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L'alba del sole nero: L'orso e la lupa
L'alba del sole nero: L'orso e la lupa
L'alba del sole nero: L'orso e la lupa
E-book480 pagine6 ore

L'alba del sole nero: L'orso e la lupa

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Info su questo ebook

6 A.C. La giovane Dagmar, cresciuta Romana, viene riportata con forza ai suoi genitori naturali al di là del limes. Inizierà così la sua nuova vita tra le genti della tribù degli “Orsi Bruni” del popolo degli Juti, vivendo inizialmente in conflitto con la nuova famiglia e con le genti così diverse da ciò che aveva sempre contraddistinto il suo mondo. Non sarà facile abituarsi alla nuova realtà, ma il tempo e gli eventi sono capaci di plasmare ogni cosa sino a trasformarla in un’indomita guerriera capace di condurre gli uomini sin negli inferi.
6 D.C. Lucilla Caecinae è divenuta un’abile atleta seguendo gli insegnamenti del centurione in congedo Quinto Tauro Sannino e la sua voglia di rivalsa sul mondo e soprattutto sugli uomini la porta a fare scelte non sempre condivise dalla sua famiglia. Si butta, anima e corpo, nel mondo delle corse delle bighe e per far questo è costretta a travestirsi e comportarsi da uomo.
Nello stesso periodo i fratelli acquisiti di Lucilla, i centurioni Fulvus e Demetrio, hanno appena avuto il battesimo del fuoco nella lontana Sirmium. Demetrio, ferito e disperso, viene ricercato dal fratello al di là del fiume che delimita le terre dei Romani. L’antica lancia che porta impresso il simbolo della famiglia Caecinae, è perduta e questo evento segna indelebilmente le future scelte di Demetrio.
9 D.C. Battaglia di Teutoburgo. Il principe dei Cherusci, Arminio, alleato dei Romani e comandante di un drappello di cavalleria germana, scatena una terribile rappresaglia contro i suoi alleati. Dopo aver riunito numerose tribù “Barbare” attacca, per tre giorni, tre intere legioni decretandone la completa distruzione. In questo contesto burrascoso i protagonisti intrecceranno le loro vite ed i loro destini.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ago 2019
ISBN9788834158623
L'alba del sole nero: L'orso e la lupa

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    Anteprima del libro

    L'alba del sole nero - Cesare Fantazzini

    CESARE FANTAZZINI

    L’ALBA DEL SOLE NERO

    L’ORSO E LA LUPA

    UUID: 3c6a3278-a415-11e9-bebe-bb9721ed696d

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    NOTA DELL’AUTORE

    PROLOGO

    PARTE PRIMA

    Terre degli Juti - 6 A.C. (Molti anni prima)

    Nelle terre degli Juti - Alcune settimane dopo.

    Sirmium, Illirico, Provincia Romana. 6 D.C. (oggi)

    Territorio degli Orsi Bruni 6 A.C. (molti anni prima)

    Sirmium, Illirico, Provincia Romana. 6 D.C. (oggi)

    Territorio degli Orsi Bruni 4 A.C. (anni prima)

    SECONDA PARTE

    Sirmium, Illirico, Provincia Romana. 6 D.C. (oggi)

    Territori delle tribù barbare germaniche –4 A.C. (anni prima)

    Volterra, 6 D.C. (oggi)

    Il giorno dopo

    Territori delle tribù barbare germaniche – 4 A.C. (anni prima)

    ​Etruria meridionale - 6 D.C. (oggi)

    ​Vetulonia, il giorno dopo

    Sirmium 6 D.C. (oggi)

    ​Volterra, 6 D.C. (oggi)

    ​Territori delle tribù germaniche – 4 A.C. (anni prima)

    ​A poche miglia da Ticinum - 6 D.C. (oggi)

    ​Città di Placentia - 6 D.C. (oggi)

    ​Sirmium, alcune settimane più tardi. 7 D.C. (oggi)

    ​Nel frattempo, oltre il fiume Drava

    ​Aosta - 4 D.C. (alcuni anni prima)

    ​Terre dei Cherusci – 4 D.C. (alcuni anni fa)

    PARTE TERZA

    ​Illirico 7.D.C.

    ​Volterra - 8 D.C.

    ​Territorio dei Cherusci - 9 D.C. Mese di Agosto

    ​Negli stessi giorni ad Haltern

    ​Stesso periodo – Mogontiacum

    ​Territorio delle tribù germaniche - 9 D.C. Mese di Settembre

    ​Stesso periodo a non più di tre giorni di cammino

    ​Foresta di Teutoburgo - 9 D.C. Mese di Settembre

    ​A poche miglia di distanza

    ​Nel campo romano

    Poche ore dopo

    Legenda

    NOTA DELL’AUTORE

    Il romanzo si ambienta in un contesto storico particolare, ove personaggi di pura fantasia, come i protagonisti: Fulvus, Demetrio, Placidia, Dagmar, Roboaldo ed altri intrecciano le loro vicende con personaggi realmente esistiti e contrassegnati nella legenda col nome sottolineato. Tra questi troviamo ad esempio: Aulo Caecinae Severo generale romano appartenente ad un’antica famiglia etrusca volterrana, Arminio principe dei Cherusci alleato dei Romani e successivamente comandante dei Barbari nella famosa battaglia di Teutoburgo e Maroboduo re dei Marcomanni.

    Il libro è la continuazione del romanzo L’orso e la lupa, ma a differenza del primo della serie, la storia narrata ruota principalmente attorno ad alcune figure femminili che avevano avuto solo una parte secondaria nel primo romanzo.

    La narrazione è composta da due linee temporali principali che pagina dopo pagina si avvicineranno sempre più per poi divenire una sola nella parte terza.

    PROLOGO

    Illiricum, 6 D.C.

    L’urto fu violentissimo ed inaspettato. Folgore venne colpito di fianco dal cavallo nemico e non ebbe modo di mantenere l’equilibrio e, nel tentativo di rimanere in piedi, cercò di galoppare nella direzione opposta ma, il movimento scoordinato e scomposto, ebbe un risultato da incubo. Folgore con in groppa Demetrio finirono dentro il fiume in un punto ove la corrente aveva creato una zona profonda. Il corpo del giovane, in un attimo, fu sommerso dall’acqua e trascinato verso il fondo mentre Folgore riuscì a riemergere per riguadagnare la sponda del fiume.

    L’acqua era tremendamente torbida ed il fondo limaccioso e Demetrio venne nuovamente pervaso dalla sua atavica paura. Non perse tempo a liberarsi dalla pesante armatura e, nel fare ciò, gli venne da ridere per uno strano pensiero che gli passò per la testa: "Bel guerriero, al primo scontro muoio affogato in un fiume fangoso …"

    Libero dal peso del ferro, cercò di risalire in superficie ma si rese conto di aver perso l’orientamento e di essere oramai preda della corrente. Fece allora l’unica cosa che poteva fare: assecondò la forza del fiume sperando in un lieto fine. Tuttavia i polmoni reclamavano aria e la resistenza del ragazzo, già indebolita dalle fasi della battaglia, era oramai al limite. Tenne comunque duro e gli parve di vedere poco lontano, una luce che per quel che era possibile, rendeva più limpida l’acqua. Una flebile speranza lo pervase e cercò, con tutte le forze rimaste, di raggiungere quello spiraglio luminoso. Subito dopo, sgomento, ebbe solo il tempo di sentire un tremendo colpo al torace ed il buio più completo spense il mondo di fronte a lui. L’ultima immagine che vide era ancora quella della lupa stampata sulla lancia del principe Kaiknas e provò orrore per il fatto che l’arma sarebbe andata persa.

    PARTE PRIMA

    OLTRE IL LIMES

    passato e presente

    Terre degli Juti - 6 A.C. (Molti anni prima)

    Il viaggio si rivelò più lungo del previsto, ma fu più la stanchezza mentale che fisica a rendere la giovane donna incapace di reagire a tutto quell’amaro destino. L’attraversamento del Reno, avvenuto alcuni giorni prima, aveva segnato il superamento di un confine non solo territoriale, ma anche temporale. Sembrava di essere stati catapultati in un altro mondo e in un altro tempo. Le strade lastricate erano scomparse all’improvviso e le città romane con le case in mattoni ed i monumenti in marmo erano oramai solo un ricordo. Agli occhi della ragazza sembrava che l’uomo, in quella parte del mondo, non avesse ancora vinto la battaglia contro una natura selvaggia ed opprimente.

    Il carro coperto, trainato da due grossi cavalli, stava percorrendo uno stretto sentiero fangoso che si perdeva nel ventre di quell’immensa foresta di conifere. Lo sguardo, fisso nel vuoto, evidenziava il malessere della fanciulla e, una pungente fitta allo stomaco era l’unica sensazione che le faceva comprendere di essere ancora viva.

    Dagmar, siamo quasi arrivati, devi aver pazienza …

    Il cavaliere aveva parlato in latino, ma con un inconfondibile accento da "barbaro" e la donna non aveva avuto la forza di rispondere. Rimase infatti impassibile come se non avesse udito nulla e neppure gli occhi si mossero in direzione della voce.

    Il freddo era pungente ed una pesante coperta di pelliccia di orso avvolgeva quel corpo intirizzito e tremante, anche se non era la temperatura esterna a far rabbrividire la donna, ma la paura crescente per l’incerto futuro.

    Da quando era partita da Oppidum Ubiorum, quel carro maleodorante era stato la sua casa, lì aveva mangiato quel poco che il suo stomaco era riuscito a trangugiare con fatica, lì aveva cercato di dormire intervallando brevi sonni ad incubi spaventosi. Dagmar ogni volta si risvegliava di soprassalto, madida di sudore, sperando che, nell’aprire gli occhi, potesse riapparire il mondo che aveva vissuto sino a pochi giorni prima, ma non era mai così. La realtà era ancora più spaventosa degli incubi ed un senso di nausea continuo era diventato il suo inseparabile compagno di viaggio.

    Ad un certo punto la foresta diventò sempre meno fitta sino a scomparire del tutto. Un grande spazio aperto, attorniato da secolari alberi apparve all’improvviso. Un piccolo corso d’acqua limpida scorreva lentamente vicino ad un villaggio composto da numerose capanne di legno. Grigi rivoli di fumo danzavano nell’aria per confondersi con la debole nebbia ancora presente.

    Il silenzio venne rotto dall’abbaiare di alcuni cani da guardia che, adeguatamente addestrati, fecero il loro lavoro con impegno e determinazione.

    Dagmar, siamo arrivati.

    La ragazza era senza parole e solo una cosa le venne in mente: Siamo arrivati? Dove?

    Il cavaliere la invitò a scendere dal carro e lei, con inquietudine e titubanza, appoggiò i piedi a terra per poi rimanere immobile a guardare in direzione del villaggio.

    Un cane di mezza taglia e di una razza indefinita le si avvicinò e la giovane, istintivamente, fece un piccolo passo indietro.

    Non preoccuparti è buono.

    La voce femminile giunse inaspettata e Dagmar si girò di scatto, quasi spaventata.

    Il cane è buono, non preoccuparti Dagmar.

    Solo in quel momento, gli occhi della giovane parvero rianimarsi. La donna che aveva parlato era bellissima. Una lucente chioma di capelli mossi e biondi le ricadeva sulle spalle per poi fluttuare delicatamente lungo la schiena. Indossava una strana tunica di pelle e, sotto di essa, due lunghe braghe dello stesso materiale. Sembrava più un guerriero che una donna, ma aveva uno sguardo dolce e allo stesso tempo triste. Gli occhi erano affaticati ed arrossati come quelli di chi aveva appena smesso di piangere, ma nessuna lacrima le rigava il volto.

    Il gruppo di cavalieri che aveva accompagnato la giovane donna in quello scomodo viaggio si allontanò al passo e Dagmar rimase inchiodata in quel luogo, rapita dagli occhi di quella donna sconosciuta.

    Vieni Dagmar, avrai bisogno di riposo.

    Quella voce era calda e stranamente rilassante e la ragazza, senza pensarci un attimo, seguì la donna che si diresse verso il centro del villaggio ove era presente una capanna poco più grossa delle altre. Dagmar era talmente frastornata dal viaggio ed ancor più dalla situazione che si era venuta a creare che non si era nemmeno accorta che lungo il tragitto si erano assiepate numerose persone ad osservare, in silenzio, il suo passaggio.

    Alcuni erano semplici contadini, altri cacciatori, altri vecchi e bambini, molte donne e tanti guerrieri. Questi ultimi erano numerosi ed avevano armamenti da cerimonia. Impugnavano lunghe lance di frassino dalla punta in ferro e indossavano armature a scaglie metalliche o in cuoio ed elmi conici. Alcuni avevano la testa ricoperta dalla pelliccia di un animale, ma solo uno era completamente ricoperto dalla pelle dell’orso.

    Il "Guerriero Orso" aspettava vicino alla grande capanna circolare e montava uno splendido destriero nero come la notte. Cavallo e cavaliere sembravano un’entità sola. Sembrava di vedere un gigantesco centauro sormontato da un orso.

    Vieni Dagmar, non avere paura, nessuno ti farà del male.

    La donna sembrò comprendere il malessere della ragazza e cercò di rassicurarla parlandole in modo pacato. Solo in quel momento Dagmar si rese conto che la sua mano sinistra stringeva con forza la mano destra della donna e non le parve vero di sentirsi sicura in quella stretta inaspettata.

    Il "Guerriero Orso", con un lento movimento, scese da cavallo e si avvicinò alle due donne che erano ferme dinnanzi a lui. Agli occhi della giovane, quell’uomo incuteva terrore ed istintivamente strinse ancora più forte la mano della donna che aveva al suo fianco. Il guerriero e la donna si guardarono un attimo negli occhi e, subito dopo, l’uomo si posizionò ad una spanna dalla giovane Romana. Dagmar lo squadrò dalla testa ai piedi e rimase impressionata dalla stazza di quel guerriero. Era enorme e la pelliccia dell’orso che lo ricopriva completamente lo rendeva ancora più inquietante. La bocca spalancata della bestia metteva in evidenza il bianco delle sue fauci e nascondeva il volto del guerriero. Solo un debole riflesso di luce gli illuminava gli occhi che emettevano lampi sinistri.

    Dagmar tremava come una foglia scossa dal vento, trasmettendo la sua paura alla donna che ancora le stringeva forte la mano. Dagmar si guardò attorno e solo allora vide tutti quei guerrieri che la stavano osservando, così orgogliosi e così diversi dagli uomini delle legioni. La giovane, pur cercando in tutti i modi di trovare delle spiegazioni a quanto le stava accadendo, era stordita ed ebbe un mancamento. La vista le si annebbiò e perse l’equilibrio, ma due forti braccia le impedirono di cadere a terra.

    Riprese subito coscienza e la prima cosa che vide furono gli occhi del guerriero che solo in quel momento le trasmisero una sensazione di protezione e tenerezza che la resero, se possibile, ancora più irrequieta.

    Non preoccuparti piccola, sei tornata a casa.

    Il guerriero parlò e la ragazza, vinta dalle emozioni e sfinita nelle membra, si addormentò, dando modo al suo corpo e soprattutto alla sua mente di recuperare le forze oramai svanite da tempo.

    Dagmar dormì sino al giorno dopo. Fece un sonno profondo senza sogni e senza incubi, ma al risveglio venne subito assalita da una sensazione di smarrimento che le generò un’improvvisa ansia crescente.

    Attorno a lei non vi erano le alte finestre della "Domus" di suo padre e nemmeno le pareti di muro ed i pavimenti in pietra. Richiuse immediatamente gli occhi sperando che quella visione fosse frutto della sua mente, ma riaprendoli dopo pochi istanti, si rese conto, sgomenta, che non stava sognando e che la realtà era spaventosa.

    La capanna circolare di legno era calda ed accogliente come il comodo letto di acero ricoperto da pesanti coperte di pelliccia di orso, ma quel mondo non era il suo.

    Al centro della capanna un enorme braciere riscaldava l’ambiente ed un foro situato proprio al centro del tetto permetteva al fumo di defluire verso l’esterno.

    La ragazza si sedette sul bordo del letto rendendosi conto, solo in quel momento, di indossare indumenti che non erano i suoi. Era infatti avvolta da una stretta veste in lana morbida che le scendeva sin sotto alle ginocchia. Istintivamente si mise le mani tra le cosce come per nascondere le parti intime che tuttavia erano già coperte dalla morbida lana.

    Chiuse nuovamente gli occhi mettendosi la testa tra le mani e provando un forte malessere che stranamente non sfociò in un pianto di disperazione.

    Dagmar sei sveglia?

    Un raggio di luce entrò nella capanna colpendo gli occhi della ragazza che, per un istante, venne accecata da tutto quel chiarore improvviso, non riuscendo pertanto a distinguere la figura che era ancora sul ciglio d’entrata di quel luogo.

    Dagmar, sei sveglia? Tutto bene?

    La giovane socchiuse appena gli occhi cercando di mettere a fuoco, ma ancor prima di vedere la persona che aveva parlato, riconobbe quella voce, provando un leggero sollievo che sorprese anche lei. Poco dopo l’immagine sfuocata della donna ancora controluce divenne sempre più nitida e Dagmar si stupì del fatto che, senza rendersene conto, si era alzata in piedi e, molto timidamente, si stava avvicinando a quella donna.

    Vieni Dagmar, è giunto il momento che tu conosca la tua storia. Il momento per capire … quel momento … solo tu lo troverai e non credo che sia ora.

    La donna, come era avvenuto il giorno precedente, stava allungando la sua mano destra in direzione di Dagmar, la quale non si fece pregare per accettare quell’invito. Si aggrappò a quella mano con tutte le forze che aveva e ricevette a sua volta la forza per continuare a vivere, passo dopo passo, cominciando con l’uscire da quella capanna.

    La giornata era bellissima, un debole vento settentrionale aveva spazzato via la nebbia e le chiome appuntite delle alte conifere danzavano ritmicamente, avanti e indietro nel cielo terso. Il verde era il colore dominante ed il villaggio risultava quasi invisibile agli occhi di una persona poco attenta. Le capanne di legno avevano i tetti ricoperti d’erba e da lontano era impossibile comprendere che fossero manufatti umani, se non fosse stato per i numerosi rivoli di fumo che a contatto con l’aria venivano rapiti dall’energia del vento. Come era avvenuto il giorno precedente, ai bordi della capanna vi erano numerosi guerrieri ma anche donne e bambini ed ora Dagmar cominciò a guardarli negli occhi percependo emozioni non dissimili da quelle che stava provando lei. Non c’era paura ma un’infinità di domande che rimanevano senza risposte. Le due donne camminarono per non più di una ventina di passi e si fermarono di fronte alla capanna del capo villaggio. Una pesante pelle di animale ne ricopriva l’entrata ai lati della quale vi erano due grosse lance conficcate nel terreno in modo che le relative cuspidi di ferro puntassero verso il cielo riflettendo bianchi riflessi di luce.

    La donna guardò Dagmar negli occhi e, con un leggero gesto del capo, la invitò ad entrare. La donna spostò il pesante lembo di pelle ed entrò accompagnata dalla ragazza.

    L’interno mostrava una capanna non dissimile da quella ove Dagmar aveva passato la notte, solo le dimensioni erano diverse. La capanna del capo era enorme ed anche il braciere posto al centro era gigantesco. Un grosso tronco di abete stava bruciando, emettendo improvvisi scoppiettii e zampilli incandescenti che, ricadendo, si spegnevano a contatto col terreno.

    La luce prodotta dal fuoco e da alcune fiaccole accuratamente appese alle pareti, colorava di rosso e di giallo tutto l’ambiente, proiettando ombre tremolanti sul pavimento. Dalla parte opposta all’ingresso vi era uno scranno in legno scuro, levigato a specchio. Il guerriero seduto sullo scranno era il "Guerriero Orso" che il giorno precedente aveva impressionato la giovane Dagmar. Ora non indossava la pelle della bestia ma indumenti simili a quelli indossati dalla donna.

    L’uomo guardò le due donne poi fece un sorriso quasi impercettibile e si alzò per poi dirigersi verso di loro.

    Dagmar, non avere paura, qui sei la benvenuta, questa è casa tua ed io sono Rudgar dei Torsen capo della tribù degli Orsi Bruni del popolo degli Juti. Io sono tuo padre.

    Dagmar guardò improvvisamente la donna che aveva al suo fianco e, senza bisogno che lei dicesse nulla, capì.

    E tu … tu sei mia madre?

    Sì Dagmar, io sono Bleda moglie di Rudgar e sono tua madre.

    L’aria era satura delle emozioni dei tre. Nessuno era nella condizione idonea per decifrare le sensazioni che provava. Rudgar e Bleda avevano riavuto, dopo quasi quattordici anni, la figlia che avevano dovuto consegnare ai Romani per fini diplomatici. Erano certamente contenti di poter rivedere e ricominciare a vivere con la loro figlia naturale, ma un dolore forte e pungente comprimeva violentemente il cuore dei due. Il figlio Romano, adottato e cresciuto come figlio loro, ora era lontano e, con molta probabilità, non l’avrebbero più rivisto.

    Il giovane Fulvus, cresciuto come uno Juto e amato come un figlio, aveva dovuto subire la stessa sorte di Dagmar alla rovescia. Era cresciuto come Juto ma era Romano ed ora rientrava tra la sua gente anche se l’incontro non sarebbe stato certo facile.

    Ti prego siediti Dagmar e cerca di mangiare qualcosa, anche se immagino che il tuo stomaco non abbia voglia di riempirsi.

    Quell’uomo, dalla mole gigantesca, aveva parlato in un latino stentato con una voce calda ma tremolante, evidenziando il suo forte stato di agitazione che non derivava certo dalla sua poca padronanza della lingua di Dagmar.

    La Romana si sedette su un piccolo scranno di legno e osservò la grossa tavola sulla quale vi era ogni sorta di cibo. Succulente fette di carne grondante salse dagli sconosciuti profumi, forme di pane scuro e formaggio morbido, boccali di birra e di latte e recipienti contenenti miele ed altri con frutta di sottobosco.

    Hai ragione, Rudgar, non ho fame e credo di non essere in grado di omaggiare la tua mensa.

    Lo so, ma devi fare uno sforzo e vedrai che poi starai meglio. Forza mangia qualcosa.

    Dagmar allungò la sua piccola mano e con molta titubanza prese un pezzo di formaggio e l’avvicinò alla bocca, quasi con paura. Assaporò quello strano formaggio mantenendo il boccone in bocca per troppo tempo, incapace di deglutire, poi fece un enorme sforzo e mandò giù.

    Brava! Ora prova così.

    Rudgar infilò la punta di un grosso coltello nel miele e poi spalmò accuratamente una fetta di formaggio per poi porla a Dagmar.

    La ragazza assaporò di nuovo e spalancò gli occhi per la sorpresa. Il boccone aveva assunto un sapore nuovo e speciale. Il formaggio, quasi salato, mescolava il suo sapore col dolce del miele creando un nuovo gusto indecifrabile ma buono. Il boccone, avvolto dal miele, scivolò delicatamente nello stomaco della giovane liberando il posto per un nuovo boccone. Dagmar ritrovò immediatamente la voglia di cibarsi e mangiò avidamente. Poi bevve un grosso sorso di latte tiepido che le diede un enorme sollievo.

    Rudgar e Bleda erano rimasti immobili a guardare la figlia ed avevano entrambi gli occhi lucidi per l’emozione. Avrebbero voluto stringere con forza quel corpo esile tra le loro braccia per trasmetterle quell’amore e quelle emozioni che le erano state negate per tutti quegli anni, ma forse non era ancora il momento. Occorreva fare un piccolo passo alla volta per ricominciare a vivere e non era certo una cosa semplice.

    Ora Dagmar devi ascoltare con calma quello che tuo padre ti dirà e, ti prego, sii forte.

    Rudgar si sedette di fronte alla figlia e cominciò a parlare mentre Bleda si avvicinò a Dagmar appoggiandole dolcemente una mano sulla spalla.

    Era una notte gelida e la luce della luna illuminava la nostra terra. Io e tua madre avevamo atteso con ansia la tua nascita, ma la gioia per l’evento era turbata dalla scelta dolorosa che avremmo dovuto prendere. Per strani giochi di potere, per fini militari e per il bene del nostro popolo ho dovuto accettare ciò che nessun altro poteva accettare e così feci. Se avessero vinto le mie emozioni, probabilmente non saremmo qui a parlare e gli Orsi Bruni, gli Juti e altri popoli germanici sarebbero scomparsi da anni. La dolorosa scelta era, al momento, l’unica che avrebbe permesso di sperare in un futuro. Un mostro titanico e famelico stava avanzando verso i nostri confini e la frammentazione del nostro popolo risultò una debolezza insormontabile. Facemmo quindi ciò che altri capi avevano già fatto, cercando di allontanare dalle nostre terre le fauci della grande bestia che aveva già fagocitato innumerevoli popoli e tribù.

    Dagmar ascoltava in silenzio quella strana storia mentre nei suoi occhi lucidi danzavano i riflessi tremolanti del grande fuoco. L’ambiente era caldo e confortevole, ma la ragazza tremava, come una foglia scossa da un vento gelido, non riuscendo a controllare le improvvise contrazioni muscolari che il suo corpo generava. La madre se ne accorse e cercò di porvi rimedio.

    Bevi ancora un poco di questo.

    Bleda allungò un altro boccale di latte caldo a Dagmar, la ragazza bevve ancora e Rudgar proseguì nella sua narrazione.

    Quella notte alzai il tuo piccolo corpo e ringraziai gli Dèi. Tutti festeggiarono credendo a quanto era stato loro detto e cioè che Rudgar e Bleda avevano avuto un figlio maschio e che un giorno, un altro guerriero, un altro Giovane Orso" avrebbe difeso la sua gente da ogni avversità. Solo i capi famiglia più influenti erano a conoscenza della verità, ma avrebbero mantenuto il segreto sino a che fosse stato necessario.

    Pochi giorni prima, nelle terre dei Romani, al di là del grande fiume, una giovane madre dava alla luce il piccolo Fulvus. Suo padre, ufficiale dell’impero, ma di chiara origine germanica, del grande popolo dei Frisoni, aveva dovuto sopportare lo stesso nostro fardello, privandosi del figlio appena nato per garantire la pace tra i Romani ed i Barbari. Questo scambio di ostaggi tra genti diverse, ha permesso di mantenere la pace in quelle zone di confine che inevitabilmente avrebbero finito per diventare il teatro di una guerra tra popoli che avrebbe in breve tempo coinvolto tutti. Per ora questa consuetudine ha raggiunto lo scopo, ma i tempi stanno cambiando e credo che in un futuro, non troppo lontano, potrebbero esserci degli sconvolgimenti.

    Dopo averti nutrito ed accudito il tempo necessario a superare i naturali pericoli derivanti dalla tua tenera età, abbiamo fatto lo scambio doloroso.

    Il piccolo Fulvus è stato cresciuto ed amato come nostro figlio ed io l’ho amato con tutto il cuore."

    Rudgar chiuse un attimo gli occhi interrompendo il suo racconto, poi riprese a parlare.

    Perdonami Dagmar, ma devo dirti una cosa che forse non ti farà piacere, ma son certo che capirai.

    Dagmar fece un breve cenno d’assenso col capo e Rudgar continuò a parlare.

    A volte la vita gioca strani scherzi e ti pone di fronte a situazioni impensabili e difficilissime da affrontare. Il piccolo Fulvus, da estraneo, è diventato uno di noi ed in breve tempo ha sostituito e poi quasi annullato il tuo ricordo. D’altronde il tempo passato assieme a te è stato brevissimo e non c’è stato modo di instaurare un rapporto duraturo, almeno per quanto mi riguarda. Per tua madre Bleda il discorso è certamente diverso. Lei ti ha generato nel suo ventre, ti ha dato alla luce soffrendo il parto assieme a te e ti ha allattato per parecchi mesi.

    "E’ vero piccola, hanno dovuto strapparti con forza dalle mie braccia generando una profonda ferita nel mio cuore che, credo, non si potrà mai rimarginare.

    Inaspettatamente Bleda si era intromessa nel discorso interrompendo il racconto di Rudgar e, preso il via, continuò a parlare.

    Eri piccola e indifesa ma ti aggrappasti ai miei capelli con la forza di un rapace come se avessi previsto l’amara sorte. Il dolore che ho provato è stato indescrivibile, è come se mi avessero strappato un arto dal corpo e ho creduto di non essere in grado di superare quell’inferno. Poi, pochi giorni dopo, mi venne messo tra le braccia un altro piccolo e vidi nei suoi occhi i tuoi occhi, la stessa paura, la stessa richiesta di aiuto e la stessa determinazione a combattere per rimanere in vita. Continuai a fare la mamma cercando in tutti i modi di non pensare. Smisi di parlare per parecchie lune sino a quando il piccolo Fulvus non rapì la mia anima cercando di scandire il mio nome. Il piccolo non mi chiamò Madre ma Bleda" generando in me un dolore forse ancor più grande di quello provato per il tuo allontanamento. Solo in quel momento capii che, se non avessi cambiato il mio comportamento, avrei fatto ricadere su un’altra creatura innocente il mio dolore e questo sarebbe stato un errore imperdonabile.

    Ricominciai a parlare e mi presi cura del piccolo Fulvus dandogli l’amore che avrebbe dovuto ricadere su di te e, col tempo …"

    Bleda si interruppe all’improvviso, guardò negli occhi la giovane Dagmar e con un’espressione di disagio abbassò un attimo lo sguardo, poi riprese a parlare.

    … col tempo riuscii ad allontanare il tuo ricordo, riponendolo in un angolo del mio cuore così segreto che io stessa non avrei saputo trovare. Poi tutto è cambiato di nuovo. Il fato sembra volersi divertire con noi e noi diventiamo il facile bersaglio indifeso degli avvenimenti che ci travolgono con la forza della tempesta. Tuttavia ho imparato la lezione e non rifarò l’errore di anni fa. Tu sei mia figlia e riceverai le cure necessarie e l’amore negato. Spero soltanto che mio figlio Fulvus sia ugualmente fortunato …

    Bleda smise di parlare, accarezzò la nuca di Dagmar e in lacrime uscì dalla dimora del capo clan.

    Dagmar era frastornata. Quelle persone che sino a poche ore prima erano degli sconosciuti, dei "Barbari", ora erano divenuti la sua famiglia, l’unica famiglia che potesse avere. La ragazza seguì con lo sguardo i movimenti di Bleda che in breve tempo sparì dalla sua vista. L’uscita di scena della donna le creò un brivido lungo la schiena che le fece muovere la testa in modo scattoso e inatteso.

    Calmati Dagmar. Capisco le tue emozioni e comprendo che il distacco da tuo padre Marco Gallico Massimo sia difficile da digerire soprattutto per te che non hai avuto modo di conoscere la bellissima Roda, la donna che morì dando alla luce Fulvus.

    Dagmar spalancò gli occhi trasmettendo un’espressione di stupore e paura che andava ben oltre la situazione già carica di tensione. Rudgar non comprese quell’inaspettata reazione e ne chiese subito il motivo.

    Dagmar, perché mi guardi così? E’ come se all’improvviso tu avessi visto uno spettro.

    Capo Rudgar, io non ti conosco e dovrò imparare a farlo ma, da quello che mi hai detto, anche tu non conosci tutto di me.

    Ti prego non chiamarmi Capo, nemmeno gli uomini della tribù lo fanno e tu sei mia figlia. E … dimmi, cosa dovrei sapere che non conosco?

    Ciò che hai detto è vero solo in parte. Mia madre Roda non l’ho mai conosciuta, ma è come se avesse vissuto con me sino ai giorni scorsi.

    All’improvviso Dagmar aveva assunto un atteggiamento più deciso e, anche se aveva gli occhi lucidi ed il volto segnato dalle sofferenze che stava provando, mostrava una personalità che sino a quel momento era rimasta celata a chiunque non l’avesse conosciuta prima. La ragazza fissò negli occhi Rudgar e continuò a parlare.

    "Mio padre Marco Gallico Massimo era un Ufficiale dell’esercito più potente del mondo e ha passato la vita a difendere i confini che racchiudevano il mio mondo ed i miei sogni. Quell’uomo, così forte e così amato dai suoi soldati, è stato un padre amorevole e non mi ha fatto mancare nulla. Aveva un amore incommensurabile per sua moglie Roda e non ha mai smesso di parlarmi di lei, della sua forza e di tutto ciò che poteva trasmettermi, facendo rivivere in me ricordi di un mondo che non avrei mai potuto conoscere.

    Abitavo in una Domus non lontano dalla caserma ove mio padre era acquartierato e, non di rado, attendevo per lunghi giorni con ansia, in compagnia di alcuni famigli fidati, il suo rientro a casa, in quei pochi periodi dell’anno in cui gli era permesso di assentarsi dalle zone ove era impiegato. Tuttavia, i pochi momenti trascorsi assieme sono indimenticabili e rimarranno indelebilmente impressi nella mia mente e nel mio cuore e nessun altro al mondo sarà in grado di soppiantare l’amore che quell’uomo è stato capace di trasmettermi."

    Rudgar rimase in silenzio ad ascoltare, sorpreso dell’energia che la ragazza stava sprigionando nel raccontare la sua vita. Nel frattempo Bleda rientrò nella capanna senza dar modo alla ragazza, impegnata a parlare, di rendersi conto del suo ritorno. Rudgar alzò lievemente la mano destra per far comprendere alla moglie di fare silenzio e la donna ubbidì, bloccandosi di colpo pochi passi dietro alla ragazza che imperterrita continuò a parlare.

    Io sono una Romana e ne sono fiera. Nessuno potrà dirmi o farmi credere che possa esistere un mondo migliore da quello creato dal mio popolo. E’ vero, anche mio padre e mia madre erano di origine Barbara e probabilmente, generazioni fa, i loro antenati vivevano come voi vivete ora, ma io, … io sono nata Romana e l’unico padre che mi ha cresciuto era Romano e questo mi basta.

    Ragazza capisco la tua rabbia ma non comprendo perché parli di Marco Gallico Massimo al passato … cosa vuoi dire?

    Ma come? Tu Rudgar, grande Capo di questa grande tribù, di questo grande popolo non lo sai?

    Cosa?

    Mio padre Marco Gallico Massimo, l’unico mio padre, è morto poche settimane fa, ucciso da barbari lungo il confine nord. Gli stessi barbari che avevano detto di volere la pace mi hanno strappato l’unica persona che io abbia veramente mai amato ed ora dovrei rassegnarmi a credere che i miei veri genitori sono dei barbari? Non mi troverei in questa situazione se mio padre fosse ancora in vita. Lui sarebbe venuto a riprendermi combattendo contro chiunque e, alla fine, mi avrebbe riportato a casa.

    Nelle terre degli Juti - Alcune settimane dopo.

    Rudgar, bisogna fare qualcosa. La ragazza si sta debilitando, non vuole mangiare e non parla con nessuno. Avanti così perderemo anche lei.

    Hai ragione Bleda, ma sono in difficoltà, non so come comportarmi. Non so nemmeno se abbia fatto la giusta scelta con Fulvus. Sto vivendo un incubo che oramai dura da anni e non sono in grado di uscire da questa situazione. A volte vorrei non essere il Capo per non dover prendere decisioni così importanti e drammatiche per me e per chi mi sta attorno.

    Rudgar, Fulvus se n’è andato e non tornerà mai più …

    Bleda non riuscì a trattenere le lacrime e cominciò a singhiozzare ripetutamente. Fece di tutto per calmarsi, ma il dolore che provava nel petto era insopportabile. Erano passate poche settimane da quel terribile giorno, quel giorno maledetto e la donna non riusciva ad allontanare dalla sua mente quelle vicende così infauste.

    Bleda, mi stai ascoltando?

    La donna era lontana con la mente. Non si capacitava di quello che aveva fatto a Fulvus e nessuna giustificazione la faceva sentir meglio, ma Rudgar cercò, ancora una volta, di spiegare, per quanto possibile, le sue scelte.

    "Moglie, so a cosa stai pensando e ti assicuro che i tuoi pensieri sono anche i miei. Ci siamo allontanati da Fulvus nel peggiore dei modi senza spiegargli nulla del suo futuro e soprattutto del suo passato, ma non ti preoccupare, anche se Romano di nascita, l’abbiamo cresciuto noi e … e l’abbiamo cresciuto bene. Il ragazzo è forte nel corpo e soprattutto nello spirito e son certo che se la caverà. Tuttavia se avessimo scelto una soluzione meno violenta, probabilmente gli avremmo fatto più male. In questo momento è meglio che lui provi nei nostri confronti un sentimento negativo che gli permetta di accettare la sua nuova vita, buttandosi a capofitto in quel nuovo mondo che lo sta accogliendo. Non sarà in grado di comprendere adesso, ma forse, lo farà in futuro e se sarà in grado di capire le nostre scelte, vorrà dire che sarà divenuto un uomo.

    Ma … Rudgar, l’hai fatto rapire e picchiare come un cane rabbioso. Ci odierà per sempre e questo non è sopportabile.

    Hai ragione Bleda, come sempre, ma è proprio questo il fine. Più ci odierà e meno soffrirà. In fondo non è questo che i genitori vogliono? Caricarsi sulle spalle ogni fardello in modo che i figli possano avere una vita migliore. Come vedi abbiamo fatto la scelta giusta. Più soffriamo noi, meno soffre lui e così dev’essere.

    La risposta di Rudgar non ammetteva repliche e d’altronde sarebbe stato impossibile non condividere quella difficile decisione e anche Bleda se ne convinse. Tuttavia questo non le diede alcun sollievo.

    I giorni trascorsero tutti uguali, uno dietro l’altro e l’intero villaggio era avvolto da un’atmosfera pesante che non c’entrava nulla con le condizioni del tempo. L’umore di Rudgar e Bleda e l’impassibilità della nuova arrivata avevano contagiato in modo negativo l’intera comunità, come se una densa nebbia fosse penetrata nei cuori di tutti creando un malessere generale che nessuno era in grado di combattere. Molti ragazzi erano poi scossi dall’aver perduto il loro caro amico Fulvus. Il ragazzo, figlio del capo e futuro leader del clan era scomparso e nessuno pareva voler parlare dell’accaduto. Gli ignari abitanti del villaggio si chiedevano per quale motivo i guerrieri più esperti non fossero partiti alla ricerca di Fulvus ed anche le domande su chi fosse Dagmar rimanevano senza risposta.

    Era evidente a tutti che la situazione non poteva protrarsi per altro tempo e, per tale motivo, Rudgar cercò di porvi rimedio.

    Al tramonto vi voglio tutti al tempio. Radunate l’intero villaggio, uomini, donne e bambini. Occorre smuovere la situazione e dare alcune risposte. Così non si può andare avanti.

    Ma Rudgar, cosa dirai? In molti parlano e non comprendono ciò che sta avvenendo. Tutti si chiedono chi sia Dagmar e per quale motivo non andiamo a riprenderci Fulvus. Per il momento abbiamo cercato di schivare le domande, ma non sarà possibile in eterno.

    "Ti comprendo Rotar, anch’io vorrei avere risposte, ma purtroppo non ne ho. Rotar, Sigfrid, Allobrin, e tutti voi, capi Clan della tribù degli Orsi Bruni,

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