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Corpo a corpo: Harmony Privé
Corpo a corpo: Harmony Privé
Corpo a corpo: Harmony Privé
E-book232 pagine2 ore

Corpo a corpo: Harmony Privé

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Info su questo ebook

Non sono attratta dai cattivi ragazzi e non basta un sorriso sexy per sedurmi.
Finché non incontra lui!

Rimanere completamente nuda alla mercé dell'intrigante milionario Hart Rochester non faceva certo parte della campagna di PR che Daisy Adler aveva tanto minuziosamente preparato. In fondo quello che lui le aveva chiesto era soltanto di usare le proprie competenze per salvargli la reputazione. Ma dopo intere giornate passate a scontrarsi con lui e la sua ingombrante personalità in una delle location più belle del mondo, cosa c'è di male a prendersi una rivincita in un delizioso ed erotico corpo a corpo, tra lenzuola di seta, per tutta la notte?
LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2019
ISBN9788830504097
Corpo a corpo: Harmony Privé
Autore

Nicola Marsh

Giornalista, ha viaggiato per il mondo in cerca di grandi scoop. Scrivere romanzi, però, è sempre stato il suo sogno.

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    Anteprima del libro

    Corpo a corpo - Nicola Marsh

    successivo.

    1

    Hart

    Sto sorseggiando il terzo bourbon quando Kevin irrompe nel mio ufficio senza bussare.

    «Sapevo di trovarti qui» dice, riempiendosi il bicchiere e accomodandosi sulla poltrona di pelle di fronte a me intorno al tavolino.

    «Un'intuizione scontata, visto che sono due settimane che non mi schiodo da qua.»

    «Bastardo sarcastico.» Solleva il bicchiere verso di me prima di portarlo alle labbra e svuotarne la metà. «Tuo nonno era uguale. Il grande Ralfe Rochester non te ne faceva passare una.»

    Lo stomaco mi si chiude, come mi accade ogni volta che qualcuno menziona il nonno. Sono trascorse tre settimane dai funerali qui, a Gem Island, il luogo che più amava nelle Whitsunday e quattro da quando è morto, senza di me accanto. Il nonno non era solo sarcastico, era anche un vecchio bastardo cocciuto.

    Avrebbe dovuto chiamarmi, avrebbe dovuto parlarmi dei problemi alla valvola cardiaca. Ma non lo aveva fatto ed era morto prima che avessi avuto la possibilità di dirgli la metà di quello che avrei voluto. Per esempio quanto avesse cambiato la mia vita. Quanto gli dovessi. Quanto gli volessi bene nonostante avessi fatto sempre di tutto per dimostrargli il contrario fin dal giorno in cui mi aveva trovato.

    Era morto senza sapere che cosa provassi per lui e avrei dovuto vivere con quel rimpianto ogni singolo giorno della mia vita.

    «Sarebbe orgoglioso di quello che stai facendo qui.» Kevin agitò un braccio per indicare l'enorme ufficio con un'intera parete di vetro che si affacciava sul resort e l'oceano. «Quest'albergo è sempre stato il suo preferito.»

    Lo so. È l'unico motivo per cui me ne sto intrappolato su quest'isola dimenticata da Dio, invece di tornare a Buenos Aires, Brooklyn o in Bangladesh, a lavorare dietro le quinte per costruire infrastrutture per bambini in affido. Quei bambini che hanno bisogno di me come un tempo io ne avevo del nonno. Mi ha trovato quando avevo sedici anni, mi ha preso con sé, mi ha nutrito. Mi ha dato tutto. E io che cosa gli ho dato in cambio?

    Ho sempre finto di non avere bisogno di lui. Mi sono comportato come uno stronzo ingrato ogni volta che lui tentava di avvicinarsi. Ho agito da emerito coglione nel ruolo che mi aveva assegnato nella società.

    L'ho abbandonato.

    Avrei dovuto essere qui quando è morto, tenergli la mano e confortarlo in qualsiasi modo. Invece è morto solo, il cuore ha ceduto proprio come i medici avevano previsto. Già, il nonno era testardo fino all'eccesso. Immagino di sapere da chi ho preso.

    «Voglio che tutti conoscano questo posto.» Agito il bourbon, fissandolo fino a quando mi si offusca la vista. È più facile che alzare gli occhi e incontrare lo sguardo del braccio destro del nonno e vedervi solo pietà. È un sentimento sprecato e non l'ho mai sopportato. Il nonno mi diceva sempre che ammirava la mia resistenza, la mia capacità di sfuggire all'autocommiserazione.

    Non gli avevo mai confessato che la compassione per me stesso mi era stata strappata dalla prima famiglia affidataria nella quale ero cresciuto. Attaccavo e provocavo deliberatamente per sottolineare la mia superiorità e la mia indifferenza nei confronti del loro disprezzo. 'Fanculo tutti era il mio motto. E lo è ancora.

    «Domattina vuoi che partecipi anch'io all'incontro con la nuova società di PR?»

    Scuoto la testa. Per quanto apprezzi l'offerta di Kevin, ho bisogno di cominciare a muovermi da solo. Devo riportare questa società in attivo. Quello che era l'effettivo stato di salute del nonno è evidente anche nel bilancio della compagnia, che non è positivo. Ma devo rimboccarmi le maniche per lui, sebbene restare legato a una scrivania per anni sia l'ultima cosa che voglio. Forse, se fossi stato un nipote migliore, sarei stato al corrente della situazione e sarei intervenuto prima.

    Sono così incazzato con me stesso proprio per questo. Sono quattro settimane che cerco di convivere con il mio dolore, e scoprire la gravità della situazione in cui versa la società è stato ulteriore motivo di irritazione. Non faccio che prendermela con il personale, sono sbottato con il consiglio di amministrazione rasentando la maleducazione e ho quasi licenziato un vecchio impiegato per avere osato pormi una semplice domanda.

    Non sono fiero del mio comportamento, così quando Kevin, con belle parole, mi ha consigliato di prendere una dose quotidiana di pillole della felicità, tradotto in darmi una svegliata, ho capito che cosa dovevo fare. Accantonare il senso di colpa per essere stato un pessimo nipote e rimediare concentrandomi su come riportare la catena di hotel all'antica gloria. Dopo di che non dovrò fare altro che scegliere un valido direttore e rimettermi in viaggio come ho sempre fatto.

    «Preferirei confrontarmi da solo con la rappresentante della società di PR poi, quando arriverà anche il suo capo, potremmo incontrarci tutti e quattro. Che ne dici?»

    «Per me va bene.» Kevin butta giù quanto resta nel bicchiere. «Hai bisogno di altro?»

    «Kev, sei il mio assistente non il mio maggiordomo». Indico la porta. «La notte è giovane. Vai a divertirti.»

    «Potrei dirti la stessa cosa.» Esita, un sorrisetto sardonico che gli solleva le labbra. «Forse è per questo che sei così irritabile. Da quanto tempo non scopi?»

    Da troppo tempo, ma non m'interessa. Ho ben altro a cui pensare. Come assicurarmi di ripagare il nonno per tutto quello che ha fatto per me, anche se lui non lo saprà mai. Ma nel mio profondo, in quel luogo dove nessuno è mai arrivato, io lo saprò e per il momento dovrà bastarmi.

    E comunque, non sono uno da appuntamenti. Ogni tanto mi concedo di soddisfare le mie voglie ma la maggior parte delle donne si tengono alla larga da me. Basta un'occhiata e scappano a gambe levate, oppure, peggio, pensano di potermi redimere. Missione impossibile.

    «Ehi!» Kevin mi schiocca le dita davanti agli occhi. «Se ti ci vuole tutto questo tempo per ricordarti da quanto non lo fai, vuol dire che è un'eternità.»

    «Che non lo faccio? Ma cos'hai, tredici anni?»

    «Cinquanta quest'anno e ne sono orgoglioso.» Agita l'anulare alla mano sinistra. «E questa fede d'oro dice che posso scopare quando e quante volte voglio.»

    «Dice anche che tua moglie ti tiene per le palle.»

    Kevin scoppia in una risata fragorosa e io con lui. Sono uno di quelli che ridono raramente. Di tanto in tanto mi lascio andare a una risatina, ma nulla di più. Tutto sommato, le città in cui vivo, città circondate dai poveri e i vulnerabili, non mi fanno venire voglia di sorridere, e ancor meno di ridere.

    Il nonno capiva il mio bisogno di aiutare i bambini in affido. Era venuto a patti con la mia inquietudine dopo che avevo preso la laurea in economia e avevo lavorato per due anni insieme a lui. Mi aveva addestrato, tenendomi sotto la sua ala protettrice, e io mi ero impegnato per renderlo orgoglioso di me. Ma non era bastato e lui aveva avuto il fegato di lasciarmi andare. Avevo accettato una posizione simbolica: responsabile del controllo della qualità. In poche parole, un ruolo inventato assimilabile a quello di un funzionario in incognito e per il quale viaggiavo in tutto il mondo, controllando gli hotel della catena e inviando rapporti su qualsiasi cosa, dalla pulizia della biancheria al servizio in camera.

    Il nonno giurava che le mie osservazioni erano fondamentali e che grazie a esse poteva migliorare la qualità dell'offerta degli alberghi. In realtà sono convinto che avrei potuto scrivere le mie relazioni mensili in mandarino e lui non se ne sarebbe nemmeno accorto, tanta era la fiducia che riponeva in me.

    Glielo devo. Sono in debito con lui.

    «A tal proposito, sarà meglio che vada a cercare colei che mi tiene per le palle.» Kevin si alza e allunga le braccia, stiracchiandosi. «Fammi poi sapere com'è andato il meeting.»

    «Tranquillo.» Lo saluto, felice di avere uno come Kevin a guidarmi attraverso quel labirinto.

    Dopo trent'anni trascorsi in veste di assistente del nonno, lui è l'unico a sapere tutto della società. È una figura estremamente preziosa per me. E oserei dire che è pure un amico, anche se potrebbe essere mio padre.

    Considerato il compito immane che mi aspetta, sono felice che ci sia lui a darmi una mano.

    Per riportare quest'albergo al vertice avrò bisogno di tutto l'aiuto possibile.

    2

    Daisy

    «Vorrei il cocktail più colorato che avete, grazie.»

    Indico la lavagnetta dietro al bancone come se fossi un'esperta, quando mi basta un bicchiere per essere brilla.

    Il barista figo, con una vaga somiglianza a un giovane Mel Gibson, mi abbaglia con un sorriso, come se avesse già capito il mio gioco, prima di voltarsi per afferrare un numero esagerato di bottiglie.

    Se tutto quell'alcol andrà nel mio cocktail, sono già nei guai. Ma chi se ne frega. È la mia prima sera a Gem Island, uno dei gioielli delle isole Whitsunday, e sto per presentare un lavoro da urlo all'uomo più enigmatico del pianeta.

    Ho fatto i compiti. È un introverso che, dovendo in qualche modo seguire le orme dell'illustre nonno, viaggia per il mondo svolgendo un lavoro piuttosto umile per conto della catena di alberghi di Ralfe Rochester. La sua presenza sui media è scarsa. Niente lascia supporre che sarà un capace sostituto di uno dei più famosi albergatori d'Australia, che, morto di recente, ha lasciato Hart come suo unico erede.

    Stando alle mie ricerche, l'impero Rochester è in difficoltà ed è lì che io intervengo. Se riuscirò a rispolverare l'attrattiva degli hotel Rochester, la mia carriera farà un balzo in avanti e mi avvicinerò al mio obiettivo: fondare una mia società di pubblicità e pubbliche relazioni.

    «Ecco qua.» Il barista mi mette davanti un gigantesco bicchiere pieno di un liquido violetto e con una foglia di lavanda galleggiante. «Vacci piano. È forte.»

    «Grazie. Che cos'è?» Fingo disinvoltura mentre sollevo il bicchiere, agitandolo come un'esperta.

    «Si chiama Gemma scintillante; con questo cocktail ho vinto svariati premi.»

    Sfodero un'espressione colpita e quello continua: «Vodka, rum, cocco, sciroppo di lavanda, succo di litchi, succo di limone e un ingrediente segreto che non posso rivelare». Si sporge sul bancone avvicinandosi a sufficienza da farmi scoprire che usa un profumo buono quanto il suo cocktail. «Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti.»

    Mi strizza l'occhio e io nascondo il mio turbamento buttando giù una lunga sorsata. Pessima mossa. Catastrofica. Perché mi va di traverso e comincio a tossire e farfugliare, svelando quanto poco regga l'alcol e quanto sia imbranata con gli uomini.

    Lui ridacchia. «Chiamami quando ne vorrai un altro.»

    Non ti conviene, mi trattengo dal dirgli, sorseggiando con più attenzione. È fantastico: fruttato e dolce, con un'esplosione finale.

    Ne bevo un altro sorso, godendomelo appieno. Chi lo sa, magari poi me ne ordino un altro. Alf, il mio capo, arriverà domani, perciò oggi posso rilassarmi.

    Una cosa che a casa, a Brisbane, non faccio mai. Perlomeno non negli ultimi dodici mesi, da quando ho rotto con Casper. Il nostro fidanzamento è durato tre mesi, più altri tre di frequentazione. Con lui ho scoperto che l'uomo perfetto sulla carta non è poi così perfetto, quando ci si vive insieme.

    Il pensiero di Casper mi fa andare di traverso il resto del cocktail. La gola mi brucia ma mi sento alla grande. Anzi, ancora meglio, mi sento dannatamente invincibile. E spavalda ne ordino un altro.

    «Grazie.» Quando il barista figo posa il bicchiere davanti a me, lo premio con un sorriso abbagliante ma quello mi risponde scrollando appena la testa, come se sapesse che mezza calzetta sono quando si tratta di alcol.

    Per il resto, ha già dirottato le sue attenzioni su due ragazzine poco più che adolescenti, facendomi sentire attempata a ventisette anni.

    Sollevo il bicchiere verso di lui in un brindisi silenzioso. Peggio per te, ragazzino, penso svuotando metà bicchiere prima di rendermi conto della velocità con cui l'alcol sta avendo effetto su di me, visto che sto valutando la possibilità di flirtare con uno sconosciuto. Non è da me. E poi sono totalmente fuori allenamento. Dopo Casper, sono uscita una sola volta con un uomo ed è stato un completo disastro. Ho chiuso con i siti di incontri per cuori solitari. Quel tizio aveva quindici anni di più della foto nel profilo e insieme ai capelli aveva perso anche il senso dell'umorismo. Un tipo cupo e squallido, una combinazione terribile. È stato dopo quell'appuntamento che ho deciso che avrei fatto meglio a dedicarmi alla carriera.

    «Cin-cin» mormoro a me stessa, buttando giù di colpo quello che resta del cocktail e firmando il conto.

    Quando mi alzo, mi accorgo di vacillare. Una passeggiata lungo la spiaggia per schiarirmi le idee potrebbe essere una buona idea. Ho grandi progetti per la mia prima notte a Gem Island: servizio in camera, film di qualsiasi genere basta che sia con Ryan Gosling, e un bagno. Non vedo l'ora.

    Seguo il sentierino dal bar verso la spiaggia. Deliziosi lumini sulle palme illuminano il passaggio creando un'atmosfera fatata. Questo posto è davvero spettacolare. E romantico. Peccato che sia sola e intenda restarci ancora per molto.

    Alla fine del vialetto inciampo e cado sulla sabbia, che fortunatamente attutisce il capitombolo. Non riesco a trattenere una risatina. Risatina che si trasforma in una sonora risata quando penso alla mia posizione a quattro zampe, a imitazione della posizione yoga del gatto. Grazie a Dio il vestito lungo nasconde ciò che deve, ma non devo essere certo un bello spettacolo.

    Un paio di piedi appaiono nel mio campo visivo. Scarpe firmate. Scure. Consumate, come se venissero indossate da una vita e fossero le preferite del proprietario.

    «Vuoi una mano?»

    La voce è profonda, tagliente, chiaramente seccata. Come se il mio volo sulla sabbia lo avesse fatto incazzare. Ma almeno mi porge la mano ed è la mia salvezza, perché ho la testa che gira e dubito che riuscirei ad alzarmi in piedi da sola.

    «Grazie.» Afferro la sua mano e lascio che mi tiri su.

    Ed ecco che cosa mi appare alla luce guizzante delle alte torce: capelli neri della lunghezza giusta da poter essere giudicato un anticonformista, occhi scuri che potrebbero essere color indaco o castani, labbra atteggiate in una smorfia sardonica. Belle labbra. Sensuali. Cazzo, mi sento davvero idiota. Sbronza e idiota. Una combinazione pericolosa.

    Ha un aspetto vagamente famigliare, ma non capisco perché. Molla subito la mia mano, come se temesse di essere contagiato, anche se non so da che cosa.

    «Quell'ultimo gradino è pericoloso.» Il tono è di disapprovazione mentre indica uno spazio tra le lastre e la sabbia.

    «Già.» Una risposta davvero brillante. Così continuo e peggioro ancora di più la situazione. «Credo che in questo albergo i cocktail siano molto più pericolosi dei gradini.»

    «Sei ubriaca?» Inarca le sopracciglia, apparendo ancora più spudorato e dissoluto. In genere non mi piacciono i cattivi ragazzi, ma per lui sono pronta a fare un'eccezione. È chiaro che vodka, rum e qualsiasi altro ingrediente ci fosse in quel cocktail mi fanno vedere ciò che non esiste. Dissoluto? Ma come mi è venuta?

    «Non ubriaca, ma felice.» Gli sorrido a riprova di ciò che affermo, ma lui non ricambia il sorriso. Si limita a fissarmi le labbra con una tale intensità da mettermi a disagio.

    «Non dovresti passeggiare qua da sola, se non ti senti bene.»

    Maledizione, adesso sembra Casper, sempre pronto a dirmi che cosa fare o non fare. Sebbene Casper estendesse la sua stronzaggine fino a suggerirmi che cosa indossare, che cosa cucinare, che cosa dire davanti agli agenti di cambio suoi compari. Non ne posso più di uomini che mi dicono che cosa fare.

    Così sbotto: «Sto bene». Non sembra convinto e continua a guardarmi con espressione scettica.

    Sussulto. «Scusa, è stato un anno... lungo.»

    Sebbene sia stata io a porre fine al fidanzamento, sono ancora ferita. Disillusa. Esausta. Gettarmi a capofitto nel lavoro mi era sembrata la soluzione giusta, ma dopo dodici mesi di salti mortali per Alf, non c'è ancora traccia di promozione. Considerato che lui è un vecchio amico di famiglia, che nell'assumermi ha innanzitutto fatto un favore a mio padre, è imbarazzante.

    «So come ci si sente.» Si passa una mano tra i capelli, scompigliandoli ulteriormente, e poi fissa l'oceano, come se volesse tuffarsi e non tornare mai più

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