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Matrimonio d'azzardo
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E-book224 pagine3 ore

Matrimonio d'azzardo

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Info su questo ebook

Inghilterra, XIX secolo - Nicholas, Marchese di Rothsay, deve prendere moglie per dare alla famiglia l'erede tanto desiderato. E una sera, al tavolo da gioco, concorda con Sir Charles di sposare sua figlia Clarice. La prima impressione che ha di lei non è affatto positiva: la giovane gli sembra infatti calcolatrice e dalle abitudini poco adatte a una gentildonna. All'incontro successivo, tuttavia, si trova davanti una fanciulla dolce, dalle maniere impeccabili e dal cuore generoso. E non può fare a meno di chiedersi a chi si stia legando per sempre. A un angelo o a un'arpia?
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2018
ISBN9788858976999
Matrimonio d'azzardo
Autore

Anne Herries

Autrice inglese vincitrice di numerosi riconoscimenti letterari, ha iniziato a scrivere nel 1976 e ha ottenuto il suo primo successo appena tre anni dopo. Attualmente vive nel Cambridgeshire con il marito.

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    Anteprima del libro

    Matrimonio d'azzardo - Anne Herries

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Bartered Bride

    Harlequin Historical

    © 2011 Anne Herries

    Traduzione di Maddalena Togliani

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved..

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-699-9

    Prologo

    Nicholas, ventinovenne Marchese di Rothsay, alto, forte, bello e conosciuto in società come un libertino dal cuore di pietra, osservava impotente la donna minuta che aveva di fronte. Henrietta, la Contessa di Selby, non gli arrivava alle spalle con i tacchi, in compenso era l’unica persona cui avrebbe dato retta, l’unica al mondo cui teneva e, forse, l’unica a volergli bene.

    «Sposarsi per avere un erede, cara Henri?» mormorò lui mentre guardava la sua madrina con espressione scettica. «Chi credi che dovrei sposare? Le sensali mi danno un’occhiata e subito dopo mi stanno alla larga per paura che io possa rovinare le loro protette.»

    «Che stupide» replicò Henrietta con una scintilla negli occhi. «E poi, non è così. Sai bene che ci sono tante fanciulle che sarebbero ben felici di diventare tua moglie.»

    «Perché mai, per i soldi?»

    I suoi occhi scuri ardevano, e aveva sulle labbra un’espressione ribelle, minacciosa, che a volte poteva sembrare sensuale e passionale, ma in quel momento esprimeva soprattutto disprezzo e delusione. Ripensò a una donna che aveva conosciuto qualche anno prima, quando era ancora un ragazzo.

    «Lei ti darà un figlio, o anche più di uno per stare tranquilli. E tu, in cambio, le offrirai una vita agiata. Un prezzo ragionevole da pagare per avere in cambio un erede, no? Lo devi alla famiglia, Nicholas. E poi, non dimenticare l’ultimo desiderio di tuo padre. Non era proprio una condizione nel testamento, ma in punto di morte ti ha chiesto un erede. Hai già trent’anni, mio caro, e anche se non sei ancora vecchio, non vorrei che aspettassi troppo.»

    «Davvero, mia cara Henri?» Solo la sua adorata madrina avrebbe osato dirgli quelle parole, e solo lei riusciva a strappargli un sorriso all’idea che la gioventù gli stesse sfuggendo. «Suppongo che mio cugino Raymond possa essere considerato il mio erede...» mormorò poi.

    «Quel sempliciotto? Ha meno cervello di un imbecille e pensa solo al suo aspetto e agli ultimi scandali in città.» Henrietta lo fissò con uno sguardo deciso. «Se non lo vuoi fare per te, fallo allora per me. Se Raymond diventasse capofamiglia, finirei presto al cimitero.»

    «Povera Henri.» Nicholas abbozzò un sorriso affettuoso; sembrava molto diverso dall’uomo conosciuto in tutti i club e nei migliori salotti di Londra. «Mio cugino ha fatto qualche commento sulla mia condotta? Ultimamente ha cercato di ricordarmi i miei doveri familiari. Temo di averlo mandato al diavolo con la coda tra le gambe.»

    «Certo! Avrei fatto lo stesso al posto tuo. Non ha nessun diritto di dire a te come comportarti, Rothsay. Tuttavia, non capisci che proprio per questo è indispensabile che tu abbia dei figli? Se tuo cugino comincia a credersi tuo legittimo erede si monterà la testa, e la delusione sarà cocente se all’ultimo momento ti decidessi ad avere un figlio. Inoltre, i figli fatti in età avanzata non godono di buona salute.»

    «Henrietta, ti adoro.» Nicholas la abbracciò sollevandola da terra e le diede un bacio sulla guancia. Lei lo fulminò con uno sguardo scherzosamente irato e lui la rimise giù con delicatezza. «Perdonami, ma mi hai provocato tu.»

    «Ricordati che ho più del doppio dei tuoi anni e mi devi portare rispetto» replicò Henrietta con un sorriso negli occhi. «Prenderai almeno in considerazione il matrimonio, Nicholas?»

    Lui notò che aveva gli occhi lucidi e comprese quanto fosse importante per lei la questione dell’erede. Lei non aveva figli e sebbene non fosse del tutto sola, giacché aveva molti amici, desiderava senza dubbio un bambino da viziare. Da un po’ sospettava che l’anziana donna non stesse bene. Forse stava pensando di fare testamento, e poiché lui era il suo favorito probabilmente avrebbe lasciato tutta la sua fortuna a suo figlio, se mai ne avesse avuto uno. Gli diceva sempre che lui era già fin troppo ricco.

    In fondo Nicholas sapeva che le sue richieste erano legittime: era tempo che desse un erede alla famiglia. Il problema era che si era abituato a quella vita e non aveva nessuna voglia di cambiare. L’amore causava solo guai, e lui intendeva evitarlo a tutti i costi; forse un matrimonio di convenienza, però, sarebbe stato un compromesso accettabile.

    «Proprio perché sei tu, mi occuperò del problema dell’erede quando tornerò da Parigi» le annunciò.

    «Hai intenzione di andare a Parigi?»

    «Sì, un paio di settimane. Mi annoio a Londra. Ho bisogno di cambiare aria.»

    «Tu hai bisogno di un’avventura romantica» sentenziò Henrietta. «E non sto parlando di ballerine o attricette che vogliono solo essere coperte di regali. No, Nicholas, hai bisogno di innamorarti davvero e di ricominciare a vivere. Hai perso ogni interesse.»

    «L’amore è un mito» rispose lui ritraendosi con una smorfia sprezzante sulle labbra. «Se proprio mi devo sposare, sarà con una donna che capisce il mio desiderio di libertà. Del resto l’hai detto anche tu, va bene anche un matrimonio di convenienza. Lei mi darà un erede. Io le darò casa e gioielli, tutto qui, sempre che riesca a trovare una donna abbastanza folle da volermi, s’intende.»

    Neppure per Henri era disposto ad abbandonarsi all’amore. Aveva visto come quel sentimento poteva distruggere un uomo, riducendolo all’ombra di se stesso e facendogli tagliare i ponti con il resto del mondo. Il padre di Nicholas aveva adorato sua madre; quando era morta si era isolato da tutti, compreso l’unico figlio, che aveva quindi dovuto affrontare la perdita di entrambi i genitori.

    Da ragazzo, per un breve periodo aveva creduto di essersi innamorato, ma aveva subito una delusione terribile quando la fanciulla cui aveva dichiarato il suo amore gli aveva riso in faccia.

    Dopo Elizabeth, lui aveva deciso che non avrebbe più amato nessun’altra.

    «Puoi credermi, dell’amore posso fare a meno, Henri. La passione è per i pazzi.»

    «Insomma, quello che ti dovevo dire io te l’ho detto. Devi seguire la tua strada. E ora devo proprio andare.»

    «Di già?» I suoi occhi scuri tornarono a sorridere. «Perché non resti e ti fai uno spuntino insieme a me? Le tue visite sono così rare, Henri.»

    «Se ogni tanto venissi al castello di Rothsay ti vedrei più spesso. Venire a Londra ormai mi costa tanta fatica.»

    «Ma stai bene?» Per un momento Nicholas ebbe un lampo di angoscia negli occhi.

    Henrietta sorrise. Il ragazzo che aveva amato era ancora lì, nascosto sotto quell’atteggiamento sostenuto che aveva assunto negli ultimi anni.

    «Sì, caro, sto bene, e resterò a mangiare con te, visto che me lo chiedi...»

    1

    «Cos’è?» chiese Lady Hoskins a Charlotte Stanton quando entrò nel salone con una lettera in mano. «La manda tuo padre?»

    «È di Clarice» rispose Lottie con un sorriso. «Si scusa per non avere scritto prima, ma sono stati molto impegnati.»

    «Troppo impegnati!» Zia Beth fece un grugnito mentre guardava la nipote preferita. «Troppo impegnata per scrivere alla sua gemella? Tipico. Ti lasciano qui a occuparti di un’invalida e se ne vanno a divertirsi a Parigi.»

    «Non avevo voglia di andare a Parigi con loro» rispose Lottie, mentendo un po’. Le sarebbe piaciuto andare se sua zia fosse stata meglio o se Clarice per una volta avesse accettato di occuparsi di lei. «E poi, mia cara Beth, non stai bene. Non mi sarei goduta il viaggio sapendoti qui da sola.»

    «Stupidaggini, ho Muffet e le domestiche» replicò Lady Hoskins, ma si capiva che le faceva piacere che fosse rimasta.

    «Preferisco restare qui in campagna con te invece di andare a zonzo tra alberghi e sale da gioco con papà. E poi, qualcuno in questa famiglia deve pur badare alla proprietà, anche se Mr. Jackson è un ottimo amministratore.»

    «Spero proprio che tua sorella non frequenti le sale da gioco» puntualizzò sua zia con aria allarmata. «Non si addice a una fanciulla della sua età. Tuo padre è un giocatore incallito e non cambierà mai. Ha portato alla tomba la mia povera sorella, che non sapeva dove trovare i soldi per vivere. Ecco cosa succede, cara Lottie, quando ti sposi con un libertino e giocatore d’azzardo.»

    «Papà ha spezzato il cuore della mamma» ammise Lottie con gli occhi pieni di tristezza. «Ha dovuto seguirlo in giro per l’Europa senza sapere se avrebbero avuto i soldi per un tetto dove dormire o qualcosa da mangiare. È stata una fortuna che a papà sia rimasta questa casa. Perlomeno, la mamma ha potuto riposare in pace qui per qualche anno, anche se papà non c’era mai. Ha una piccola ipoteca, naturalmente, ma la banca non gli fa più credito. Meglio così, altrimenti non avremmo neanche questa.»

    Lottie guardò la bella stanza. Anche se le tappezzerie e le tende erano scolorite e logore, era un luogo confortevole dove passare il pomeriggio. In quel momento, il sole filtrava attraverso le finestre lasciate aperte per far entrare un po’ d’aria. Parecchi mobili erano vecchi, alcuni addirittura antichi, pesanti pezzi intagliati dell’epoca di Giacomo I, che davano a Lottie una sensazione di appartenenza. E poi, il precedente proprietario era stato un ammiratore di Mr. Chippendale: lo testimoniavano la bella libreria del salotto e le sedie eleganti della sala da pranzo. Zia Beth sedeva su una comoda poltrona, vicino al tavolo da cucito e con un libro di poesie a portata di mano. Anche Lottie aveva letto e il suo libro giaceva sul piccolo ed elegante sofà.

    «Cos’altro racconta tua sorella?» le domandò zia Beth mentre Lottie si sedeva per leggere la lettera.

    «Dice che papà ha perduto un’ingente quantità di denaro giocando a carte con un marchese inglese...» Lottie voltò la pagina e scorse alcune frasi indignate di sua sorella. «Oh mio Dio... Non è possibile, papà non può essere arrivato a tanto. È giusto che Clarice sia arrabbiata.»

    «Perché? Non mi tenere in ansia!»

    Lottie porse la lettera alla zia che la scorse con aria accigliata prima di restituirgliela.

    «È ridicolo e vergognoso!» esclamò zia Beth a quel punto. «Come ha osato?»

    «Che vuoi dire? Come ha osato papà accettare o come ha potuto il marchese fare una proposta così oltraggiosa?»

    «Entrambe le cose» rispose zia Beth offesa. «È inaudito, proporgli Clarice in matrimonio per ripagare un debito di gioco. Questo è troppo!»

    «Il marchese ha detto che la sposerà» aggiunse Lottie meditabonda. «Suppongo che, in un certo senso, possa essere positivo per Clarice. E poi, sarebbe potuta andare anche peggio; avrebbe potuto pretendere che diventasse la sua amante...»

    «Come puoi pensare una cosa del genere?» Zia Beth scosse il capo. «Il marchese deve essere un libertino. Probabilmente avrà l’età di vostro padre e sarà un vecchio lascivo che renderà un inferno la vita di Clarice.»

    «Se è così, non deve sposarlo.» Lottie si alzò. «Lo sapremo presto. Torneranno a casa fra pochi giorni. Clarice ha detto che il marchese ha pagato il loro rientro. Altrimenti sarebbero dovuti restare in Francia in attesa che mandassimo dei soldi.»

    «E dove li avremmo presi? Mi sono rimaste solo le perle, che saranno tue, Lottie, quando ti sposerai, e cinquanta sterline l’anno. Clarice ha i granati di quando si è fidanzata e che non ha restituito quando ha rotto il fidanzamento. Quel poco che io ho è per te.»

    «Non parlare così» la supplicò Lottie. «Prego che tu possa vivere ancora tanti anni. E poi, non sono così sicura di sposarmi.»

    «E perché mai? Sei bella quanto tua sorella e hai un carattere migliore. Lei ha avuto delle opportunità, perché tu non dovresti averle?»

    Lottie fece un sospiro. «Vorrei sposarmi per amore, ma poi penso alla mamma che, pur avendo sposato l’uomo dei suoi sogni, è rimasta profondamente delusa.»

    «Mia sorella era una sciocca, anche se le volevo molto bene» replicò zia Beth. «Comunque, io ho sposato un uomo che aveva denaro e prestigio, e guarda la fine che ho fatto.»

    Lottie annuì. Suo zio non aveva perso i soldi al gioco ma facendo una serie di pessimi investimenti, ed era stato coinvolto in uno scandalo terribile che aveva lasciato quasi sul lastrico la povera vedova. Dopo la morte di suo marito, zia Beth era stata costretta a vendere la casa e ad andare a vivere con sua sorella e le nipoti. Si era presa cura di lei e di Clarice dopo la morte della madre.

    Lottie le era molto affezionata.

    «Immagino che, se una di noi si sposasse con un uomo ricco, potremmo tutti vivere meglio.» Lottie s’incupì. «Ma Clarice sembra molto arrabbiata. Non credo che sia d’accordo, e se non...»

    «Credi che potremmo perdere la casa?» domandò preoccupata zia Beth. «E dove andremmo?»

    Lottie non ne aveva idea. Di recente aveva passato più di una notte insonne, pensando alle conseguenze del comportamento di suo padre.

    Nicholas buttò i guanti e il cappello sulla credenza nell’enorme sala della sua casa londinese. Gli stivali facevano rumore sul pavimento di marmo, rimbombando a causa dei soffitti alti. Non era di buonumore, lo si vedeva dalla sua espressione.

    «Avete fatto buon viaggio?» si azzardò a domandare il maggiordomo.

    «No, dannazione, affatto» sentenziò Nicholas. «Dite ad Harris di farmi i bagagli. Vado in campagna per qualche giorno.»

    «Sì, subito. Posso fare qualcos’altro?»

    «No... Invece sì, fatemi gli auguri, Barret. Mi sto per sposare, e anche piuttosto presto, penso...» borbottò lui.

    «Milord...» Nicholas lasciò il maggiordomo a bocca aperta mentre saliva le scale. Fece un sorrisetto. L’unica consolazione era che quella notizia avrebbe scatenato un putiferio. Almeno poteva ancora ridere della società e di se stesso; ma perché diavolo l’aveva fatto?

    In effetti lui aveva promesso a Henrietta che avrebbe preso in considerazione la possibilità di sposarsi, ma chiedere la mano di una fanciulla che aveva appena conosciuto, e che non meritava certo di essere definita una gentildonna, poiché era un’avventuriera, era a dir poco ridicolo.

    Nicholas all’inizio aveva rifiutato l’offerta di Sir Charles Stanton. Però, dopo una notte di riflessione, aveva deciso che una donna valeva l’altra. Era un modo conveniente di risolvere il suo problema. Clarice era stata cresciuta come una vera dama, non aveva dubbi, ma quando aveva accettato la proposta di suo padre non aveva idea che fosse priva di principi morali.

    Nicholas aveva scoperto il proprio errore la sera dopo aver firmato con Sir Charles il contratto redatto in tutta fretta. Uno degli amici di Nicholas, Ralph Thurlstone, era in visita a Parigi ed erano usciti insieme a giocare d’azzardo. Avevano bevuto più del normale e Nicholas aveva ritrovato l’amico in una camera sul retro del club. Ralph era sul letto privo di sensi mentre una bella ragazza con lunghi riccioli d’oro gli stava svuotando le tasche. Dai capelli spettinati e dall’abito stropicciato aveva intuito che era stata a letto con Ralph prima di derubarlo.

    «Che cosa diavolo credete di fare?» le aveva intimato Nicholas.

    «Prendere ciò che mi appartiene» aveva risposto la donna, con un lampo d’ira negli occhi verdi. «Mi è debitore e questo non è niente rispetto a ciò che si è preso.»

    «Dunque vorreste farmi credere che prima voi eravate vergine?»

    «Mi credereste?»

    «No.»

    «E allora non vi dirò niente» aveva sentenziato la donna mentre gli passava davanti per uscire.

    Nicholas l’aveva lasciata andare, sconvolto dall’accaduto. Quando era tornato, poco dopo, nel salone principale, aveva trovato Sir Charles seduto al tavolo da gioco e, alle sue spalle in piedi, la ragazza che aveva appena visto. Aveva pensato a un errore, invece era proprio così: Clarice Stanton, la sua futura sposa, aveva derubato il suo amico mentre era sotto l’effetto dell’alcol.

    «Ah, Rothsay» l’aveva salutato Sir Charles alzando lo sguardo. «Sedetevi e unitevi a noi. Clarice mi sta portando fortuna stasera. Ero rimasto senza il becco di un quattrino quando mi ha portato dieci ghinee e ho vinto una posta di duecento.»

    Che avrebbe sicuramente perso prima di alzarsi dal tavolo, si era detto Nicholas.

    Il marchese aveva guardato negli occhi la ragazza, che era arrossita. Non aveva ancora incontrato la figlia di Stanton, e non se n’era

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