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La croce dipinta
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E-book325 pagine4 ore

La croce dipinta

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Info su questo ebook

Jason Adler è ormai un detective affermato. Dopo aver risolto il caso della gallerista milanese Nina Desanti, viene spesso invitato a partecipare a trasmissioni televisive dove si cerca di risolvere casi di scomparsa e probabili omicidi. Decide all’improvviso di sparire dagli schermi televisivi e dai social e di dedicarsi alla risoluzione di nuovi casi. Viene interpellato dai familiari di Marco Keller un giovane sacerdote della diocesi di Milano, figlio di un noto imprenditore italosvizzero. La polizia brancola nel buio, non sono stati richiesti riscatti; il ragazzo è semplicemente svanito nel nulla, un pomeriggio di fine maggio mentre si recava in canonica dopo aver incontrato un’amica nei pressi dei giardini Montanelli. La vita del sacrdote viene scandagliata ma non emerge niente di insolito. E’ un uomo carismatico, affascinante ma estremamente umano che forse, proprio per questo motivo riesce a fare breccia nei cuori di molti: uomini e donne lo adorano. Ma non di tutti, evidentemente. Sembra essere un vero rompicapo, fino a quando non emergeranno particolari inquietanti che faranno indirizzare l’attenzione di Jason in una direzione ben precisa e quello che scoprirà lo spiazzerà completamente. Niente è più irrazionale della vita stessa.
LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2020
ISBN9788831657020
La croce dipinta

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    Anteprima del libro

    La croce dipinta - Carla Balossino

    1

    Ja­son ave­va aper­to il gior­na­le del lu­ne­dì, se­du­to al bar ta­vo­la cal­da vi­ci­no al suo uf­fi­cio e gli era su­bi­to bal­za­ta agli oc­chi la fo­to­gra­fia di Mar­co Kel­ler. An­co­ra nes­su­na no­ti­zia del gio­va­ne sa­cer­do­te, scom­par­so a Mi­la­no da più di tre me­si in cir­co­stan­ze mi­ste­rio­se.  Ne ave­va­no par­la­to a lun­go i gior­na­li e le tra­smis­sio­ni te­le­vi­si­ve, poi era­no ca­la­ti i ri­flet­to­ri sul­la vi­cen­da ma quel­la mat­ti­na qual­che gior­na­li­sta ze­lan­te lo ave­va ri­por­ta­to in pri­ma pa­gi­na. Non si era­no avu­te più no­ti­zie da quel cin­que mag­gio, in cui era sta­to vi­sto per l'ul­ti­ma vol­ta, in una pre­ci­sa zo­na del­la cit­tà  in com­pa­gnia di una gio­va­ne don­na. La per­so­na in que­stio­ne era sta­ta a lun­go in­ter­ro­ga­ta, Ja­son ri­cor­da­va be­ne una no­ta tra­smis­sio­ne te­le­vi­si­va a cui la don­na era sta­ta in­vi­ta­ta.

    Non era emer­so nien­te di nuo­vo nel frat­tem­po. La gio­va­ne don­na ave­va af­fer­ma­to che ave­va in­con­tra­to pa­dre Kel­ler per un pa­re­re ri­guar­do al pro­prio la­vo­ro, ma che poi si era­no la­scia­ti nei pres­si dei giar­di­ni In­dro Mon­ta­nel­li. Da lì si era­no per­se le trac­ce dell'uo­mo che non si era pre­sen­ta­to all'ap­pun­ta­men­to se­ra­le con i fe­de­li e che la mat­ti­na se­guen­te non ave­va of­fi­cia­to la mes­sa do­me­ni­ca­le del­le die­ci. Era scom­par­so nel nul­la, vo­la­ti­liz­za­to, la­scian­do at­tor­no a sé un gran­de vuo­to. Le per­so­ne che par­la­va­no di lui, lo fa­ce­va­no con gran­de af­fet­to e ri­spet­to. Era con­si­de­ra­to un uo­mo buo­no e com­pren­si­vo, sem­pre pre­sen­te nel­la vi­ta dei par­roc­chia­ni, di­spo­ni­bi­le e ge­ne­ro­so.

    Ja­son ave­va ri­chiu­so il gior­na­le e si era al­za­to dal ta­vo­lo per an­da­re a pa­ga­re il suo cap­puc­ci­no, se­gui­to da Ley­la, il suo ca­ne on­ni­pre­sen­te, che non ap­pe­na ave­va udi­to la vo­ce di San­dra, la pro­prie­ta­ria del lo­ca­le, ave­va ini­zia­to a sco­din­zo­la­re.

    Mi sem­bra che si sia ri­pre­sa be­ne... ave­va det­to San­dra, guar­dan­do af­fet­tuo­sa­men­te il ca­ne con an­co­ra la zam­pa fa­scia­ta. 

    Si, pa­re che non fos­se co­sì gra­ve, do­po l'ope­ra­zio­ne al ten­di­ne è ri­tor­na­ta quel­la di pri­ma, so­lo che de­vo cer­ca­re di te­ner­la cal­ma e so­prat­tut­to non de­vo per­met­ter­le di  sal­ta­re sul di­va­no co­me era abi­tua­ta a fa­re

    Ja­son ave­va guar­da­to il suo ca­ne con af­fet­to men­tre al­lun­ga­va a San­dra cin­que eu­ro, pen­san­do tra sé che avreb­be do­vu­to spo­sta­re un bel po' di mo­bi­li in ca­sa se vo­le­va far­la gua­ri­re pre­sto e be­ne. Im­prov­vi­sa­men­te gli era ba­le­na­ta nel­la te­sta Mi­riam. Era­no gior­ni che non la sen­ti­va, il cor­so di ag­gior­na­men­to a Ro­ma la te­ne­va im­pe­gna­ta, lo sa­pe­va, ma avreb­be al­me­no po­tu­to man­dar­gli un mes­sag­gio. Gli sa­reb­be ba­sta­to per­si­no uno smi­le. Ja­son sa­pe­va di aver fat­to un gran­de sba­glio, era ve­ra­men­te co­ster­na­to ma or­mai era suc­ces­so, non po­te­va fa­re al­tro che ac­cet­ta­re le con­se­guen­ze del suo com­por­ta­men­to e spe­ra­re che lei lo per­do­nas­se. Non avreb­be mai vo­lu­to fa­re del ma­le a Mi­riam ma era suc­ces­so. Na­scon­der­si die­tro la sua de­pres­sio­ne sa­reb­be sta­to fa­ci­le, ma lui non ci ave­va nem­me­no pro­va­to an­che se pro­ba­bil­men­te qual­co­sa c'en­tra­va. In tut­ta la sua vi­ta, non gli era mai ca­pi­ta­ta una co­sa si­mi­le, nem­me­no nei mo­men­ti peg­gio­ri del­la sua ma­lat­tia. Ave­va per­so il con­trol­lo del­le sue azio­ni e so­prat­tut­to del­le sue emo­zio­ni, ave­va tra­di­to la don­na che ama­va e glie­lo ave­va con­fes­sa­to. Per­ché glie­lo ave­va det­to? Ave­va vo­lu­to li­be­rar­si la co­scien­za ad­dos­san­do a Mi­riam un pe­so enor­me; ades­so ca­pi­va che avreb­be do­vu­to te­ner­si tut­to per sé e cer­ca­re di ri­me­dia­re al suo sba­glio sen­za ad­do­lo­ra­re lei.

    Si era sen­ti­to di­ver­so ne­gli ul­ti­mi tem­pi, una sen­sa­zio­ne di estra­nia­men­to si era in­si­nua­ta nel­la sua men­te, era sta­to co­me se stes­se mu­tan­do qual­co­sa in lui, si stes­se tra­sfor­man­do in un qual­co­sa d'in­ge­sti­bi­le. Ave­va mo­men­ti d'eu­fo­ria e pe­rio­di di ter­ri­bi­le stan­chez­za, so­li­tu­di­ne, di­spe­ra­zio­ne. Mi­riam sa­pe­va a co­sa sa­reb­be an­da­ta in­con­tro quan­do ave­va ac­cet­ta­to di vi­ve­re al suo fian­co ma quel­lo che Ja­son ave­va fat­to era sta­to dav­ve­ro im­per­do­na­bi­le e lei se n'era an­da­ta a Ro­ma, con la scu­sa di un cor­so d'ag­gior­na­men­to per il suo la­vo­ro di bio­lo­ga.

    Ja­son si sen­ti­va an­che ge­lo­so, sa­pe­va che a Ro­ma vi­ve­va il suo ex ma­ri­to. Era­no ri­ma­sti in buo­ni rap­por­ti do­po la se­pa­ra­zio­ne, un po' co­me era suc­ces­so tra lui e sua mo­glie Fri­da, era­no di­ven­ta­ti ami­ci do­po che si era­no la­scia­ti. Ma tra Mi­riam e il suo ex le co­se sta­va­no di­ver­sa­men­te, lui l'ama­va an­co­ra e lei chis­sà, ma­ga­ri la pre­sen­za di quell'uo­mo si­cu­ro, pa­ter­no e com­pren­si­vo e so­prat­tut­to sta­bi­le, co­sa che non si sa­reb­be po­tu­ta di­re di Ja­son, avreb­be po­tu­to in­dur­la a tor­na­re sui suoi pas­si.  Ja­son cer­cò di di­sto­glie­re la sua men­te da quel pen­sie­ro do­lo­ro­so ma il vol­to di Mi­riam con­ti­nua­va ad ap­pa­rir­gli in tut­ta la sua dol­cez­za men­tre sa­li­va le sca­le dell'uf­fi­cio.

    Si fer­mò all'im­prov­vi­so: Ma por­ca... so­no pro­prio un cre­ti­no! Si era det­to. Ave­va fat­to fa­re le sca­le a Ley­la che ave­va ap­pe­na su­bi­to un'ope­ra­zio­ne al ten­di­ne. Si era ab­bas­sa­to pren­den­do il ca­ne in brac­cio e ave­va aper­to la por­ta dell'uf­fi­cio con un cal­cio. Il ru­mo­re ave­va fat­to al­za­re di col­po la te­sta di Stel­la, la sua nuo­va se­gre­ta­ria, dal­lo scher­mo del com­pu­ter.

    Mi ha spa­ven­ta­ta...scu­si... la ra­gaz­za era ar­ros­si­ta ma ave­va su­bi­to ri­pre­so il con­trol­lo del­la si­tua­zio­ne.

    C'è una si­gno­ra che lo aspet­ta nel suo uf­fi­cio, dot­to­re gli ave­va det­to con la sua so­li­ta pro­fes­sio­na­li­tà. Ja­son le ave­va sor­ri­so, ap­pog­gian­do de­li­ca­ta­men­te Ley­la a ter­ra. Non sa­pe­va an­co­ra be­ne co­me com­por­tar­si con lei; gli sem­bra­va trop­po ce­ri­mo­nio­sa, di­stac­ca­ta con quel dar­gli del lei. Ja­son le ave­va più vol­te det­to che po­te­va chia­mar­lo per no­me e dar­gli del tu ma lei ave­va pre­fe­ri­to man­te­ne­re una cer­ta di­stan­za, ri­spon­den­do che sa­reb­be sta­to mol­to più pro­fes­sio­na­le e se­rio per l'im­ma­gi­ne dell'uf­fi­cio. Inol­tre, era mol­to gio­va­ne, ave­va ap­pe­na com­piu­to ven­ti­quat­tro an­ni e si­cu­ra­men­te le ri­sul­ta­va dif­fi­ci­le da­re del tu al suo ca­po che ave­va il dop­pio dei suoi an­ni.

    Ja­son la tro­va­va mol­to ca­ri­na, spe­cial­men­te quan­do le­ga­va i suoi bel­lis­si­mi ca­pel­li bio­do scu­ro a co­da di ca­val­lo e la por­ta­va in avan­ti, ap­pog­gia­ta ad una spal­la. I suoi oc­chi ver­di, a man­dor­la co­me quel­li del­le don­ne orien­ta­li, le da­va­no un'aria eso­ti­ca. Inol­tre con la sua ma­grez­za, avreb­be po­tu­to be­nis­si­mo es­se­re scam­bia­ta per una mo­del­la. Ma non era quel­la la vi­ta a cui  Stel­la aspi­ra­va. Iscrit­ta al cor­so di lau­rea in psi­co­lo­gia so­gna­va di di­ven­ta­re una cri­mi­no­lo­ga.

    Ave­vo ap­pun­ta­men­ti per og­gi? Me ne so­no scor­da­to di nuo­vo.... ave­va det­to Ja­son por­tan­do­si una ma­no al­la fron­te.

    No, la si­gno­ra si è pre­sen­ta­ta sen­za ap­pun­ta­men­to e mi ha det­to di non di­stur­bar­la, che avreb­be aspet­ta­to il suo ri­tor­no, pe­rò è più di un'ora che è di là...

    Okay, gra­zie Stel­la, dai un'oc­chia­ta a Ley­la, per fa­vo­re, guar­da se zop­pi­ca o se si la­men­ta....la zam­pa lo sai, e dal­le da be­re, cre­do che ab­bia se­te.

    Stel­la si era ap­pe­na al­za­ta dal­la scri­va­nia per pren­de­re la cio­to­la d'ac­qua per il ca­ne quan­do un uo­mo era en­tra­to ru­mo­ro­sa­men­te nell'uf­fi­cio, sen­za nem­me­no suo­na­re il cam­pa­nel­lo.

    Quan­do Ja­son lo vi­de piom­ba­re den­tro si ri­cor­dò che avreb­be do­vu­to fa­re qual­co­sa per la por­ta d'in­gres­so. Le per­so­ne non po­te­va­no en­tra­re a lo­ro pia­ci­men­to, sen­za nem­me­no suo­na­re, do­ve­va fa­re in­stal­la­re un ci­to­fo­no con vi­deo­ca­me­ra, il suo non era un uf­fi­cio qua­lun­que, ne an­da­va del­la pri­va­cy dei suoi clien­ti. Gli era ve­nu­to in men­te lo stu­dio del suo psi­chia­tra, che ave­va ben due ca­me­re d'at­te­sa e due in­gres­si, in mo­do che i pa­zien­ti fos­se­ro si­cu­ri di non tro­var­si fac­cia a fac­cia con al­tre per­so­ne quan­do en­tra­va­no o usci­va­no.

    Buon­gior­no, ha cam­bia­to idea su quel­lo che le ho det­to l'ul­ti­ma vol­ta?Ja­son si era tro­va­to da­van­ti Ste­fa­no Ra­ia, un uo­mo sul­la cin­quan­ti­na, os­ses­sio­na­to dai pos­si­bi­li tra­di­men­ti del­la sua gio­va­ne aman­te.

    No, non ho cam­bia­to idea...vo­glio che lei la se­gua, la con­trol­li, fac­cia co­me le pa­re ma non ci cre­do, non pos­so pen­sa­re che ab­bia una re­la­zio­ne con il suo ca­po...è una don­na! Co­sa de­vo an­co­ra sen­tir­mi di­re dal lei?

    Io non so più co­sa dir­le si­gnor Ra­ia, le ri­fiu­ta di ac­cet­ta­re la real­tà, le ho mo­stra­to il ma­te­ria­le...fo­to­gra­fie, in­ter­cet­ta­zio­ni te­le­fo­ni­che, re­gi­stra­zio­ni, non pos­so fa­re al­tro, è as­so­lu­ta­men­te inu­ti­le che con­ti­nui ad oc­cu­par­mi del­la si­gno­ri­na. Per me il ca­so è chiu­so, se ne do­vreb­be fa­re una ra­gio­ne.

    L'uo­mo non vo­le­va ac­cet­ta­re il fat­to d'es­se­re sta­to tra­di­to dal­la pro­pria aman­te e per di più con una don­na. Pre­ten­de­va che Ja­son con­ti­nuas­se a se­guir­la, gli for­nis­se al­tro ma­te­ria­le. Ja­son co­min­cia­va a pen­sa­re che ci do­ves­se es­se­re al­tro: Quell'uo­mo in real­tà si ec­ci­ta­va con tut­to quel ma­te­ria­le tra­sgres­si­vo che lui gli sta­va pro­cu­ran­do? Po­te­va ave­re un in­te­res­se mor­bo­so per quel­la re­la­zio­ne le­sbi­ca? For­se era l'uni­co mo­ti­vo per cui Ra­ia in­si­ste­va tan­to per far­gli con­ti­nua­re gli ap­po­sta­men­ti. Ja­son ri­ma­se qual­che at­ti­mo in si­len­zio, pre­so da un pen­sie­ro: Se quell'uo­mo vo­le­va but­ta­re via i suoi sol­di l'avreb­be ac­con­ten­ta­to, in fon­do si trat­ta­va sem­pli­ce­men­te di fa­re il suo la­vo­ro.

    Va be­ne, sen­ta, se vuo­le pos­so fa­re qual­che al­tra ri­cer­ca ma se ve­nis­se­ro con­fer­ma­ti i miei so­spet­ti do­vreb­be pren­de­re in con­si­de­ra­zio­ne l'even­tua­li­tà di ac­cet­ta­re la real­tà. Io la ca­pi­sco, cre­da, ma il mio la­vo­ro si sta esau­ren­do, de­ve es­ser­ne con­vin­to an­che lei. Co­mun­que, per il mo­men­to cer­che­rò di rac­co­glie­re qual­che al­tro par­ti­co­la­re, la ag­gior­ne­rò al più pre­sto.

    Ja­son ave­va cer­ca­to di ta­glia­re cor­to. Quell'uo­mo, pic­co­lo di sta­tu­ra, qua­si cal­vo, in real­tà ve­ra­men­te po­co at­traen­te, ap­pa­ri­va scon­vol­to, in­ca­pa­ce di ac­cet­ta­re la real­tà che poi non sem­bra­va es­se­re co­sì sor­pren­den­te. La sua aman­te, una ra­gaz­za di vent'an­ni più gio­va­ne di lui, at­traen­te e di­si­ni­bi­ta in­trat­te­ne­va una re­la­zio­ne con il suo su­pe­rio­re nell'azien­da do­ve la­vo­ra­va co­me con­su­len­te le­ga­le. Il ca­po era una don­na. Ja­son pen­sa­va che non ci fos­se nien­te di co­sì as­sur­do ma era pur ve­ro che lui era abi­tua­to a cer­te si­tua­zio­ni men­tre la mag­gior par­te del­la gen­te non lo era af­fat­to. In fon­do, si era det­to Ja­son, avreb­be gua­da­gna­to an­co­ra un bel po' di sol­di sen­za fa­re trop­pa fa­ti­ca, se era quel­lo che vo­le­va­no da lui...

    Do­po aver con­ge­da­to l'uo­mo, Ja­son era en­tra­to nel suo stu­dio so­vrap­pen­sie­ro, di­men­ti­can­do  com­ple­ta­men­te la per­so­na che lo sta­va aspet­tan­do da più di un'ora.

    Mi scu­si, ho do­vu­to ri­sol­ve­re un pro­ble­ma...spe­ro di po­ter­le es­se­re uti­le, mi di­ca si­gno­ra....? ave­va det­to leg­ger­men­te im­ba­raz­za­to per la sua scar­sa con­cen­tra­zio­ne.

    Kel­ler, Ve­ra Kel­ler ave­va ri­spo­sto la don­na sui qua­ran­ta­cin­que an­ni, an­co­ra gio­va­ne e at­traen­te.

    Bion­da e lon­gi­li­nea, por­ta­va i ca­pel­li piut­to­sto cor­ti an­che se con un ta­glio mol­to fem­mi­ni­le. Era ve­sti­ta con so­bria ele­gan­za: Pan­ta­lo­ni gri­gio per­la, ca­mi­cia bian­ca e un pa­io di co­sto­sis­si­me scar­pe spor­ti­ve tin­ta cuo­io. 

    So­no la ma­tri­gna di Mar­co Kel­ler, cre­do che lei ab­bia sen­ti­to que­sto no­me spes­so ul­ti­ma­men­te. Sa di chi sto par­lan­do ve­ro? Il sa­cer­do­te scom­par­so tre me­si fa... è mio fi­glio, cioè, vo­glio di­re, è fi­glio di mio ma­ri­to. Quan­do ci sia­mo spo­sa­ti Mar­co ave­va già ven­ti­quat­tro an­ni, sua ma­dre era mor­ta due an­ni pri­ma....un sui­ci­dio. Sen­ta dot­tor Ad­ler, so­no stan­ca di aspet­ta­re sen­za  fa­re nien­te, la po­li­zia con­ti­nua a dir­ci che stan­no in­da­gan­do ma io so che se non si ar­ri­va ad una con­clu­sio­ne dei ca­si ve­lo­ce­men­te, poi dif­fi­cil­men­te si rie­sco­no a ri­sol­ve­re. Ho l'im­pres­sio­ne che stia­no so­lo per­den­do tem­po e che non sap­pia­no in real­tà do­ve sbat­te­re la te­sta.....vor­rei che lei si oc­cu­pas­se del ca­so.

    La don­na sem­bra­va de­ci­sa, si­cu­ra di sé e non ap­pa­ri­va nep­pu­re trop­po scon­vol­ta per la scom­par­sa del fi­glio adot­ti­vo. Ja­son evi­tò di far­si un'idea pre­ci­pi­to­sa del­la si­tua­zio­ne e del­la per­so­na che ave­va di fron­te, sa­pe­va che era il mi­glior mo­do per pren­de­re de­gli ab­ba­gli. Do­ve­va in­ve­ce par­la­re con il ma­ri­to e con le per­so­ne che gra­vi­ta­va­no at­tor­no al ra­gaz­zo scom­par­so. Ri­cor­da­va la sto­ria. Ne ave­va­no par­la­to i gior­na­li e le tra­smis­sio­ni te­le­vi­si­ve. Mar­co Kel­ler era fi­glio di un im­pren­di­to­re d'ori­gi­ne sviz­ze­ra, tra­pian­ta­to in Lom­bar­dia, che in­ve­ce di en­tra­re nel­la fio­ren­te azien­da del pa­dre ave­va scel­to di pren­de­re i vo­ti e di­ven­ta­re sa­cer­do­te. L'im­ma­gi­ne del ra­gaz­zo, estre­ma­men­te at­traen­te, al­to, atle­ti­co, con i ca­pel­li ca­sta­no ros­sic­ci, gli oc­chi vi­spi, chia­ris­si­mi, la ma­scel­la qua­dra­ta, ave­va riem­pi­to le pa­gi­ne dei gior­na­li per set­ti­ma­ne. Era scom­par­so nel nul­la e nes­su­no era riu­sci­to a da­re una spie­ga­zio­ne all'ac­ca­du­to. Ja­son ri­cor­da­va di es­se­re ri­ma­sto col­pi­to dal­la sua av­ve­nen­za e d'es­ser­si chie­sto co­sa aves­se po­tu­to in­dur­lo a sce­glie­re una vi­ta di ri­nun­ce e di so­li­tu­di­ne.

    Avrò bi­so­gno di par­la­re con suo ma­ri­to e gli al­tri fa­mi­lia­ri ave­va chie­sto Ja­son men­tre pren­de­va ap­pun­ti su un'agen­da.

    Si, cer­to, ho due fi­glie. Una è Sil­via, la fi­glia adot­ti­va di mio ma­ri­to. Quan­do lui e la sua pri­ma mo­glie l'han­no adot­ta­ta ave­va die­ci an­ni, ora ne ha ven­ti­cin­que....poi qual­che an­no do­po il mio ma­tri­mo­nio ho avu­to una bam­bi­na...ha no­ve an­ni, vuo­le par­la­re an­che con lei?

    Do­vrò par­la­re con tut­ti, ov­via­men­te la bam­bi­na do­vrà es­se­re ac­com­pa­gna­ta da uno dei ge­ni­to­ri, è im­por­tan­te co­no­sce­re il pun­to di vi­sta di tut­ti. Non ha idea di quan­te vol­te i par­ti­co­la­ri più im­por­tan­ti sia­no sta­ti ri­ve­la­ti pro­prio dai bam­bi­ni....do­vrem­mo pren­de­re de­gli ap­pun­ta­men­ti, tan­to per co­min­cia­re, e do­vreb­be an­che far­mi una li­sta del­le per­so­ne vi­ci­ne a suo fi­glio: Pa­ren­ti, ami­ci, co­no­scen­ti, in­som­ma tut­te quel­li che le ven­go­no in men­te le ave­va ri­spo­sto Ja­son ri­so­lu­to.

    E' a co­no­scen­za di qual­che fat­to stra­no o par­ti­co­la­re ri­guar­do al­la sua vi­ta? Per­so­ne in col­le­ra con lui, don­ne in­fa­tua­te, ma­ri­ti ge­lo­si o sem­pli­ce­men­te se aves­se avu­to pro­ble­mi per­so­na­li, mo­ti­vi per in­dur­lo a scom­pa­ri­re? Non pos­sia­mo esclu­de­re del tut­to l'al­lon­ta­na­men­to vo­lon­ta­rio...

    Non è co­sì, mi cre­da. Mar­co non avreb­be mai fat­to una co­sa si­mi­le, gli è suc­ces­so qual­co­sa, lo co­no­sco trop­po be­ne ave­va ri­spo­sto la don­na.

    Le scri­ve­rò no­mi e nu­me­ri te­le­fo­ni­ci. Per quan­to ri­guar­da mio ma­ri­to sa­reb­be me­glio che lo con­vo­cas­se lei in per­so­na, cre­do che sa­reb­be più con­vin­cen­te di me. Ul­ti­ma­men­te si è la­scia­to an­da­re, con­ti­nua a ri­pe­te­re che non ri­ve­drà più suo fi­glio, che sen­te che gli han­no fat­to del ma­le....è ca­du­to in una for­te de­pres­sio­ne; lo chia­mi lei per fa­vo­re, le da­rà ascol­to...a pro­po­si­to, le la­scio un an­ti­ci­po, so che fun­zio­na co­sì

    Co­me de­si­de­ra, pas­si dal­la mia se­gre­ta­ria... ave­va ri­spo­sto Ja­son con in­dif­fe­ren­za mal ce­la­ta. I con­ti, an­che se era or­mai di­ven­ta­to un de­tec­ti­ve fa­mo­so, non tor­na­va­no mai. Ne­gli ul­ti­mi tem­pi  ave­va avu­to più la­vo­ro ma an­che più spe­se, non riu­sci­va mai a met­te­re via un po' di sol­di, co­sì, tan­to per sta­re tran­quil­lo.

    Al­lo­ra sia­mo in­te­si, con­vo­che­rò in uf­fi­cio suo ma­ri­to e sua fi­glia, la mag­gio­re, in­ten­do. Lei do­vrà in­ve­ce ac­com­pa­gna­re la mi­no­re, può pren­de­re ap­pun­ta­men­to con la mia se­gre­ta­ria. Aspet­te­rò il ma­te­ria­le che riu­sci­rà a rac­co­glie­re...non le de­vo cer­co ri­cor­da­re che pri­ma riu­sci­rà a far­me­lo ave­re, pri­ma po­trò ini­zia­re le in­da­gi­ni.

    Ja­son sa­pe­va che non do­ve­va per­de­re tem­po, né ener­gie con dell'inu­ti­le la­vo­ro. Co­min­cian­do dal­le per­so­ne più vi­ci­ne al ra­gaz­zo scom­par­so, avreb­be po­tu­to al­lar­ga­re il rag­gio del­le in­ve­sti­ga­zio­ni ve­lo­ce­men­te. Era il pri­mo pas­so da fa­re, poi sa­reb­be sta­to suo com­pi­to sco­va­re per­so­ne e si­tua­zio­ni oc­cul­te.

    La don­na ave­va al­lun­ga­to la ma­no ab­bron­za­ta e ben cu­ra­ta, con un vi­sto­so anel­lo a fa­scia in oro bian­co, strin­gen­do con vi­go­re quel­la di Ja­son ed era usci­ta dal suo stu­dio. Ave­va fir­ma­to al­cu­ni fo­gli a Stel­la e le ave­va com­pi­la­to un as­se­gno di tre­mi­la eu­ro. Ja­son, co­me fa­ce­va con tut­te le per­so­ne che pas­sa­va­no dal suo uf­fi­cio, l'ave­va os­ser­va­ta dal­la fi­ne­stra. Era un mo­do pra­ti­co per far­si un opi­nio­ne dei suoi clien­ti. La don­na era usci­ta de­ci­sa dal por­to­ne del pa­laz­zo e an­co­ra più de­ci­sa ave­va pre­so la di­re­zio­ne del cen­tro.

    2

    Ja­son era in un mo­men­to dif­fi­ci­le, ma or­mai co­min­cia­va a pen­sa­re che la sua vi­ta sa­reb­be sta­ta sem­pre co­sì, pie­na di com­pli­ca­zio­ni. Mol­to era do­vu­to al suo ca­rat­te­re, lo sa­pe­va. Do­po il suo ri­tor­no da New York, do­ve ave­va la­vo­ra­to per quat­tro an­ni in un pre­sti­gio­so stu­dio le­ga­le, si era sem­pre sen­ti­to in bi­li­co, sen­za ra­di­ci, sen­za equi­li­brio. Quan­do era tor­na­to in Ita­lia, la de­pres­sio­ne lo ave­va col­to all'im­prov­vi­so, una se­ra, men­tre da Ro­ma, do­ve ave­va se­gui­to una cau­sa per una gran­de azien­da far­ma­ceu­ti­ca, tor­na­va a Mi­la­no. Era in tre­no, lo ri­cor­da­va per­fet­ta­men­te: Era una se­ra di fi­ne di giu­gno e fa­ce­va cal­dis­si­mo. L'im­pian­to dell'aria con­di­zio­na­ta era fuo­ri uso e sua mo­glie Fri­da ave­va ap­pe­na per­so il bam­bi­no che sta­va­no aspet­tan­do. Ja­son era sta­to co­stret­to a par­ti­re ugual­men­te per Ro­ma; ave­va pro­va­to a far­si so­sti­tui­re ma il suo ca­po non ave­va vo­lu­to sen­ti­re ra­gio­ne. Quel­la se­ra tor­ri­da, sul­la via del ri­tor­no, ave­va av­ver­ti­to tut­ta la stan­chez­za e il sen­so d'im­po­ten­za che si pro­va in si­mi­li cir­co­stan­ze. Una pro­fon­da an­go­scia l'ave­va in­va­so, ed ave­va co­min­cia­to a sen­ti­re l'inu­ti­li­tà del­le co­se, del­la vi­ta, del la­vo­ro, di tut­to. La for­za, la vo­glia di vi­ve­re, lo ave­va­no com­ple­ta­men­te ab­ban­do­na­to, ave­va pro­va­to la sen­sa­zio­ne d'es­se­re in ba­lia de­gli even­ti sui qua­li non ave­va più nes­sun ti­po di con­trol­lo. Quan­do era rien­tra­to a ca­sa ave­va tro­va­to sua mo­glie Fri­da sul let­to, pri­va di sen­si. Ave­va chia­ma­to un'am­bu­lan­za e al pron­to soc­cor­so i me­di­ci ave­va­no par­la­to di un ten­ta­to sui­ci­dio. Ave­va in­ge­ri­to una do­se ele­va­ta di un se­da­ti­vo ip­no­ti­co. Ja­son si era sen­ti­to in col­pa per aver­la la­scia­ta so­la, per non aver ca­pi­to quel­lo che avreb­be po­tu­to fa­re, per non aver­la aiu­ta­ta. Co­sì era ini­zia­ta la sua de­pres­sio­ne, quel can­cro che non lo avreb­be più ab­ban­do­na­to e che ora, al­la so­glia dei qua­ran­ta­trè  an­ni si sta­va tra­sfor­man­do per di­ve­ni­re an­co­ra più in­ge­sti­bi­le. Mi­riam non ave­va più sop­por­ta­to i suoi ul­ti­mi scat­ti d'ira, le sue in­te­re gior­na­te tra­scor­se sen­za pro­fe­ri­re pa­ro­la e so­prat­tut­to non gli ave­va per­do­na­to di es­se­re an­da­to a let­to con una clien­te. Co­no­sce­va be­ne la ma­lat­tia di Ja­son, la sua si era tra­sfor­ma­ta in de­pres­sio­ne bi­po­la­re, al­ter­na­va mo­men­ti di apa­tia e di ag­gres­si­vi­tà ad al­tri di eu­fo­ria in­con­trol­la­ta. Ed era sta­to pro­prio in uno di quei mo­men­ti di eu­fo­ria che ave­va ce­du­to al­le avan­ce di una gio­va­ne don­na che lo ave­va con­tat­ta­to per far pe­di­na­re il ma­ri­to. Ja­son lo ave­va bec­ca­to con di­ver­se don­ne, ne ave­va più d'una il ba­star­do e sem­bra­va una co­sa na­tu­ra­le, al­me­no per l'in­da­ga­to. Ja­son ri­cor­da­va di aver in­vi­dia­to l'uo­mo per la leg­ge­rez­za e il sen­ti­men­to di as­so­lu­ta in­no­cen­za con cui com­pi­va gli adul­te­ri. Ja­son ave­va sem­pre avu­to dei ma­ci­gni sul cuo­re, per­si­no quan­do non fa­ce­va nien­te di ma­le. Co­sì, per una vol­ta, si era la­scia­to an­da­re, ave­va ce­du­to ad una don­na gio­va­ne e bel­la che sem­bra­va  tro­var­lo ir­re­si­sti­bi­le. Era sta­to co­me tro­var­si al­tro­ve, in una vi­ta in cui non ave­va do­ve­ri, né re­go­le, né im­pe­gni. Per qual­che tem­po si era sen­ti­to li­be­ro, leg­ge­ro, ma poi il sen­so di col­pa lo ave­va schiac­cia­to ed ave­va co­min­cia­to ad av­ve­le­nar­gli ogni istan­te del­la gior­na­ta.

    Mi­riam gli ave­va chie­sto spie­ga­zio­ni, gli ave­va det­to che era cam­bia­to, che non riu­sci­va più a ca­pir­lo e lui ave­va fat­to l'enor­me sba­glio di dir­le tut­to. Ave­va ca­ri­ca­to Mi­riam di un inu­ti­le do­lo­re, per­ché lo ave­va fat­to? Avreb­be po­tu­to be­nis­si­mo non dir­le nien­te, te­ner­si tut­to den­tro; le an­go­sce, i pen­ti­men­ti, il do­lo­re, il sen­so di ina­de­gua­tez­za che ave­va pro­va­to ed in­ve­ce ave­va scel­to la stra­da più fa­ci­le, quel­la di li­be­rar­si vuo­tan­do il sac­co. Era sta­to dav­ve­ro un ter­ri­bi­le sba­glio, ora se ne ren­de­va con­to. Ave­va mi­na­to al­le fon­da­men­ta la fi­du­cia che Mi­riam, era una di quel­le co­se che sa­reb­be sta­ta sem­pre tra di lo­ro, an­che se lei un gior­no lo aves­se per­do­na­to. Nes­su­no dei due avreb­be di­men­ti­ca­to quel­la co­sa. Lo­ro due, non era­no fat­ti co­me gli al­tri, non era­no leg­ge­ri non era­no su­per­fi­cia­li, le gio­ie e i do­lo­ri li sca­va­va­no en­tram­bi sen­za pie­tà, an­da­va­no a fi­ni­re nel pro­fon­do do­ve si se­di­men­ta­va­no, di­ve­nen­do par­te di lo­ro stes­si. No, Mi­riam non avreb­be mai di­men­ti­ca­to e nem­me­no lui.

    3

    Do­po che Ve­ra Kel­ler era usci­ta, Stel­la era en­tra­ta nel­lo stu­dio di Ja­son con una de­ci­na di fo­to­co­pie, pin­za­te or­di­na­ta­men­te in tre pic­co­li fa­sci­co­li. Ave­va sca­ri­ca­to le no­ti­zie su Mar­co Kel­ler di­ret­ta­men­te da Goo­gle. Sul­la pri­ma pa­gi­na Ja­son ave­va su­bi­to ri­co­no­sciu­to la fo­to­gra­fia del ra­gaz­zo, ve­sti­to in bor­ghe­se, con una ca­mi­cia bian­ca e una giac­ca spor­ti­va blu. Nel­la fo­to mo­stra­va spal­le lar­ghe, qua­si spro­por­zio­na­te e un fi­si­co atle­ti­co. Era uno di que­gli uo­mi­ni che lo­ro mal­gra­do, at­ti­ra­va­no le per­so­ne, uo­mi­ni e don­ne. Era un uo­mo vi­ri­le, se­du­cen­te. Ja­son co­min­ciò a sfo­glia­re le fo­to­co­pie, tro­van­do una se­rie di in­for­ma­zio­ni in­te­res­san­ti.

    Era mol­to con­ten­to del­la sua nuo­va se­gre­ta­ria, pri­ma an­co­ra di chie­der­le qual­co­sa, lei lo ave­va già fat­to, era co­me se leg­ges­se i suoi pen­sie­ri. Men­tre sfo­glia­va le fo­to­co­pie, ave­va chia­ma­to Stel­la nel suo uf­fi­cio, l'ave­va rin­gra­zia­ta e si era com­pli­men­ta­to con lei per la sua com­pe­ten­za. La ra­gaz­za era ap­par­sa sul­la por­ta pre­oc­cu­pa­ta, poi, sen­ten­do i com­pli­men­ti, era ar­ros­si­ta ed ave­va ac­cen­na­to ad un gra­zie, tor­nan­do ve­lo­ce­men­te al­la sua po­sta­zio­ne di la­vo­ro. Non avreb­be po­tu­to tro­va­re una se­gre­ta­ria mi­glio­re Mi­riam, ave­va pen­sa­to Ja­son, ed an­co­ra una vol­ta il pen­sie­ro era tor­na­to su di lei.

    Ja­son ave­va aper­to il com­pu­ter e ave­va co­min­cia­to ad an­no­ta­re i da­ti ana­gra­fi­ci di Mar­co Kel­ler. Nel­la sua bio­gra­fia si par­la­va di due so­rel­le e un fra­tel­lo de­ce­du­to in un in­ci­den­te di bar­ca a ve­la. La fo­to­gra­fia del ra­gaz­zo era sbia­di­ta, ma la so­mi­glian­za con il fra­tel­lo era sor­pren­den­te. Gli stes­si oc­chi chia­ri, la pel­le do­ra­ta, la ma­scel­la qua­dra­ta. I suoi ca­pel­li pe­rò era­no an­co­ra più chia­ri. Del­le al­tre due so­rel­le non c'era­no fo­to­gra­fie, so­lo un tra­fi­let­to che di­ce­va che la mag­gio­re, Sil­via, era am­mi­ni­stra­to­re de­le­ga­to nell'azien­da del pa­dre. Il ma­te­ria­le che Stel­la gli ave­va pre­pa­ra­to era  com­ple­to e in­te­res­san­te, si par­la­va an­che di una pas­sio­ne del sa­cer­do­te per la scrit­tu­ra. Ne­gli ul­ti­mi an­ni ave­va scrit­to e pub­bli­ca­to di­ver­si li­bri, su­gli ar­go­men­ti più di­spa­ra­ti, dal­la pit­tu­ra ri­na­sci­men­ta­le al­le fia­be per bam­bi­ni, te­sti fi­lo­so­fi­ci e per­fi­no un ro­man­zo. Ave­va con­se­gui­to la lau­rea in fi­lo­so­fia e si era ap­pas­sio­na­to al­lo stu­dio dei gran­di psi­co­te­ra­peu­ti del pas­sa­to, in par­ti­co­la­re di Jung. Per più di due ore Stel­la non ave­va sen­ti­to al­tro che il pic­chiet­tio per­si­sten­te del­la piog­gia che ave­va co­min­cia­to a scen­de­re,

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