Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Inquisizione
Inquisizione
Inquisizione
E-book374 pagine5 ore

Inquisizione

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un autore da 3 milioni di copie

Autore del bestseller Il vangelo proibito

Un grande thriller

Il Santo Graal sta per essere rivelato al mondo

258 d.C. Mentre il sangue dei martiri cristiani bagna le catacombe di Roma, Papa Sisto affida a un seguace devoto il suo oggetto più sacro. È così che il Santo Graal scompare nelle tenebre del tempo.
1684. Mentre supervisiona l’evacuazione della colonia inglese di Tangeri, Samuel Pepys tenta di recuperare un tesoro che è riemerso dopo più di mille anni. Nel frattempo, un mercante ebreo viene torturato dall’Altamanus, un gruppo segreto determinato a localizzare il Graal.
Giorni nostri. Un relitto al largo della Cornovaglia rivela tracce di un mistero che l’archeologo marino Jack Howard ha tutta l’intenzione di risolvere. Decide quindi di partire per un viaggio che lo porta fino alle rovine sommerse della città pirata di Port Royal in Giamaica. L’archeologo non sa che qualcuno studia attentamente le sue mosse. Lo spettro dell’Inquisizione segue ogni suo passo e Jack dovrà prepararsi a scendere fino all’Inferno stesso se vuole risolvere il più grande mistero della Cristianità. 

Un autore da 3 milioni di copie
Tradotto in 30 Paesi
Bestseller del New York Times e del Sunday Times

La ricerca del Santo Graal continua attraverso i secoli e Jack Howard dovrà essere pronto a tutto per recuperarlo

«Superbo.»
Kirkus Reviews

«Che cosa si ottiene mettendo insieme Indiana Jones e Dan Brown? La risposta è David Gibbins.»
Daily Mirror
David Gibbins
È un autorevole ricercatore e archeologo. Specializzato presso l’Università di Cambridge in studi sul Mediterraneo antico, ha condotto numerose spedizioni di archeologia subacquea in tutto il mondo. È autore di undici bestseller, che hanno venduto oltre 3 milioni di copie e sono stati tradotti in trenta Paesi. Dopo il successo di Atlantis, Le indagini archeologiche del professor Howard, Il faraone, Codice Pyramid e Testament, torna a pubblicare in Italia con Inquisizione.
LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2018
ISBN9788822723796
Inquisizione
Autore

David Gibbins

David Gibbins is the author of seven previous historical adventure novels that have sold over two million copies and are published in twenty-nine languages. He taught archaeology, ancient history and art history as a university lecturer, before turning to writing fiction full-time. He is a passionate diver and has led numerous expeditions, some that led to extraordinary discoveries of ten-thousand-year-old artefacts. David divides his time between England and a farm and wilderness tract in Canada where he does most of his writing. www.davidgibbins.com

Autori correlati

Correlato a Inquisizione

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Inquisizione

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Inquisizione - David Gibbins

    Prologo

    Roma, catacombe di Callisto. 258 d.C.

    L’uomo con la spada incespicò lungo il tunnel scavato nella roccia quanto più rapidamente gli consentivano le gambe, l’eco sorda dei suoi passi risuonava nella galleria piena di loculi che occupavano entrambi i lati delle pareti. Era entrato nella catacomba da un accesso segreto, fermandosi solo un istante per lanciare un ultimo sguardo alle stelle cadenti, che screziavano la volta celeste nord-occidentale prima di immergersi nella penombra sepolcrale del tunnel. Da qualche tempo non riusciva più a vedere la luce lunare che aveva illuminato il suo cammino filtrando dall’accesso, e ormai l’unica fonte luminosa era l’alone giallastro di una lontana lampada a olio che baluginava poco distante nell’oscurità. Qualche minuto dopo raggiunse la fonte d’illuminazione, fermandosi accanto alla lucerna con il fiato pesante, piegato in due e con le mani appoggiate sulle ginocchia. Prima d’allora si era addentrato tanto nelle profondità delle catacombe solo un’altra volta, quando gli era stato mostrato quel luogo segreto. Oltre la lampada la galleria si biforcava, un passaggio svoltava verso sinistra, l’altro a destra. La sua mente sembrava essersi svuotata, paralizzata dagli orrori a cui aveva assistito sul campo d’esecuzione poche ore prima, e improvvisamente non riusciva più a ricordare quale fosse la strada corretta. Sapeva che quella scelta non avrebbe influito granché sulla possibilità di sfuggire a chi lo stava inseguendo. Avrebbero invaso le catacombe come un fiume in piena, colmandone ogni singolo cunicolo, ogni nicchia. Ma quello che stava facendo era invece di fondamentale importanza ai fini della missione che lui, Proselio, legionario di Roma e soldato di Cristo, aveva giurato di portare a termine quel giorno, il compito che gli altri gli avevano affidato prima di andare incontro al martirio. Il futuro stesso della Chiesa era in pericolo. Doveva sforzarsi di ricordare.

    Cercò di tenere sotto controllo il suo respiro, chiuse gli occhi. Nonostante ciò che aveva visto in qualità di soldato romano, tutti gli orrori della guerra, non era stato in grado di rimanere a guardare impassibile quel che avevano fatto a Laurenzio, suo amico e mentore; aveva voltato le spalle a quello spettacolo orripilante e si era rifugiato a pregare, ma un altro confratello lo aveva trovato e gli aveva riferito il messaggio: passus est – il suo amico era un martire. Proselio si era precipitato verso le catacombe al calare delle tenebre, aveva oltrepassato le mura della città e aveva percorso la Via Appia, affidandosi ai ricordi di quella volta in cui Laurenzio e Sesto lo avevano accompagnato nel luogo segreto tanti anni prima, quando aveva giurato di portare a compimento quell’incarico se a loro fosse accaduto il peggio. E adesso, con la mente lacunosa sulla direzione da prendere, sentiva di averli traditi, di aver tradito Cristo in persona.

    Si costrinse a ricordare quel che gli aveva insegnato Laurenzio: nei momenti difficili doveva ricordare che cosa lo aveva condotto a Cristo, cosa gli aveva dato la forza di rinnegare i vecchi dèi e accettare il nuovo. Doveva ricordare il momento della sua rivelazione. Strinse la grezza croce metallica appesa al collo, forgiata da due punte di lance romane che aveva raccolto dal campo di battaglia di Abrittus¹. Lui, Proselio, portastendardo della Legione ii, era stato l’unico della sua coorte a rimanere in vita, l’ultimo sopravvissuto del massacro ordito dagli Sciti, in cui l’imperatore, Traiano Decio, aveva trovato la morte. Mentre era in piedi accanto al corpo del suo imperatore, la spada grondante di sangue scitico, già pronto a un nuovo assalto e ad andare incontro a morte certa, le nubi si erano radunate formando una croce, e un diluvio improvviso aveva mandato in confusione le fila avversarie: un miracolo del cielo.

    Ricordando quel momento, portò la croce alla bocca e la baciò, premendo il freddo metallo contro le labbra. Ripensò alle stelle cadenti. Laurenzio aveva detto che erano le lacrime di Cristo in persona, versate per coloro che continuavano a soffrire per le persecuzioni. E due giorni prima avevano assistito a un altro presagio, nel luogo dove i cristiani erano stati giustiziati come criminali da quattro soldi: il Colosseo, dove combattevano i gladiatori, era stato colpito da un fulmine che aveva ridotto la fila di posti a sedere superiore in cenere fumante, come se Dio stesso avesse incendiato quel posto dal cielo appiccando i fuochi del martirio.

    Ma non avevano avuto bisogno di presagi per capire cosa sarebbe accaduto a breve: non servivano segni dal cielo per sapere che Valeriano, il nuovo imperatore, avrebbe voluto imprimere il proprio marchio sui cristiani di Roma. Dal suo avamposto, assediato dagli eserciti dell’Est, Valeriano aveva emesso una serie di editti; le sue erano le parole di un imperatore terrorizzato dalla possibilità che in sua assenza il popolo di Roma sarebbe insorto contro di lui, liberandosi delle ultime vestigia dell’antica religione e dichiarando il Cristo unico Dio. In un primo momento, tutti coloro che si rifiutavano di fare sacrifici agli dèi romani dovettero affrontare l’esilio; senatori e cavalieri che professavano il cristianesimo erano stati spogliati dei loro gradi e delle loro proprietà e i servitori del palazzo imperiale ridotti in schiavitù; infine i tesori della Chiesa erano stati confiscati e chiusi nelle casse imperiali. Ma tutti sapevano che quelle manovre non servivano che a distogliere l’attenzione da ciò che sarebbe accaduto a breve, che l’esilio e la schiavitù si sarebbero trasformati in esecuzioni e massacri. E tutti temevano i sicari di Valeriano, i membri dell’Altamanus, la Mano Nera, così chiamati per il simbolo marchiato a fuoco sulla carne dei loro palmi. Si trattava di ex cristiani che avevano militato nella Guardia pretoriana, soldati che erano stati esiliati per la loro fede ma a cui era stata offerta un’alternativa, uomini per cui il disonore del congedo si era rivelato più gravoso della chiamata di Cristo. In loro l’inamovibile lealtà dei pretoriani si combinava alla tempra granitica di coloro che avevano deviato dal codice militare per poi ritrovare la propria strada, uomini che si sarebbero spinti oltre ogni dire per cercare vendetta su chi li aveva portati sulla cattiva strada. Valeriano aveva intuito come manipolarli, e Proselio aveva percepito la paura tra i suoi compagni legionari, molti dei quali in segreto erano cristiani, ma tutt’altro che inclini al martirio. Sapevano che per la loro sopravvivenza sarebbe stato meglio unirsi ai persecutori piuttosto che rischiare di svelare la loro vera fede per soffrirne le tremende conseguenze.

    Papa Sisto era andato incontro alla sua morte senza colpo ferire, decapitato due giorni prima davanti all’entrata di quelle stesse catacombe, e un identico destino era toccato a Laurenzio, bruciato vivo su una griglia metallica nell’arena dei gladiatori. Proselio ricordò quel che il tribuno di turno aveva detto a Sisto mentre lo tenevano fermo sul patibolo: «Hai radunato uomini sotto il vessillo di un gruppo illecito, e ti sei professato nemico degli dèi e della religione di Roma; il più pio, più sacro e più augusto degli imperatori ha tentato invano di riportarti alla conformità dei riti di Roma, ma tu hai perseverato in tali crimini. Sarai un esempio per tutti coloro che ti hanno seguito, e l’autorità della legge verrà ristabilita nel tuo sangue». Sisto aveva alzato lo sguardo su coloro che si erano raccolti lì intorno, aveva sorriso e aveva sollevato un braccio al cielo, dichiarando: «Sia reso grazie a Dio».

    Poco prima della sua esecuzione, mentre i suoi seguaci cercavano di impedirgli di arrendersi e lo stesso Proselio lo pregava e lo scongiurava di andarsi a nascondere, Sisto li aveva rassicurati che, essendo il primo martire a offrire il proprio collo al filo delle spade, Cristo lo avrebbe ricompensato difendendo il resto del suo gregge. Proselio sapeva che le cose non sarebbero andate così; che dopo aver visto la prima goccia di sangue la folla avrebbe smaniato per averne ancora. Era così che funzionavano le cose tra i Romani, ed è così che sarebbero andate finché Cristo non fosse riuscito a conquistare Roma. Il legionario aveva osservato il boia che colpiva il collo di Sisto con una lama smussata, solo per poi massacrare i suoi servitori e la sua famiglia, scatenando un’orgia di sangue che prima di allora aveva visto solo al termine di una battaglia trionfale.

    E adesso gli uomini dell’Altamanus erano tornati alle porte delle catacombe, dopo aver ripulito le strade di Roma e aver raggiunto l’ultimo rifugio dei fedeli, il luogo dove due secoli prima i seguaci di Pietro e Paolo si erano radunati in segreto per la prima volta per pregare il proprio Dio sotto gli occhi ignari degli imperatori, nei cimiteri sotterranei dei loro antenati. Sia Sisto che Laurenzio erano stati martiri consenzienti; sapevano che Proselio avrebbe continuato a portare la torcia, che la luce che risplendeva attraverso le lacrime di Cristo non si sarebbe affievolita, che il loro più prezioso tesoro, il simbolo dell’alleanza con il Signore, sarebbe stato portato via per tenere a bada le forze dell’oscurità finché Cristo non fosse ritornato tra loro. A Proselio sembrava di portare sulle spalle il peso del mondo, eppure si sentiva immobilizzato, incapace di ricordare la svolta corretta.

    Una violenta scossa fece tremare il suolo. Proselio riaprì gli occhi e si rimise la croce nella tunica. Udì un’eco distante, un suono soprannaturale e terrificante, seguito da un urlo acuto. Si rese conto che non potevano essere molto distanti, che la morte di Laurenzio avrebbe fatto scatenare una furia omicida, un massacro generale di chiunque si trovasse nelle catacombe. Improvvisamente ebbe una visione di Laurenzio, che a pochi passi di distanza sbirciava la strada che si snodava davanti a sé, come aveva fatto quando con Sisto lo avevano portato laggiù per la prima volta. D’improvviso gli tornò in mente ogni dettaglio: era la galleria sulla destra. Sussurrò tra sé e sé una breve preghiera di ringraziamento, infilò la spada nel fodero e afferrò il gancio della lucerna coprendo la fiamma con la mano e proseguendo a passo svelto. La puzza di morte recente era intollerabile, un odore nauseabondo e dolciastro che negli ultimi giorni aveva riempito le catacombe. Lì, nei più profondi recessi dei tunnel sotterranei, avevano portato tutti coloro che erano stati giustiziati e massacrati: il corpo decapitato di Sisto, il cadavere ustionato di Laurenzio, e innumerevoli altri, mutilati e straziati, recuperati da dove erano stati abbandonati fuori dalle mura cittadine e portati lì nottetempo dai rispettivi parenti in lutto. Quello era il vero odore del martirio; non l’odore del sangue o della carne bruciata, né il puzzo dello spettacolo, ma il fetore della putrefazione, la decomposizione di persone il cui sacrificio sarebbe stato dimenticato tanto velocemente quanto era durata la loro esecuzione, a meno che lui non fosse riuscito a portare a termine la sua missione, a meno che non fosse riuscito a proseguire.

    Superò i mucchi d’ossa ammuffite e gli stracci sul pavimento, strappati dalle nicchie e abbandonati lì senza troppe cerimonie per fare spazio ai corpi portati in tutta fretta nei giorni precedenti, i loro sudari insanguinati ancora visibili perché non c’era stato nemmeno il tempo di ricoprirli con del gesso fresco. Sentì i ratti che si affollavano lungo le pareti, banchettando con la carne putrefatta; un pipistrello gli sfiorò il volto, piombando all’improvviso su di lui dal suo appiglio sul soffitto. Un’altra scossa fece tremare il suolo: stavolta era più vicina, fu seguita da un rombo distante, e Proselio sentì l’aria che veniva risucchiata dalla galleria. Finalmente comprese cosa stavano facendo. Stavano usando il fuoco greco, pompando fiammate di nafta incendiata nelle catacombe per stanare chiunque vi fosse arrivato dalla città, per cercare rifugio in quel luogo di morte. Aveva visto il fuoco greco in azione durante le battaglie dei Persiani, aveva assistito allo spettacolo dei suoi compagni che venivano bruciati come torce umane, e aveva provato sulla propria pelle l’orribile sensazione dell’aria che viene risucchiata dai polmoni. Sapeva che le fiamme si sarebbero propagate in ogni tunnel in cerca d’ossigeno, aiutate dalle pile di stracci e ossa che sarebbero bruciati come legna secca, soffocando con il fumo tossico chiunque fosse riuscito fino a quel momento a non ardere vivo. Udì altri suoni, più distinti, urla strazianti e soffocate, il clangore delle armature. Stavano scendendo dal passaggio principale, sgombrando i tunnel su entrambi i lati. Avrebbero raggiunto il bivio della galleria davanti al quale si era fermato nel giro di pochi minuti. Non c’era tempo da perdere.

    Proseguì arrancando, immergendosi sempre più nel profondo delle catacombe; poi svoltò un angolo e la riconobbe, appena visibile nella flebile luce lunare che filtrava dalla fine del tunnel davanti a sé, la sua via di fuga. In un’alcova sulla destra si trovava una nicchia più ampia, il gesso ancora fortunatamente intatto. Coloro che si erano recati laggiù nei giorni precedenti in cerca di un luogo di riposo per i propri cari defunti sapevano bene di dover lasciar perdere quello spazio; tutti si erano limitati a venerare l’immagine dipinta sull’intonaco esterno, anche se nessuno di loro poteva sapere cosa fosse stato sigillato lì dentro. Proselio raggiunse la nicchia e sollevò la lampada per vedere meglio. Al centro della parte superiore era dipinta una rozza rappresentazione del Cristo, e il riflesso della lucerna sembrava irradiarsi dalla testa del Salvatore verso tutti gli altri soggetti raffigurati nella scena. Era una rappresentazione dell’Ultima Cena, gli apostoli dipinti su entrambi i lati sotto la curva semicircolare della nicchia, un tavolo davanti a loro. La figura di Cristo teneva un pezzo di pane in una mano, e nell’altra una coppa. Laurenzio gli aveva detto che quell’immagine era stata dipinta nello stucco ancora fresco dall’apostolo Pietro, quando era scappato a Roma dalla Giudea portando con sé le reliquie del Messia. Per una frazione di secondo Proselio si sentì come se Pietro fosse ancora lì, proprio accanto a lui, unito nella missione di preservare quel che si trovava all’interno della nicchia da coloro che avrebbero cercato di oscurare la luce del Signore con una nuova epoca di tenebre.

    Il suono sibilante del fuoco si faceva sempre più vicino, mentre l’odore acre della nafta in fiamme gli riempiva ormai le narici. Si inginocchiò e appoggiò per terra la lampada. Usare la spada per forare la nicchia era fuori questione, non poteva correre il rischio di danneggiare quel che si trovava lì dentro, così iniziò a grattare l’intonaco sotto l’affresco a mani nude, limitandosi a fare una smorfia mentre le unghie iniziavano a frantumarsi contro la superficie della nicchia. Si staccarono alcuni piccoli frammenti, e poi pezzi più grandi macchiati dal sangue che gli colava dalle dita. Al di sotto dello strato più superficiale l’intonaco era umido, permeato dai pigmenti di colore, e Proselio riuscì finalmente ad affondare meglio le dita. Si fece largo fino a raggiungere la cavità oltre l’intonaco, tendendo il braccio quanto più possibile ed estraendone un oggetto avvolto in vecchie fasce di pelle. Sul cuoio vide i simboli che Laurenzio gli aveva detto di cercare: il pesce dei cristiani, con la lettera greca alpha su un lato e l’omega sull’altro. E capì di averlo trovato.

    Fece fatica a rialzarsi con il pacchetto tra le mani. Mentre apriva la borsa che portava legata alla cinta, una figura barcollante fece capolino dal tunnel; era una donna, proveniva dalla direzione del rumore, aveva le vesti e i capelli fumanti, e trascinava dietro di sé una gamba inerte, livida e annerita. Collassò davanti a lui, vomitò e tossì sangue, alzò lo sguardo implorante, i suoi occhi si spostavano da lui all’immagine di Cristo ancora intatta al di sopra della cavità che Proselio aveva scavato nell’intonaco. Per un istante il legionario rimase lì pietrificato. Con la mente tornò a quel pomeriggio, quando Laurenzio era stato portato davanti al tribunale e il prefetto aveva richiesto che consegnasse i tesori della Chiesa. Laurenzio aveva aperto le sue mani vuote e le aveva rivolte verso la folla di curiosi che si era radunata, aveva mostrato i palmi alla fila di soldati e aveva dichiarato: «Ecco i tesori della Chiesa. La Chiesa è davvero molto ricca, molto più ricca del vostro imperatore».

    Quelle parole avevano fatto infuriare il prefetto e segnato una volta per tutte il fato di Laurenzio, ma al tempo stesso avevano dato forza a tutti coloro che le avevano ascoltate, sia i fedeli che gli indecisi. La donna che in quel momento giaceva davanti ai suoi piedi era uno di quei tesori; era lei la ricchezza della Chiesa, eppure era anche una dei tanti che sapevano, come Laurenzio, che probabilmente sarebbe stato necessario sacrificare la propria vita per il bene superiore della Chiesa. Proselio si era già reso conto che non poteva salvarla; la donna riusciva a malapena a reggersi in piedi, e le fiamme li avrebbero raggiunti prima che fossero riusciti ad arrivare alla fine della galleria. Ripose nella borsa l’oggetto avvolto nel cuoio, poi fece scorrere la croce che aveva al collo sul laccetto di pelle e se la tolse facendola passare sulla testa. La consegnò alla donna, mettendola tra le sue mani e stringendole per un attimo in modo da chiuderle i palmi sull’oggetto metallico. La croce era stata forgiata con l’acciaio più resistente, l’acciaio che costituiva la punta delle lance dei legionari, e sarebbe sopravvissuta alle fiamme e alla distruzione; un piccolo simbolo di speranza in quel luogo, che, come il tesoro che stava trasportando, sarebbe stato d’ispirazione per tutti coloro che avrebbero seguito il segno della croce in futuro, per chi era vivo e per chi ancora doveva nascere.

    Si ricordò di quel che aveva profetizzato Laurenzio. Valeriano non avrebbe mai fatto ritorno a Roma; l’imperatore e le sue legioni sarebbero stati distrutti in Persia. Suo figlio Gallieno avrebbe messo fine alla persecuzione, e nel giro di una generazione la croce sarebbe stata eretta su tutti i luoghi di culto pagani, compreso il tempio di Giove, e perfino sul Colosseo stesso. Prima di allora, Proselio avrebbe portato il tesoro per mare, verso la Spagna, fino alla cittadina alle pendici delle montagne dove lui e Laurenzio erano cresciuti insieme. L’avrebbe affidato alla comunità di ebrei simpatizzanti del cristianesimo che vivevano lì da quando l’imperatore Tito aveva abbattuto il Tempio di Gerusalemme, quasi duecento anni prima, i discendenti degli ebrei che erano fuggiti a occidente in cerca di un rifugio ai confini dell’impero. Loro l’avrebbero tenuto nascosto dalle forze del male, dagli uomini con il marchio nero impresso nelle anime, infatti questi non avrebbero mai rinunciato alla missione di cercare e annientare i simboli di una fede che donava tanto potere a coloro che stavano cercando di distruggere.

    Proselio ricordò il vangelo di Matteo, che aveva sentito la prima volta per bocca di Laurenzio, quando lo era andato a cercare in seguito alla sua rivelazione sul campo di battaglia. Matteo raccontava di come Cristo avesse sollevato la coppa, che l’amico, pronunciando le parole greche del vangelo, aveva chiamato poterion, annunciando: «Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio». Quella promessa rappresentava il loro fervido appello, la loro alleanza con il Signore, la ragione stessa per cui Proselio si trovava lì in quel momento. Era fondamentale preservare la coppa per il secondo avvento, come simbolo di speranza che potesse aiutare a superare le prove che li attendevano, nel momento in cui il potere della croce e della vera fede sarebbe stato messo a dura prova dalle violente maree della storia che stavano per inondarli.

    Proselio guardò un’ultima volta la raffigurazione di Cristo sull’affresco della tomba, e poi si rivolse verso la donna. Ora indossava sul capo il cappuccio del mantello, e si era inginocchiata davanti all’immagine del Messia, stringendo con forza la croce tra le mani. Dietro di lei una fiammata avvolta da fumo nero lambì l’estremità del tunnel, i riflessi erano rossi come la lingua di un serpente. Proselio si voltò verso la luce, estrasse la spada e iniziò a correre.

    1 Località a nord di Nicopoli, nella Bulgaria settentrionale. (n.d.t.)

    Parte prima

    1

    A largo della Cornovaglia, Sud-ovest dell’Inghilterra. Oggi

    «Jack, riesco a vedere un oggetto d’argento. È fantastico. Sembra un pezzo da otto».

    Jack Howard fissò il sommozzatore nella fenditura tra le rocce davanti a sé. A dirla tutta, si ritrovò a fissare il suo fondoschiena, avvicinandosi sempre di più ogni volta che il mare sotto di loro si gonfiava per la corrente. Un’altra onda lo investì, costringendolo ad avanzare ulteriormente verso le gambe di Costas; mentre l’acqua li inondava e si ritirava con uno scrosciante risucchio, Jack dovette aggrapparsi a uno scoglio per non farsi trascinare via dal flusso. «Ne sei sicuro?», gridò, la voce che rimbombava in tutta la fenditura. «Sei sicuro che non sia l’ennesimo sassolino scintillante incastrato tra le rocce?»

    «Non sarò un archeologo, Jack, ma so riconoscere un tesoro quando lo vedo». Jack si trattenne, e decise di fidarsi del giudizio del suo amico. È vero, Costas era un ingegnere subacqueo di professione, ma dopo vent’anni di immersioni insieme, la straripante passione di Jack per l’archeologia l’aveva contagiato, almeno in parte.

    Vennero sommersi da un’altra ondata, ma Jack riuscì con una certa fatica a tenere la bocca al di sopra della superficie dell’acqua. «Riesci a tirarlo fuori?»

    «Ho l’attrezzo giusto con me, ma le mie braccia non sono abbastanza lunghe».

    «Mi stai dicendo che sei rimasto incastrato?»

    «Non ho detto nulla del genere».

    «Lo sapevo che non dovevo lasciarti andare per primo».

    «Se fossi andato tu per primo, a questo punto le onde ti avrebbero già spinto oltre la pozza che si trova davanti a me, e di sicuro non l’avresti notato. Grazie al mio fisico più muscoloso sono riuscito a fermarmi in tempo».

    «Quindi mi stai dicendo che sei rimasto incastrato».

    Una grande onda si infranse sulle rocce della scogliera alle loro spalle, per poi riversarsi nel canale che conduceva alla fessura, riempiendola e inondando Jack con schiuma bianca ancora prima che venisse colpito dal flusso d’acqua. Onde così grandi arrivavano ogni dieci o dodici oscillazioni del mare, probabilmente il residuo di qualche tempesta in mezzo all’Atlantico. Jack immerse il volto in acqua per pulire la maschera dalla schiuma bianca, poi si voltò verso il mare mentre con la muta continuava a urtare contro le rocce vicine. Riusciva a vedere distintamente l’interno della fenditura fino all’accesso della scogliera, una decina di metri più indietro, e poi il canale oltre la base della scogliera che proseguiva per un’altra ventina di metri, fino al mare aperto; le nuvole grigie ben visibili incombevano sui cavalloni distanti. Dal punto in cui si trovavano, lungo la costa della Cornovaglia, la fermata successiva procedendo dritti in quella direzione era la costa del Sud America, a circa cinquemila miglia nautiche di distanza. Era un pensiero che lo emozionava come pochi altri, un’idea che lasciava a bocca aperta l’esploratore nascosto dentro Jack, come se stesse guardando attraverso un oblò sull’ignoto, verso le vastità dell’oceano che aveva convinto i suoi antenati e innumerevoli generazioni di altri uomini a imbarcarsi per mare in pericolosi viaggi di scoperta, partendo da quelle stesse coste.

    E quella direzione era il motivo per cui lui e Costas ora si trovavano in uno dei più improbabili punti di immersione dei loro venticinque anni di carriera insieme; non erano in acqua, ma all’interno di una fenditura della scogliera, che in realtà con la bassa marea si trovava a svariati metri di altezza al di sopra del livello del mare. Jack l’aveva scoperta per la prima volta molti anni prima, quando era ancora un ragazzo e aveva esplorato quelle scogliere in cerca delle grotte dei contrabbandieri, collezionando frammenti di detriti vari, ma gli era sempre sembrato troppo pericoloso avventurarsi lì dentro da solo. Lo diceva perfino il nome che la gente della Cornovaglia aveva dato al promontorio nelle vecchie mappe: Carrack y pilau, le rocce pericolanti. A un certo punto, milioni di anni prima, forze titaniche avevano spaccato la scogliera lungo il promontorio e la baia adiacente, lasciando una frattura a zigzag che correva dal canale che portava al mare, a una cinquantina di metri all’interno della scogliera, fino a un’apertura al di sotto della baia. Jack se ne era ricordato improvvisamente due settimane prima, quando una tempesta aveva smosso il fondale marino, lasciando in bella vista un cannone solitario su un banco di sabbia oltre il canale, una scoperta realizzata da sua figlia Rebecca e dal suo fidanzato Jeremy mentre stavano facendo snorkeling intorno al promontorio. Era stato un ritrovamento davvero emozionante, che contribuiva a rafforzare la teoria di Jack secondo la quale il relitto del diciassettesimo secolo, che da diversi mesi stavano riportando alla luce sull’altro lato del promontorio, un tempo doveva essere stata una nave che in seguito al naufragio si era spezzata in due. Secondo Jack la parte che in un primo momento ritenevano fosse andata perduta doveva trovarsi all’incirca nel punto in cui lui e Costas erano ora.

    Da quel relitto mancava qualcosa, una fonte principale di pezzi d’argento che Jack sapeva doveva trovarsi a bordo, e con ogni probabilità questo nuovo punto d’immersione gli avrebbe fornito la chiave del mistero. Ma il cannone era stato troppo eroso dall’acqua per consentirne una datazione precisa, e la barriera sopraelevata su cui era stato ritrovato era circondata da un ammasso di sabbia, senza contare che in quei giorni le previsioni meteorologiche non facevano che mettere in guardia dalle tempeste di fine autunno delle settimane a venire, perciò non aveva molto senso spostare la squadra addetta agli scavi in un nuovo sito, un punto in cui probabilmente avrebbero scavato alla cieca per nulla, magari ritrovandosi costretti a combattere continuamente contro i venti avversi. L’idea di Jack era destinata a rimanere un’intuizione, una che sarebbe stato impossibile verificare finché non fossero tornati sul sito per scavi più approfonditi dopo i mesi invernali.

    Ma poi, la sera prima, era stato sulla scogliera che torreggiava sul cannone e si era ricordato della fenditura. Le navi che naufragavano su quella costa venivano quasi inevitabilmente travolte dalle burrasche che soffiavano verso sud-ovest provenienti dal centro dell’Atlantico. Abbassando lo sguardo verso le rocce a strapiombo, Jack aveva compreso che il cannone e il canale giacevano sulla stessa linea rispetto alla fenditura nella scogliera. Era già capitato che si trovasse lì durante le tempeste, e conosceva bene la violenza del mare, le possenti onde che si abbattevano sulle scogliere e la schiuma che raggiungeva anche i trenta metri di altezza. Se la nave era affondata in condizioni del genere, allora forse la parte dello scafo che si era infranta lì si sarebbe potuta spaccare contro le rocce finendo nell’insenatura, e i piccoli oggetti come ad esempio le monete potevano essere finiti giù per il canale. Tutto ciò di cui Jack aveva bisogno per confermare la sua teoria era una singola moneta databile, allora avrebbe potuto giustificare un ritorno in loco in condizioni atmosferiche migliori per cercare il resto del tesoro nella sabbia. Se Costas aveva ragione su quel pezzo da otto, e se l’intuizione di Jack si fosse rivelata corretta, allora avevano appena fatto bingo.

    Un’altra onda si infranse contro la scogliera, e Jack si voltò nuovamente verso Costas, appena in tempo per aggrapparsi a uno scoglio e resistere all’impatto. A dispetto della sua posizione rialzata con la bassa marea, l’insenatura ospitava una pozza permanente generata dall’acqua che la inondava costantemente con l’alta marea. Nel punto in cui Jack si trovava ora, l’acqua era profonda sì e no mezzo metro, un livello che gli aveva permesso di strisciare e farsi strada fino alla sua posizione attuale con la testa sopra il pelo dell’acqua, ma poco oltre Costas aveva individuato una pozza più ampia che poteva rivelarsi considerevolmente più profonda, un punto in cui oggetti pesanti come monete potevano essere affondati penetrando in una delle numerose fessure. Ora il problema era che la marea stava iniziando a salire, e i flussi e riflussi del mare si stavano facendo sempre più consistenti. Non era stato semplice infilarsi nella stretta fenditura, e piuttosto che tornare da dove erano venuti, avevano pensato di proseguire per poi uscire dalla grotta sull’altro lato, un punto protetto nella baia. Ma con Costas incastrato e nessuna possibilità di fare marcia indietro, a breve avrebbero avuto una bella gatta da pelare, un problema che si stava facendo sempre più serio al gonfiarsi delle onde.

    Jack osservò Costas abbassare la zip della tuta da lavoro che indossava sopra la muta da sub. «Sono costretto a cambiare pelle», disse divincolandosi mentre cercava di sfilarsela. «Senza questa dovrei riuscire a ottenere quel po’ di spazio che mi serve».

    «Te l’avevo detto che indossare quella tuta ingombrante sarebbe stato problematico in questi spazi ristretti», disse Jack. «Tenendo conto del tuo fisico muscoloso».

    «Non mi immergo mai senza questa tuta. Ormai dovresti saperlo. Anche quando non si tratta di una vera e propria immersione. E comunque, se riesci a raggiungere quella moneta, mi sarai grato per la cintura degli attrezzi. Dovrai cercare di prenderla tu, però, le mie braccia non sono abbastanza lunghe».

    Jack lo aiutò ad abbassare la tuta proprio mentre venivano sommersi da un’altra ondata, dando una mano al suo amico a tirarla giù fino ai piedi e spingendolo in avanti oltre la fessura; un attimo dopo Costas riuscì a liberarsi dell’ingombrante indumento. Attesero il flutto successivo e lasciarono che l’acqua li spingesse in avanti insieme, Costas in un anfratto poco oltre la strettoia e Jack subito accanto

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1