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The first boy. Il folletto di Natale
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The first boy. Il folletto di Natale
E-book48 pagine32 minuti

The first boy. Il folletto di Natale

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Info su questo ebook

Il Natale non è un periodo o una stagionalità, ma uno stato della mente. Deve portare tra la gente pace e buoni propositi, essere pieni di misericordia significa avere il vero spirito natalizio. Se pensiamo a queste cose dentro di noi rinascerà il Salvatore e su di noi brillerà il raggio di una stella che porterà un barlume di speranza per il mondo.

Stralcio dal messaggio del 25 dicembre 1927 alla Nazione Americana da parte del presidente Calvin Coolidge

Christopher conta con impazienza i giorni che lo separano dal Natale, il primo che passerà a Washington, accanto a Lawrence. La solennità della Casa Bianca che si prepara all'arrivo di quei giorni di festa tra consuetudini e tradizioni lo affascina. Quando il Presidente lo incarica di occuparsi degli ultimi dettagli, compito che per tradizione spetta alle First Lady, il ragazzo non intende sottrarsi e decide di accettare, con la speranza di riuscire ad infondere tra le sfarzose mura della Casa Bianca il vero spirito natalizio.
LinguaItaliano
Data di uscita18 dic 2019
ISBN9788831653503
The first boy. Il folletto di Natale

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    Anteprima del libro

    The first boy. Il folletto di Natale - Cristiano Pedrini

    Pe­dri­ni

    Ca­pi­to­lo Pri­mo

    Na­ta­le al­la Ca­sa Bian­ca

    Chri­sto­pher era in at­te­sa da di­ver­se ore. No­no­stan­te i suoi ten­ta­ti­vi, non riu­sci­va in al­cun mo­do a con­cen­trar­si sul la­vo­ro che Lui­se gli ave­va af­fi­da­to, al­ter­nan­do spes­so lo sguar­do dal ter­mi­na­le all’oro­lo­gio ap­pe­so al­la pa­re­te che ave­va di fron­te. Ave­va la net­ta sen­sa­zio­ne che quel­le lan­cet­te si muo­ves­se­ro as­sai più len­ta­men­te del pre­vi­sto. Po­sò il men­to sul pal­mo del­la ma­no, sor­reg­gen­do­si il ca­po nel­la spe­ran­za che il mo­ni­tor lo co­pris­se dall’espres­sio­ne ar­ci­gna del­la don­na.

    Ab­bas­sò lo sguar­do os­ser­van­do il ca­len­da­rio da ta­vo­lo che, sot­to un sug­ge­sti­vo pa­no­ra­ma in­ne­va­to del suo Mon­ta­na, gli ri­cor­da­va che man­ca­va­no po­chi gior­ni a Na­ta­le. Non riu­sci­va a evi­ta­re di pen­sa­re che quel­lo era il pri­mo che pas­sa­va a Wa­shing­ton, il pri­mo che avreb­be tra­scor­so con La­w­ren­ce e, co­me un bam­bi­no che at­ten­de­va di po­ter scar­ta­re il pro­prio re­ga­lo sot­to l’al­be­ro, non riu­sci­va a trat­te­ne­re l’ec­ci­ta­zio­ne per quel­lo che di lì a po­che ore avreb­be po­tu­to ve­de­re dal vi­vo: la po­sa del so­len­ne al­be­ro di Na­ta­le che dal 1912 ve­ni­va al­le­sti­to nel­la Blue Room.

    «Guar­da che man­ca­no an­co­ra un pa­io d’ore, per­ché non ti ri­met­ti al la­vo­ro?» bor­bot­tò la ze­lan­te se­gre­ta­ria, al­lun­gan­do­si ben ol­tre il vi­deo del suo ter­mi­na­le e scor­gen­do il ra­gaz­zo che ar­ros­sì co­me un gam­be­ro.

    «No… ec­co, io…» far­fu­gliò cer­can­do di ri­cor­dar­si quel­lo che sta­va fa­cen­do po­co pri­ma, «pen­sa­vo che…» Il mo­vi­men­to av­ven­ta­to del suo brac­cio col­pì il va­so di ve­tro che con­te­ne­va una com­po­si­zio­ne di agri­fo­glio e ro­se bian­che che si era ri­tro­va­to quel­la mat­ti­na sul­la sua scri­va­nia. Riu­scì ad af­fer­rar­lo al vo­lo pri­ma che ca­des­se sul pa­vi­men­to.

    Com­pli­men­ti Chri­sto­pher, sta­vi per fa­re un bel pa­stic­cio pen­sò re­spi­ran­do pro­fon­da­men­te, men­tre ri­po­ne­va il va­so ac­can­to al por­ta­pen­ne. Si ri­cor­dò del bi­gliet­to che ac­com­pa­gna­va quel do­no. L’ave­va po­sa­to ac­can­to al por­ta­fo­to nel qua­le ave­va mes­so l’im­ma­gi­ne dei suoi ge­ni­to­ri. L’ave­va scat­ta­ta pro­prio La­w­ren­ce, im­mor­ta­lan­do­lo con sua ma­dre e suo pa­dre da­van­ti al­la sta­tua di Lin­coln du­ran­te la lo­ro ul­ti­ma vi­si­ta, do­po l’at­ten­ta­to che lo ave­va qua­si uc­ci­so. Sem­bra­va pas­sa­ta un’eter­ni­tà e in­ve­ce tut­to era ac­ca­du­to so­lo no­ve me­si pri­ma.

    Aprì la bu­sta, estraen­do il fo­gliet­to e ri­leg­gen­do quel­la fra­se. Po­che, sem­pli­ci pa­ro­le, scrit­te con l’ele­gan­te cal­li­gra­fia di La­w­ren­ce, che rac­chiu­de­va­no in sé quel­lo che li uni­va. Tro­va­re qual­cu­no a cui do­na­re ciò che sia­mo è il re­ga­lo più pre­zio­so che pos­sia­mo ri­ce­ve­re.

    «E co­sì il no­stro fol­let­to sta per vi­ve­re il suo pri­mo Na­ta­le qui a Wa­shing­ton», sor­ri­se Lui­se ol­tre­pas­san­do la scri­va­nia, av­vi­ci­nan­do­si con un sor­ri­set­to sor­nio­ne che si in­fran­se sull’espres­sio­ne in­di­spet­ti­ta del ra­gaz­zo.

    «Lo sport na­zio­na­le qui den­tro è quel­lo di af­fib­biar­mi nuo­vi no­mi­gno­li! Chi de­vo rin­gra­zia­re per que­sto?» do­man­dò ri­chiu­den­do la bu­sta, po­san­do­la poi di nuo­vo ac­can­to al por­ta­ri­trat­ti.

    Lui­se in­cro­ciò le

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