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La ragazza dell'isola
La ragazza dell'isola
La ragazza dell'isola
E-book372 pagine5 ore

La ragazza dell'isola

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Info su questo ebook

Da questo thriller è tratta la serie TV Shetland

«Il thriller definitivo.» Sunday Express

L’ispettore Jimmy Perez è appena sbarcato con la fidanzata Fran nella remota isola di Fair, il luogo in cui è nato, ed è impaziente di farle conoscere i suoi genitori. Seppure poco conosciuta, l’isola è una delle mete predilette dagli appassionati di birdwatching, che possono osservare uccelli rari nel loro ambiente naturale. L’antico faro è diventato così il luogo di incontro principale per tutti coloro che praticano questo passatempo. Quando proprio in questo osservatorio viene rinvenuto il cadavere di una donna, Jimmy si ritroverà coinvolto in un caso insidioso. La vittima, infatti, è una nota esponente della comunità scientifica locale e il suo assassinio non manca di impressionare i riservati abitanti dell’isola. A complicare le cose ci sono la tecnologia praticamente inutilizzabile e i trasporti bloccati per via del maltempo: l’assassino si trova ancora sul luogo del delitto. Nel corso delle indagini, il detective Perez scoprirà che a volte, nonostante le apparenze, la verità può nascondersi nei posti più impensabili.

Un’autrice tradotta in 23 Paesi
Dai suoi libri è tratta la serie tv Shetland prodotta dalla BBC

L’ispettore Jimmy Perez, dopo aver fatto ritorno nell’isola in cui è nato, dovrà indagare su uno sconvolgente omicidio

«La regina del crime-thriller.»
Sunday Mirror

«Ann Cleeves è davvero un’ottima scrittrice: efficace per atmosfera, trama e personaggi.»
The Times

«Ann Cleeves descrive alla perfezione la vita sull’isola, le aspettative, le delusioni e i silenzi ostinati. Tutti i lettori dovrebbero dare all’ispettore Perez un’opportunità.»
Kirkus Reviews

«Ann Cleeves non sbaglia un colpo.»
The Globe and Mail
Ann Cleeves
vive nel West Yorkshire con il marito e i due figli. Come membro della Murder Squad, promuove la crime fiction. È autrice del ciclo di romanzi incentrati sulle indagini dell’ispettore Perez (la Newton Compton ha pubblicato in Italia La maledizione del corvo nero, Due cadaveri un solo indizio, L’isola dei cadaveri e La ragazza dell'isola), a cui è ispirata la serie TV Shetland. Ha vinto il prestigioso Premio Duncan Lawrie Dagger.
LinguaItaliano
Data di uscita24 set 2018
ISBN9788822726643
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    Anteprima del libro

    La ragazza dell'isola - Ann Cleeves

    2100

    Titolo originale: Blue Lightning

    Copyright © Ann Cleeves 2010

    This edition is published by arrangement with

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    Traduzione dall’inglese di Serena Tardioli

    Prima edizione ebook: novembre 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-2664-3

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Ann Cleeves

    La ragazza dell’isola

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Capitolo 38

    Capitolo 39

    Capitolo 40

    Ringraziamenti

    Alle mie figlie sagge, divertenti e indomabili

    Capitolo 1

    Fran era seduta con gli occhi chiusi. All’improvviso il piccolo aeroplano perse quota, sembrò che stesse per cadere dal cielo, poi proseguì in volo raddrizzandosi per un momento prima di inclinarsi come se fosse un giro sulle montagne russe. Fran aprì gli occhi e davanti a sé vide una scogliera grigia. Era abbastanza vicina da poter distinguere le strisce bianche di escrementi di uccelli e i nidi della stagione precedente. Al di sotto, il mare era in burrasca. Gli spruzzi e la spuma bianca catturati dalla furia del vento turbinavano sulla superficie dell’acqua.

    Perché il pilota non fa nulla? Perché Jimmy sta con le mani in mano, aspettando la morte di tutti noi?

    Immaginò l’impatto quando l’aereo avrebbe colpito la roccia: lamiere contorte e corpi maciullati. Qualsiasi speranza di sopravvivenza cancellata. Avrei dovuto scrivere un testamento. Chi si prenderà cura di Cassie? Si rese conto che, per la prima volta nella sua vita, era spaventata per la propria sicurezza fisica, e venne sopraffatta da un senso di panico irrazionale che le ottenebrò il cervello e sospese la sua capacità di pensare.

    Poi l’aereo si sollevò leggermente e sembrò evitare per un pelo lo strapiombo. Perez stava indicando i luoghi a lui familiari più importanti: North Haven, il centro studi ambientali del North Light, Ward Hill. A Fran pareva che il pilota avesse ancora difficoltà a mantenere il volo livellato e che il suo fidanzato sperasse di poterla distrarre mentre l’aereo procedeva a strattoni, virando per atterrare. Poi finì sobbalzando sulla pista d’atterraggio.

    Neil, il pilota, rimase seduto in silenzio e immobile per un momento, la mano ferma sulla leva di comando. Fran pensò che si fosse spaventato tanto quanto lei.

    «Ottimo lavoro», disse Perez.

    «Oh, be’». Neil fece un sorrisetto. «Dobbiamo esercitarci per l’elisoccorso. Ma a un certo punto ho pensato che dovessimo tornare indietro». Aggiunse con tono sbrigativo: «Adesso fuori, voi due. Ho un mucchio di visitatori da portare via, e secondo le previsioni il tempo peggiorerà, dopo. Non voglio rimanere bloccato qui tutta la settimana».

    Un piccolo gruppo di persone stava aspettando sulla pista d’atterraggio, tutti con le schiene rivolte contro il vento, facendo fatica a rimanere dritti. I bagagli di Perez e Fran vennero subito scaricati e Neil fece cenno ai passeggeri in attesa di salire a bordo. La donna si accorse che stava tremando. Dopo aver lasciato la cabina soffocante del piccolo aereo, sentì tutto d’un tratto freddo, ma sapeva che anche quella era una risposta alla propria paura. E alla propria ansia di incontrare le persone in attesa, i genitori e gli amici del suo fidanzato. Quel luogo, l’Isola di Fair, faceva parte di ciò che lui era: Perez era cresciuto lì e la sua famiglia ci aveva vissuto per generazioni. Che opinione avrebbero avuto di lei?

    Sarebbe stato, pensò, come il peggior tipo di colloquio di lavoro, e invece di essere arrivata calma e composta, pronta a elargire sorrisi – di solito era bravissima ad affascinare le persone – era devastata dal terrore provato durante il volo che le era rimasto addosso lasciandola tremante e laconica.

    Le venne risparmiata la necessità di esibirsi immediatamente, perché Neil aveva caricato sull’aereo i passeggeri ed era in fase di rullaggio all’estremità della pista d’atterraggio per prepararsi al viaggio di ritorno a Tingwall, sull’isola principale delle Shetland, la Mainland. Il rumore dei motori era molto vicino e troppo forte per poter avere una conversazione gradevole. Ci fu una pausa momentanea, poi sentirono di nuovo il rombo dei motori e l’aereo li oltrepassò sferragliando, alzandosi in aria. Aveva un aspetto fragile e minuto, come quello di un giocattolo per bambini, così sballottato dal vento forte. Passò sopra le loro teste e scomparve a nord, apparendo sempre più stabile. Intorno a sé Fran percepì un sollievo collettivo. Pensò di non aver reagito in modo eccessivo ai pericoli del volo. Non era l’isteria di una donna del Sud. Non era facile vivere su quell’isola.

    Capitolo 2

    Jane tagliò la margarina, la mise nella farina e la strofinò tra le dita. Preferiva il gusto del burro negli scone, ma il centro studi ambientali veniva mantenuto con un budget ridotto, e i birdwatcher erano così affamati ogni volta che rientravano per il pranzo che non l’avrebbero notato, pensò. Si fermò quando sentì l’aereo passare e sorrise. Era partito, allora. Era un bene. Alcuni birdwatcher che si trovavano al centro erano venuti in aereo. Meno visitatori significava meno lavoro per la cuoca, e quando le persone erano bloccate lì, arenate a causa del tempo, diventavano insofferenti e frustrate. La divertiva spiegare a un uomo d’affari superimpegnato che non c’era alcuna possibilità di lasciare l’isola: con i venti da uragano in avvicinamento, né un aereo né un battello sarebbe partito, non importava quanto denaro avrebbe potuto offrire al comandante o al pilota. Ma non le piaceva l’atmosfera al centro quando le persone venivano abbandonate contro la loro volontà. Era come se fossero ostaggi, e reagivano alla situazione in modo diverso: alcuni diventavano apatici e rassegnati, altri fremevano di una rabbia irrazionale.

    Aggiunse latte acido alla mistura. Anche se preparava una teglia di scone ogni giorno e pensava di saperlo fare a occhi chiusi, aveva pesato la farina e misurato il latte. Così faceva le cose: in modo ponderato e preciso. C’era un bel pezzo di formaggio che era stato lasciato senza involucro e doveva essere utilizzato, così lo grattò mescolandolo all’impasto. Le venne in mente che se il battello non fosse salpato il giorno dopo avrebbe dovuto iniziare a cuocere del pane. Il congelatore era quasi vuoto. Stese l’impasto degli scone, ritagliò dei cerchi e li dispose uno vicino all’altro, per farli lievitare per bene sulla teglia. Una volta riscaldato il forno, la fece scivolare all’interno. Raddrizzandosi, vide una figura in giacca impermeabile verde passare davanti alla finestra. Le mura dei vecchi cottage del faro erano spesse tre metri, e gli spruzzi del mare avevano striato di sale i vetri, quindi la visibilità era limitata, ma doveva essere Angela, di ritorno dopo il giro delle trappole Heligoland.

    Quella era la seconda stagione di Jane al centro studi ambientali dell’Isola di Fair. Era arrivata la primavera precedente. Aveva visto un annuncio su una rivista sulla vita di campagna e aveva fatto domanda per ghiribizzo. D’impulso. Forse la prima azione impulsiva della sua vita. Aveva fatto una sorta di colloquio telefonico.

    «Perché vuole trascorrere un’estate sull’Isola di Fair?». Jane aveva previsto la domanda, naturalmente; aveva lavorato per le risorse umane e fatto innumerevoli colloqui a suo tempo. La sua risposta era stata qualcosa di blando e nobile sull’avere bisogno di una sfida, un periodo per tirare le somme da cui dipendeva il suo futuro. Era solo un contratto temporaneo, dopotutto, e si era accorta che la persona all’altro capo del telefono era disperata. Mancavano poche settimane alla stagione e la cuoca in lizza per il lavoro era, tutto d’un tratto, partita per il Marocco con il suo fidanzato. La risposta vera, naturalmente, sarebbe stata molto più complicata: La mia compagna ha deciso che vuole avere dei figli. Ho paura. Perché non le basto? Pensavo che fossimo felici e sistemate, ma dice che l’annoio.

    La decisione di venire sull’Isola di Fair era stata l’equivalente del nascondersi sotto le coperte, come da bambina. Era scappata dall’umiliazione, dalla consapevolezza che Dee aveva effettivamente trovato un’altra, desiderosa di avere un bambino quanto lei, ed era fuggita da una vita in solitudine e quasi senza amici. Quando le era stato offerto il posto di lavoro al centro studi, Jane si era dimessa dal suo incarico nel settore pubblico e, poiché doveva ancora godere delle ferie, era andata via alla fine della stessa settimana. Era stata organizzata una festicciola in ufficio. Vino frizzante e una torta. Il regalo era un buono libri. La sensazione generale era di stupore. Jane era conosciuta per la sua razionalità e la sua affidabilità, un uso lucido dell’intelletto. Il fatto che avesse posto fine alla propria carriera, con la preziosa pensione legata al reddito, e buttato via tutto per trasferirsi su un’isola famosa solo per i lavori a maglia non sembrava assolutamente nel suo stile.

    «Ma sai cucinare?», aveva chiesto una delle sue colleghe, non potendo credere che la rispettabile direttrice delle risorse umane potesse essere interessata a qualcosa di così triviale. E anche in quel disastroso colloquio di lavoro le era stata fatta la stessa domanda.

    «Oh, sì», aveva detto in entrambe le occasioni con assoluta sincerità. La sua compagna Dee amava intrattenere la gente. Era una regista con una società di produzione indipendente, e nei fine settimana la casa era piena di persone – attori, produttori e scrittori. Jane preparava da mangiare per tutti quegli incontri, dalle tartine per le loro famose feste di mezza estate alle abituali cene per una decina di persone. Era stato una sorta di premio di consolazione per lei, quando aveva lasciato la casa a Richmond tirandosi dietro il grande trolley, chiedersi chi avrebbe organizzato il catering per quelle occasioni. Non riusciva a immaginarsi la nuova donna di Dee, Flora, dai lineamenti pronunciati e i capelli lucenti, con indosso un grembiule.

    Jane era arrivata sull’Isola di Fair senza avere la benché minima idea di cosa aspettarsi. Il fatto di non essersi lanciata prima in ricerche su quel posto era un segnale di quanto fosse turbata. Di norma lo avrebbe fatto. Avrebbe controllato i siti web, sarebbe andata in biblioteca, avrebbe compilato un documento con le informazioni importanti. Ma il suo unico preparativo era stato comprare un paio di libri di ricette. Avrebbe dovuto cucinare pasti abbondanti che rientrassero nel budget, e per il momento la sua condotta non era stata così stravagante da farle sorgere il dubbio che stesse facendo un pessimo lavoro nel suo nuovo ruolo.

    Jane era arrivata a bordo del battello postale, il Good Shepherd, in una bella giornata di sole, con un leggero venticello che soffiava da sudest, seduta sul ponte a guardare l’isola avvicinarsi. Aveva provato l’emozione della scoperta. In quel momento, aveva fatto capolino nella sua mente – e ancora lo faceva – il pensiero che fosse come incontrare un’amante. C’era stato il primo sguardo affettuoso, poi la crescente intesa. Con il bel tempo primaverile, era facile innamorarsi dell’Isola di Fair. Le falesie erano piene di uccelli marini; Gilsetter, il prato pianeggiante a sud dei porti, era ricoperto di fiori. E lei se n’era innamorata perdutamente. Del centro e dell’isola. Originariamente la struttura ospitava il faro nord, ora automatizzato, e si ergeva magnifica sulle alte falesie grigie, isolata da tutto il resto. Jane era cresciuta nei sobborghi e non aveva mai immaginato di vivere in un luogo così selvaggio o drammatico. Pensava che lì potesse essere una persona molto diversa dalla timida donna che non era stata in grado di tenere testa a Dee. La cucina era subito diventata come casa sua. Grande e cavernosa. Una volta era il soggiorno del vecchio guardiano del faro: c’era una canna fumaria e due finestre che si affacciavano sul mare. L’aveva riordinata per soddisfare le proprie esigenze non appena arrivata, ancor prima di aver disfatto la valigia. Era troppo presto per gli ospiti della stagione, ma il personale aveva ancora bisogno di cibo.

    «Che piani avevate per la cena?», aveva chiesto, rimboccandosi le maniche della camicia di cotone e infilandosi un lungo grembiule blu, il suo preferito. Quando non c’era stata una risposta immediata, aveva guardato in frigorifero e poi nel congelatore. Nel primo c’era una ciotola d’acciaio inossidabile piena di riso cotto avvolta con la pellicola alimentare, nel secondo un po’ di eglefino affumicato. Aveva preparato velocemente una grande padella di kedgeree¹, utilizzando burro vero, nonostante il costo, e grossi pezzi di uova sode. L’avevano mangiato intorno al tavolo in cucina. La conversazione era caduta sui nidi di culbianco e la quantità di uccelli marini. Nessuno le aveva chiesto perché avesse deciso di venire sull’Isola di Fair a cucinare.

    Maurice aveva poi detto che era come se Mary Poppins fosse arrivata e avesse preso il sopravvento. Ognuno di loro sapeva che sarebbe andato tutto bene. Jane aveva sempre apprezzato quell’osservazione.

    Dall’odore capì che la cottura era quasi ultimata. Tirò fuori il vassoio e lo posò sul tavolo, separò gli scone in modo che potessero cuocere uniformemente all’interno e li rimise in forno. Impostò il timer a tre minuti, anche se non ne avrebbe avuto bisogno. In quella cucina, le cose non bruciavano. Non quando Jane era al comando.

    La porta si aprì, facendo entrare Maurice. Indossava una camicia di flanella, un cardigan grigio, pantaloni a coste gonfi alle ginocchia e pantofole di pelle. Aveva l’aspetto tipico dell’accademico dai vestiti stropicciati che in effetti era stato prima di trasferirsi sull’isola con la sua nuova giovane moglie. Automaticamente, Jane accese il bollitore. Maurice e Angela avevano il proprio alloggio all’interno del centro studi, ma l’uomo di solito veniva la mattina nella grande cucina alla ricerca di caffè. Jane aveva una caffettiera pressofiltro e ordinava vero caffè da Lerwick. Maurice era l’unica persona con cui lo condivideva.

    «L’aereo è decollato», disse lui.

    «Sì, l’ho sentito». Si fermò, riempì la caffettiera, poi tirò fuori gli scone dal forno, proprio quando il timer suonò. «Quanti ospiti sono rimasti?».

    Maurice aveva dato ai visitatori in partenza e ai loro bagagli un passaggio con la Land Rover per raggiungere l’aereo. «Solo quattro», disse. «Anche Ron e Sue Johns se ne sono andati. Hanno sentito le previsioni e non volevano rimanere bloccati».

    Jane stava sistemando gli scone su una rastrelliera per farli raffreddare. Maurice ne prese uno distrattamente, lo divise e ci spalmò il burro.

    «Jimmy Perez è arrivato oggi con la sua nuova donna», proseguì, la bocca ancora piena. «James e Mary li stavano aspettando. Povera ragazza! Era bianca come un lenzuolo quando è scesa dall’aereo. E non la biasimo. Non mi sarei goduto un volo così».

    Maurice era l’amministratore del centro. La struttura svolgeva lavori scientifici, ma forniva anche alloggio ai naturalisti che venivano in visita o alle persone che erano interessate a fare un’esperienza di vita sull’isola abitata più remota del Regno Unito. A settembre la struttura si era riempita di birdwatcher: era il culmine del periodo migratorio e una settimana di venti orientali aveva portato due nuove specie in Gran Bretagna e una manciata di rarità minori. Adesso, a metà ottobre, con le previsioni che mostravano forti venti di ponente, il centro era quasi vuoto. Maurice, una volta professore all’università, era andato in pensione anticipata per vestire i panni di un gestore incensato di

    B&B

    . Jane non era sicura di quali fossero i sentimenti dell’uomo al riguardo e non le sarebbe mai passato per la testa di ficcare il naso.

    Ma sapeva che quello che Maurice amava di quel posto erano i pettegolezzi. Forse non era poi così diverso dai chiacchiericci leggermente malevoli nella sala professori di un piccolo college. L’uomo sapeva tutto quello che succedeva, apparentemente, senza alcuno sforzo. Jane aveva mantenuto le distanze da quasi tutti gli isolani. Conosceva Mary Perez, che le stava simpatica: la donna di tanto in tanto l’invitava a pranzo a Springfield nei suoi giorni liberi, ma non si poteva dire che fossero amiche strette.

    «È un poliziotto, vero?». Jane non era molto interessata. Guardò l’orologio. Mancava mezz’ora al pranzo. Accese il fornello a gas Calor sotto una grande pentola di zuppa, la mescolò e rimise il coperchio.

    «Esatto. Mary sperava che tornasse un paio di anni fa, quando per un po’ una piccola fattoria è stata sfitta, ma è rimasto a Lerwick. Se non avrà un figlio, sarà l’ultimo Perez delle Shetland. C’è sempre stato un Perez sull’Isola di Fair da quando il primo è stato trasportato a riva da una nave durante la guerra contro l’Invincibile Armata».

    «Una figlia potrebbe mantenere il cognome e tramandarlo», disse Jane bruscamente. Pensava che Maurice dovesse essere più consapevole di chiunque altro dei pericoli degli stereotipi di genere. Tutti i visitatori davano per scontato che fosse lui il direttore della struttura e che Angela badasse alle prenotazioni e alle faccende domestiche. In realtà, Angela era la scienziata. Era lei che si arrampicava sulle falesie per inanellare procellarie dei ghiacci e urie, era lei che portava fuori il gommone Zodiac per contare gli uccelli marini, mentre Maurice rispondeva al telefono, supervisionava il personale domestico e ordinava i rotoli di carta igienica. E Angela aveva mantenuto il proprio cognome da nubile dopo il loro matrimonio, per motivi professionali.

    Maurice sorrise. «Certo, ma non sarebbe lo stesso per James e Mary. Soprattutto per James. È abbastanza dura per lui perché Jimmy non vuole farsi carico del Good Shepherd. James vuole un nipote».

    Jane si spostò nella sala da pranzo e cominciò ad apparecchiare.

    Angela fece la sua apparizione dopo che tutti gli altri si misero a sedere al tavolo. C’erano delle volte in cui Jane pensava che arrivasse in ritardo solo per poter fare un’entrata a effetto. Ma quel giorno non c’era un gran pubblico da conquistare: quattro visitatori più Poppy, la figlia di Maurice, e il personale del centro studi, che ormai doveva essere abituato al suo stile teatrale. E Maurice, che sembrava adorarla e non badare affatto al proprio cambiamento di ruolo nella vita, purché la rendesse felice.

    Angela si servì da sola di zuppa dalla pentola ancora sul fornello, acceso a fuoco basso, e si fermò a guardarli. Era di vent’anni più giovane di Maurice, alta e forte. I suoi capelli quasi neri e ricci, abbastanza lunghi da sedercisi sopra, erano raccolti e tenuti da un pettine. Erano il suo marchio di fabbrica. Era diventata una commentatrice regolare dei programmi di storia naturale della

    BBC,

    ed erano i capelli che la gente ricordava. Jane ipotizzava che Maurice si fosse sentito lusingato dalla sua attenzione, dalla sua celebrità e dalla sua giovinezza. Ecco perché aveva lasciato la moglie che gli aveva lavato i vestiti, cucinato i pasti e curato i figli, tirandoli su fino all’età adulta – se Poppy poteva essere considerata un’adulta. Jane non aveva mai incontrato la moglie abbandonata, ma provava una grande compassione per lei.

    Si aspettava che Angela si unisse a loro per spostare rapidamente e abilmente l’argomento della conversazione sulle proprie preoccupazioni. Era quella la consueta dinamica. Ma Angela rimase in piedi e Jane allora si rese conto che la donna era furiosa, così arrabbiata che le mani che tenevano la ciotola della zuppa stavano tremando. La posò sul tavolo, con molta attenzione. La conversazione nella stanza si spense. Fuori, la tempesta era diventata ancora più violenta, e loro erano consapevoli anche di quello. Persino attraverso le finestre a doppi vetri si sentivano le onde infrangersi sulle rocce, e potevano vedere gli spruzzi simili a sputi di un gigante che si abbattevano sulla falesia.

    «Chi è stato nel laboratorio?». La domanda era contenuta, appena più di un sussurro, ma si percepiva la furia che c’era dietro. Solo Maurice ne sembrava ignaro. Pulì con un pezzo di pane la ciotola e alzò lo sguardo.

    «C’è qualche problema?»

    «Penso che qualcuno abbia interferito con il mio lavoro».

    «Sono andato a controllare le prenotazioni sul computer. Roger ha telefonato per sapere se potevamo inserire un gruppo il prossimo giugno, e per qualche motivo il

    PC

    nell’appartamento non funzionava».

    «Non era sul computer. Era la bozza di un articolo. Scritta a mano». Angela si rivolse a Maurice, ma la voce era abbastanza forte da permettere a tutti di sentirla. Ascoltando, Jane rimase sorpresa dall’immagine di Angela che scriveva a mano. Non lo faceva mai, fatta eccezione forse per gli appunti presi sul campo quando non era possibile nessun’altra forma di registrazione. La direttrice era ammaliata dalla tecnologia. Compilava persino il registro serale di uccelli avvistati con l’aiuto di un computer portatile. «Non c’è più», continuò Angela. «Qualcuno deve averla presa». Si guardò intorno, contemplò i quattro visitatori seduti al tavolo e il volume della sua voce aumentò ancora di più. «Qualcuno deve averla presa».

    ¹ Il kedgeree è un piatto tradizionale britannico di origini indiane a base di pesce affumicato, riso bollito, prezzemolo, uova sode, curry in polvere, burro o panna e, occasionalmente, uva sultanina. (n.d.t.)

    Capitolo 3

    Perez aveva detto a Fran esattamente cosa aspettarsi dalla casa dei genitori. Aveva descritto la cucina con la vista su South Harbour, il fornello Rayburn con sopra la rastrelliera per far asciugare i vestiti in inverno, la tovaglia incerata verde con una decorazione di foglioline grigie, gli acquerelli della madre appesi alla parete. Perez aveva raccontato della sua infanzia passata in quella casa, poi aveva ascoltato le storie di Fran su come fosse stato crescere a Londra: le conversazioni intime parte del rituale di una relazione in divenire, interazioni assolutamente tediose per un estraneo qualsiasi.

    «Mia madre probabilmente nasconderà tutti i suoi dipinti», aveva detto Perez. «Sarebbe imbarazzata se li vedesse un’artista professionista».

    E Fran suppose di essere un’artista professionista a quel punto. Le persone le commissionavano i dipinti e questi venivano esposti nelle gallerie. Fu felice che Mary avesse lasciato le proprie opere alle pareti. I dipinti erano molto piccoli e delicati, non proprio lo stile di Fran, ma interessanti perché mostravano i dettagli della vita quotidiana sull’Isola di Fair difficili da notare. C’era un acquarello di un muro crollato con qualche ciuffo di lana di pecora impigliato in un angolo, uno schizzo di una tomba del cimitero. Fran guardò quest’ultimo più da vicino, ma la lapide era stata disegnata di lato, quindi anche se il modello avesse avuto un’iscrizione sarebbe stato impossibile leggerla da quell’angolatura. Insieme ai dipinti di Mary dell’isola, c’erano stampe e poster dai colori vibranti che ricordavano il retaggio spagnolo della famiglia Perez. Secondo la leggenda, l’antenato di Jimmy era giunto a riva da una nave naufragata dell’Invincibile Armata, El Gran Grifon. Probabilmente era vero. I relitti del

    XVI

    secolo erano senz’altro lì, sotto l’acqua, a disposizione dei sommozzatori che volevano esplorare, e in che altro modo sarebbe stato possibile spiegare lo strano cognome e la carnagione mediterranea di James Perez e suo figlio?

    Dato che la realtà della piccola fattoria era così vicina alla versione immaginata da Fran ma non esattamente la stessa – in qualche modo era ancora più piccola, più angusta – la donna si sentiva proprio come se si fosse avventurata in un universo parallelo. Era seduta al tavolo ad ascoltare Mary e James e le sembrava di essere una comparsa su un set cinematografico, disconnessa, non coinvolta nell’azione principale.

    Sarà sempre così qui? Questo posto non mi apparterrà mai sul serio.

    Ultimamente non ne avevano discusso, ma Fran pensava che Perez volesse tornare a vivere lì un giorno. Le piaceva l’idea, il dramma di essere in uno dei luoghi più remoti del Regno Unito, di dare seguito alla tradizione di una famiglia che risaliva al

    XVI

    secolo, ma adesso non era sicura di come le cose avrebbero funzionato nella pratica.

    Mary stava parlando dei preparativi per il matrimonio. Suo figlio e la donna inglese si sarebbero sposati a maggio, e dava per scontato che la futura sposa fosse emozionata, entusiasta di condividere le sue idee per il giorno fatidico. Ma Fran era già stata sposata. Aveva una figlia, Cassie, che stava trascorrendo una settimana con il padre nella sua grande casa a Brae. Fran voleva sposarsi con Jimmy Perez, ma non riusciva a sentirsi elettrizzata per i dettagli del rito. Non si aspettava che Mary fosse quel tipo di donna che fa un gran cancan per i fiori, gli inviti e la possibilità di indossare un cappello oppure no. Mary era venuta sull’Isola di Fair come infermiera della comunità e dal giorno del suo matrimonio si era occupata di tutto il lavoro alla fattoria. Era una donna tenace e con senso pratico. Ma Jimmy era il suo unico figlio, e forse pensava che se si fosse mostrata interessata al loro grande giorno Fran sarebbe stata contenta. A quest’ultima sembrava che l’anziana donna desiderasse tantissimo diventare amica della sua nuova nuora.

    «Pensavamo di sposarci a Lerwick», disse Fran. «Una cerimonia civile tranquilla. È la seconda volta per tutti e due, dopotutto. Poi una festicciola per la famiglia e gli amici».

    A quell’affermazione, James sollevò lo sguardo. «Dovrete fare qualcosa anche qui. Per la gente che non può andare sulla Mainland. E la tua famiglia vorrà vedere l’isola. Dovremmo dare una festa di benvenuto. Questa è la casa di Jimmy».

    «Certo», disse Fran, anche se non le era mai passato per la testa di dover portare baracca e burattini sull’Isola di Fair. Si immaginò i genitori che avrebbero dovuto sopportare il viaggio in aereo o in battello. E poteva davvero permettere anche a Cassie di affrontare quel pericolo? E se doveva proprio esserci un festeggiamento lì, avrebbe dovuto invitare alcuni dei suoi amici londinesi più cari. Non avrebbero voluto essere esclusi. Che cosa avrebbero pensato? Dove avrebbero alloggiato?

    «Pensavamo di dare una piccola festa questa settimana per celebrare il vostro fidanzamento», disse Mary.

    «Sarà divertente. Ma non voglio metterti in difficoltà». Fran guardò Perez alla ricerca di sostegno. Era rimasto completamente in silenzio durante l’intero scambio di battute. Si strinse leggermente nelle spalle e Fran capì che i preparativi erano già stati completati. Niente di ciò che avrebbero potuto dire avrebbe cambiato le cose adesso.

    «Oh, non la faremo qui». Mary sorrise. «Non c’è spazio in casa. Non si può avere una festa vera e propria, all’insegna dello spirito dell’Isola di Fair, senza un po’ di musica, un po’ di danza. Pensavo di prenotare il centro studi. C’è abbastanza spazio nella sala da pranzo per ballare e Jane preparerebbe da mangiare per noi».

    «Jane?». Fran pensò che fosse più sicuro concentrarsi sui dettagli.

    «Lavora nella cucina del centro. È una cuoca bravissima».

    «Bene», disse Fran. Che altro c’era da dire? Oh, Jimmy, pensò. Non sono proprio sicura di riuscire a vivere qui, nemmeno con te. Si rivolse alla madre di lui. «Per quando pensavate di organizzare la festa?»

    «Ho prenotato il centro studi per domani». Poi aggiunse in fretta e furia: «Solo provvisoriamente, certo. Prima volevo chiedervelo».

    «Bene», disse ancora Fran. Digrignando mentalmente i denti.

    Dopo pranzo ebbe la sensazione che se fosse rimasta in casa più a lungo sarebbe impazzita. Aveva aiutato Mary a lavare i piatti e poi avevano preso il caffè in soggiorno, dove una grande finestra si affacciava a sud, sui campi che si estendevano fino all’acqua. Il padre di Jimmy era un predicatore laico della chiesa scozzese ed era scomparso nella piccola camera da letto che usava come ufficio per preparare l’omelia della domenica. I tre rimasero seduti in silenzio per un momento, ipnotizzati dalle onde enormi che si increspavano nel porto a sud e si infrangevano sulle rocce. Aveva smesso di piovere, ma la burrasca era ancora più forte, pensò

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