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Trucho
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E-book107 pagine1 ora

Trucho

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Info su questo ebook

La parola "trucho" da una parte rimanda alla falsificazione o alla copia di cattiva qualità e dall’altra parte è collegata al mondo dell’illegalità.
Nei racconti di questa raccolta, quattro giovani autori latinoamericani presentano differenti approcci alla tematica del “tarocco” e alla sua necessaria controparte, l’oggetto (o il marchio) originario che viene “taroccato”. Le voci degli autori sono diverse, ognuna nella sua particolarità; ognuno di loro si avvicina alla letteratura da una tradizione e da una realtà ben definita e personale. Per alcuni di questi scrittori il concetto di “tarocco” occupa un posto centrale nel racconto qui presentato e, allo stesso tempo, è un’idea – o una zona d’interesse – che si può rintracciare nel resto della loro opera. Per altri, invece, è un’apparizione isolata, episodica. Lo stesso vale per questi racconti: in alcuni funziona come il nucleo su cui poggia l’intera storia; in altri appare tangenzialmente, più come atteggiamento o come possibilità che come perno della storia. In tutti i casi, questi racconti forniscono l’occasione per ripensare il tema del “tarocco”, per problematizzarlo e portarlo alla luce.
LinguaItaliano
Data di uscita18 dic 2018
ISBN9788899958077
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    Anteprima del libro

    Trucho - Federico Falco

    BARCA

    Nota per il lettore

    Le antologie di Traviesa sono curate da scrittori invitati a tracciare un itinerario intorno alle proprie ossessioni più amate. A partire dalla selezione di quattro racconti scelti in prima persona, accompagnati da un prologo scritto di proprio pugno, i curatori offrono un avvicinamento unico al tema da loro scelto.

    Il progetto Traviesa utilizza un sistema di royalties che favorisce i curatori, gli scrittori e i traduttori coinvolti in ciascuna antologia. Le vendite vengono suddivise equamente tra autori, curatori, traduttori ed editore.

    Traviesa ed Edizioni Wordbridge sono mossi dallo stesso ideale, che rispecchia l’interesse dei propri lettori: il desiderio che questi scrittori e traduttori continuino a produrre testi altrettanto straordinari quanto quelli inclusi in questa serie di antologie, oltre al desiderio, ugualmente persistente e necessario, di continuare a leggerli.

    ©2013, Traviesa - ©2018, Edizioni Wordbridge

    Tutti i diritti riservati

    ISBN 978889995807

    Catalogo Traviesa

    1 – Malasorte (Curata da Yuri Herrera): racconti di Iris García Cuevas, Wilmer Urrelo, Fabián Casas, Elvira Navarro.

    2 – Messia (Curata da Liliana Colanzi): racconti di Álvaro Bisama, Luciano Lamberti, Giovanna Rivero, Carlos Yushimito.

    3 – Finzione estrema (Curata da Betina González): racconti di Claudia Hernández, Ariadna Castellarnau, Sergio Olguín, Andrea Salgado.

    4 – Trucho (Curata da Federico Falco); racconti di Diego Zúñiga, Federico Guzmán Rubio, Javier González, Hernán Vanoli

    http://www.edizioniwordbridge.com/traviesa/

    Prologo

    Federico Falco

    (Traduzione di Vincenzo Barca)

    I

    La legna crepita mentre in lontananza si sentono i latrati dei cani e gli zoccoli dei cavalli e le grida dei contadini che, combinando la frusta alla sorpresa, radunano il bestiame. Rinchiudono la mandria e poi, mentre i cavalli caracollano al centro del recinto e i cani, eccitati, la lingua penzoloni, guardano il padrone in attesa dell’ordine, uno o due uomini a piedi separano i vitelli dalle madri. È più facile allontanare il vitello che spostare la vacca, cosicché l’uomo che alza la sbarra fa passare soltanto loro e nel recinto più grande restano le vacche ad alta produzione, improvvisamente sole, le mammelle gonfie di latte dondolanti tra la paura e la polvere sollevata dagli zoccoli. Le più selvatiche sbuffano e, con le labbra disperatamente umide, cercano a testa bassa di caricare gli uomini, che gridando si avvisano l’un l’altro e scappano arrampicandosi sulla palizzata. Poi fanno roteare le fruste e, a forza di colpi sui fianchi, ricacciano indietro gli animali infuriati.

    Nel recinto accanto, i vitelli muggiscono quieti, uno in fila all’altro, guardando oltre la polvere, contemplando con una certa pacifica ottusità lo spettacolo, senza capire.

    Gli uomini smontano dai cavalli e li lasciano pascolare sotto la montagna. Entrano nel recinto a piedi, con passo sicuro. Sorridono mentre il lazo di cuoio intrecciato scivola tra le loro mani. A un’estremità il lazo ha un anello di ferro che può infilzare l’animale, trasformandosi così in un’arma di cattura. La coordinazione perfetta del braccio e della spalla, il ritmo giusto del movimento dell’uomo, fa sì che il lazo si distenda nell’aria e rotei, aprendosi di scatto. Una precisa torsione del polso gli imprime forza a ogni giro, il lazo plana aprendosi ogni volta di più, un cerchio orizzontale che si allarga e fischia, un circolo perfetto, sintesi di tensione e di grazia. Quando il lazo è al punto giusto, gli altri uomini lasciano passare la fila dei vitelli, cercando di distanziarli perché almeno uno si stacchi dalla mandria e rimanga solo al centro del recinto. Allora, con una staffilata, il lazo si fionda a imprigionare il collo o le zampe anteriori dell’animale, che cade e si rivolta. Gli uomini gridano, lo raggiungono e gli si buttano addosso fino a immobilizzarlo. Lo tengono con il fianco a terra. Uno gli trattiene la testa, un altro le zampe, un terzo gli si siede sul costato. Lasciano libero il quarto posteriore.

    Già da un po’, attorno al fuoco, si stanno scaldando sette o otto aste di ferro di un metro e venti di lunghezza, disposte a ventaglio. I manici di legno appoggiati al suolo, lontani dalla fiamma all’altra estremità, dove il ferro si surriscalda, immerso il più dentro possibile nelle braci, fino a diventare ferro rosso, incandescente. Appena l’animale è catturato, il padrone tasta i ferri – sono tutti uguali – e ne sceglie uno, il più caldo. Con passo tranquillo attraversa il recinto, il ferro oscilla nella sua mano. Quando arriva accanto al vitello, con un solo movimento deciso, appoggia il marchio sul fianco. L’animale grida. Il ferro affonda nella pelle dura. L’odore di peli bruciati fa pizzicare il naso ai presenti. È questione di un attimo; subito il vento si porta via l’odore e il padrone allontana il ferro dalla carne. Gli uomini si rialzano e lasciano che anche l’animale si risollevi, e si allontani, sgroppando. È stato marchiato. Il disegno della cicatrice perfetta che il ferro ha lasciato sulla sua pelle attesta che ha un padrone. E che è un padrone orgoglioso di possederlo.

    La consuetudine di ferrare o di marchiare a fuoco o semplicemente con un ferro incandescente tutti gli animali appartenenti allo stesso proprietario risale all’antichità: gli egizi lo facevano e l’avevano appreso da qualche civiltà precedente, i romani lo facevano e lo avevano imparato dagli egizi.

    Pare che sia stato creato a Roma, per la prima volta, un registro pubblico di marchi, una specie di indice nel quale veniva annotato il nome del proprietario a cui apparteneva ogni singolo simbolo che il ferro lasciava sulla pelle dell’animale. Da allora gli allevatori s’impegnano al massimo nel disegnare il simbolo con cui marchieranno il loro bestiame, perché è un segno che li rappresenterà. Può trattarsi di una forma molto semplice – una lettera, una mezzaluna, due righe parallele – o di una estremamente complicata – una figura che rimandi a un paesaggio particolarmente amato, o a una storia famigliare o a una peculiarità fisica del proprietario del marchio, un codice segreto, una semplificazione della sua araldica. In ogni caso, è sempre lo Stato o una sua emanazione che assicura e garantisce questo vincolo tra simbolo e proprietario. Il procedimento è cambiato molto poco nell’arco dei secoli: in linea di massima, gli allevatori mandano i loro disegni a un Ufficio Generale dei Marchi, che verifica che il marchio non esista già e che non sia troppo simile ad altri preesistenti,

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