto solo da sospiri. Gelda porse il piatto a Daniel soffermandosi soltanto un attimo a osservare quella giacca ormai divenuta troppo stretta, le cui maniche si fermavano prima dei polsi e appena sotto la fascia con la stella di Davide.

    Daniel sorrise compiaciuto e non fu necessario pregarlo per gustare quel dolce. Ormai da troppo tempo il cibo era diventato per lui e la sua famiglia un lusso non più sostenibile. Felix la assaggiò appena, lasciando poi il piatto sul tavolo e apprestandosi a ricevere il regalo.

    Gustav Bauer entrò col pacco in mano. Il rumore degli stivali risuonò sul pavimento, come i rintocchi di un portone. Era un uomo di media statura, dai tratti eleganti e un buon portamento. La divisa di commissario politico pareva inamidata e statica. I pantaloni steccati ai lati e infilati negli stivali gli conferivano un’aria da fantino. Non era un esaltato, ma aveva aderito con convinzione alla nascita di quel movimento, bruciando le tappe che portavano alle stanze del potere.

    Auguri, Felix, disse mentre consegnava il pacco nelle mani del figlio.

    Il braccio con la fascia rossa passò accanto al viso di Daniel, lasciando la sgradevole sensazione che quella croce uncinata, al suo passaggio, gli lacerasse la carne. Daniel doveva molto a quell’uomo e, malgrado odiasse quella divisa dal profondo del suo animo, la sua sopravvivenza e quella della sua famiglia era a lui strettamente legata. Questo mitigava il suo senso di repulsione e di odio per tutto ciò che essa rappresentava. Era conscio dell’ipocrisia estetica simboleggiata da quelle divise: la loro apparente pulizia e il loro ordine celavano in realtà sporcizia e mostruosità.

    Le mani sottili e smunte di Felix trafficavano sul pacco arrancando sui lacci e sulla confezione. Una volta liberata, la scatola risultò della stessa tonalità della torta. La rigirò un paio di volte sotto gli occhi incuriositi dei genitori. Infilò le dita in un lembo della scatola e la aprì. La vista del legno lucido laccato fu sufficiente per intuire cosa fosse. La rigirò diverse volte, finché il filo con la presa non si srotolò andando a penzolare sul pavimento.

    Non so come ringraziarvi!, esclamò Felix.

    Ti piace?, aggiunse la madre.

    Non avreste potuto regalarmi qualcosa di più gradito, rispose selezionando i tasti delle stazioni radio.

    Usala con moderazione, disse il padre, e non ascoltare Radio Londra, trasmettono solo porcherie e menzogne.

    Felix sollevò il viso scostando i capelli biondi e annuì con la testa: Certo, papà!.

    Gelda incrociò le braccia e sorrise, capì che era giunto il momento di portare via il marito: Bene, vi lasciamo un po’ da soli… E tu, Daniel, prendi un’altra fetta di torta!.

    Il ragazzo attese che fossero usciti e senza ulteriori complimenti staccò un bel trancio di quel soffice dolce.

    Cosa ne pensi?, esordì Felix posando la radio sulla sedia accanto.

    L’amico finì di succhiarsi un dito prima di rispondere: Se devo essere sincero, non sembri proprio entusiasta.

    Felix lanciò un ultimo sguardo alla radio, prima di abbandonarla a se stessa: Penso che i miei ancora non mi conoscano, non potevano regalarmi qualcosa di più inutile.

    Beh, di che ti lamenti? A me il mese scorso hanno regalato la solita kippah… Ormai non so più dove metterle.

    Il viso smunto di Felix assunse un’aria di attesa mentre osservava Daniel ingerire l’ultimo morso di torta.

    Qualcosa non va?.

    Felix ruppe gli indugi lasciandosi andare sulla sedia a rotelle: Dai, lo sai benissimo....

    L’amico rispose fra il serio e il faceto, senza perdere di vista la mezza luna di torta avanzata: Scusa, ma non ti seguo….

    Diventi fastidioso quando fai così… E poi sarebbe la prima volta.

    Dici?, asserì Daniel spostando la sedia e accomodandosi accanto. C’è sempre una prima volta…. Da attore navigato qual era lo disse in modo assai convincente. Sul viso di Felix si stampò un sorriso di circostanza, ma la delusione fu evidente.

    Non importa… Sono contento che tu sia qui!.

    Lo dici come se non ci vedessimo da anni… Ti vengo a trovare almeno due volte la settimana!.

    Lo so… Ma ancora per quanto?.

    Daniel a quella frase perse tutta la sua sicurezza, non sapendo bene a cosa l’amico si riferisse: alla sua precaria condizione fisica o a una prossima forzata separazione l’uno dall’altro a causa della polizia. Non volle approfondire e cacciando una mano all’interno della giacca tirò fuori un pacchetto rilegato con carta di giornale.

    Lo sapevo!, esultò Felix. Ci casco ogni anno.

    Daniel glielo diede esclamando: Buon diciottesimo compleanno, amico mio! Perdona la confezione, ma….

    Felix non gli lasciò terminare la frase: Non so di che parli, lo sai che odio le formalità!. Gli occhi si illuminarono e la sua espressione trasudava eccitazione. Scartò freneticamente la sgualcita carta di una rivista, liberando il contenuto. Quindi lesse con frenesia quel titolo a caratteri cubitali impresso sulla copertina e, trasportato dall’enfasi, disse: Oh, mio Dio, ma dove….

    Sapevo che l’avresti detto… Hai dimenticato che noi ebrei abbiamo un talento per il contrabbando?.

    Felix riportò lo sguardo sul libro sfogliando la prima pagina. Ero certo che fossero andati tutti distrutti, dopo la notte dei lunghi coltelli….

    Daniel era certo che lo avrebbe stupito regalandogli quel libro. Pare di no! Sembra che qualche testa pensante ci sia ancora in questa città.

    Non so ancora come Heinrich Heine, il mio poeta preferito…, pronunciò con evidente ammirazione. Sfogliò alcune pagine soffermandosi su una in particolare e ne citò una frase: «Dovunque brucino i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini…».

    Niente di più vero…, commentò Daniel, … E di attuale in questo frangente.

    Felix si accorse di aver toccato con quella frase una ferita aperta. Non so come ringraziarti, è il più bel pensiero che potessi farmi.

    Lascia stare… Piuttosto, come stai? Questa settimana ti trovo bene.

    … Niente che non avessi la settimana scorsa, e come se non bastasse è arrivata questa…, aggiunse tirando fuori un plico. Credo sia opera di mio padre.

    Daniel lo prese in mano e per un momento ebbe un moto di repulsione. La croce uncinata sorretta da un’aquila svettava sulla carta intestata. Lo stemma delle SS lasciava pochi dubbi su chi poteva averla inoltrata. La lesse tenendola a distanza, come se quel foglio potesse riconoscere un ebreo dal tatto e trasmettergli qualche maleficio.

    Sei stato convocato per l’arruolamento?!.

    Proprio così…, rispose Felix laconicamente. A mia insaputa e prima che usassi questa sedia ha fatto formale richiesta nelle Schutzstaffeln.

    Nelle SS?, ripeté l’amico ancora incredulo.

    Fra la poliomielite e il far parte di quel corpo di aguzzini non saprei chi scegliere… E comunque l’uno esclude l’altro, sentenziò Felix.

    Tuo padre aveva un bel progettino nei tuoi confronti….

    Che il padreterno gli ha mandato all’aria!, affermò senza esitare.

    Il silenzio cadde improvvisamente, lasciando sui volti dei due ragazzi un senso di vuoto. Felix riprese, tralasciando quell’argomento: Ora ho un altro problema più impellente… Dove nascondere il tuo regalo. Se lo trovasse mio padre, finirei sotto interrogatorio.

    Daniel si guardò attorno e disse: Io un’idea ce l’avrei….

    Allora non perdere tempo, i miei non tarderanno ad arrivare.

    Puntò il dito verso la radio poggiata sulla sedia. Secondo me, nel didietro di quella, il libro ci sta, e ogni volta che lo leggi non devi far altro che accenderla.

    Felix agguantò la lucida cassa di legno e la mise sottosopra. Prese il libro e lo infilò fra le valvole e i fili, rendendosi conto che in quel modo rimaneva nascosto dentro completamente. È a dir poco perfetto! In fin dei conti il regalo dei miei a qualcosa è servito.

    Daniel stava adocchiando ciò che rimaneva della torta, ma i passi di Gelda nella stanza attigua lo fecero desistere, mentre Felix infilò istintivamente la lettera nella tasca della giacca.

    Tutto bene, ragazzi?.

    Sì, mamma.

    Gelda si avvicinò al figlio e, ponendogli una mano sulla spalla, gli disse: Sarai stanco…. Era il messaggio con cui si invitavano gli ospiti a togliere il disturbo, e Daniel ne era pienamente cosciente. Felix provò a resistere: Per niente, e poi oggi è il mio compleanno!.

    Avrete modo di vedervi domani. Lo sai che hai la terapia da seguire, disse la madre togliendo i fermi alla sedia a rotelle.

    Verrà il giorno che potrò decidere della mia vita?, la apostrofò il figlio, disapprovando la decisione.

    Con un po’ di pazienza arriverà anche quello, ma per adesso devi fare ciò che ti dico.

    Il ragazzo desistette a malincuore, rivolgendosi all’amico: Mi spiace, avrei voluto….

    Daniel lo anticipò togliendolo dall’imbarazzo: Non importa, questa sera hai un’altra voce da ascoltare, è indicò maliziosamente con gli occhi la radio sopra la sedia.

    Felix sorrise divertito: Hai ragione, ma più che ascoltarla credo che la guarderò.

    Basta così, intervenne Gelda, vai in camera tua e preparati, io nel frattempo accompagno Daniel.

    Si salutarono a malincuore e Felix si allontanò lasciandoli soli. Gelda attese che il figlio si fosse allontanato e con fare furtivo sollevò il coperchio della cassapanca. Tirò fuori un involucro, consegnandolo nelle mani di Daniel.

    Prendili, sono abiti di Felix… A te andranno bene…, e nel vedere la sorpresa sul viso del ragazzo aggiunse: Se avessi potuto te li avrei comprati nuovi.

    Daniel capì il disagio di quella donna: Questi andranno bene, non so quando potrò ripagarglieli!.

    Non scherzare, riprese Gelda con sicurezza. È il minimo che possa fare… Sei rimasto il solo e unico amico di Felix, ti dobbiamo tanto.

    No, signora, io ho ricevuto più di quanto abbia dato. Felix per me non è un amico, è un fratello!.

    La donna lo abbracciò di slancio affettuosamente, accarezzandogli i biondi capelli. E per me tu sei come un figlio….

    Non furono necessarie altre parole. Daniel uscì dalla stanza portando sotto il braccio il fardello di abiti avvolti con carta da pacchi. Sentì richiudersi la porta alle sue spalle e si incamminò nel corridoio in direzione dell’uscio che dava sull’esterno. L’inconfondibile tacco che calcava il pavimento preannunciò l’incontro con il padre di Felix. Intravide la fascia rossa al braccio e gli stivali, quindi la divisa e tutto il resto. Il viso fu l’ultimo elemento a godere della piena luce: i suoi tratti non erano più distesi come poco prima.

    Daniel, prima che tu vada dovrei parlarti,

    D’istinto il ragazzo strinse il pacco, quasi avesse timore che gli fosse portato via. Certo, signor Bauer.

    Gustav gli si avvicinò piazzandosi davanti: Volevo dirti che ho molto apprezzato ciò che hai fatto per mio figlio.

    A Daniel non sfuggì l’uso del passato. E intendo ancora frequentarlo, se lei me lo permetterà.

    Non è questo il punto, farei qualunque cosa per il suo bene e tu ne sei stato parte, continuò Bauer con aria mesta. Credimi, dispiace anche a me doverti informare su certe cose.

    Il ragazzo sentiva che Gustav era sincero mentre pronunciava quelle parole e non volle interromperlo.

    … Sappi che fino a oggi avete goduto della mia personale protezione, e se la vostra famiglia possiede ancora una casa è perché io ho impedito che ve la togliessero.

    Cosa intende dirmi?, chiese il giovane con preoccupazione.

    Le cose stanno cambiando e non in meglio purtroppo… La Gestapo intende occuparsi della tua famiglia e io non posso oppormi.

    Daniel sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma ora che quel momento si era presentato gli sembrò che il mondo gli fosse scivolato sotto i piedi. E ciò che temeva di più era proprio lì davanti ai suoi occhi.

    Cosa possiamo fare, e cosa devo dire a mio padre?.

    Lasciate la vostra casa, questa città, questa nazione, se potete… Se resterete, farete la fine di tutti gli altri.

    Con orgoglio il ragazzo manifestò il suo pensiero: Io sono nato in Germania, mio padre è nato in Germania e mio nonno prima di lui... Dovranno usare la forza per farlo.

    La useranno, non attendono altro…. Poi, ponendo le mani sui fianchi, continuò: Vedi questa svastica sul braccio? La prima volta che la indossai ne ero fiero, rappresentava il mio pensiero… Ora la porto perché ho timore per la mia famiglia. Il nostro paese ha intrapreso una strada da cui sarà difficile tornare indietro e voi siete i primi a pagarne le conseguenze.

    Daniel abbassò il viso per rialzarlo poco dopo. Può stare tranquillo, signor Bauer. Non sentirà più parlare di me né della mia famiglia.

    Prima che il giovane si voltasse per uscire, Gustav mise la mano in tasca tirando fuori un piccolo fascio di banconote: Prendile, vi faranno comodo!.

    Il ragazzo le guardò giusto un attimo. La ringrazio, ma la dignità è l’unica cosa che ci è rimasta.

    Gustav si rese conto che quel giovane era più maturo di molti suoi coetanei, compreso suo figlio, e non volle insistere. Allora non posso fare altro, mi spiace….

    Daniel uscì senza voltarsi e il portone si chiuse dietro di sé. Il sapore della torta ancora fresco in bocca non addolciva l’amarezza che provava. Quella giornata dei primi di agosto del 1939 stava per segnare una svolta nella sua vita. Perso l’ultimo vero e importante amico, poco restava da salvare di quell’esistenza diventata ormai l’ombra di una vita vera.

    Il pensiero cadde inevitabilmente sulla sua famiglia: era necessario avvertire subito suo padre. Inspirando per l’ultima volta quell’aria tiepida al calar della sera, si incamminò verso casa. Era appena a un paio di isolati ma a volte potevano diventare anche gli ultimi.

    Aveva ormai preso l’abitudine di voltarsi indietro e scrutare qualsiasi movimento. Le squadracce di giovani nazisti pestavano ormai sistematicamente qualsiasi ebreo attraversasse loro la strada.

    Ormai non faceva più caso alle vetrine infrante, alle insegne staccate e ad altri laceranti moniti impressi dai seguaci di quella mostruosa ideologia sui negozi appartenuti al popolo di Abramo. E ciò che non era stato distrutto era stato marchiato con la stella di Davide perché non fosse dimenticato. Nel percorrere la Nauhauserstrasse, li nominava scandendoli uno a uno quasi volesse conservare memoria di quelle persone e della loro professione, come a far rivivere quei negozi vuoti e abbandonati in uno spazio ben preciso della sua mente.

    Lasciò quei pensieri, assieme all’angolo dove aveva svoltato. Imboccò la Kreutzstrasse e intravide il terrazzo della sua casa, posta al primo piano di una palazzina. Percorse di filato gli ultimi metri che lo separavano dal portone esterno e notò che la via era pressoché deserta. Di norma era assai frequentata, in quanto ricca di negozi e piccole attività commerciali. Quella sera anche il barbiere e il lattaio avevano appeso le serrande alle vetrine.

    Spalancò il portone ed entrò con uno stato di disagio misto a uno strano presentimento. Salì la prima rampa di scale e si fermò nel vedere la porta di casa semi spalancata. La mano raggiunse il corrimano e lui percorse gli ultimi gradini lentamente.

    Sospinse l’uscio, constatando che era stato forzato. Varcò la soglia con ansia e col fiato spezzato in gola. La penombra non permise una visione chiara, per cui spingendo lo sguardo in avanti cercò, tastando nel muro, l’interruttore della luce.

    Il tasto era freddo, per essere un giorno d’agosto, e il secco rumore seguito da una luce smorta emessa dalla lampadina appesa al soffitto illuminò lo stretto andito.

    Non ebbe a quel punto il coraggio di proseguire, quindi chiamò il padre e poco dopo la madre, senza ottenere nessuna risposta. Non adesso… Non così in fretta…, pronunciò lasciando cadere il pacco e camminando verso la cucina fino alla soglia.

    Il tavolo rovesciato e le sedie sparse lasciavano pochi dubbi. Tornò indietro verso la camera da letto dei genitori, dove un copione simile lo attendeva.

    Le coperte del letto erano sparse per la stanza e i cassetti degli armadi rovesciati sul pavimento. Si chinò a raccogliere una cornice dal vetro rotto. La foto all’interno ritraeva la famiglia Michol in un momento felice di qualche anno prima. Vi erano tutti, compresa sua sorella Ariel appena adolescente. Il vetro incrinato storpiava i

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