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Eccitante vendetta: Harmony Destiny
Eccitante vendetta: Harmony Destiny
Eccitante vendetta: Harmony Destiny
E-book169 pagine2 ore

Eccitante vendetta: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Il playboy milionario Simon Bradley è certo di non aver mai posato gli occhi o le mani su Tula Barrons, altrimenti se lo ricorderebbe fin troppo bene. Con un sorriso contagioso e la capacità di creare un piacevole caos ovunque metta piede, non è certo l'ospite ideale. Eppure Simon l'accoglie sotto il suo sfarzoso tetto. Dopotutto è la figlia di colui che in passato ha tentato di rovinarlo. E la vittima designata della sua vendetta.



Come scrittrice per bambini, Tula ha più dimestichezza con i coniglietti che non con i pescecani, ma ha bisogno di passare del tempo a stretto contatto con Simon lo Squalo, perché c'è qualcosa di molto importante che vuole da lui. Il problema sarà ottenerlo senza perdere la testa. E il cuore.



La VENDETTA è un piatto che va consumato freddo. Ma quando entra in gioco la PASSIONE le anime si scaldano e l'atmosfera diventa bollente.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2018
ISBN9788858980873
Eccitante vendetta: Harmony Destiny
Autore

Maureen Child

Maureen Child ha al suo attivo più di novanta tra romanzi e racconti d'amore. È un'autrice molto amata non solo dal pubblico ma anche dalla critica, infatti è stata nominata per ben cinque volte come migliore autrice per il prestigioso premio Rita.

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    Anteprima del libro

    Eccitante vendetta - Maureen Child

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Have Baby, Need Billionaire

    Silhouette Desire

    © 2011 Maureen Child

    Traduzione di Rita Pierangeli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-087-3

    1

    A Simon Bradley le sorprese non piacevano.

    Sapeva per esperienza che ogni volta che un uomo si lasciava cogliere alla sprovvista, era sinonimo di catastrofe.

    Ordine. Regole. Era un uomo amante della disciplina. Motivo per cui gli bastò lanciare un’occhiata alla donna che gli stava di fronte nel suo ufficio per capire che lei non era il suo tipo.

    Bella, però, si disse, squadrandola dalla testa ai piedi. Era alta all’incirca un metro e sessantadue e sembrava ancora più bassa per via della corporatura delicata e minuta, con corti capelli biondi che le incorniciavano il volto in ciocche irregolari. Dalle orecchie le pendevano cerchi d’argento e i grandi occhi azzurri lo fissavano con espressione pensierosa. La sua bocca era incurvata in quello che appariva un perenne mezzo sorriso e un’unica fossetta gli ammiccava dalla guancia destra. Indossava jeans neri, stivali dello stesso colore e un maglione rosso che le aderiva al corpo, snello ma con tutte le curve nei punti giusti.

    Simon ignorò il lampo di puro e semplice interesse maschile che gli attraversò lo stomaco mentre incontrava il suo sguardo, e si alzò dalla poltrona dietro la scrivania. «Signorina Barrons, giusto? La mia assistente dice che ha insistito per vedermi a proposito di una questione urgente

    «Sì, salve. E la prego, mi chiami Tula» rispose lei, avanzando con la mano destra tesa.

    Quando le sue dita si chiusero intorno a quelle di lei, Simon provò un’improvvisa e intensa ondata di calore. Prima che potesse spiegarselo, lei gli strinse la mano con energia, quindi indietreggiò. Guardando verso l’ampia finestra alle sue spalle, esclamò: «Wow, un panorama eccezionale. Da qui può vedere tutta San Francisco».

    Invece di voltarsi, Simon la osservò. Gli formicolavano ancora le dita, così si strofinò le palme l’una contro l’altra per cancellare quella sensazione. No, non era proprio il suo tipo ma, accidenti, era un piacere guardarla. «Non tutta, una buona parte.»

    «Perché la sua scrivania non è rivolta verso la finestra?»

    «Se lo fosse, darei le spalle alla porta, giusto?»

    «Giusto.» Tula annuì, quindi si strinse nelle spalle. «Comunque, ritengo che ne varrebbe la pena.»

    Bella, ma disorganizzata, pensò Simon, dando un’occhiata all’orologio. «Signorina Barrons...»

    «Tula.»

    «Signorina Barrons» ripeté lui di proposito, «se è venuta per parlare del panorama, non ho tempo da dedicarle. Ho una riunione tra un quarto d’ora e...»

    «Giusto. Lei è un uomo impegnato, lo capisco. E no, non sono venuta per parlare del panorama, mi sono lasciata distrarre, tutto qui.»

    Le distrazioni, pensò lui, devono essere alla base della vita di questa donna. Stava già lasciando vagare lo sguardo sull’ufficio invece di affrontare il motivo della sua visita. La osservò mentre si soffermava sull’arredamento semplice e funzionale, sui premi incorniciati e le foto professionali dei magazzini Bradley disseminati in tutto il paese.

    Provò un moto d’orgoglio mentre anche lui si concedeva un momento per ammirare quelle foto. Aveva lavorato sodo negli ultimi dieci anni per ricostruire un impero che suo padre aveva portato sull’orlo della rovina. In quel lasso di tempo aveva non solo riconquistato il terreno perduto, ma aveva anche portato la catena di magazzini della famiglia Bradley a un livello mai raggiunto prima.

    E non aveva compiuto quell’impresa lasciandosi distrarre. Neanche da una bella donna.

    «Se non le dispiace» disse, girando intorno alla scrivania per accompagnarla alla porta, «oggi sono piuttosto impegnato...»

    Lei gli rivolse un sorriso smagliante e Simon sentì il cuore fargli una strana capriola nel petto. Gli occhi di lei si illuminarono e la fossetta nella guancia si accentuò diventando di colpo la cosa più bella che Simon avesse mai visto. Turbato, allontanò quel pensiero inopportuno e si impose di controllarsi.

    «Mi scusi, mi scusi» disse Tula, agitando entrambe le mani, come per scacciare la propria tendenza a divagare. «Sono venuta per parlarle di una questione molto importante.»

    «D’accordo, allora, che cosa c’è di così urgente da giurare di installarsi nella mia sala d’attesa per una settimana se non le avessero permesso di parlarmi subito?»

    Lei aprì la bocca, quindi la richiuse per poi suggerire: «Forse farebbe meglio a sedersi».

    «Signorina Barrons...»

    «Bene. Come vuole. Ma poi non dica che non l’ho avvertita.»

    Lui guardò l’orologio, in modo esplicito.

    «Afferrato. Uomo impegnato. Lo vuole sapere e subito. In questo caso, eccola servito. Congratulazioni. Lei è padre.»

    Simon si irrigidì e ogni spirito di cortesia e tolleranza si volatilizzò. «I suoi cinque minuti sono finiti, signorina Barrons.» La prese per un gomito e la guidò verso la porta.

    Le sue gambe, molto più corte, si muovevano veloci, ma Simon non riusciva a capire se per cercare di stare al passo con lui o di rallentarlo. In ogni caso, per lui non faceva differenza. Bella o no, qualunque gioco avesse in mente, non avrebbe funzionato. Simon non era il padre di nessuno e ne era dannatamente certo.

    «Ehi!» Alla fine Tula piantò i tacchi dei suoi stivali nel tappeto, riuscendo a bloccare la sua marcia. «Aspetti un secondo! Accidenti, non sta esagerando?»

    «Io non sono padre. E si fidi di me quando dico che se fossi andato a letto con lei, me ne ricorderei.»

    «Non ho detto di essere io la madre del bambino.»

    Simon non l’ascoltò nemmeno, e riprese ad avanzare verso la porta.

    «Avrei preferito arrivare per gradi a... a una simile rivelazione.» Tula ora stava balbettando. «È stato lei a volere che arrivassi subito al dunque.»

    «Capisco. Era per il mio bene.»

    «No, era per il bene di suo figlio, stupido.»

    Simon tentennò appena, benché sapesse che lei stava mentendo. Un figlio? Impossibile.

    Lei approfittò di quella breve esitazione per liberarsi e indietreggiare, fuori dalla sua portata. Simon era abbastanza turbato da lasciarla andare. Non sapeva che cosa stesse cercando di ottenere ma, in quel momento, nei suoi occhi c’era un’espressione mite e decisa al tempo stesso.

    «Mi rendo conto che per lei è uno shock. Diamine, lo sarebbe per chiunque.»

    Scuotendo la testa, lui la guardò socchiudendo gli occhi. Ne aveva abbastanza. Non aveva un figlio e non sarebbe cascato nella trappola ideata dalla mente malata di una donna a caccia di soldi. Meglio metterlo in chiaro fin da subito.

    «Non l’ho mai vista prima d’ora, signorina Barrons, e quindi mi sembra ovvio che non abbiamo un figlio insieme. La prossima volta che vuole convincere qualcuno a pagare per un figlio che non esiste, sarà meglio che ci provi con qualcuno con cui è andata davvero a letto.»

    Lei batté le palpebre confusa, poi scoppiò a ridere. «No, no. Gliel’ho detto, non sono io la madre del bambino. Io sono sua zia. Ma lei è decisamente il padre. Nathan ha i suoi occhi, e perfino quel suo mento volitivo. Il che non lascia presagire niente di buono, suppongo. Ma l’ostinazione a volte può essere una buona qualità, non crede?»

    Nathan.

    Quel bambino immaginario aveva un nome.

    Ma la situazione restava irreale.

    «È una follia. È ovvio che lei sta mirando a qualcosa, perciò sputi il rospo e la faccia finita.»

    Tula stava borbottando tra sé mentre tornava alla scrivania, costringendolo a seguirla. «Mi ero preparata un discorso, sa. Lei mi ha fatto fretta e adesso è tutto confuso.»

    «Credo che qui la confusa sia soltanto lei.» Simon si mosse per prendere il telefono e chiamare la sicurezza.

    «Non sono confusa. E non sono nemmeno pazza. Ascolti, mi conceda cinque minuti, d’accordo?»

    Lui riagganciò. Non avrebbe saputo dire perché. Forse per il bagliore nei suoi occhi azzurri. Forse era per quella seducente fossetta che continuava ad apparire e scomparire. Ma se c’era la benché minima possibilità che stesse dicendo il vero, allora doveva scoprirlo.

    «D’accordo. Cinque minuti.»

    «Molto bene.» Tula trasse un respiro profondo. «Sono pronta. Ricorda di aver frequentato una certa Sherry Taylor, circa un anno e mezzo fa?»

    Un’ombra di apprensione si insinuò in Simon mentre frugava nella memoria. «Sì» rispose, con cautela.

    «Bene... io sono la cugina di Sherry, Tula Barrons. In realtà, Tallulah, dal nome di mia nonna, ma è così orribile che mi faccio chiamare Tula...»

    Lui la stava ascoltando a malapena. La sua mente era concentrata sui ricordi nebulosi di una donna del suo passato. Che fosse possibile?

    Tula si fece animo prendendo un altro respiro. «So che è difficile da accettare, ma mentre voi due stavate insieme, Sherry è rimasta incinta. Ha dato alla luce suo figlio sei mesi fa, a Long Beach.»

    «Lei cosa?»

    «Lo so, lo so. Avrebbe dovuto dirglielo.» Tula sollevò le mani, come per dire che non era colpa sua. «Ho cercato di convincerla a parlargliene, ma lei ha risposto che non voleva interferire nella sua vita, così...»

    Interferire nella sua vita.

    Era un eufemismo. Buon Dio, ricordava a malapena l’aspetto di quella donna. Simon si strofinò un punto tra gli occhi, come se il gesto potesse far chiarezza nei suoi vaghi ricordi. Ma l’unico risultato fu l’immagine di una donna che era entrata e uscita dalla sua vita nel giro di due settimane.

    E mentre lui se n’era andato per la sua strada senza guardarsi indietro, lei era rimasta incinta? Di suo figlio? E non si era presa il disturbo di dirglielo?

    «Perché? Come?»

    «Ottime domande» disse Tula sorridendogli, quella volta in modo comprensivo. «Mi dispiace che sia un tale shock ma...»

    Simon non era interessato alla sua comprensione. Voleva risposte. Se aveva davvero un figlio, era indispensabile che sapesse tutto.

    «Perché adesso? Perché sua cugina ha aspettato fino a ora a dirmelo, e perché non è qui di persona?»

    Gli occhi di Tula si appannarono, e lui ebbe l’orribile sospetto che stesse per piangere. Maledizione. Odiava quando le donne piangevano. Un uomo si sentiva del tutto impotente. Ma un attimo dopo, lei aveva ripreso il controllo sulle proprie emozioni ed era riuscita ad arginare le lacrime. Aveva ancora gli occhi lucidi, però si rifiutava di lasciarle cadere e Simon si sorprese ad ammirarla.

    «Sherry è morta due settimane fa.»

    Un’altra sorpresa inaspettata in una mattina che sembrava riservarne molte. «Mi dispiace» disse Simon, sapendo che erano parole banali e scontate, ma cos’altro poteva dire?

    «Grazie. È stato un incidente d’auto. È morta sul colpo.»

    «Ascolti, signorina Barrons...»

    Lei sospirò. «Se la supplico, mi può chiamare Tula? E possiamo darci del tu?»

    «D’accordo, Tula» accettò lui, riflettendo che era il meno che potesse fare. Non ricordava a quando risaliva l’ultima volta che qualcuno era riuscito a prenderlo alla sprovvista.

    Non aveva le idee chiare su come reagire. Il suo istinto, naturalmente, era di trovare quel bambino e, se era suo figlio, di reclamarne la tutela. Ma aveva soltanto la parola di quella sconosciuta, insieme a ricordi troppo vaghi per essere affidabili.

    Si passò una mano sulla mascella. «Ascolta, mi dispiace dirlo ma non ricordo molto di tua cugina. Siamo stati insieme molto poco. Non capisco come tu faccia a essere così sicura che questo bambino è mio.»

    «Perché Sherry ti ha citato sul suo certificato di nascita.»

    «Gli ha dato il mio nome e non si è presa il disturbo di informarmi?»

    «Lo so, è assurdo» disse Tula, in tono comprensivo.

    Lui non voleva comprensione. «Avrebbe potuto metterci il nome di chiunque.»

    «Sherry non mentiva.»

    Simon scoppiò a ridere, trovando ridicola quell’affermazione.

    Tula fece una smorfia. «D’accordo. Ha mentito a te, ma non lo ha fatto riguardo a suo

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