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Ritorno alla casa dei ricordi
Ritorno alla casa dei ricordi
Ritorno alla casa dei ricordi
E-book429 pagine6 ore

Ritorno alla casa dei ricordi

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Info su questo ebook

L'amore a volte prende strade inaspettate

«Una piccola gemma. Un romanzo meraviglioso, con personaggi straordinari e una storia in cui immergersi completamente dimenticando tutto il resto.»

Cielo azzurro, un nuovo amore e un bicchiere di Bordeaux… Cosa si può chiedere di più? Emmy Jamieson ha deciso di lasciarsi la vecchia vita alle spalle e di trasferirsi a La Cour des Roses, una splendida pensione in mezzo a vigneti francesi, che sarà lei a gestire. La prima prova alla quale far fronte è l’arrivo dell’eccentrica famiglia Thomson, che ha prenotato una vacanza per festeggiare le nozze d’oro. Emmy si sente all’altezza della sfida, soprattutto perché può contare su Alain, il bel ragazzo dell’amministrazione, dagli occhi color caramello. Non ha però fatto i conti con l’ingombrante presenza di un blogger davvero insopportabile, che si aggira nudo per la pensione, né con il ritorno di Gloria, la moglie fedifraga del proprietario, che ha qualcosa da ridire sul nuovo ruolo di Emmy. Ma anche la situazione finanziaria e l’insospettabile Alain si rivelano ben presto diversi da quanto aveva immaginato... Possibile che il futuro da sogno che Emmy immaginava stia per crollare?

Torna la Serie dei ricordi perduti
Grande successo in Inghilterra

Un romanzo divertente e al tempo stesso toccante, che parla d’amicizia e d’amore

«Di questo sequel mi sono innamorata come del primo romanzo. Questa è davvero una lettura che ti fa sentire bene e io non vedo l’ora di tornare a casa e di sapere cosa accade ai protagonisti.»
Best Crime Books and More
Helen Pollard
Scrive sin da quando è bambina e da sempre preferisce le storie dei romanzi alla vita reale. Pensa che la chiave per un libro di successo sia creare buoni personaggi. Le piace tratteggiarli, attraverso la sua scrittura, in un modo ironico e che li renda cari al lettore. Helen è membro della Romantic Novelists’ Association e della Society of Authors. La Newton Compton ha pubblicato La piccola casa dei ricordi perduti e Ritorno alla casa dei ricordi.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2017
ISBN9788822709950
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    Anteprima del libro

    Ritorno alla casa dei ricordi - Helen Pollard

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    1677

    Titolo originale: Return to the Little French Guesthouse

    Copyright © Helen Pollard, 2016

    Helen Pollard has asserted her right to be identified as the author of this work.

    All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in any retrieval system, or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording or otherwise, without the prior written permission of the publishers.

    Traduzione dall’inglese di Tessa Bernardi

    Prima edizione ebook: luglio 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-0995-0

    Realizzazione a cura di The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    www.newtoncompton.com

    Helen Pollard

    Ritorno alla casa dei ricordi

    Newton Compton editori

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Nota dell’autrice

    Ringraziamenti

    Per Amy e Tom

    Siete entrambi motivo d’orgoglio

    e di grande gioia. Ogni singolo giorno.

    Capitolo 1

    Sapevo che, in qualità di gestrice della pensione di Rupert, avrei avuto a che fare con parecchie bizzarrie, ma mai avrei immaginato che vedere ospiti nudi sarebbe rientrata nel novero.

    Era mattina presto, solo un paio di giorni dopo l’inizio della mia nuova vita alla Cour des Roses. Mi ero preparata un espresso – innanzitutto le cose importanti – e l’avevo portato fuori. Con i piedi nudi, così da poter sentire l’erba tra le dita e la rugiada rinfrescante sulla pelle, cominciai a gironzolare per il prato, superando le aiuole di erbe ornamentali, begonie e margherite, i salici piangenti e i camminamenti di pietra che conducevano a ripari segreti e ad angoli in cui sedersi, fino a raggiungere il recinto delle galline, circondato da arbusti.

    Finito il caffè, infilai le ciabattine infradito – passeggiare a piedi nudi era bellissimo, ma la natura perdeva il proprio fascino quando ci si ritrovava immersi fino ai calcagni negli escrementi di gallina – e lasciai uscire dal loro rifugio protetto mezza dozzina di volatili inquieti, per poi dare loro un po’ d’acqua e la colazione.

    Uscendo dal recinto, rivolsi un educato «Buongiorno» a Gladys, una delle nostre ospiti, che mi aveva seguita avventurandosi fin laggiù.

    «Buongiorno, Emmy. Ho pensato di uscire a godermi un po’ di pace e tranquillità prima di fare colazione».

    Annuii, comprensiva. Gladys era un’anziana signora venuta in vacanza con la figlia, una prepotente donna di mezz’età dai modi bruschi. Non aveva preso da sua madre, un’anima gentile di cui apprezzavo moltissimo la compagnia.

    «Clare sta organizzando la nostra giornata», spiegò in tono stanco. «Sono certa che sarà splendida». Mentre risalivamo il giardino per tornare verso casa, sfiorò il drappo di foglie di un pero piangente. La pelle sul dorso delle sue mani era sottile come pergamena. «Adoro questo colore, tu no? È quasi argentato».

    «Sì. È bellissimo. Gladys, perché non dici a Clare che sei stanca e che ti piacerebbe passare la giornata qui? Potreste rilassarvi e godervi il giardino».

    L’anziana lanciò una breve risata, poi sfoderò un sorriso incerto. «Non ti preoccupare. Mi piace visitare le attrazioni turistiche e non posso certo lamentarmi, dato che è lei a occuparsi di tutto».

    Sentendo sbattere le persiane, alzare gli occhi in direzione della casa fu per entrambe una reazione naturale. Come facevo a sapere che avremmo dovuto guardare ovunque tranne che in alto? Se solo avessi avuto un bel cappuccino al posto di quel minuscolo espresso e mi fossi trattenuta a gustarmelo in fondo al giardino… Se solo me la fossi presa comoda ammirando le foglie argentate del pero piangente… Se solo avessi preso Gladys a braccetto per sostenerla mentre passeggiavamo…

    Perché lassù c’era Geoffrey Turner in tutto il suo splendore.

    Aveva scostato le tendine di velo per aprire le persiane e, sventuratamente, le finestre della camera da letto al piano superiore della casa erano alte, mentre il davanzale era molto basso… proprio all’altezza giusta per Geoffrey Turner. Non sarebbe andata tanto male se fosse stato giovane, tonico e abbronzato, ma un cinquantacinquenne pallido e con il ventre rigonfio non era una visione che avrei voluto contemplare a stomaco vuoto.

    Spalancai la bocca, sconvolta. E lui fece altrettanto. Le tendine di velo furono richiuse in tutta fretta, ma, dato che il velo è fatto apposta affinché ci si possa praticamente vedere attraverso, non fu di grande aiuto. E ormai era un filino troppo tardi.

    Sentii Gladys ansimare. Come era comprensibile, non stava prestando attenzione a dove metteva i piedi. Incespicò sul bordo di un’aiuola, perse l’equilibrio e cadde. L’afferrai per un braccio, ma lei atterrò finendo sull’altro, che le rimase schiacciato sotto il corpo in una posizione sgraziata.

    Mi chinai e attesi che riprendesse fiato. «Gladys, va tutto bene?».

    Abbozzò un sorriso titubante. «Va tutto bene, Emmy. Devo solo rimettermi in piedi». Ma, quando usò entrambe le mani per darsi la spinta, lanciò uno strillo di dolore.

    Non volevo rischiare di farle del male trascinandola di peso. «Vado a chiamare Clare».

    Gladys riuscì a rivolgermi un debole sorriso. «Non pensavo che alla mia età un uomo nudo potesse sortirmi un tale effetto!».

    Con un sorriso come unica risposta, schizzai verso casa e corsi su per le scale per raggiungere la loro stanza.

    Clare, con i capelli ancora umidi per la doccia, si mostrò subito allarmata e uscì correndo per aiutarmi a sollevare sua madre, affinché potessimo condurla in cucina e farla sedere su una sedia.

    «Cosa ti fa male, mamma? Ti sei rotta qualcosa?». La voce di Clare era bloccata dall’ansia, e dimenava le mani che teneva accostate ai fianchi.

    «Non c’è bisogno di agitarsi», disse l’anziana signora, anche se era ancora scossa. «Non c’è niente che mi faccia male, a parte l’orgoglio e il polso».

    Andai a riempirle un bicchiere d’acqua, poi presi una confezione di piselli dal surgelatore, la avvolsi in una tovaglietta da tè pulita e gliel’appoggiai sul braccio.

    «Come mai sei caduta? Hai inciampato su qualcosa?», domandò sua figlia.

    Le rivolsi uno sguardo allarmato. Non si sarebbe lamentata di quanto fossero pericolose le aiuole in giardino, giusto? Anche se non mi avrebbe sorpresa, dato che aveva già espresso commenti sul fatto che, per sua madre, le scale fossero troppo numerose, il getto della doccia troppo potente e le persiane troppo pesanti.

    Era evidente che Gladys nutrisse la stessa preoccupazione. «No, non stavo guardando dove stavo mettendo i piedi». Poi, in un maldestro tentativo di dissipare l’atmosfera tesa, aggiunse: «Uno degli ospiti si è affacciato alla finestra ed era tutto nudo. Mi ha distratta un po’». Lanciò un risolino.

    La strategia le si ritorse contro.

    «Cosa? Chi si è affacciato nudo alla finestra? Intendi dire che si è messo in mostra davanti a te?».

    Gladys fece una smorfia. «Era solo Geoffrey, e non si stava mettendo in mostra. Ha aperto le persiane e…».

    «È uguale!».

    «Oh, per l’amor del cielo, Clare, non è affatto la stessa cosa! Mi spiace avertene parlato. È stato un incidente, e non è certo la prima volta che vedo cose simili».

    «Come sta il polso?», le chiesi io, sia perché ero davvero in pensiero sia perché volevo cambiare argomento. Scostai i piselli per dare un’occhiata.

    L’ennesima distrazione avventata.

    «È gonfio! Potrebbe essere rotto! Dobbiamo chiamare un’ambulanza», decise Clare.

    Quella richiesta mi colse del tutto alla sprovvista. «Un’ambulanza?». Mi trattenni dall’aggiungere un Perché cavolo dovremmo chiamarla?, anche se me lo tenni come riserva.

    «Mia madre ha settantotto anni. Potrebbe essersi rotta il braccio e Dio solo sa cos’altro. Potrebbe essersi fratturata l’anca o la clavicola. Come facciamo a sapere che non ha subìto un trauma?».

    Conscia del fatto che da un momento all’altro gli ospiti avrebbero cominciato ad avventurarsi da basso per una colazione al momento inesistente, lanciai un’occhiata a Gladys. Sembrava che quella povera donna desiderasse richiedere l’intervento di un’ambulanza tanto quanto me.

    «Tua mamma pensa di essersi soltanto fatta male a un polso. Quando Rupert rientrerà dalla passeggiata con il cane, sono certa che sarà lieto di prendervi un appuntamento con il medico o persino di accompagnarla al pronto soccorso, se preferite. Non credo che a questo punto sia necessario chiamare un’ambulanza».

    La bocca di Clare assunse una piega caparbia. «Chi è il cliente qui? Voglio che tu chiami un’ambulanza, e voglio che tu lo faccia adesso!».

    Spostai l’attenzione su Gladys, ma lei si limitò a osservarmi con uno sguardo afflitto.

    «D’accordo. Nessun problema». Stampandomi un sorriso in faccia, allungai la mano verso il telefono… e una sensazione di déjà-vu mi colpì come un pugno allo stomaco.

    Non sapevo quale fosse il numero da comporre. Di nuovo.

    Il ricordo di Rupert che cadeva giù dalla sedia durante un presunto attacco cardiaco mi inondò la mente, ma non ero più una turista in vacanza. Ormai quello era il mio lavoro. Perché non avevo pensato di memorizzare un tale dettaglio non appena ero tornata lì?

    Perché hai passato le ultime settimane a rassegnare le dimissioni, a chiudere i progetti su cui stavi lavorando, a impacchettare tutte le tue cose e a portarle in Francia in auto. E non sapevi che sarebbe capitata una cosa simile.

    Portai il telefono all’ingresso con il pretesto di cercare un po’ di silenzio, mentre in realtà volevo sfogliare la malconcia agenda telefonica di Rupert. Fu un vano tentativo. Perché si sarebbe dovuto annotare quel numero? Lo conosceva. E avrei dovuto saperlo anch’io. Tirai fuori il cellulare dalla tasca e feci ricorso a internet, ma fui interrotta a metà ricerca.

    «Come mai ci stai mettendo tanto?». Clare irruppe all’ingresso proprio mentre Pippa e Angus scendevano le scale. Sbirciò sgarbatamente oltre la mia spalla. «Hai dovuto cercare il numero?»

    «Sì, be’, io…».

    «Non ci credo! Gestisci questo posto e non sai che numero comporre per chiamare un’ambulanza?»

    «Sono arrivata qui solo da un paio di giorni e…».

    «Non è una valida giustificazione!».

    Aveva ragione. «Be’, adesso l’ho trovato, perciò…».

    Fu in quel momento che Geoffrey Turner e sua moglie fecero la loro comparsa. Mi sorprese che lui avesse trovato il coraggio di scendere, ma immaginavo che non potesse restarsene chiuso in camera sua a morire di fame.

    «E lei!». Clare gli puntò il dito contro, con il viso tirato e un diffuso rossore sugli zigomi dovuto alla rabbia. «Dovrebbe vergognarsi di se stesso!».

    Geoffrey raddrizzò la schiena. «Le mie scuse, ma è stato un incidente. Ero mezzo addormentato e avevo dimenticato che il davanzale fosse così basso…».

    «Mettersi in mostra a quella maniera davanti a un’anziana signora! È scandaloso!».

    «Mettermi in mostra? Come cavolo avrei dovuto immaginare che alle prime ore dell’alba ci sarebbe stato qualcuno in giardino?».

    Mary, la moglie di Geoffrey, si accasciò contro la parete e alternò occhiate tra suo marito e Clare, con palese orrore per la piega che la mattinata aveva preso.

    Clare proseguì indisturbata. «Mia madre deve andare in ospedale per causa sua! O forse sarebbe meglio dire dovrebbe, visto che la cosiddetta responsabile di questo posto non sa come fare per chiamare un’ambulanza».

    Feci un profondo respiro. «Adesso ho trovato il numero, quindi, se riusciste a stare buoni per un momento…».

    Ma Geoffrey aveva socchiuso pericolosamente gli occhi. «Non conosci il numero dell’ambulanza?».

    Non c’era dubbio che fosse felice di aggrapparsi alle mie mancanze per distrarre i presenti dalle proprie.

    «Lo conosco il numero», insistetti. «Ci ho messo solo un minuto a cercarlo».

    «Un minuto può essere cruciale in caso di emergenza».

    «È un polso slogato, non un infarto!», sbottai, esasperata. Ops.

    L’ultima coppia di ospiti stava scendendo le scale con titubanza; chissà se per la colazione o per un po’ di intrattenimento gratuito.

    «E se così non fosse stato?», si intromise uno di loro, opportunamente.

    Non sapevo come rispondere… ed ero fin troppo consapevole che Geoffrey non era la persona adatta con cui mettersi a discutere. Era un famoso blogger di viaggio, e avevo pensato che invitarlo sarebbe stato un colpo da maestri. Mentre stavo chiudendo i progetti al lavoro, avevo trovato il suo numero per caso e mi ero ricordata di averci avuto a che fare un paio di anni prima, quando avevo lavorato a una campagna promozionale per una catena alberghiera. Sapendo che c’era un buco nelle prenotazioni di Rupert, l’avevo contattato proponendogli un soggiorno gratuito in cambio di una recensione onesta, immaginando che si sarebbe abbandonato al lirismo descrivendo l’elegante pensione, il cibo delizioso, il bellissimo giardino…

    Avevo lasciato la casa, il lavoro, gli amici e l’ex fidanzato traditore in Gran Bretagna per una nuova, gloriosa esistenza nella valle della Loira, e Geoffrey Turner avrebbe dovuto rappresentare la prima mossa per aumentare il successo e i profitti della Cour des Roses… E se si fosse sparsa la voce che ero riuscita a fare una cosa simile per questo posto, chissà a cosa avrebbe potuto portare.

    E invece eccomi lì, dopo soli tre giorni, con una stanza piena di ospiti che strillavano e Geoffrey Turner rosso quanto una delle salse a base di barbabietola di Rupert.

    Quando Rupert apparve sulla soglia, con il cane alle calcagna e il viso rilassato dopo la passeggiata mattutina, avrei voluto dargli un bacio.

    Tutti i presenti cominciarono a parlare all’unisono: Clare inveì contro gli ospiti che mettevano in mostra le nudità davanti alle anziane signore e l’incompetenza della responsabile della pensione in caso di emergenze mediche, mentre Geoffrey negò fermamente le prime accuse, concordando però con la seconda rimostranza, e nel mezzo c’erano i miei disperati tentativi di placare gli animi e spiegare l’accaduto.

    «D’accordo! Grazie a tutti!». Rupert sollevò le mani per zittirci, mentre il suo compagno canino se la svignò ed ebbe la saggia pensata di raggiungere la propria cesta dal lato opposto dell’ingresso. «Se volete andare in cucina per la colazione, Emmy si prenderà cura di voi come di consueto».

    Li incitò a entrare e raggiunse Gladys, che era stata lasciata sulla sua sedia e sembrava pallida. «Dunque, Gladys, andiamo in salotto, dove staremo più tranquilli, e decidiamo cosa fare, d’accordo?».

    Clare non concordava affatto. «Ho già detto che voglio un’ambulanza!».

    Quando Rupert riempì i polmoni facendo un bel respiro distensivo, il suo petto si gonfiò. «Comprendo la tua preoccupazione, Clare, ma penso che tua madre starebbe molto più comoda in auto. In tal modo possiamo partire immediatamente e per lei sarà meno stressante, non trovi?».

    Riuscii a intuire quanto fosse combattuta tra il desiderio di avere l’ultima parola e il buonsenso di Rupert. Aveva addosso gli occhi di ognuno dei presenti.

    «D’accordo. Se insisti». Girò su se stessa per lanciare un’occhiataccia a Geoffrey Turner. «Ma mi aspetto che lui se ne vada! Non vedo perché dovremmo condividere la nostra sistemazione e la nostra vacanza con un pervertito!».

    Geoffrey arrossì. «E io non vedo perché dovrei condividere la mia con una bisbetica che strilla!».

    Rupert sbiancò. Il nostro pubblico fece altrettanto. Il telefono squillò per unirsi alla festa. Lo osservai con trepidazione, continuando a temere qualsiasi potenziale conversazione in francese. Me la cavavo meglio di persona, quando potevo leggere il labiale e gli altri riuscivano a capire se non li stavo più seguendo e quindi rallentavano.

    Sollevai il ricevitore mentre Rupert accompagnava Gladys e Clare all’ingresso, poi feci del mio meglio per bloccarlo tra la spalla e l’orecchio portando il succo di frutta e il latte dal frigorifero al tavolo, nel vano tentativo di iniziare a preparare la colazione.

    «Bonjour. La Cour des Roses».

    «Pronto, parlo con Gloria?».

    Sollevata all’udire una voce inglesissima, dissi: «No. Sono Emmy Jamieson. Posso aiutarla?»

    «Gloria non c’è?»

    «Temo che non si trovi più qui. Cosa posso fare per lei?»

    «Oh». Un gemito di sgomento. «Ho sempre parlato con Gloria».

    «Sono la responsabile della pensione e sarò felice di aiutarla. Posso sapere con chi sto parlando?»

    «Julia Cooper. Ho chiamato per la prenotazione di settembre a nome Thomson», annunciò, come se dovessi esserne perfettamente al corrente.

    Da quanto rammentavo avendo dato un’occhiata alle prenotazioni future, a settembre non eravamo del tutto pieni, e non ricordavo di aver visto il nome Thomson. Ciononostante, non volevo fare brutta figura. «È un piacere sentirla. Come posso aiutarla?»

    «Volevo farle sapere che in totale ci saranno cinque materassini gonfiabili. Come ho già detto a Gloria, saremo felici di procurarli noi. Ci aspettiamo che voi mettiate a disposizione le lenzuola e i piumoni, come concordato».

    Il cucchiaio che stavo usando per trasferire lo yogurt in una ciotola di vetro rimase sospeso a mezz’aria. «Materassini gonfiabili?»

    «Due in una stanza, uno in una gîte e altri due nell’altra. Per quanto riguarda le brandine, a quanto ne so, ce ne servirà soltanto una nella gîte senza materassini gonfiabili».

    «Ah. Giusto. D’accordo». Lasciando cadere il cucchiaio, mi guardai attorno in cerca di un blocchetto per gli appunti, ma sui ripiani di granito della cucina c’erano solo gli ingredienti per la colazione. Afferrai una penna solitaria dal davanzale della finestra e mi ridussi ad annotare i dettagli sull’angolo dell’etichetta della confezione di yogurt.

    «È a conoscenza della prenotazione dei Thomson?»

    «Mi dispiace molto, ma sono arrivata solo pochi giorni fa, signora… Signorina Cooper?»

    «Signora, ma chiamami pure Julia. Tanto vale che ci diamo del tu chiamandoci per nome. Parleremo abbastanza spesso, ne sono certa».

    Davvero? C’erano già un sacco di domande che reclamavano a gran voce di ricevere risposta, ma Julia sembrava un tipetto irritabile e, se avessimo dovuto confrontarci di frequente, non aveva senso prenderla dal verso sbagliato. Per il momento.

    E anche dare da mangiare ai nostri attuali ospiti non sarebbe stata una cattiva idea.

    «Scusami se ti sembro confusa. Farò in modo che Rupert mi metta al corrente della prenotazione, e lo informerò dei materassini gonfiabili e della brandina. Sono certa che lo abbia, ma potresti darmi il tuo numero, casomai avessi qualche domanda da rivolgerti?»

    «Meglio prevenire che curare, direi». Mi fornì il numero fisso e quello del cellulare, poi aggiunse: «Mi spiace apprendere che Gloria non c’è più. Era molto collaborativa».

    Sul serio? Accidenti!

    Ci salutammo, e io rimasi a fissare il telefono. Materassini gonfiabili? Seriamente?

    Quando riportai l’apparecchio all’ingresso, Rupert stava accompagnando fuori Clare e Gladys. Non era il momento più adatto per chiedergli della prenotazione dei Thomson e, inoltre, c’erano preoccupazioni ben più pressanti.

    Lo afferrai per un braccio. «Cosa devo fare con Geoffrey?», sibilai, mentre Clare conduceva con sollecitudine sua madre verso la macchina.

    «Cercherò di far ragionare Clare. Magari si calmerà non appena avremo fatto visitare sua madre. Tu, però, dovrai occuparti del signor Turner».

    «E le uova?».

    Mi rivolse uno sguardo vacuo. «Le uova?»

    «E se qualcuno chiedesse le uova? Le mie finiscono sempre col diventare di gomma».

    Rupert sbuffò e lanciò un sospiro impaziente. «Di’ che le galline non le hanno deposte. Di’ che hanno visto Geoffrey Turner nudo e che ne sono rimaste turbate».

    Lui seguì Clare e Gladys, mentre io tornai con riluttanza in cucina, anche se la sua combinazione efficiente ma calda di legno, granito e utensili vari non riuscì a darmi conforto ora che dovevo gestirla da sola.

    Tagliai la frutta in una grossa ciotola di vetro, aggiunsi il succo d’arancia per mantenerla fresca e la portai sul grande tavolo di pino sotto il tetto spiovente, insieme allo yogurt e ai barattoli di marmellata locale. Per finire, misi croissant, brioche, pains au chocolat e pains aux raisins (il mio preferito) in un cestino ed esaminai il risultato. Di una cosa ero sicura: della colazione non avrei cambiato proprio niente.

    Non avendo altre scuse, mi informai se qualcuno volesse mangiare qualcosa di caldo. Lanciai un’occhiata a Geoffrey e, mentre cercavo disperatamente di dimenticare che mezz’ora prima avevo visto le sue parti intime ciondolare davanti alla finestra, potei solo pregare che nessuno chiedesse le salsicce.

    Dopodiché, mentre sparecchiavo, rimuginai sul modo in cui mi sarei potuta attrezzare per affrontare Geoffrey in merito alla sua… be’, attrezzatura, ma giunsi alla conclusione che fosse meglio lasciar correre. Dato che non potevo certo obbligare un ospite ad andarsene a causa di un banale incidente, men che meno un importante blogger di viaggio come lui, dovevo confidare che il fascino persuasivo di Rupert e le suppliche di Gladys riuscissero a placare Clare.

    Geoffrey fece capolino dalla porta della cucina. «Avete una cassettina del pronto soccorso? Mary si è sbucciata un gomito».

    «Serve che venga a dare una mano?»

    «Nient’affatto», si affrettò a rispondere. «È solo un graffio. Potrei prendere in prestito la cassetta?».

    Nei suoi occhi si era acceso un bagliore acuto di cui prima non mi ero accorta, e non mi piacque. Quando andai a prendere la cassettina e gliela porsi, lo stupore che aveva dipinto sul viso mi risultò lampante, anche se fu rapido a nasconderlo. Mi stava mettendo alla prova per vedere se sapessi dove si trovava la cassetta del pronto soccorso?

    Una volta pulita la cucina, accesi il portatile e aprii la pagina delle prenotazioni di settembre per capire di cosa stesse parlando Julia Cooper. C’erano alcune prenotazioni, ma non tante quanto avrei voluto. Questa constatazione mi lasciò perplessa, perché una volta Rupert mi aveva detto che settembre era un mese gettonato per chi voleva visitare quei luoghi quando c’era maggiore tranquillità. Di certo non c’era alcuna menzione di Julia Cooper o dei Thomson.

    Rupert doveva senz’altro sapere di cosa si trattava. Visto che non potevo parlargliene finché non fosse tornato, mi preparai un più che necessario caffè. Mi diedi una pacca sulla gamba, e il cane arrivò sfrecciando dall’ingresso e mi seguì fuori, in giardino, dove mi accomodai su una sedia per godermi cinque minuti di pace. L’animale mi appoggiò la testa sulle ginocchia, in modo che potessi accarezzargli il pelo vellutato e giocherellare con le sue orecchie.

    «Allora, come faccio a tirarci fuori da questo casino?», le domandai.

    La sua unica risposta fu lanciare un sospiro e fissarmi con quei suoi enormi occhioni tristi.

    Gloria era il mio nuovo amore. Non quella Gloria, voi capite, cioè la moglie da cui Rupert si era separato, quella che aveva sedotto il mio ex ragazzo, Nathan, ed era scappata con lui all’inizio dell’estate, quando stavamo trascorrendo una vacanza alla Cour des Roses, bensì il labrador nero che Rupert aveva preso di recente.

    Un contadino del posto l’aveva trovata a vagabondare sui suoi terreni, magra e con il pelo arruffato, e dato che il veterinario non era riuscito a trovarle addosso alcuna forma di identificazione, né un microchip né un tatuaggio, era finita al rifugio locale per animali abbandonati. Per Rupert, che desiderava tanto un cane e non doveva più trattenersi a causa della ex moglie che odiava gli animali, era stato amore a prima vista.

    Nessuno sapeva quale fosse il suo nome, perciò, con la sua solita mentalità contorta, lui l’aveva chiamata Gloria. Era un nome che ovviamente non riuscivo a digerire, quindi avevo cominciato ad adottare vari vezzeggiativi da cane, e a lei non sembrava importare. Anzi, se era un animale dotato di un po’ di buonsenso, era probabile che li preferisse.

    Il veterinario aveva stimato che avesse circa cinque anni, ed era leale, affettuosa e graziosa: qualità che la Gloria originale non possedeva. A parte il nome, l’unico altro aspetto che avevano in comune era che si sarebbero vendute a chiunque per una grattatina sulla pancia.

    Capitolo 2

    «S ono davvero felice che voi due andiate d’accordo», commentò Rupert in tono affettuoso, giungendoci alle spalle e facendomi sobbalzare.

    Mi voltai di scatto. «Sei tornato presto. Sei stato via solo un paio d’ore».

    Si lasciò cadere di peso accanto al cane e mi fece sorridere. Un po’ di tempo fa non ci sarebbe riuscito; per un certo periodo, il legamento che si era lesionato cadendo dallo sgabello durante un attacco di angina gli aveva a malapena concesso di camminare. Adesso, con l’angina tenuta sotto controllo e la mia presenza qua per evitare, in teoria, che si stressasse troppo, aveva un aspetto nettamente migliore rispetto a quando l’avevo lasciato un paio di settimane prima. Era più magro, e presumevo che portare a passeggio il cane gli facesse bene. Persino il suo viso si era asciugato, inoltre aveva cominciato a farsi crescere una barbetta ben curata, grigio-argento, abbinata ai capelli, che ora portava un po’ più lunghi, in modo che potessero assumere l’ondulazione naturale. Non avevo ancora le idee chiare in merito alla barba, ma gli nascondeva le guance leggermente cadenti, perciò mi stavo riservando di esprimere un giudizio e attendevo di valutare il risultato finale.

    «Come sta Gladys?», indagai.

    «Come immaginavamo. Una leggera slogatura al polso. Sua figlia andrebbe rinchiusa. È isterica!».

    «Non conoscevo il numero dell’ambulanza, mi dispiace».

    Spiluccò distrattamente l’erba tosata del prato e giocherellò con i fili verdi prima di lasciarli cadere a terra. «Non ti preoccupare. Forse dovremmo appendere un cartello all’ingresso. E anche nelle camere e nelle gîtes».

    «Me ne occupo io. Potrei anche stamparmelo in fronte, giusto per sicurezza. Oh, a proposito. Julia Cooper. La prenotazione dei Thomson. Settembre. Materassini gonfiabili. Che sta succedendo?».

    Sul suo viso apparve un’espressione di vuoto totale. «Ripeti un po’».

    Lo feci, ma il risultato fu lo stesso. «Non so di cosa tu stia parlando».

    Gli riassunsi la conversazione con Julia Cooper e cercai di rammentarla quanto più possibile parola per parola.

    Rupert scosse la testa. «No. Non mi dice niente. È segnata sul foglio delle prenotazioni?»

    «Ho controllato, ma non sono riuscita a trovarla. Vado a prendere il portatile».

    «Il sole picchia troppo forte. Meglio andare dentro».

    Nel suo studiolo, Rupert si accomodò sulla sedia con i braccioli davanti alla scrivania, lasciando che io mi godessi il divanetto di pelle, e si mise a fissare lo schermo. «Le hai chiesto la data?»

    «No. Da come mi ha parlato, sembrava che dovessi sapere a cosa si stava riferendo, e non volevo passare per una completa idiota. Ho dato per scontato che tu ne fossi al corrente».

    Agitò un dito davanti allo schermo. «No, ma ci sono alcune disponibilità, quindi una prenotazione ci farebbe comodo… se solo sapessimo per quando diavolo dovrebbe essere».

    «Non ti preoccupare. La richiamo e cerco di spiegarle la situazione al meglio delle mie possibilità».

    Rupert sparpagliò invano un paio di fogli sciolti sulla scrivania dalla superficie in pelle. «Dev’esserci qualcosa, da qualche parte. Gloria non può aver preso una prenotazione e non essersela annotata, giusto?».

    Gli lanciai un’occhiata storta. «Non mi starai chiedendo di metterci la mano sul fuoco, vero?». Aggrottai la fronte. «Settimane fa, quando abbiamo trasferito tutto quel casino dal registro, sembravi quasi al completo, mentre adesso ci sono parecchie camere vuote. E questo vale anche per il mese in corso. Perché?».

    Rupert tirò un sospirone. «Vuoi la sincera verità? Penso che Gloria avesse perso interesse da un bel pezzo, Emmy. Tutti i dati che abbiamo trasferito? Alcuni non avevano senso. Ho ricevuto strane lamentele per non aver mai risposto ad alcune richieste di informazioni, e altre prenotazioni che Gloria aveva annotato sul registro dandole per definitive si sono rivelate solo provvisorie. Un paio di ospiti non si sono presentati e, quando li ho contattati, mi hanno detto di non aver ricevuto alcuna conferma, così hanno prenotato altrove». Fece spallucce. «Comunque, non è tutta colpa di Gloria. Ci sono state anche un paio di disdette vere e proprie. Sono la norma in questo genere di attività».

    «D’accordo. Be’, ora ci sono qua io e ho intenzione di fare qualcosa in proposito. Vedremo cosa riusciremo a salvare per quest’anno e se possibile riempiremo qualche buco, ma l’anno prossimo eviteremo che accada. Per quanto riguarda i Thomson, invece, so che i foglietti erano il metodo che Gloria prediligeva, ma controllerò anche le mail, non si sa mai».

    Rupert annuì con un’aria rassegnata che non mi piacque affatto.

    Decisi di azzardare un piccolo sondaggio. «Hai avuto sue notizie?».

    Lui grugnì. «Non ci siamo parlati. Mi ha mandato una mail per dirmi che stava alloggiando nell’appartamento di Kensington, come avevo già avuto modo di apprendere da te quando mi dicesti che Nathan si era trasferito a Londra».

    «Dieci anni di matrimonio e ti ha mandato solo una mail?»

    «Potrei rammentarti che dopo cinque anni di relazione tu hai ricevuto soltanto un biglietto, Emmy».

    «Vero. Ma poi ci siamo parlati o, comunque sia, ci siamo scambiati una bella dose di insulti. Era necessario, dovendo mettere in affitto l’appartamento a Birmingham».

    «Mmm». Spostò l’antico sottomano di pelle sulla scrivania, poi passò al fermacarte d’ottone. «Non riesco a credere che quei due siano andati a vivere insieme nel mio appartamento. Mi fa venire il voltastomaco. Già è dura sapendo che è scappata via con un altro, ma usare una mia proprietà… Anche se suppongo che ormai non sia più casa mia, dico bene? Non lo è più stata da quando ci siamo sposati».

    «Nella mail ha… ha detto niente a proposito del divorzio?»

    «No». Adottò un tono brusco. «E nemmeno io».

    Ciò mi lasciò perplessa. «Eppure, un paio di settimane fa mi dicesti che avresti voluto capire cosa ne sarebbe stato di te».

    «È così, ma credo che diverse settimane di assenza e un’unica breve mail rendano chiaro quale sia la posizione di Gloria da un punto di vista emotivo, non pensi? Per quanto riguarda quello finanziario, invece, preferirei evitare di precipitare le cose. Se tu non l’avessi notato, siamo in alta stagione e ho già abbastanza da fare senza dover anche sollevare questioni che non ho il tempo di affrontare. Per il momento, Gloria sta usufruendo liberamente dell’appartamento, insieme al tuo incantevole ex ragazzo, e non ha svuotato il conto corrente cointestato. Quanto al resto, ho spostato tutto in fretta e furia, quindi, se vuole qualcosa di più, dovrà passare per le vie ufficiali. E per adesso posso tollerare la trepidazione di non sapere come e quando, piuttosto che affrontare la realtà dei fatti».

    Potevo comprenderlo. A meno che non fosse necessario, stuzzicare un nido di vespe non aveva alcun senso. Ma non ero sicura che la storia fosse finita lì. Sembrava che si fosse rimesso in salute, ma da quando ero tornata si era mostrato un po’ troppo silenzioso. «Senti la sua mancanza, Rupert?».

    Ci pensò su, poi la sua espressione si annuvolò. Si strinse nelle spalle. «Piangere sul latte versato non serve a nulla, come si suol dire. La vita va avanti, e abbiamo un’attività da gestire».

    Cogliendolo come il segnale che non avrebbe aggiunto altro sull’argomento, mi alzai. «Giusto. Vado a controllare le mail e ti faccio sapere se trovo qualcosa».

    «Grazie, Emmy. Ma… materassini gonfiabili?». Scrollò la testa. «Ah, be’. Almeno stasera avrai un sacco di cose da raccontare ad Alain».

    Sorrisi. Alain era il commercialista con gli occhi color caramello di Rupert, per metà inglese e per metà francese. Ovviamente, il bacio che ci eravamo scambiati sotto la pioggia battente non aveva niente a che vedere con la mia decisione di trasferirmi in Francia, ma ciò non mi impediva di provare un certo disappunto all’idea che al momento stesse passando un po’ di tempo con i parenti nei pressi di Parigi. «Non stasera. Ha una specie di rimpatriata di famiglia».

    «Tra voi due va tutto bene?».

    Delicato come un mattone. Da quando aveva deciso che eravamo fatti l’uno per l’altra, Rupert aveva preso il suo ruolo da combinatore d’incontri e

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