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Il professore
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E-book350 pagine5 ore

Il professore

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Info su questo ebook

Traduzione di Angela Ricci
Edizione integrale

Primo romanzo di una giovanissima Charlotte Brontë, Il professore rimase a lungo nel cassetto della sua autrice, che lo riteneva troppo immaturo rispetto ai successivi e più noti capolavori. Ma Villette, Shirley e Jane Eyre non sarebbero esistiti senza questa prima prova, in cui già sono evidenti la raffinatezza dello stile e la capacità di descrivere con estrema precisione i moti più profondi dell’animo umano. Protagonista delle vicende narrate è William Crimsworth, giovane di belle speranze e di poche sostanze che tenta di sbarcare il lunario diventando professore di inglese in un collegio di Bruxelles. Le vicissitudini del giovane ripercorrono paure, attese e difficoltà di chi, come l’autrice all’epoca della stesura, si trova alle prese con l’incertezza del proprio futuro e della propria carriera, ma per Crimsworth a scombinare le carte in tavola arriveranno anche due donne, una oggetto di una potente ma infida infatuazione, l’altra in grado di far scoprire al professore la natura del vero amore. Una Charlotte Brontë meno cupa e sofferente di quella che siamo abituati a conoscere, ma altrettanto capace di creare personaggi difficili da dimenticare.
Charlotte Brontë
(Thornton 1816 - Haworth 1855) trascorse nello Yorkshire la propria vita funestata da malattie e disgrazie familiari. Fu autrice di romanzi che hanno per protagoniste delle drammatiche figure di donne: Villette, Jane Eyre, Shirley e Il professore, tutti presenti nel volume Tutti i romanzi.
LinguaItaliano
Data di uscita12 dic 2016
ISBN9788822703491
Autore

Charlotte Brontë

Charlotte Brontë (1816-1855) was an English novelist and poet, and the eldest of the three Brontë sisters. Her experiences in boarding schools, as a governess and a teacher eventually became the basis of her novels. Under pseudonyms the sisters published their first novels; Charlotte's first published novel, Jane Eyre(1847), written under a non de plume, was an immediate literary success. During the writing of her second novel all of her siblings died. With the publication of Shirley (1849) her true identity as an author was revealed. She completed three novels in her lifetime and over 200 poems.

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    Anteprima del libro

    Il professore - Charlotte Brontë

    573

    Titolo originale: The Professor

    Traduzione di Angela Ricci

    Prima edizione ebook: gennaio 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-0349-1

    www.newtoncompton.com

    Charlotte Brontë

    Il professore

    Edizione integrale

    Newton Compton editori

    Nota biobibliografica di Charlotte Brontë

    CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

    1812. L’irlandese Patrick Brontë, diplomatosi in belle lettere al St. John College di Cambridge, si stabilisce come pastore anglicano a Hartshead nello Yorkshire e sposa una giovane metodista di Penzance, Cornovaglia, Maria Branwell. A Thornton, presso Bradford, dove nel frattempo i Brontë si sono trasferiti, nasce la terza figlia. Charlotte.

    1817. Nasce Branwell (Patrick Branwell).

    1818. Nasce Emily (Emily Jane).

    1820. Nasce Anne. Accoglie i Brontë il presbiterio di pietra grigia a Haworth. Tra cimitero e brughiera.

    1821. Muore di cancro la signora Brontë. La sorella di lei, Elizabeth Branwell, accorsa da Penzance si assumerà il compito di badare ai bambini e all’andamento della casa. Nel tranquillo presbiterio non mancano stimoli. Il reverendo è uomo colto, autore di volumetti di poesia (Cottage Poems, The Rural Minstrel), e di pagine in prosa su questioni teologiche e politiche. I piccoli mostrano interesse per la storia, la politica, la letteratura. Più tardi da una donna anziana del villaggio assunta come domestica, Tabby (Tabitha Aykroyd), ascolteranno favole, leggende, tragedie locali, resoconti di eventi e costumi e superstizioni dello Yorkshire.

    1824-1830. Il collegio per le figlie degli ecclesiastici poveri a Cowan Bridge nel Lancashire (l’orfanotrofio di Jane Eyre, Lowood) ospita le sorelle maggiori e poco dopo anche Charlotte ed Emily. Nel 1825 le prime due vi contraggono la tisi e, riportate a casa, muoiono. Da quando, sul finire dell’autunno, Charlotte ed Emily lasciano Cowan Bridge definitivamente, inizia per i quattro bambini superstiti – sotto la guida del padre e della zia – un’intensa vita di studio alla quale si aggiungerà in segreto l’elaborazione di storie fantastiche: Charlotte e Branwell creeranno la saga di Angria, Emily e Anne quella di Gondal. Rimangono, testimonianza del misterioso fervore inventivo, minuscoli manoscritti formato francobollo.

    1831. Nell’istituto della signorina Wooler a Roe Head, non lontano da Haworth, Charlotte trascorre qualche mese e si lega d’amicizia a due allieve, Mary Taylor ed Ellen Nussey. Il rapporto con loro durerà fino alla morte di Charlotte. Nel 1835 Charlotte torna nella scuola della signorina Wooler con un incarico d’insegnamento.

    1842. Dopo brevi ma dolorose esperienze come istitutrice in case private, Charlotte si reca a Bruxelles con Emily per frequentare la scuola diretta dai coniugi Héger. Una pausa a Haworth dovuta alla morte della zia, ed ecco Charlotte di nuovo a Bruxelles nel gennaio 1843. Nel dicembre dello stesso anno il reverendo Brontë sul punto di perdere la vista richiama la figlia.

    1844-1845. Le tre ragazze progettano di aprire nel presbiterio un istituto per cinque o sei convittrici, ma tutto va a monte; le condizioni fisiche e morali di Branwell angosciano la famiglia; Charlotte decide una scelta di liriche sue e delle sorelle da dare alle stampe.

    1846. Con gli pseudonimi di Currer, Ellis e Acton Bell (le ragazze serbano le loro iniziali) il libro esce ma passa inosservato.

    1847. Il primo romanzo di Charlotte, The Professor, non trova un editore mentre esce e riscuote un gran successo il secondo, Jane Eyre. An Autobiography, a cura di Currer Bell. Emily (Ellis) pubblica Wulhering Heights (Cime tempestose) e Anne (Acton) Agnes Grey.

    1848. Escono The Tenant of Wildfell Hall (L’inquilino di casa Wildfell), autrice Anne, e due nuove edizioni di Jane Eyre, la seconda con la dedica a Thackeray. Charlotte e Anne si recano a Londra e svelano la loro identità e quella di Emily agli editori che hanno lanciato Jane Eyre.

    1848-1849. Uno dopo l’altro muoiono Branwell (del quale ci rimane il bellissimo ritratto di Emily), Emily e Anne.

    1849. Pubblicazione di Shirley.

    1853. Esce Villette. Nel frattempo Charlotte incontra scrittori e letterati; stringe una salda amicizia con E. Gaskell, sua futura biografa.

    1854. Sposa il rev. A.B. Nicholls, che da anni è l’assistente del padre e vive nel presbiterio.

    1855. Muore il 31 marzo, con un bimbo in grembo, dopo appena nove mesi di un matrimonio felice.

    1857. Escono la biografia della Gaskell e The Professor.

    1860. Viene pubblicato in aprile su «The Cornhill Magazine» il frammento Emma con una introduzione di Thackeray.

    1899. Inizia la Haworth Edition di tutte le opere delle Brontë, a cura di M. Ward.

    Prime edizioni

    Poems (di Currer, Ellis & Acton Bell), 1846

    Jane Eyre, An Autobiography ed. by Currer Bell, 1847

    Shirley, 1849

    Villette, 1853

    The Professor, 1857

    Emma, 1860

    Complete Poems, 1923

    Lettere: in C.K. Shorter, The Brontës: Life & Letters, 1908; M. Spark, The Brontë Letters, 1954

    The Glass Town Saga 1826-1832, 1987

    The Rise of Angria 1833-1835, 1991

    Edizioni italiane recenti di Jane Eyre

    Jane Eyre, introduzione di

    C. PAGETTI

    , Torino, Einaudi, 2008. Jane Eyre, introduzione di

    P. RUFFILLI

    ; traduzione di

    U. DETTORE

    , Milano, Garzanti, 2009. Jane Eyre, saggio introduttivo di

    V. WOOLF

    , traduzione di

    G. POZZO GALEAZZI

    , Milano,

    BUR

    , 2012.

    Di Charlotte Brontë la Newton Compton ha pubblicato Jane Eyre anche in volume singolo.

    Il professore

    Prefazione

    Questo libretto è stato scritto prima di Jane Eyre e di Shirley, ma nonostante ciò non desidero esortare ad alcuna indulgenza nei suoi confronti a motivo del fatto che si tratta di un primo tentativo. Perché di fatto non lo è stato, in quanto la penna che lo ha scritto aveva già alle spalle anni di esercizio. È vero che non avevo pubblicato nulla prima di cominciare Il professore, ma nel corso di numerosi e aspri sforzi di composizione, i cui risultati distrussi nel momento stesso in cui li completai, avevo avuto modo di superare il gusto che una volta avevo per la scrittura artificiosa e ridondante, alla quale ora preferisco uno stile più semplice e familiare. Contemporaneamente avevo adottato una serie di principi riguardo agli accadimenti della trama ecc. ecc., del genere che la teoria sarebbe incline ad approvare, ma dagli esiti tali che, una volta messi in pratica, spesso arrecano all’autore più sconcerto che piacere.

    Avevo detto a me stessa che il mio protagonista avrebbe dovuto destreggiarsi nella vita come avevo visto fare agli uomini nella realtà, che non avrebbe dovuto avere neanche uno scellino che non si fosse guadagnato, che non avrebbe dovuto verificarsi alcun colpo di scena che in un attimo gli conferisse ricchezza e status sociale elevato, che qualsiasi competenza, anche la più infima, egli avesse acquisito, avrebbe dovuto conquistarla con il sudore della fronte, che prima di incontrare una pergola all’ombra della quale trovare ristoro, avrebbe dovuto ascendere almeno fino a metà della sua collina delle difficoltà, e che infine non avrebbe dovuto sposare una bella ragazza di nobile lignaggio. In quanto figlio di Adamo, avrebbe avuto lo stesso destino di Adamo e bevuto dal calice della vita solo una moderata quantità di felicità.

    In seguito, tuttavia, scoprii che gli editori generalmente disapprovano questo sistema, preferendo invece leggere qualcosa di più immaginoso e poetico, qualcosa di più affine a una fantasia elaborata, con un certo gusto per il pathos e per i sentimenti più teneri, elevati e autentici. In verità, finché un autore non prova a redigere un manoscritto del genere, non può sapere quale sensibilità si celi dentro petti che mai avrebbe sospettato racchiudessero un tale tesoro. Gli uomini d’affari sono soliti dar preferenza a ciò che è reale, ma messa alla prova questa idea si rivela spesso fallace: una predilezione appassionata per ciò che è selvaggio, meraviglioso ed emozionante – o strano, stupefacente e tormentoso – si agita in molte di quelle anime che in superficie appaiono calme e sobrie.

    Essendo esattamente questo il caso, il lettore dedurrà che prima di poterlo raggiungere in forma di libro stampato, questo breve racconto ha attraversato molte difficoltà, cosa che è in effetti accaduta. E dopotutto, lo sforzo e la prova più importanti sono ancora da compiere, ma esso può trarre conforto, tenere a bada le paure, e sorreggersi a un appiglio di moderata aspettativa mormorando sottovoce, mentre alza gli occhi verso il pubblico: «Colui che è già in basso non teme di cadere».

    Currer Bell

    (pseudonimo di Charlotte Brontë)

    Questa prefazione è stata scritta da mia moglie in vista della pubblicazione de Il professore, prevista poco dopo quella di Shirley. Ma dissuasa dall’originario intento, l’autrice usò un po’ di materiale del libro per la sua successiva opera, Villette. Poiché tuttavia queste due storie sono sotto numerosi punti di vista molto diverse, ho ritenuto che non ci fosse motivo di tenere nascosto al pubblico Il professore e ho perciò acconsentito alla sua pubblicazione.

    A.B. Nicholls

    Parrocchia di Haworth

    22 settembre 1856

    Capitolo I. Introduzione

    L’altro giorno, frugando tra le mie carte, ho trovato sulla scrivania la copia di una lettera inviata l’anno scorso a una vecchia conoscenza dei tempi di scuola, che riporto qui:

    Caro Charles,

    si può ben dire che quando eravamo a Eton né io né te fossimo esattamente personaggi popolari: tu eri una strana creatura, sarcastico, osservatore, scaltro e spietato; di me stesso non proverò neanche ad abbozzare un ritratto, ma non mi pare di ricordare di essere stato granché attraente, non ne convieni anche tu? Non saprei dire quale magnetismo animale ci attirò l’uno verso l’altro, di certo non ho mai provato per te alcunché di simile ai sentimenti di Pilade per Oreste, e ho ragione di credere che tu, da parte tua, fossi ugualmente scevro da qualsiasi romanticheria nei miei confronti. Eppure, fuori dall’orario scolastico, non facevamo che passeggiare insieme e chiacchierare. Quando l’argomento di conversazione erano i nostri compagni e gli insegnanti ci capivamo al volo, e quando io evocavo un certo senso di affezione, un vago amore per qualcosa di bello o di eccellente, che fosse di natura animata o inanimata, la tua beffarda freddezza non mi smuoveva. Mi sono sempre sentito superiore al tuo giudizio, allora come oggi.

    È passato molto tempo dall’ultima volta che ti ho scritto, e ancora di più dall’ultima volta che ci siamo visti. Ma l’altro giorno ho preso in mano per caso un giornale della tua contea e mi è caduto l’occhio sul tuo nome. Ho cominciato a rivangare i vecchi tempi, a ripercorrere gli eventi che si sono susseguiti da quando ci siamo separati, e infine mi sono seduto a scrivere questa lettera. Non so cosa ti sia accaduto in questi anni, ma se vorrai prestarmi attenzione ti racconterò quali tiri mancini questo mondo mi abbia giocato.

    Prima di tutto, dopo aver lasciato Eton ebbi un colloquio con i miei zii materni, Lord Tynedale e l’onorevole John Seacombe. Mi chiesero se desideravo unirmi alla Chiesa e mio zio il nobiluomo mi offrì la tenuta di Seacombe, che rientrava tra le sue disposizioni, qualora avessi accettato. Da parte sua l’altro zio, Mr Seacombe, alluse all’idea che quando fossi divenuto rettore di Seacombe-cum-Scaife, avrei forse ottenuto la possibilità di prendere come moglie e capo della parrocchia una delle mie sei cugine, le sue figlie, che mi erano tutte ugualmente sgradite.

    Rifiutai sia la Chiesa sia il matrimonio. Un buon pastore è una buona cosa, ma io sarei stato un pastore terribile. E per quanto riguarda la moglie… che incubo il pensiero di essere legato a vita a una delle mie cugine! Non c’è dubbio che esse siano tutte graziose e dotate di notevoli qualità, ma nessuna di esse, così come nessuna delle loro attrattive, riesce a toccare il mio cuore. Pensare di trascorrere le serate d’inverno davanti al caminetto della casa parrocchiale di Seacombe con la sola compagnia di una di loro, per esempio la statuaria e imponente Sarah… no. Circostanze del genere farebbero di me un cattivo marito, oltre che un cattivo pastore.

    Una volta che ebbi declinato le offerte dei miei zii, essi mi chiesero cosa intendessi fare e io dissi loro che avevo bisogno di riflettere. Mi rammentarono che non disponevo di alcun patrimonio, né di alcuna aspettativa, e dopo una prolungata pausa di silenzio Lord Tynedale mi domandò con espressione severa se avessi per caso intenzione di seguire le orme di mio padre e dedicarmi al commercio. Ora, devo dire che non mi era mai passato per la mente. Non credo di avere la testa adatta per essere un buon commerciante; le mie inclinazioni e le mie ambizioni non vanno affatto in quella direzione; ma lo sdegno che si dipinse sul volto di Mr Tynedale mentre pronunciava la parola commercio – e il sarcasmo pretenzioso della sua voce – mi fecero decidere all’istante. Mio padre non era altro che un nome per me, tuttavia non gradivo che quel nome venisse menzionato in mia presenza con tale aria derisoria. Risposi perciò con tempestività e ardore: «Non c’è scelta migliore per me se non quella di seguire le orme di mio padre. Sì, diverrò un commerciante». I miei zii si astennero dal replicare e ci separammo con mutuo disgusto. Ripensando a questo colloquio, ritengo di aver fatto più che bene a rifiutare il fardello rappresentato dalla tutela dello zio Tynedale, e tuttavia in quello stesso momento fui tanto sciocco da caricarmi le spalle di un diverso fardello, che avrebbe potuto rivelarsi ben più insopportabile e di cui certamente non avevo all’epoca alcuna esperienza.

    Scrissi immediatamente a Edward – conosci Edward? – il mio unico fratello, di dieci anni più grande e sposato con la figlia del ricco proprietario di una fabbrica. Attualmente è titolare sia della fabbrica che dell’attività che mio padre conduceva prima di fallire. Sai già che mio padre una volta era in possesso di una ricchezza paragonata a quella di Creso e che andò in bancarotta poco prima di morire, e sai anche che mia madre gli sopravvisse di soli sei mesi, vissuti in povertà e senza alcun aiuto da parte dei suoi aristocratici fratelli, che aveva mortalmente offeso sposando Crimsworth, un artigiano dello …shire. Al termine di quei sei mesi mi diede alla luce e lasciò questo mondo, immagino senza troppi rimpianti dal momento che esso le offriva ben poca speranza e conforto.

    I parenti di mio padre si presero cura di Edward e di me finché non ebbi compiuto nove anni. All’epoca il seggio di rappresentanza di un importante circoscrizione della contea divenne vacante e Mr Seacombe vi si candidò. Mio zio Crimsworth, abile commerciante, intravide un’opportunità e scrisse una lunga lettera al candidato, nella quale affermava che se lui e Lord Tynedale non avessero acconsentito a provvedere in qualche modo al sostentamento degli orfani della sorella, lui avrebbe denunciato pubblicamente il loro comportamento spietato e maligno nei confronti di quella loro defunta parente e avrebbe fatto del suo meglio affinché ciò recasse danno all’elezione di Mr Seacombe. Quel gentiluomo, così come Lord T., sapeva fin troppo bene che i Crimsworth erano una stirpe determinata e senza scrupoli, e anche che essi godevano di una certa influenza nella circoscrizione di …; pertanto, facendo di necessità virtù, acconsentì a contribuire alle spese della mia educazione. Fui mandato a Eton, dove rimasi dieci anni, e per tutto quel periodo non vidi mai Edward. Una volta divenuto adulto, mio fratello si era dato agli affari e aveva perseguito quella sua vocazione con tale diligenza, abilità e successo, che già a trent’anni si poteva dire che stesse tirando su una fortuna. Io ero al corrente di tutto ciò grazie alle occasionali brevi lettere che ricevevo da lui tre o quattro volte l’anno, le quali non mancavano mai di concludersi con qualche espressione di accesa inimicizia nei confronti dei Seacombe, seguite da un rimprovero a me per il fatto che vivevo a loro spese, così diceva Edward. All’inizio, quando ero ancora poco più che un bambino, non riuscivo a capire perché, dal momento che non avevo i genitori, l’onere della mia educazione non dovesse ricadere sui miei zii Tynedale e Seacombe; tuttavia, quando divenni più grande e venni a poco a poco a conoscenza della persistente ostilità, o meglio, dell’odio mortale che essi avevano nutrito nei confronti di mio padre; delle sofferenze di mia madre; e in breve di tutti i torti subiti dalla nostra famiglia, nacque anche in me una certa vergogna per il fatto che la mia vita dipendesse da loro, e decisi di non accettare più dalle mani dei miei zii quel pane che si erano rifiutati di offrire a mia madre morente. Fu sotto l’influenza di tali sentimenti che rifiutai il rettorato della parrocchia di Seacombe e il matrimonio con una delle mie aristocratiche cugine.

    Alla luce della irreparabile frattura che era venuta a crearsi tra me e i miei zii, scrissi a Edward e gli riferii quanto era accaduto, informandolo sulle mie intenzioni di seguire le sue orme e divenire un commerciante. Gli chiesi inoltre se avesse un impiego da darmi. Nella sua risposta mio fratello mi comunicò tutta la sua disapprovazione per la mia condotta, ma mi disse anche che potevo andare da lui nello …shire, se lo volevo, e che lui avrebbe fatto ciò che era in suo potere affinché fossi provvisto di un lavoro. Mi sforzai di reprimere qualsiasi commento – persino mentale – al suo biglietto, riempii il mio baule e la mia borsa da viaggio di tela e partii immediatamente per il nord.

    Dopo due giorni di viaggio (all’epoca non c’era ancora la ferrovia), in un piovoso pomeriggio di ottobre arrivai nella cittadina di … Avevo sempre pensato che Edward vivesse lì, ma quando chiesi informazioni scoprii che nella fumosa atmosfera di Bigben Close avevano sede soltanto la fabbrica e il magazzino di Mr Crimsworth, mentre la sua residenza si trovava in campagna, a poche miglia di distanza.

    Era ormai tarda sera quando giunsi di fronte ai cancelli dell’abitazione che mi era stata indicata come quella di proprietà di mio fratello. Mentre procedevo lungo il vialetto ebbi modo di notare, tra le ombre del tramonto, accentuate ancora di più da una tetra foschia, che la casa era piuttosto imponente e che i terreni circostanti erano parimenti vasti. Mi fermai per un istante sul prato, appoggiandomi a un albero che sorgeva nel centro, e osservai con grande interesse la facciata di Crimsworth Hall.

    Edward è ricco, pensai tra me e me. Sapevo che le cose gli andavano bene, ma non immaginavo al punto da potersi permettere una casa come questa. Dopodiché misi da parte meraviglia, speculazioni, congetture e affini, arrivai di fronte alla porta d’ingresso e suonai il campanello. Venne ad aprirmi un domestico. Io mi presentai e lui prese il mio cappotto bagnato e la borsa da viaggio, conducendomi poi in una stanza adibita a biblioteca, con un fuoco vivace che scoppiettava nel caminetto e alcune candele che ardevano sul tavolo. Mi informò che il suo padrone non era ancora tornato dal mercato di …, ma che avrebbe di certo fatto ritorno nel giro di una mezzora.

    Fui lasciato a me stesso e mi accomodai su una delle poltrone imbottite, rivestita di cuoio rosso marocchino, accanto al caminetto. Mentre i miei occhi si perdevano in contemplazione delle braci ardenti e della cenere che si depositava a brevi intervalli nel focolare, la mia mente si teneva occupata con diverse congetture riguardo l’incontro che stava per avere luogo. Tra i numerosi dubbi che costellavano la materia di tali congetture, vi era un’unica certezza: non correvo pericolo di restare deluso, poiché la moderazione stessa delle mie aspettative mi salvaguardava da un rischio del genere. Non mi aspettavo alcuna eccessiva dimostrazione di sentimenti fraterni, il tenore delle lettere di Edward era sempre stato tale da prevenire che sviluppassi o in qualche modo nutrissi tali illusioni. E tuttavia, mentre me ne stavo là seduto, in attesa del suo arrivo, ero ansioso di vederlo, assolutamente ansioso, e davvero non saprei dirti per quale motivo. La mia mano, che da tempo immemore non stringeva quella di un consanguineo, si chiuse a pugno per contrastare il tremito con cui l’impazienza sarebbe stata più che lieta di agitarla.

    Ripensai ai miei zii e mentre mi chiedevo se l’indifferenza di Edward potesse mai dimostrarsi pari al freddo disprezzo che avevo sempre sperimentato da parte loro, udii il cancello esterno aprirsi: delle ruote percorrevano il vialetto dirette verso la casa. Mr Crimsworth era tornato e nel giro di pochi minuti, dopo aver brevemente conferito con il domestico all’ingresso, i suoi passi si avvicinarono alla porta della biblioteca, i passi che annunciavano l’inequivocabile arrivo del padrone.

    Conservavo pochi e confusi ricordi di Edward, risalenti a dieci anni prima, come di un giovane alto, atletico e ancora acerbo; mentre ora, quando mi alzai dalla poltrona e mi voltai verso la porta, vidi davanti a me un uomo robusto e di bell’aspetto, dalla carnagione chiara e dal fisico atletico e ben fatto. Al primo sguardo mi comunicò un’idea di prontezza e acutezza di mente, che traspariva dalle sue movenze, dal suo portamento, dai suoi occhi e in generale dall’espressione del suo volto. Mi salutò senza indugi e quando ci stringemmo la mano mi squadrò da capo a piedi. Poi si accomodò sulla poltrona di cuoio marocchino e mi fece cenno di prendere posto su un’altra sedia.

    «Pensavo che ti saresti fatto vivo all’ufficio commerciale giù a Close», disse, e nella sua voce percepii un curioso accento, che probabilmente per lui era la norma. Parlava inoltre con una cadenza gutturale tipica del nord, che suonava aspra alle mie orecchie, abituate alla pronuncia argentina delle regioni del sud.

    «Il proprietario della locanda dove mi ha lasciato la diligenza mi ha indirizzato qui», dissi. «All’inizio ho dubitato dell’accuratezza delle sue informazioni, non sapevo che possedessi una dimora del genere».

    «Oh, non c’è problema!», rispose lui. «È che ho perso mezzora ad aspettarti, tutto qui. Pensavo che arrivassi con la diligenza delle otto».

    Espressi il mio rammarico per il fatto che avesse dovuto aspettarmi, ma lui non rispose, dedicandosi invece ad attizzare il fuoco, come per dissimulare un moto di impazienza. Dopodiché mi squadrò nuovamente.

    Io ero soddisfatto di me stesso per non aver tradito alcun calore ed entusiasmo nei primi istanti del nostro incontro, e aver invece salutato quell’uomo con una certa flemma, posata e tranquilla.

    «Quindi hai tagliato i ponti con Tynedale e Seacombe?», mi chiese lui bruscamente.

    «Non credo che avrò più contatti con loro; immagino che il mio rifiuto di accettare le loro proposte si sia posto di ostacolo ai nostri rapporti futuri».

    «Te lo chiedo», disse lui, «per rammentarti fin dall’inizio che nessun uomo può servire due padroni. Qualsiasi frequentazione con Lord Tynedale renderebbe incompatibile un sostegno da parte mia». Quando alzò lo sguardo su di me al termine di quella frase, notai nei suoi occhi una sorta di gratuita minaccia.

    Non provavo alcun impulso a ribattere a quella osservazione, mi accontentai perciò di riflettere tra me e me sulle differenze che si riscontrano nella forma mentis di ciascun individuo. Non so quale conclusione Mr Crimsworth possa aver tratto dal mio silenzio, se lo abbia ritenuto un segno di ribellione o piuttosto di acquiescenza ai suoi modi perentori. Mi scrutò a lungo e intensamente, poi si alzò di scatto dalla poltrona.

    «Domani», disse, «avrò modo di sottoporti altre questioni, ma adesso è ora di cena e Mrs Crimsworth probabilmente mi sta aspettando. Ti unisci a noi?».

    Uscì dalla stanza e io lo seguii. Passando davanti all’ingresso mi chiesi che tipo fosse Mrs Crimsworth. Anche lei, pensai, sarà tanto lontana dal tipo di persona che mi aggrada quanto lo sono Tynedale, Seacombe, le signorine Seacombe, e anche questo mio affettuoso parente che mi precede? O sarà invece migliore di tutti loro? Chiacchierando con lei potrò mostrarmi per ciò che realmente sono, oppure…. L’ingresso nella sala da pranzo pose fine a queste mie congetture.

    Una lampada di vetro smerigliato illuminava un locale grazioso, con le pareti rivestite di legno di quercia. La cena era già servita in tavola, e accanto al caminetto, in piedi come se ci stesse aspettando, c’era una signora. Era giovane, alta e di bell’aspetto, e indossava un abito grazioso e alla moda: questo fu quanto fui in grado di appurare a un primo sguardo. Salutò allegramente Mr Crimsworth, rimproverandolo per il ritardo con aria per metà scherzosa e per metà imbronciata. La sua voce (prendo sempre in considerazione la voce nel valutare la personalità) era vivace, il che indicava, ritenevo, una buona disposizione d’animo. Mr Crimsworth si affrettò a placare con un bacio il suo animato rimprovero, un bacio che ancora sapeva di novello sposo (era passato meno di un anno dalle nozze), e lei si sedette a tavola con l’umore di nuovo alle stelle. Quando si accorse della mia presenza mi chiese scusa per non avermi notato prima e mi strinse la mano, come sono solite fare le signore quando il buonumore le rende cordiali nei confronti di chiunque, persino con i conoscenti che sono loro del tutto indifferenti. Notai nuovamente che aveva una bella carnagione e dei tratti marcati ma graziosi. Aveva inoltre i capelli rossi, decisamente rossi. Lei e Edward chiacchieravano animatamente, sempre con una certa giocosa allegria. Lei era contrariata, o fingeva di esserlo, perché lui quel giorno aveva attaccato al calesse un cavallo infido, e lui si prendeva gioco delle sue paure. Ogni tanto lei rivolgeva la parola anche a me.

    «Mr William, non trovate che Edward dica delle assurdità? Dice di non volere altri cavalli che Jack per il calesse, ma quel bestione l’ha fatto già cadere due volte».

    Parlava con una pronuncia leggermente blesa, non sgradevole, ma un po’ infantile. Nei suoi lineamenti tutt’altro che minuti notai inoltre un’espressione da ragazzina, quasi infantile. Non avevo dubbi che quei tratti del viso e quella pronuncia esercitassero un certo fascino agli occhi di Edward, come a quelli della maggior parte degli uomini, ma non ai miei. Scrutai gli occhi di lei tentando di leggervi quell’intelligenza che non scorgevo sul suo viso, né sentivo nella sua conversazione: erano allegri e piuttosto piccoli, e nelle iridi vidi vivacità, vanità e civetteria, mentre vi cercai invano un briciolo di anima. Non sono un orientale: il collo candido, le labbra e le guance rosse e una massa di capelli ricciuti non mi bastano se non sono accompagnati da quella scintilla prometeica che sopravvivrà anche quando rose e gigli infine sfioriranno e i capelli lucenti diventeranno grigi. Tutti i fiori sono belli quando sono rigogliosi e illuminati da un sole splendente, ma quanti giorni di pioggia si incontrano nel corso della vita? Disastrose stagioni novembrine durante le quali il cuore e la casa di ognuno si fanno gelidi, a meno che non godano dello splendore limpido e rassicurante dell’intelletto.

    Esaminai il volto di Mrs Crimsworth come se fosse stato un libro aperto, e manifestai la mia delusione con un involontario sospiro, che lei prese come un omaggio alla propria bellezza, mentre Edward, palesemente orgoglioso della sua giovane, graziosa e ricca moglie mi lanciò un’occhiata per metà derisoria e per metà adirata.

    Distolsi lo sguardo da entrambi e osservai annoiato la stanza. C’erano due quadri appesi al rivestimento di quercia, su entrambi i lati del caminetto. Mi disinteressai della vivace conversazione in atto tra Mr e Mrs Crimsworth e applicai la mia mente a esaminare le due opere. Erano due ritratti, una signora e un gentiluomo, entrambi abbigliati secondo la moda di una ventina di anni prima. Il ritratto del gentiluomo era un poco in ombra, non riuscivo a vederlo

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