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Per il cuore di un gigante. Alexandre
Per il cuore di un gigante. Alexandre
Per il cuore di un gigante. Alexandre
E-book567 pagine9 ore

Per il cuore di un gigante. Alexandre

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Info su questo ebook

Il cuore di un uomo può amare in mille modi diversi, anche se all'apparenza è freddo e razionale e privo di emozioni. Come Alexandre Serra: una vita passata a essere il migliore in ogni campo, cercando la soddisfazione dei sensi, senza concedere spazio ai sentimenti. Finché non compare Alice Parris a stravolgere le sue certezze e nulla è più sotto il suo controllo. Può l’amore addolcire la bestia indomita e rabbiosa che si agita nella sua anima e che da sempre ha nascosto al mondo? Un rapimento e un evento tragico metteranno a dura prova la sua forza d’animo, ma forse vale la pena affrontare tanto dolore e sofferenza per provare un battito di ciglia di felicità. Una magica Parigi e una misteriosa Sardegna fanno da sfondo all'ultimo capitolo della saga della famiglia Serra: si torna all'origine, nei luoghi in cui Seline e Davide hanno visto sbocciare il loro amore ed Enlise e Stefano hanno costruito la loro famiglia. Lì, dove tutto è iniziato e dove anche Alexandre troverà un senso profondo alla trama della sua vita.
LinguaItaliano
Data di uscita11 feb 2019
ISBN9788827866283
Per il cuore di un gigante. Alexandre

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    Anteprima del libro

    Per il cuore di un gigante. Alexandre - Anna Valmen Bolognesi

    te."

    PARIGI, GENNAIO 2004

    Tutto era bianco, puro, essenziale e freddo.

    Era il freddo che lo faceva sentire inerme come un neonato o forse era il bambino dentro di lui che non voleva essere abbandonato, con il cuore che urlava nel silenzio che lo invadeva. Alexandre Serra sollevò lo sguardo su i cipressi imbiancati, il vialetto ghiaioso e sdrucciolevole di ghiaccio e neve. Tornò a fissare la terra smossa che ricominciava a coprirsi di cristalli lucidi e compatti. Era tutto così freddo, non riusciva a piangere, le lacrime si erano gelate, anche il nodo disperato che aveva in gola era ghiacciato, il suo cuore era ibernato e solo. Udì vagamente i pianti, i gemiti dispiaciuti e addolorati di chi si trovava alle sue spalle e avrebbe voluto consolare chi poteva trovare sollievo nelle lacrime, ma non riusciva a consolare nemmeno se stesso. Il cimitero era un luogo di pace silenziosa, dove le anime prendevano il volo, distaccandosi leggere ed eteree dalla terra, lasciando dietro di loro il peso del vuoto e dei ricordi. Ora, il vuoto e il ricordo che Gérard e Jeanne avevano lasciato in lui, lo stavano inghiottendo inesorabilmente. Se ne erano andati improvvisamente, uno accanto all’altra, insieme. Tutto era accaduto a causa di un incidente tragico e banale: un camion, una lastra di ghiaccio e uno scontro. E la morte. Rapida, inesorabile, definitiva, che si portava via due persone dall’anima bellissima. Alle loro spalle lasciavano un centinaio di bambini e ragazzi che perdevano un punto di riferimento importante, Jeanne aveva diretto una scuola privata in Bretagna, la stessa che aveva frequentato anche lui dai sei ai diciassette anni. Gérard, l’uomo che lui chiamava padre e che lo aveva allevato, era stato sposato con una donna che lo aveva per anni ingannato, quando aveva conosciuto Jeanne, se ne era innamorato. Al che la moglie era morta non aveva atteso molto tempo e l’aveva sposata con la benedizione di Alexandre e dei ragazzi della scuola, poi si era ritirato dagli affari e con lei aveva continuato ad amare e educare i ragazzi posti sotto la sua tutela. Era stato un ottimo padre anche per Alexandre, pur non essendo chi lo aveva generato, ma lo aveva fatto con immenso orgoglio, generosità e amore. Jeanne non era sua madre, ma gli aveva insegnato l’onestà, il rispetto per le culture del mondo e che non tutte le donne erano come la prima moglie di Gérard, la defunta e odiosa prima moglie: Lory Gelot. Quella donna era stata una pericolosa psicopatica e nessuno lo sapeva. Aveva quasi ucciso la sua vera madre, Seline Poquelin, l’aveva fatta internare in un manicomio per quasi dodici anni, era riuscita a rapirle i figli, Alexandre e la sua gemella Enlise. Il maschio lo aveva tenuto lei per impadronirsi della Gold Production, l’azienda di Gérard, attraverso il matrimonio, attribuendogli la paternità del bambino e fingendo di esserne la madre. La sua gemella Enlise, l’aveva consegnata a una donna brètone, Simone Didot, quale folle risarcimento per averle ucciso la sorella, una ragazza con chimeriche ambizioni artistiche, che aveva avuto la sfortuna di incontrare la Gelot, diventando una prostituta. A dodici anni, Alexandre aveva scoperto che Lory non era sua madre, ma la zia, essendo in realtà la sorellastra di Seline, che odiava visceralmente nella propria delirante follia. Una follia che l’aveva condotta fino a Firenze, alla villa di suo zio Giulio Daini, dove aveva cercato nuovamente di uccidere entrambi i suoi veri genitori; ma lui, Alexandre lo aveva impedito, gettandosi su di lei e deviando il colpo di pistola. Lory era stata abbattuta dagli spari di un poliziotto francese sulle sue tracce, per ordine del magistrato parigino, Jules Perrin, che seguiva l’inchiesta del tentato omicidio di Seline e per l’assassinio di Enlise Didot, la giovane prostituta brètone che sognava un futuro di attrice. In tutta questa confusione di spari, uccisioni, manicomi, genitori falsi e veri, polizia e parenti acquisiti, Gérard era stato il suo faro, la sua guida. Doveva a lui ciò che era diventato, incoraggiato e spronato a dare il meglio di sé in ogni occasione. Adesso Alexandre era solo, nonostante la presenza dei suoi veri genitori, Davide e Seline, della sua gemella Enlise, dello zio Giulio, degli ex compagni di scuola, degli amici che avevano stimato e amato Gérard e Jeanne. Sulla terra era stata deposta una doppia lapide con i loro nomi, Alexandre aveva disposto che stessero insieme anche dopo la morte, a testimonianza dell’amore che li legava in vita. I brividi di freddo lo scossero violenti. Lui, che era un gigante d’uomo di un metro e novanta di altezza, tremava, incapace di controllarsi; voleva piangere e non ci riusciva. Seline, un tempo, gli aveva detto che le lacrime erano la pioggia dell’anima, che servivano a non farla inaridire. In quel momento e dopo la notizia della disgrazia, la sua anima si era prosciugata. Qualcuno gli toccò una spalla, qualcun altro lo afferrò per un braccio, un altro, ancora gli sussurrò qualcosa che non comprese. Che cosa volevano da lui? Sentì le tempie pulsare, non dolorosamente, ma nel solito, familiare e rassicurante modo, con delicatezza, premurosamente: era Enlise.

    ˶ Alex, non possiamo più restare qui.˶

    ˶ Non m’importa, voglio restare solo.˶

    ˶ Nessuno di noi ti lascerà solo, non adesso, non qui.˶

    Alexandre si voltò e li vide attorno a sé, i visi congestionati dal freddo, preoccupati per lui, addolorati per Gérard e Jeanne. Seline con gli occhi gonfi di lacrime per l’ex socio e amico, come un fratello, questo era stato Gérard per lei. Davide, con lo sguardo triste e gli occhi malinconici, rimpiangeva l’uomo retto e onesto che aveva imparato a conoscere nel corso degli anni e la sua dolcissima moglie, sempre pronta a difendere come una tigre ogni bambino posto sotto la sua tutela e protezione. Lo zio Giulio lo accarezzò sulle guance con le mani rese livide dal gelo, lo fissò con la desolazione profonda di chi vedeva spesso il dolore negli occhi del prossimo, con la comprensione di chi faceva di tutto per combatterlo e spesso era sconfitto. Per la morte di Gérard e Jeanne non si poteva fare niente, quel dolore Alexandre avrebbe dovuto accettarlo, farlo proprio ed elaborarlo, perché non sarebbe stato in grado di poterlo cancellare dalla sua anima, solo il tempo poteva lenirlo lasciandogli il loro ricordo intriso di dolce tristezza e rimpianto. Docilmente si lasciò condurre fuori del cimitero di Père Lachaise, salì con loro sul taxi che li avrebbe condotti all’appartamento parigino di Gérard nei pressi del Beaubourg. Quando vi entrarono, il piacevole calore rianimò tutti, ma non Alexandre, egli continuò a tremare anche dopo che la madre lo fece sedere su di una poltrona posta vicino a un grande termosifone. Osservò le mani, imprecando tra sé, ne fissò il tremito continuo e ipnotizzante, senza riuscire a controllarlo. Il padre lo aiutò a levarsi il pesante cappotto di lana nera, Giulio gli porse un bicchiere d’acqua che aveva un sapore amaro e sgradevole, tuttavia era assetato e lo bevve tutto, fino in fondo, senza neppure avere la forza di lamentarsi. L’ultima cosa che poi ricordò, fu la voce di Enlise che gli cantava una vecchia ninnananna, inventata da entrambi, quando aveva quattro anni e non si erano mai visti. Comunicando telepaticamente, sapevano uno dell’esistenza dell’altra, ora la sua gemella lo cullava con la voce, senza emettere alcun suono, ma arrivandogli fino alla parte più profonda e dolente del suo cuore. Alexandre chiuse gli occhi. Dalla notte in cui aveva saputo della disgrazia, non era più riuscito a dormire. Adesso, soltanto grazie al sonnifero di Giulio e alla ninnananna di Enlise, il dolore si dissolse lentamente nel sonno senza sogni dell’incoscienza artificiale. Al termine di quattro terribili e devastanti giorni, la pace del sonno fu per Alexandre Serra una salvezza. Davide e Giulio lo presero per le braccia e le spalle, sollevandolo faticosamente dalla poltrona, Seline aveva già preparato il letto, dopo averlo spogliato, lo fecero sdraiare e lo coprirono con il pesante piumino. Tornati nel grande salotto, si guardarono tutti e quattro con profonda costernazione. Non possiamo lasciare Alex a Parigi. Affermò Davide con un tono che esprimeva tutta la sua preoccupazione per il figlio. Non possiamo nemmeno obbligarlo a venire con noi. Ribatté tristemente la moglie, incapace ancora di credere che il suo più caro amico non ci fosse più e comprendendo quanto soffrisse Alexandre per questa perdita. Se non avete nulla in contrario, io proporrei di tenerlo sedato fino a dopodomani. Alex deve riprendersi dallo choc, non è in grado di prendere alcuna decisione disse Giulio, esprimendo il suo parere medico. Il ragazzo era stremato dalla stanchezza e dal dispiacere, aveva un bisogno vitale di riposare e dormire. Io non posso restare, – esordì dispiaciuta Enlise, indicando il prominente pancione, era oltre al settimo mese di gravidanza e aveva lasciato Cagliari contro il parere del marito e della sua ginecologa – Stefano non mi perdonerebbe mai se nostra figlia nascesse in viaggio, su un aereo o in auto. commentò con un sorriso dolcissimo. Avevano deciso di chiamare la bambina con il nome della madre di Jérôme, il figlio adottivo di Stefano. La madre ricambiò il sorriso con totale comprensione, anche lei non voleva che la nipotina nascesse in viaggio o in Francia, l’avevano fatta salire sull’aereo soltanto perché c’era stato Giulio al suo fianco, a garantire della sua sicurezza. Alex capisce benissimo la situazione, ti ha anche sgridato, quando ti ha visto all’aeroporto! la rassicurò Seline, accarezzandole il ventre ingrossato e teso. Io posso fermarmi solo un paio di giorni, non di più. Ho già rinviato alcuni interventi chirurgici che non erano particolarmente urgenti, ma gli altri non posso rimandarli disse Giulio dispiaciuto di non poter trattenersi più a lungo. Anche Davide, deve rientrare a Roma. Roberto e Arianna devono tornare a scuola e c’è l’impresa da seguire … resterò io con Alex, fino a che non si sarà ripreso un po’. So che la prossima settimana abbiamo una convocazione dall’avvocato di Gérard, ci andremo insieme e poi cercherò di convincerlo a passare un poco di tempo da noi. decise con buonsenso Seline e gli altri non ebbero nulla da obiettare.

    Alexandre dormì per tre giorni di fila. Enlise partì il giorno dopo il funerale, sempre con l’assistenza dello zio Giulio, Davide partì il giorno successivo. Seline passò il tempo leggendo e controllando che il figlio stesse bene. Era terribilmente preoccupata per lui, non lo aveva mai visto in quello stato, d’altra parte aveva sempre saputo che pur volendo bene e rispettando Davide, Alexandre amava visceralmente Gérard. Il suo caro, vecchio, amico faceva emergere nel figlio il lato migliore del suo carattere, con lui Alexandre era diverso dall’arrogante e violento ragazzo che l’anno precedente aveva aggredito e preso a pugni il futuro marito della sorella e insultato pesantemente Enlise stessa. La morte di Gérard e Jeanne era stata un duro colpo per lui ed anche per Seline. In quegli ultimi anni aveva costruito e curato un gran bel rapporto d’amicizia con la nuova moglie dell’amico. Era lei che la teneva costantemente informata su ciò che riguardava il figlio. Pensosamente andò davanti alla finestra, da lì poteva vedere il Centre Pompidou, la sua bellissima città natale e quanti ricordi tristi aveva lasciato alle sue spalle decidendo di abbandonarla.

    Udì dei rumori provenienti dalla stanza di Alexandre, entrò e vide il suo letto vuoto, la luce del bagno accesa, captò lo scorrere dell’acqua, poi lui tornò in camera e si stupì di trovarla lì.

    "Salut! - la salutò in francese, tornando a sdraiarsi sul letto – Mi sento uno straccio, ma ho una fame terribile!" esordì passando le mani tra i capelli un po’ troppo lunghi e scompigliandoli da selvaggio.

    Ci credo…è parecchio che non mangi. gli confermò Seline.

    "Mon Dieu, per quanto tempo ho dormito?" fu la domanda carica di sgomento del ragazzo.

    Tre giorni e due notti. Enlise ti saluta, è dovuta tornare a Cagliari, l’ha accompagnata Giulio, Davide è partito due giorni fa, ci sono solo io qui Gli spiegò pacatamente, sedendosi sul letto accanto a lui.

    Hanno fatto bene, comunque potevi partire anche tu. Roberto e Arianna hanno bisogno di te. le disse stancamente, sbadigliando assonnato.

    I gemelli sono tornati a scuola, c’è Davide, poi c’è Lalla che bada a loro quando io non ci sono. Ora sei tu che hai bisogno di me ed io di te. Ti andrebbe un po’ di caffè italiano preparato da una vecchia parigina? gli domandò sorridendo affettuosamente.

    Direi proprio di sì, se ci fosse anche qualcosa da mettere sotto i denti… - ma vedendola alzarsi e avvicinare il tavolino per la colazione, la fermò – no, lascia stare…metto qualcosa addosso e vengo là con te. le disse scostando il piumino e mettendo le lunghe gambe giù dal letto.

    Va bene, ti aspetto in cucina. lo accontentò e uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle.

    Alexandre si tirò su dal letto, prese la prima tuta da jogging a portata di mano dall’armadio e la indossò con un senso di spossatezza che lo sorprese. Uscì dalla stanza e raggiunse la madre in cucina sentendosi strano e terribilmente debole. " Maman, per caso mi hai dato qualcosa per dormire?" le domandò con lo sguardo accigliato.

    No, io no. Zio Giulio sì. Eri sull’orlo di un collasso nervoso, avevi bisogno di dormire. Come ti senti? s’informò, indicandogli la sedia accanto alla sua e posando sul tavolo una tazza di caffè, con croissant e biscotti al cioccolato, i suoi preferiti.

    " Un po’ meglio, ma sono tutto rintronato, mi sembra di avere del cotone nel cervello… - guardò smarrito la colazione davanti a sé, gli occhi verde smeraldo, enormi e sbarrati, poi si voltò verso di lei con un’espressione supplichevole – Maman, pére Gérard non tornerà più." affermò desolato, rendendosi conto dell’assoluta, ineluttabile verità di quelle parole che contenevano tutto il proprio dolore. In quell’attimo pareva un bimbo sperduto in un luogo sconosciuto.

    Lo so tesoro. – lo consolò prendendogli il viso tra le mani e stringendolo teneramente contro di sé, gli passò una mano su i capelli lunghi in una carezza lenitiva – Purtroppo è così. Fa tanto male, ma dovremo accettare ciò che ci è accaduto. Ognuno di noi ha il suo destino da compiere ed esso non tiene conto dei sentimenti di chi resta a scapito di chi muore Terminò con gli occhi colmi di lacrime per l’amico, per se stessa e per quel figlio grande e tremendamente fragile.

    Alexandre la guardò e annuì scoppiando in singhiozzi disperati, come quando a dodici anni aveva visto Seline per la prima volta. La sua vera, bellissima, adorata madre che lo comprendeva e sapeva piangere con lui, arrivandogli al cuore. Restarono così, abbracciati, in modo che Alexandre riuscì a calmarsi lentamente, svuotato, leggero, il dolore si era fatto meno acuto, la pioggia dell’anima aveva rinnovato il proprio miracolo. Con un poco d’imbarazzo, asciugò gli occhi con la manica della felpa e in silenzio bevve il caffè ormai freddo, in dieci minuti riuscì a far sparire tutti i croissant e i biscotti che Seline aveva posato sul tavolo.

    Ti va di fare una passeggiata? propose alla madre, sperando che accettasse di uscire, erano tre giorni che stava chiusa in quell’appartamento e conoscendola era sicuro che avesse bisogno di camminare un po’ all’aria aperta.

    Perché no? Dove vuoi andare? acconsentì lei, sorridendo.

    In giro, Campi Elisi, Montmartre, alla vecchia sede della Gold, l’hotel dove ti ho visto per la prima volta e…al Père Lachaise. Potremmo portare dei fiori anche a Simone ed Enlise Didot rispose Alexandre con un lieve sorriso triste sulle labbra, chiedendole un silenzioso aiuto a superare quel primo giorno di rassegnato dolore, sapendo che lei non lo avrebbe mai lasciato solo.

    Seline annuì con la testa ed entrambi si alzarono dalla sedia per andare a indossare degli abiti più pesanti, s’infilarono gli stivali e i guanti, tenendosi per mano uscirono dall’appartamento affrontando il gelo che avvolgeva Parigi e quello che sfiorava i loro cuori.

    Trascorsero i successivi quattro giorni parlando a lungo di Gérard e Jeanne, di Lory Gelot, di Davide e Giulio, ricordando il passato e tralasciando il futuro, fino a che Seline non gli domandò in modo diretto cosa avrebbe fatto dopo la convocazione di quel pomeriggio dall’avvocato di Gérard. Alexandre abbassò lo sguardo, turbato, poi molto sinceramente le disse che non ne aveva alcuna idea. E non aggiunse altro.

    Nello studio dell’avvocato Marchand, fu letto il testamento di Gérard e Jeanne. Quest’ultima lasciava centomila euro a un’associazione che si occupava di bambini con gravi problemi di handicap e la sua collezione di libri antichi ad Alexandre. Ne fu profondamente onorato e commosso, sapeva quanto fossero cari a Jeanne. Gérard aveva distribuito varie rendite vincolate a numerosi istituti per bambini orfani e abbandonati, una buona parte del suo enorme patrimonio era stata divisa in parti uguali tra Seline e Alexandre. Una postilla ironica dedicata alla sua amica, le spiegava che in quel modo le rendeva il favore. Seline, scuotendo la testa, scoppiò in un pianto accorato, Gérard aveva sempre avuto un senso dell’umorismo che saltava fuori nei momenti più inaspettati, non si era smentito neppure nel suo testamento. L’avvocato lesse, infine, un ultimo paragrafo, dove Gérard dichiarava che Alexandre era l’unico erede delle proprietà e delle azioni della signora Lory Gelot, al compimento del suo venticinquesimo anno.

    Seline lo sapeva, né lei, né Gérard, aveva mai informato Alexandre. Quando con Davide lo avevano fatto dichiarare il loro figlio legittimo e naturale, lo avevano riconosciuto, ma avevano anche deciso, di comune accordo, di far tenere al ragazzo il doppio cognome. Soltanto in quel momento il ragazzo ne era informato: Alexandre Curier Serra, questo sarebbe stato il suo nome completo, diventava il maggiore azionista della Gold Production. Sulla proprietà dell’azienda, Seline non era contenta, ma questa era stata la volontà di Gérard, sperava soltanto che la Gold non stritolasse suo figlio com’era successo a lei in passato.

    " Maman! Porto anche il suo nome!" esclamò emozionato e senza fiato il ragazzo.

    Lo hai sempre avuto. Tuo padre Davide disse a Gérard che era giusto lasciartelo, visto che era anche lui padre in tutto e per tutto. Quella fu una delle poche volte, che vidi il mio caro socio perdere la sua naturale compostezza, perché abbracciò Davide e gli disse che era un onore avere un figlio in comune con lui. Ovviamente, Jeanne ed io, scoppiammo a ridere poiché la frase suonava effettivamente parecchio equivoca! gli rivelò ridendo fra le lacrime, rammentando con commozione la felicità del suo fraterno amico.

    " Ho sempre saputo di avere quattro genitori molto speciali, ma questo supera tutte le mie convinzioni. Vi ringrazio, a te, a papà, per avermi permesso di vivere con père Gérard e Jeanne, ho sempre compreso che non fu facile per voi lasciarmi andare con loro. Ora, cosa devo fare?" domandò sinceramente interessato alla sua opinione.

    Credo che l’avvocato Marchand ci debba dire ancora qualcosa, sentiamo che cosa e poi ne parleremo a casa. Prosegua, per cortesia, avvocato. Lo invitò Seline con il suo vecchio tono da manager, rispolverato per l’occasione, e un sorriso appena accennato, ma molto affascinante.

    Marchand non perse tempo, informò Alexandre che, al compimento del suo venticinquesimo anno, sarebbe dovuto entrare a far parte del consiglio di amministrazione d’azienda, con la nomina di presidente. In quel momento la Gold era diretta e amministrata da un gruppo di consulenti e da un amministratore delegato, nominati personalmente da Gérard e che avrebbero mantenuto l’incarico fino al suo inserimento a capo dell’azienda. Alexandre aveva due anni e mezzo per decidere se accettare la presidenza e la direzione della Gold Production, oppure scegliere la vendita, considerando che c’erano parecchie offerte all’acquisto sul mercato azionario.

    Non posso decidere ora? domandò ingenuamente il ragazzo, facendo sorridere Marchand e Seline che scossero la testa in segno di diniego.

    Purtroppo no, signor Curier Serra, il vincolo si scioglierà solo al suo venticinquesimo anno di età. fu la risposta definitiva dell’avvocato, questi poi, si alzò in piedi e tendendo la mano li salutò congedandoli. Uscirono dall’elegante studio e si diressero a casa passeggiando lungo i viali di Parigi, fino ad arrivare al Beaubourg. Salirono con l’ascensore all’ultimo piano ed entrarono nell’attico attingendo conforto dal piacevole calore che vi trovarono. Fu solo dopo che si furono seduti sul grande divano di velluto blu del salone, che Alexandre le rivelò cosa intendeva fare durante quei due anni e mezzo che lo separavano dalla decisione finale. Se Seline avesse sperato che andasse a vivere con loro, ne sarebbe rimasta delusa, ma Alexandre non faceva mai ciò che si aspettava da lui, quindi si rassegnò. Il problema sarebbe stato quello di come farlo accettare a Davide. Il loro figlio maggiore non intendeva trasferirsi a Roma e non voleva neppure tenerli informati dei suoi piani per il futuro, era un po’ come se volesse porre un paravento tra lui e la famiglia, tra lui e il suo vero padre. Sì, questa volta Davide non avrebbe accettato facilmente la decisione di suo figlio, ma doveva ammettere onestamente che era difficile anche per lei.

    Due giorni dopo, Seline ripartiva per Roma, raccomandando al figlio di tenersi in contatto con loro. Alexandre la rassicurò baciandola su una guancia, le disse di non preoccuparsi e la accompagnò al taxi in attesa sotto casa, la abbracciò stretta ancora una volta e la lasciò andare via con un sereno sorriso sulle labbra. Una settimana più tardi, chiuse l’appartamento, prese con sé alcuni vestiti ed effetti personali, il passaporto e un po’ di contanti, salì sulla sua moto e si lasciò alle spalle Parigi.

    Aveva bisogno di restare solo, di riflettere, di cercare la strada migliore per trovare quella serenità e forza, che ora non possedeva più, da che Gérard se n’era andato. Due anni e mezzo gli sarebbero bastati per tutto ciò? Non lo sapeva, ma ci avrebbe provato.

    Con le sue sole forze, capacità, testardaggine e intelligenza, non gli serviva altro.

    CAGLIARI, 3 MARZO 2004

    Sì, angelo … così! Brava … continua! incitava Stefano, con il respiro corto e affrettato, la sua Enlise.

    Accidenti, Parris! So benissimo…cosa…Ahia!Che cosa devo…fare! sbottò l’angelo in questione, alle prese con le doglie del parto e in quel momento aveva solo voglia di finirla con tutte quelle contrazioni che la squassavano.

    Ancora un poco, amore… respira adesso … continuò agitato, meritandosi un’occhiata assassina e risentita da parte della moglie e dell’ostetrica. Dottore? Ci sono qui io per aiutare Enlise, vuole farsi un giretto in corridoio? gli consigliò la donna con un tono che pareva una minaccia e un sorriso un po’ tirato. Stefano si scusò e promise di star zitto pur di vedere nascere sua figlia.

    Dopo altri dieci minuti di contrazioni, la bellissima Alexandra Zephire Parris veniva al mondo con un grido indignato e tre chilogrammi di peso che deliziarono il papà e fecero piangere di gioia la sua mamma. Con una zazzera nerissima, gli occhi blu e la pelle scura come quella della zia Alice, era una perfetta seduttrice in miniatura che fece innamorare di sé tutti gli innumerevoli parenti delle famiglie Serra e Parris. L’unico che brillava per la sua assenza era Alexandre.

    Enlise lo aveva chiamato con il pensiero, chiedendogli di tornare, ma lui si trovava in Svezia e non era potuto partire per la Sardegna, nonostante la nascita della nipotina aveva evitato di rivelarle il motivo della sua mancanza accanto a lei in quel momento tanto particolare. Seppure parecchio delusa, avesse cercato di comprendere lo stato d’animo del suo gemello, non aveva insistito oltre.

    Anche Alice c’era rimasta male, ma non potendo lamentarsene con nessuno senza palesare il proprio interesse per lui, finse di scherzarci su con sarcastica ironia per non smentire la sua già pessima reputazione all’interno della famiglia d’origine. In quel periodo, era così contenta di vivere a Cagliari per conto proprio che, quando tornava a casa dei genitori, le rare volte che lo faceva, stare con loro era una vera penosa agonia. Detestava vivere nel paese nel quale era nata, la madre avrebbe desiderato che lei fosse meno stravagante e più seria, meno esplicita nei suoi commenti e più ipocrita con la gente che frequentavano, tuttavia per lei era veramente difficile resistere alla tentazione di sostenere le proprie opinioni che sovente mascherava con battute umoristiche, quasi mai nessuno le comprendeva appieno o le apprezzava almeno in parte. Da che si era trasferita stabilmente nell’appartamento di Enlise studiava come un’invasata per riuscire a laurearsi al più presto e scappare via dalla Sardegna. Desiderava ardentemente poter lavorare all’estero ed era fermamente determinata a riuscirvi, avrebbe atteso l’occasione e la proposta migliore, poi se ne sarebbe andata via senza voltarsi indietro.

    Al battesimo della bambina, in agosto, c’erano proprio tutti, Daini, Serra e Parris, al completo, ma nuovamente non Alexandre. Si era imbarcato su una nave da crociera come interprete e vista la sua vasta conoscenza delle lingue straniere lavorava al banco delle informazioni ai turisti. Enlise gli aveva spedito con delle e-mail tutte le fotografie di Alexandra Zephire che avevano fatto con la fotocamera digitale e lui l’aveva ringraziata con un’altra e-mail colmando di complimenti la bambina. Al termine del pranzo di battesimo era giunto un corriere espresso internazionale, proveniente da Parigi, che aveva consegnato a Stefano ed Enlise un pacchetto da parte di Alexandre. Con grande meraviglia da parte di tutti i presenti, Enlise aveva estratto dalla scatola dentro il pacchetto uno splendido e preziosissimo braccialetto di platino e zaffiri, dove le pietre preziose incastonate formavano il nome della bambina. Enlise si commosse, Stefano restò con la bocca aperta per lo stupore, gli altri commentarono il grande valore e la bellezza del regalo. Alice, inghiottendo forzatamente le lacrime amare della frustrazione, li osservò rabbiosamente chiedendosi come potessero non capire che Alexandre stava fuggendo da tutto e da tutti, ma soprattutto da se stesso.

    I mesi trascorsero veloci e fuggevoli, Enlise riceveva spesso cartoline o e-mail da parte di Alexandre dai più lontani e disparati luoghi del pianeta, fotografie dall’Amazzonia, delle aurore boreali, dei canguri nel continente australe, di una tempesta a Capo Horn, dei ghiacci in Patagonia, pareva che non ci fosse tregua alla sua smania di movimento. Fu soltanto per l’inizio del nuovo anno che egli tornò a Parigi per una settimana. Aveva voluto celebrare in solitudine l’anniversario della scomparsa di Gérard e Jeanne, senza avvertire nessuno. Si recò sulla loro tomba, pregò a lungo, parlò con loro e finalmente riuscì a piangere, infine partì nuovamente. Questa volta la sua destinazione sarebbe stata l’Estremo Oriente, voleva raggiungere Hong Kong, ma si fermò in Tibet per più di un anno.

    Per il primo compleanno di Alexandra, giunse a casa Parris un altro pacchetto, consegnato dalla medesima società di corrieri espressi internazionali, sempre dallo stesso gioielliere di Parigi. Dentro la scatolina con il logo del famoso negozio c’era adagiato uno splendido paio di orecchini di platino e zaffiri, con un piccolo biglietto di auguri e la firma di Alexandre, ma nessuno era a conoscenza di dove lui fosse. Enlise, naturalmente lo sapeva, ma non aveva detto nulla. Quella volta il ringraziamento fu inviato tempestivamente per via telepatica.

    L’anno seguente fu la replica di quello precedente, Alexandre trascorse un’altra settimana a Parigi, pregò sulla tomba al Père Lachaise, dispose l’invio del regalo alla nipotina autorizzando la consegna di uno splendido girocollo di platino e zaffiri, poi sparì nuovamente in giro per il mondo con la sua potente e fedele motocicletta, lasciandosi alle spalle l’Europa e imbarcandosi su un cargo mercantile per l’Africa. Il giorno del secondo compleanno della bambina, fu Alice ad aprire la porta e a ricevere il pacchetto, firmò velocemente la ricevuta e consegnò ad Alexandra il regalo di suo zio fingendo un’allegria che non provava. Tutti i parenti presenti alla festa andarono in visibilio per il meraviglioso e prezioso girocollo, Alexandra lo accantonò nel giro di dieci secondi e corse a giocare con il fratello e le sue nuove bambole. Alice avrebbe voluto poter fare altrettanto, andare a nascondersi in un luogo senza gente che potesse notare la sua delusione, possibile che soltanto lei vedesse in quei regali freddi e impersonali la totale solitudine di Alexandre? Lui aveva abbandonato tutto, non aveva più contatti con nessuno, tranne forse con Enlise, ma lei era la sua gemella. Era stata solo una sua stupida illusione quella che lui avesse provato per lei qualcosa di più di un passeggero interesse e un’effimera voglia di un bacio? Tra loro, vi era stata un’attrazione e una sottile tensione che era sfociata nel bacio più dolce e travolgente che lei avesse mai concesso e ricevuto. Probabilmente per Alexandre non era stata la medesima cosa, non le aveva mai spedito neppure una riga nelle cartoline arrivate a Enlise o nelle sue e-mail. Aveva cercato con tutte le sue forze di dimenticarlo e cancellare quello sconvolgente bacio, ma aveva fallito miseramente, spesso desiderava di non averlo mai incontrato e conosciuto, tuttavia la notte lo sognava tra le sue braccia.

    Si era costretta a uscire con alcuni compagni di università, ma non sopportava le loro attenzioni, gli sdolcinati complimenti, le battute a doppio senso, che scambiavano tra loro e gli insulti quando si rifiutava di andare a letto con il ragazzo di turno la ferivano enormemente, nonostante ciò, nulla trapelava dal suo atteggiamento e dopo averli liquidati con secche e sarcastiche battute aveva rinunciato ad avere qualsiasi tipo di relazione sentimentale.

    Il 31 luglio del 2006, Enlise e Alexandre compirono venticinque anni. La ragazza festeggiò il compleanno e il proprio terzo anniversario di matrimonio con Stefano, insieme a Jérôme e Alexandra al Luna Park, divertendosi moltissimo, ma per la serata il marito le aveva organizzato una sorpresa con la complicità del figlio e di Alice: l’avrebbe condotta a Portixeddu per una lunga e romantica settimana, loro due da soli, nella villetta, dove si erano amati per la prima volta. Alice si sarebbe occupata volentieri dei bambini fino al loro ritorno. Quell’ultimo anno era stato veramente stressante per il fratello e la cognata; Stefano aveva aperto uno studio di consulenza pediatrica per bimbi portatori di handicap e nel frattempo lavorava ancora al centro di rieducazione infantile Deledda, dove Enlise era la psicologa a capo di un’efficiente equipe di ottimi professionisti. Con l’ultima parte di eredità di Simone Didot, la donna che l’aveva allevata, aveva avviato un progetto di recupero infantile di bambini soldato provenienti dall’Africa Centro Equatoriale in guerra, entrambe le due occupazioni non erano certamente semplici e di routine.

    Alice arrivò, quella sera, verso le sette, salutò calorosamente la coppia baciandoli sonoramente, facendo loro gli auguri per l’anniversario, porse a Enlise un pacchetto avvolto in carta colorata per il suo compleanno. Con un sorriso smagliante e malizioso si fece promettere che lo avrebbe aperto soltanto quando fosse giunta a destinazione: le aveva comprato una combinazione sexy di reggiseno, slip, calze, reggicalze e una vestaglia trasparente che avrebbe resuscitato anche un cadavere, ma che avrebbe reso enormemente felice suo fratello e fatto irrimediabilmente arrossire sua cognata, o forse no.

    Dopo la loro partenza si mise a giocare con i nipotini, servì la cena, li divertì con le sue imitazioni dei nonni Parris e delle sue noiosissime sorelle, i bambini si divertirono moltissimo e risero fino allo sfinimento, poi si addormentarono nei loro letti con ancora il riso sulle labbra. Alle nove e mezzo di sera aveva finito di lavare le stoviglie e la cucina. Si accingeva a studiare per l’esame che doveva dare per i primi di settembre, era intenta a memorizzare un paragrafo in tedesco, quando suonarono il campanello del portone in strada. Dal citofono domandò chi fosse, le risposero che c’era un pacco da corriere internazionale. Alice aprì consentendo che salisse, sicuramente era il regalo per Enlise da parte di Alexandre, solo lui usava quel metodo impersonale di fare i regali e gli auguri senza dover guardare in faccia chi gli voleva bene, pensò con una punta di acido risentimento.

    Il corriere bussò alla porta e Alice corse ad aprire. Il suo cuore fece un balzo, un paio di capriole, parve fermarsi e poi accelerare di colpo. Era arrivato Alexandre. Si stagliava sul vano della porta d’ingresso con tutta la sua magnifica imponenza: con i capelli lunghi, la barba non rasata da almeno un paio di settimane, i vestiti sgualciti e sdruciti in più punti, gli occhi color smeraldo scintillanti di deliziata sorpresa. Non era mai stato così bello neppure nei suoi sogni più erotici e proibiti.

    Questa scena l’ho già vista, stavolta non potrai dire che non sai chi è mia sorella. le disse con un sorriso impudente, rammentandole il loro primo incontro di tre anni prima.

    Ovvio. Enlise non c’è e mi dispiace che non sia qui per assistere al ritorno del figliol prodigo! ribatté acidamente, cercando di chiudergli la porta in faccia ma Alexandre aveva già infilato un piede tra quella e il battente.

    Il fratello prodigo, semmai! Non mi fai entrare? notò con divertita ironia.

    Per quale motivo dovrei farlo? Ripassa lunedì sera, troverai Enlise ed anche Stefano. fu la risposta che gli diede senza troppi giri di parole e diplomazia.

    Ma non troverò te. Dai, Alice, fammi entrare…ho viaggiato a lungo per arrivare qua e sono stanco! le disse in tono conciliante, pregandola con lo sguardo.

    Be’, allora allunga di un chilometro questo viaggio e vai all’albergo che c’è più avanti, potrai riposare quanto vuoi! lo invitò senza alcuno scrupolo, a denti stretti, ma evitando di fissare i suoi occhi che erano veramente stanchi e arrossati.

    Su, Alice, non fare la carogna con me! la provocò, sorridendole in un modo che le fece rimescolare il sangue e salire la pressione arteriosa a livelli di guardia. S’irritò con se stessa per la propria reazione e decise di giocare d’astuzia. Finse di intravedere qualcuno alle spalle di Alexandre e sospirò sollevata. Ah, ecco il custode, adesso ti sistema lui! sbottò irritata, ma lo stratagemma fallì. Alexandre la sollevò dalla vita, chiuse la porta con un piede e la posò a terra di fronte a lui.

    " Eh no, petite sorcìere, mi hai già imbrogliato una volta con questo trucco! Fai la brava, piccola strega, lasciami riposare per un po’. Prometto che poi me ne vado, d’accord?" propose stancamente e Alice si arrese, annuendo rassegnata.

    Va bene, siediti sul divano. Vuoi qualcosa da bere? gli offrì precedendolo verso il salone e con un tono di voce un po’ più morbido.

    " Oui, un café, merci." Rispose in francese, pareva che lo facesse senza pensare e ciò la convinse di quanto fosse veramente esausto. 

    Te lo porto subito. Gli voltò le spalle, raggiunse la cucina e decise di prepararglielo con la caffettiera per l’espresso, ci avrebbe messo non più di due minuti. Tornò in salone a tempo di record, glielo porse e lo guardò mentre lo assaporava a piccoli sorsi con un sorriso beato sul viso da selvaggio. Quando lo ebbe finito, posò la tazzina sul tavolino accanto al divano e la ringraziò nuovamente con un sorriso che le scaldò il sangue come un sorso di un cognac d’annata.

    Da dove arrivi? preferì chiedergli, diretta, senza troppi convenevoli, nascondendo l’emozione.

    " Da lontano sorcìere mi sono imbarcato su un cargo francese un mese fa, a Taiwan, sono sbarcato a Bastia ed ho preso il traghetto per Cagliari. Ora sono qui, stanco morto e probabilmente puzzo come un lama nepalese!" tentò di scherzare e Alice s’intenerì nei suoi confronti.

    Vai a farti una doccia, così ti togli di dosso la stanchezza e la puzza, intanto ti cerco qualcosa da indossare tra gli indumenti di mio fratello. Gli propose con una disinvoltura che stupì lei stessa.

    Alexandre accettò volentieri e si fece indicare il bagno, entrò e si chiuse dentro con la chiave. Alice sussultò offesa nel sentire lo scatto della serratura. Che cosa pensava? Che lei entrasse mentre era sotto la doccia e lo violentasse? Avrebbe potuto portargli i vestiti e posarli sulla cassettiera, concedendosi alla più una sbirciatina veloce e discreta! Borbottando come una vecchia caffettiera, andò nella stanza da letto di Enlise e prese dai cassetti di suo fratello dei boxer, dei calzoni leggeri di cotone e una maglietta con le maniche corte. Portò tutto davanti alla porta del bagno, li appoggiò su di una sedia e ve li lasciò tornando in salotto ai suoi libri.

    Quando stava cominciando a pensare che si fosse addormentato sotto la doccia, udì il rumore della porta che si apriva e che si richiudeva. Alexandre apparve dieci minuti dopo, pareva stesse meglio ed anche un po’ più rilassato. Aveva lasciato la barba, ma aveva legato i capelli con un elastico di Enlise, i pantaloni erano corti di almeno cinque centimetri e il bottone in vita non si allacciava. In compenso la maglietta nera gli stava divinamente aderente, soprattutto ora che i muscoli erano veri e non solo frutto di esercizi da palestra.

    " Mon Dieu! Ne avevo veramente bisogno!" esclamò sedendosi sul divano e posando i piedi sulla poltrona davanti a sé. Alice gli invidiò l’altezza, lei superava di un solo centimetro il metro e sessanta e riusciva a stare comodamente di traverso su di una poltrona.

    Quando riparti? domandò bruscamente, volutamente scontrosa ed evitando di guardarlo.

    Hai fretta di non vedermi più? ribatté con lo stesso tono Alexandre, ma lui, al contrario, non riusciva a smettere di fissarla e di trovarla ancora più bella dal giorno delle nozze di Enlise.

    Forse, King Kong! Prendi troppo spazio per i miei gusti! reagì acidamente, con un’occhiata al vetriolo, mentre dentro di sé sentiva solo il desiderio di baciarlo fino a perdersi su quelle labbra che aveva sognato a lungo.

    Se vuoi, mi sposto sulla poltrona. Le propose fingendo di non aver capito e guardandola serafico.

    Viaggiare non ti ha fatto bene, una volta eri più sveglio, Everest! Cos’è? A furia di stare in alto ti è mancato l’ossigeno al cervello? infierì, rasente l’offesa, rannicchiandosi nel suo angolo di divano, conscia di averlo volutamente provocato e ansiosa di vedere come avrebbe reagito.

    Alexandre la guardò incredulo, poi sorrise, lievemente, e si allungò ancora di più sul divano.

    Vedo che sei peggiorata in quanto a battute, perlomeno una volta facevi ridere. Comunque l’ho visto l’Everest, è davvero un miracolo della magnificenza del creato Rispose con una calma che lei stentò a credere, avrebbe perfino scommesso sul fatto che come minimo si sarebbe messo a ruggire dalla collera. Invece no. Cosa gli era successo? Che cosa aveva fatto per diventare così quieto? Quel ragazzo pieno di superbia dov’era finito?

    Davvero, hai visto l’Everest? si ritrovò a domandargli, era tremendamente curiosa e perciò preferiva abbandonare la polemica per una momentanea tregua.

    " Già, sorcìere. – le confermò con un sorriso tenero – Ed anche tutta la catena dell’Himalaya. Ti assicuro che nonostante il mio metro e novanta mi sono sentito una formica davanti a quella meraviglia." Dichiarò senza alcuna vanteria, gli occhi verdi illuminati dal ricordo di quella bella e unica esperienza. Alice lo guardò con profonda ammirazione ed anche un pizzico d’invidia.

    " Sei stato via tre anni géant …" sussurrò più a se stessa che a lui direttamente.

    Lo so, ma non avevo un’altra scelta. Dovevo capire molte cose di me e non ci sarei riuscito a Parigi, a Roma o qui. Lo capisci, vero? spiegò serenamente, desiderando di poterla sdraiare sul divano insieme con lui e affondare il viso in quel seno prorompente che lo aveva ossessionato in ogni sogno fatto in quei tre lunghi anni lontano da lei.

    Credo di sì. Ora hai fatto la tua scelta? domandò sperando che ciò includesse anche lei. Se le avesse chiesto di partire con lui lo avrebbe seguito ovunque.

    Devo prima tornare a Parigi. C’è qualcuno che mi aspetta e che dipende dalle mie decisioni. rivelò, intendendo riferirsi ai consulenti della Gold Production, ma non fu quello che lei comprese e ne restò ferita, a suo malgrado.

    Questo qualcuno – iniziò detestandosi, ma non riuscendo a evitare di volerne sapere di più – è molto importante per te? chiese sentendo il viso accaldarsi e il cuore battere più forte.

    Alexandre la fissò stupito, incapace di credere a ciò che aveva sentito. Lei pensava che avesse una donna a Parigi! L’unica donna che gli interessava era lei, ma non era ancora pronto a impegnarsi per il futuro, non ancora.

    No, Alice, nessuno d’importante. Sono solo affari, lavoro, ma che purtroppo devo risolvere personalmente. le disse, sinceramente. Vide il suo viso illuminarsi dalla felicità ed era così bella da fargli sentire quasi male in quel suo cuore inquieto e confuso.

    Alice aveva aspettato per tre anni che tornasse, era l’unico uomo che l’avesse fatta sentire diversa dalla piccola, scura, arricciata Parris che tutti compativano. Troppo strana per piacere veramente, troppo sfacciata per essere una brava ragazza, tanto che tutta la gente del suo paese pensava che a Cagliari conducesse una vita scandalosa e senza regole. Era stanca di essere giudicata male senza motivo, quindi quale miglior occasione si poteva presentare se non quella di fare ciò per la quale era criticata? Raccogliendo tutto il coraggio e la faccia tosta che riuscì a trovare dentro di sé, si sporse in avanti arrivando a pochi centimetri dal torace di Alexandre e sfiorandolo di proposito con il proprio seno. Lui parve trattenere il respiro, la guardò sorpreso e poi posò lo sguardo verso il basso, deglutì incerto, non era sicuro che stesse scherzando oppure no, tornò a fissarla negli occhi e sulle labbra, quasi paralizzato dall’immenso desiderio che lo aveva assalito.

    Baciami! ordinò perentoria, ostentando una sicurezza che non provava. Se lui avesse rifiutato, sarebbe morta seduta stante, per la vergogna. Alexandre, invece, moriva dalla voglia di farlo e dalla paura di non essere in grado di fermarsi. Cercò di combattere la tentazione, dicendosi che non voleva legami sentimentali e che Alice non meritasse di essere illusa con una promessa di relazione stabile, che non poteva legarla a sé fino a quando non aveva definito il destino della Gold e di ciò che avrebbe fatto della propria vita. Avrebbe voluto dirle mille cose, ma il suo incomparabile cervello, come lo chiamava sua cugina Gaia, rifiutava di collaborare razionalmente.

    Alice, non posso prometterti niente. tentò di mettere in chiaro sfiorandola con le labbra.

    Non voglio promesse. Baciami … lo rassicurò spiccia e impaziente, ancora due minuti e sarebbe fuggita. Alexandre non le diede il tempo di farlo. La attirò verso la sua bocca posandole una mano dietro la nuca, fra i riccioli neri, morbidi e vivi, con l’altra mano la afferrò saldamente per la vita, stringendola a sé con un’urgenza che lo spaventò, ma che non lo fermò.

    Alice non pensò neppure per un secondo di dire basta, era pronta a tutto ciò da quando l’aveva baciata per la prima volta, al matrimonio di Enlise e Stefano, e ora era esattamente quello che voleva, con tutta la passione e il desiderio che sentiva bruciare nel corpo. Annaspando, alle prese con gli indumenti, rotolarono giù dal divano, finirono sulla moquette senza lasciarsi con la bocca e con le braccia. Presi entrambi da quel bisogno famelico di raggiungere la pelle percorsa da un calore febbrile, prima di esserne bruciati, ogni indumento si dissolse e ogni barriera cadde. I corpi si fusero, plasmandosi reciprocamente. Alexandre non fu tenero. Alice non se lo era aspettato. Lo voleva esattamente così, forte, passionale, irruento, il suo gigante. La fitta bruciante che la colse di sorpresa la lasciò senza fiato, quando la prese nell’impeto irrazionale della passione, gemette per l’immenso, travolgente e folle piacere che la sommerse subito dopo, facendola aggrappare alla sua schiena, fino a graffiarlo selvaggiamente senza neppure accorgersi di averlo fatto.

    Placato da quell’amore intenso, urgente e vitale, ritrovando un barlume di lucidità, Alexandre si rese conto di non aver usato alcuna protezione, ripiombò pesantemente alla realtà. Turbato per aver ignorato la regola che si era sempre imposta, di non avere mai rapporti sessuali non protetti, non si accorse dell’imbarazzo di Alice, ancora tra le sue braccia, languidamente allacciata al suo corpo, sotto di lui. Lo guardava con gli occhi splendenti di una donna tremendamente soddisfatta della sua prima esperienza d’amore con l’uomo dei suoi sogni, in attesa che lui le dicesse qualcosa di tenero dopo quell’amplesso che li aveva incendiati e stremati.

    Non abbiamo usato niente per proteggerci. mormorò, invece, rocamente e con un’aria stravolta. Non era proprio ciò che voleva sentirsi dire Alice ma felice di averlo su di sé, annuì sorridendo.

    Io prendo l’anticoncezionale. Ehi, non è che sei malato, vero? scherzò poco opportunamente, senza riflettere, abituata a dire ciò che le passava nella testa, non pensando che Alexandre si potesse arrabbiare sul serio e comunque non con lei.

    Certo che no! – si risentì immediatamente il ragazzo – Forse tu sei più abituata di me, se non ti fai problemi di questo tipo e devo dire che tutto ciò non mi rassicura per niente! affermò istintivamente, esagerando e andando oltre le sue intenzioni, ma cupo e serio per la preoccupazione non usò quel suo impagabile cervello e la ferì impietosamente.

    Un secondo dopo gli arrivò un potente e sonoro ceffone che lo lasciò di stucco. Con un poderoso spintone se lo tolse di dosso, afferrò rapidamente i suoi vestiti e si rifugiò in bagno a piangere e imprecare contro di lui. Alexandre la fissò attonito, mentre correva via, fu solo quando cercò d’infilarsi i boxer che si accorse di aver fatto il peggiore errore della sua vita. Aveva insultato con imperdonabile leggerezza la sua meravigliosa ragazza, la stessa che gli aveva regalato un piacere immenso e donato la sua verginità facendo l’amore con lui come nessun’altra donna lo aveva fatto. Ora, probabilmente, lo avrebbe odiato. Davide lo aveva avvertito che gli errori si pagavano sempre. Quanto

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