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Odiami se hai il coraggio
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Odiami se hai il coraggio
E-book315 pagine4 ore

Odiami se hai il coraggio

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Info su questo ebook

Hot Asset Series

Ian Bradley è uno degli uomini d’oro di Wall Street. Stipendio a sette cifre, costosi completi firmati e l’ufficio più prestigioso di tutto il palazzo. Nonostante tutto questo, è proprio il suo carisma a renderlo uno degli uomini più ambiti di New York. Qualunque donna lo trova irresistibile, ma non Lara McKenzie. Lara, agente federale, è la stella nascente della lotta contro il crimine dei colletti bianchi. Il caso che le è stato assegnato potrebbe segnare una svolta nella sua promettente carriera: deve indagare su Ian e scoprire se dietro l’uomo più chiacchierato della finanza si nasconde un grave caso di insider trading. Lara è determinata a fare il possibile per scoprire la verità, ma Ian non sembra intenzionato a renderle la vita facile. Ed è solo questione di tempo prima che la loro battaglia professionale si sposti su un piano molto più personale…

Un’autrice bestseller del New York Times

In amore e negli affari vince chi rischia

«Una commedia sexy, divertente e romantica. Un’irresistibile battaglia tra i sessi che vi conquisterà.»
USA Today

«Odiami se hai il coraggio è una spassosa guerra all’ultimo sangue tra un uomo di successo e una agente federale.»
Pop Sugar

«Lauren Layne ha fatto un ottimo lavoro, è facile innamorarsi di questi protagonisti.»
Publishers Weekly

Lauren Layne
si è laureata in Scienze politiche. Dopo essersi occupata di e-commerce a Seattle e nella California del Sud, si è trasferita a New York dove scrive a tempo pieno. I suoi romanzi hanno avuto un grande successo negli Stati Uniti e hanno venduto centinaia di migliaia di copie. La Newton Compton ha pubblicato la Redemption Series e la Best Mistake Series.
LinguaItaliano
Data di uscita29 gen 2019
ISBN9788822730879
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    Anteprima del libro

    Odiami se hai il coraggio - Lauren Layne

    1

    Ian

    È ufficiale, sono un coglione. Me lo dico da solo, così non lo dovete fare voi.

    Non ci credete? Ecco un corso accelerato su Ian Bradley.

    Il completo grigio antracite che ho addosso in questo momento costa più della mia prima macchina. Sono alto un metro e novanta, ho i capelli neri, gli occhi azzurri e faccio attività fisica ogni giorno, quindi il completo mi sta molto bene, se capite cosa voglio dire, e lo capite di certo.

    A trentadue anni sono un broker finanziario – livello dirigenziale, tante grazie – per la Wolfe Investments. E diciamolo, lavora sodo e goditela alla grande è il motto della compagnia.

    Ho un ufficio ai piani alti, uno stipendio a sette cifre, un appartamento molto chic nel distretto finanziario di Manhattan e non dormo mai due volte con la stessa donna, perché non ne ho bisogno.

    Vi ho già detto che mi sono laureato a Yale? Sono riuscito a laurearmi con il massimo dei voti e a fare tutte le scelte sbagliate tipiche dell’università ragionando con una parte del corpo che non è il cervello. Avere un’intensa vita sociale e conseguire una laurea con lode in un’università prestigiosa non è facile, lasciatemelo dire.

    Quindi, come ho detto, in pratica sono il testimonial del manifesto degli Stronzi di Wall Street.

    Ma aspettate a odiarmi, perché ecco cosa non dice il manifesto di Ian Bradley.

    A differenza del resto dei ragazzi della mia confraternita, gli studi in un’università prestigiosa non mi sono stati gentilmente offerti da un fondo fiduciario e quattro generazioni di allievi di Yale che me ne hanno spalancato le porte. Piuttosto ci sono voluti tre lavori, una borsa di studio accademica e una tonnellata di sussidi economici.

    Da bambino non avevo posate d’argento, usavo quelle di plastica che mi dava un benzinaio scontroso ma gentile di South Philadelphia, perché alla maggior parte dei miei genitori affidatari non fregava un cazzo se mangiavo oppure no.

    Quel comodo ufficio ai piani alti di cui vi parlavo? Frutto della pura e semplice forza di volontà e di una decina di anni in cui praticamente non ho dormito.

    E quello stipendio a sette cifre, oltre a permettermi di avere sulla testa un tetto di lusso a Manhattan, garantisce anche un’educazione universitaria ai ragazzi in affido di Philadelphia che sono disposti a impegnarsi per ottenerla.

    Avete già iniziato ad applaudire con aria ironica? Va bene, mi sembra giusto.

    Ma il punto è che non c’è mai stata una maledetta cosa per la quale mi sia impegnato, che non sia riuscito a ottenere lavorando sodo e senza posa.

    Fino a lei.

    Ed è qui che inizia davvero la mia storia.

    Prima settimana: lunedì pomeriggio

    Sono le tre del pomeriggio del lunedì delle fusioni e ho bisogno di altra caffeina.

    Il lunedì è il giorno della settimana in cui viene annunciata una tonnellata di fusioni tra società. Per me e i mie colleghi della Wolfe Investments significa passare un sacco di tempo a scorrere elenchi e fare un mare di telefonate, cercando di capire quali affari sono una cosa grossa, quali meritano attenzione e di quali chissene.

    In altre parole, è una cosa necessaria ma soporifera, soprattutto dopo aver fatto le ore piccole e, be’… nel mio mondo si fanno sempre le ore piccole.

    Esco dal mio ufficio per un salto da Starbucks e appena apro la porta, si apre anche quella dell’ufficio di fronte al mio e una brunetta da schianto con un vestito rosso attillato mi fa un sorriso languido. «Ciao, Ian».

    Ricambio il sorriso della mia collega. «Joss».

    Lei si appoggia allo stipite della porta e incrocia strategicamente le braccia per far risaltare il décolleté prima di rivolgermi una lunga occhiata. «Sei impegnato?».

    La sagacia non è la sua dote migliore. Diavolo, non è la dote migliore di nessuno di noi qui alla Wolfe.

    «Temo di sì».

    Socchiude gli occhi. «Non ti ho visto in giro».

    Mi ha visto parecchio in giro. Vuole solo dire che non mi ha più visto nudo dopo una serata della settimana scorsa che è stata un errore dovuto al gin e che non ho intenzione di ripetere. Non perché lei non sia sexy, ma perché non mi piacciono le repliche.

    Non appena la sfida finisce, finisce anche l’attrazione.

    Non ne vado fiero, ma è sempre stato così… I miei circuiti sono difettosi, suppongo.

    «Mi dispiace, ho avuto da fare». Le faccio l’occhiolino, poi mi volto per avviarmi lungo il corridoio.

    «Kennedy c’è?» mi chiede mentre mi allontano.

    La sua domanda troppo scoperta mi strappa un sorrisetto. Se sta cercando di farmi ingelosire, si sbaglia su due fronti. Io non sono geloso e Kennedy Dawson non è il tipo da storie in ufficio. E anche se lo fosse, il mio amico non toccherebbe mai i miei avanzi. I maschi di Wall Street hanno le loro regole.

    «Non ne ho idea» le rispondo senza voltarmi.

    Sto inviando un messaggio alla mia barista del lunedì di Starbucks per farle sapere che sarò lì tra cinque minuti (non ha senso fare la fila se con una mancia da venti dollari trovi la tua ordinazione già pronta ad aspettarti) quando nella sala caffè un paio di eccellenti gambe femminili attirano la mia attenzione.

    Rallento, cercando di capire con cosa ho a che fare. Non riconosco i polpacci. Neanche il sedere e la vita sottile, e sicuramente mi ricorderei la lunga coda di cavallo bionda che suscita proprio la giusta dose di fantasie su ragazze pon pon diventate grandi.

    Sexy. Molto sexy.

    Comunque ho da fare, e sto per procedere oltre quando la sento parlare da sola. «Come è possibile che ci siano otto tipi di latte tra cui scegliere?».

    Sorrido per il genuino sconcerto nella sua voce. Infilo le mani nelle tasche ed entro nella cucinetta per constatare di persona se il viso è notevole quanto il corpo. «Be’, io non sono un esperto, ma così su due piedi direi intero, parzialmente scremato, scremato, di soia, di mandorle non zuccherato, di mandorle zuccherato con vaniglia, di cocco…».

    Quando sente la mia voce si volta e quando ci troviamo faccia a faccia la mia testa scatta un po’ all’indietro.

    Non perché la conosco, ma perché la voglio conoscere. Per un momento bizzarro, sento che è la donna giusta per me.

    E sapete qual è il bello? Non è neanche il mio tipo.

    A me piacciono le donne con il sorriso provocante, la risata facile, un corpo fantastico e ben consapevoli di cosa cerco: divertimento per una notte sola.

    Questa donna… Non sono completamente sicuro che riconoscerebbe il divertimento neanche se le desse una pacca sul sedere. Porta i capelli biondi con la riga in mezzo, tirati indietro a scoprire i lineamenti da brava ragazza. Non è particolarmente dotata sul davanti e, anche se il profilo dei suoi fianchi merita una seconda occhiata, la camicetta e la gonna castigata sono troppo professionali. Probabilmente indossa addirittura un reggiseno bianco di cotone. O peggio, beige di cotone. Per non parlare della borsa, che è grande, marrone e orrenda.

    Niente di lei, tranne le sue bellissime gambe, spiega perché io muoia dalla voglia di scoprirla palmo a palmo.

    Tranne gli occhiali.

    Sì, sono senza dubbio gli occhiali che mi colpiscono.

    Una montatura nera sexy che le dà un’aria da bibliotecaria vagamente birichina, materia per fantasie allo stato puro. Esalta la carica sensuale dei suoi grandi occhi azzurri che sono assolutamente…

    Sospettosi.

    Stringe un raccoglitore in una mano e dà dei colpetti con il dorso sul palmo dell’altra. Non dice niente mentre mi scruta velocemente da capo a piedi.

    Quando alza di nuovo lo sguardo fino a incontrare il mio, mi aspetto il sorriso ammirato che di solito ricevo dalle donne. Invece lei sembra…

    Annoiata?

    Cosa che mi fa sentire disorientato. Così disorientato che, invece di fare una battuta per rimorchiarla, mi ritrovo a indicare con un cenno del capo la macchina per il caffè sul bancone. «Hai bisogno di aiuto con quella?».

    Lei inarca le sopracciglia. «Ho bisogno di aiuto per cosa? Per premere un tasto?».

    Puoi premere i mie tasti ogni volta che vuoi.

    Lei si acciglia e ho la sensazione che abbia sentito le parole che non ho pronunciato e le abbia trovate inappropriate. Sono infastidito. E intrigato. È da tanto che non mi sento sfidato.

    Mi avvicino cautamente, facendo un passo verso la macchina dell’espresso. Lei non sembra affatto turbata dalla vicinanza, così mi appoggio alla macchinetta e le do un colpetto con la mano. «Basta che tu me lo dica. Sarò felice di fare mansplaining e spiegarti come funziona, signorina», dico strascicando esageratamente le parole.

    Lei mi risponde a tono, sbattendo le palpebre. I suoi occhiali rendono il gesto ancora più beffardo. «Oh, ne saresti capace?».

    Sorrido. Mi piace più di quanto mi sarei mai aspettato. «Cosa vuoi bere?»

    «Caffè».

    Alzo gli occhi al cielo. «Che tipo di caffè?»

    «Con la caffeina», risponde, mentre prende una delle tazze della compagnia, la mette sotto il beccuccio e preme il tasto del caffè nero standard.

    «Noioso» affermo.

    «Classico» ribatte.

    Accenno un sorriso. «Sto andando da Starbucks. Permettimi di offrirti un vero caffè».

    Lei solleva la tazza. «Sto bene così».

    «Potresti stare meglio con qualcos’altro» le dico, abbassando la voce.

    Mi sorprende mettendosi a ridere. Non una risatina leggera, civettuola: ride proprio di me. «Ma fa sul serio? Di solito queste battute funzionano?»

    «Sinceramente?». Le faccio un piccolo sorriso. «Sì».

    «Be’» sorseggia il suo caffè, «mi faccia sapere quando devo fingere di svenire».

    Non avresti bisogno di fingere niente con me, dolcezza.

    Le porgo la mano destra. «Ian Bradley».

    Lei ignora la mia mano e mi fa un cenno con il capo. «Piacere di conoscerla».

    Mi sporgo in avanti e le sussurro: «Questo è il punto in cui mi dici come ti chiami».

    Si sporge in avanti e mi risponde sussurrando: «Questo è il punto in cui lei intuisce che non sono interessata a quello che mi sta offrendo».

    Sfida accettata.

    Inizia a girarmi intorno con la chiara intenzione di andarsene, ma io non ho intenzione di permetterglielo. «Vieni a prendere un caffè con me».

    «No, grazie». Sembra quasi che si diverta a respingermi.

    «Perché no?». Glielo chiedo in tono leggero, ma devo essere sincero? Lo voglio sapere. Non mi capita spesso che una donna mi dica di no, e ancora meno spesso che me ne importi qualcosa. Invece eccomi qui a immaginarla nuda mentre lei non potrebbe sembrare più disinteressata, neanche se ci provasse.

    «Oh, per tanti motivi», dice con un sorriso impertinente, mentre usa il raccoglitore per indicare il mio collo. «Quel succhiotto fresco, tanto per cominciare».

    Resisto alla tentazione di coprirmi il segno sul collo con la mano. Accidenti a quella piccola barista dell’altra notte. Sembrava un vampiro.

    «Ehm» rifletto. «Sei sicura che sia un succhiotto? Forse è una reazione a quello che hanno usato in tintoria per lavare questa camicia».

    La bionda misteriosa solleva la tazza di caffè. «Be’, allora questo è un altro motivo. Non mi piacciono gli uomini con le eruzioni cutanee».

    Rido, più intrigato che mai dalla sua lingua tagliente. «Ma chi sei?»

    «Qualcuno che rimpiangerai di aver invitato a prendere un caffè», risponde con un sorriso che dice ho un segreto.

    «Perché…».

    «Ian».

    Mi volto verso la persona che mi ha interrotto, ma reprimo l’irritazione quando vedo che è la mia assistente, Kate, che sembra…

    Inorridita.

    Mi raddrizzo e mi dimentico della Biondina per un momento. «Kate, che succede?».

    Deglutisce e lancia un’occhiata nervosa alla donna accanto a me. «Ti ho cercato dappertutto. Non rispondi al telefono… ».

    «Merda. Ho dimenticato di togliere il Non disturbare dopo l’ultima riunione», dico, estraendo il telefono dalla tasca. Ovviamente ci sono quattro messaggi non letti e tre chiamate perse, tutti di Kate.

    Mi si chiude lo stomaco quando leggo il primo messaggio; al secondo mi vengono le palpitazioni.

    Guardo Kate e adesso capisco la sua espressione inorridita. «La sec è qui?».

    Porca miseria.

    La Commissione per i titoli e gli scambi, in breve sec, è il cane da guardia del governo contro i reati finanziari. Solo che non è un cane da guardia feroce e utile.

    No, la sec è come un cagnolino petulante, determinato a dare morsi alle caviglie, scacazzare da tutte le parti e, in definitiva, essere una gran rottura di palle, mentre non arreca il minimo beneficio a nessuno, se non al proprio ego smisurato.

    «Con chi ce l’hanno?», chiedo.

    Ma lo so già. Ho lavorato con Kate abbastanza a lungo da riconoscere quell’espressione sul suo volto e da sapere quando qualcosa sta andando storto.

    Ce l’hanno con me.

    E quando la bionda senza nome prende noncurante un sorso di caffè, all’improvviso intuisco perché Kate ha un’aria così inorridita.

    Non è solo perché gli inquirenti della sec stanno indagando su di me…

    È perché ci stavo provando con uno di loro.

    Mi volto lentamente a guardare in faccia quella donna. Lei non si sforza affatto di nascondere che si sta divertendo, mentre si mette il raccoglitore sotto il braccio e finalmente mi porge la mano per presentarsi.

    Gliela stringo per riflesso condizionato, anche se mi si chiude la bocca dello stomaco quando i nostri occhi si incontrano. La brava bibliotecaria dei miei sogni se n’è andata e al suo posto c’è il mio incubo: la Commissione per i titoli e gli scambi.

    Il mio evidente disagio fa allargare il suo sorriso: «Piacere di conoscerla, signor Bradley. Sono Lara McKenzie della sec. Sono qui per informarla che è indagato per insider trading».

    2

    Lara

    Prima settimana: lunedì pomeriggio

    È sbagliato che mi sia divertita così tanto? Forse.

    È giusto che voglia festeggiare con dello champagne?

    Sì, se non bevo da sola.

    Prendo il telefono e scrivo un messaggio alla mia migliore amica/coinquilina, che non dice mai di no allo champagne e lavora come modella freelance. Questo significa che c’è almeno il cinquanta per cento di probabilità che sia libera alle 3 e mezza di un lunedì pomeriggio.

    Happy hour? Le scrivo, aggiungendo l’emoticon con lo champagne per sicurezza.

    Gabby mi risponde immediatamente. Chi sei e come hai fatto a rubare il telefono della mia migliore amica?

    Alzo gli occhi al cielo. Sono io, Gab.

    Dimostralo. Come ci siamo conosciute?

    Ti ho passato un assorbente sotto la porta del bagno da Boca.

    Ultra o maxi?

    Oddio, andiamo a bere qualcosa o no?

    È la prima volta in assoluto che mi messaggi per andare a bere qualcosa prima delle sei. Devi comprendere il mio scetticismo.

    Non ha tutti i torti. Il mio lavoro da ispettore per la Commissione per i titoli e gli scambi non mi permette esattamente di avere un orario flessibile e di bere durante il giorno.

    In effetti, ad essere sincera, probabilmente è il lavoro meno sexy sulla faccia della terra. Ma io lo so fare bene ed è uno step necessario verso il mio obiettivo.

    L’fbi.

    L’fbi è nel mio dna: papà è un agente, mamma è un’agente.

    Io diventerò un’agente, appena avrò scontato la mia condanna ai lavori forzati nella sec. Vedete, dato che papà si occupa di sicurezza nazionale e mamma di scienza e tecnologia, nessuno dei due è particolarmente utile per le mie ambizioni professionali.

    Io voglio fare parte della divisione crimini finanziari. Mi voglio occupare di furti di opere d’arte, di schemi Ponzi e di quei criminali viscidi che sconvolgono migliaia di vite ogni giorno senza sentirsi minimamente in colpa.

    Ma… voglio guadagnarmelo il posto, non voglio che mamma o papà facciano una telefonata. Lavorare per un po’ di tempo alla sec è un aggancio buono come un altro: ho solo bisogno di mettere a segno un bel colpo per attirare l’attenzione a Quantico.

    E alla sec gira voce che il caso di Ian Bradley sarà quello che cambierà tutto.

    Ecco perché lo champagne.

    Io e Gabby decidiamo di incontrarci dopo mezz’ora in un bar dietro l’angolo del nostro palazzo, nel Lower East Side.

    Rimetto il telefono nella borsa e continuo a sorridere per la fortuna inattesa di aver visto la faccia di Ian Bradley quando ha saputo la novità. So che sembra una cosa terribile, godere del momento «oh, merda» di qualcuno, ma il fatto è questo. Questi tipi di Wall Street… è come… non so nemmeno come spiegarlo.

    E come se non fossero reali.

    Obiettivamente, so benissimo che respirano ossigeno e hanno sangue nelle vene. (Anche se non sarei sorpresa se nelle vene di alcuni di quelli che ho incontrato fuori il sabato sera ci fosse scotch single malt).

    Sono solo così maledettamente sicuri di sé, così convinti di vivere a un livello diverso dal resto di noi.

    Ecco un esempio.

    La settimana scorsa Gabby è andata a casa di un broker che teneva un pianoforte a coda da concerto Steinway nel soggiorno del suo attico. Quando Gabby gli ha chiesto se sapesse suonare, lui ha detto di non avere neanche mai sfiorato i tasti. Il suo arredatore gli aveva consigliato il pianoforte come status symbol.

    Scusate, ci possiamo soffermare su questa cosa per un secondo?

    Ci sono persone nella mia città i cui status symbol costano più del doppio del mio stipendio annuo.

    Mi rendo conto che è snobismo alla rovescia, ma andiamo.

    Comunque.

    Non inizierò ufficialmente la mia indagine se non nel corso della settimana, ma, in base alle statistiche, è molto probabile che Ian sia colpevole di insider trading come sostiene la nostra fonte. È uno dei nomi più importanti di una delle società più importanti. Questo significa molti soldi. E molti soldi significano molto da perdere… e molto da guadagnare. Il che significa molte tentazioni di imbrogliare.

    E poi Ian è esattamente come me lo aspettavo. La sua fotografia sul sito della società è praticamente l’immagine standard del broker di Wall Street: taglio di capelli costoso, dentatura costosa, vestito costoso, abbronzatura costosa.

    Di persona è anche più…

    Be’, lui è… troppo. Troppo alto. Troppo affascinante. Troppo virile.

    E poi… bello. Veramente bello, in modo assurdo, da far male agli occhi.

    E lui lo sa.

    Anche se non stessi indagando su di lui, avrei rifiutato le sue avances. I tipi così non fanno per me. Non ho abbastanza pazienza per i loro show e le loro arie, e loro non hanno tempo per le mie regole e la mia organizzazione.

    Quindi Ian Bradely è sexy? Sì. Molto. Ma io non ho bisogno di un uomo sexy. Mi accontenterei di una persona semplice, anche un po’ noiosa, basta che sia fedele. Qualcuno a cui non dà fastidio se mi entusiasmo troppo per un nuovo caso di lavoro o se passo il sabato ad aggiornare la mia applicazione per Quantico.

    Prima la vita professionale, poi quella personale. È un piccolo patto che ho fatto con me stessa da quando mi sono resa conto che, a quanto pare, non sono in grado di gestirle entrambe contemporaneamente.

    Mi sto incamminando verso la metropolitana, quando sento una voce maschile chiamare il mio nome.

    Mi volto e vedo Ian uscire dalle porte girevoli della Wolfe Investments e dirigersi dritto verso di me. Stringo le labbra, irritata con me stessa perché mi blocco per la sorpresa invece di proseguire per la mia strada.

    Non mi piacciono le sorprese.

    Di solito le persone sulle quali sto indagando mi evitano come la peste. Il fatto che lui stia già violando questa regola non fa sperare che l’indagine proceda in modo prevedibile.

    E a me piacciono le cose prevedibili.

    Comunque, il lavoro è lavoro, così m’incollo un sorriso professionale sulla faccia, anche se sento uno stano brivido di allerta mentre lui si avvicina. Lo Ian Bradley dell’ufficio era tutto battutine brillanti, fascino superficiale e sicurezza da playboy. Ma questo Ian… diciamo che capisco perché Ian Bradley e il suo gruppo alla Wolfe Investments sono chiamati i Lupi di Wall Street: sono terribilmente sexy, vergognosamente ricchi e hanno la fama di prendersi sempre tutto quello che vogliono, costi quel che costi.

    Ian si mette gli occhiali da sole e nasconde i suoi occhi azzurri e penetranti. Si ferma di fronte a me, un filo più vicino del necessario, ma io mi rifiuto di indietreggiare.

    Dio, ha un buon odore. Virile e costoso. Che fastidio.

    «Salve di nuovo», dico, e gli rivolgo il mio sorriso da sec più neutro.

    Non ricambia il sorriso e, anche se indossa gli occhiali da sole, sono più sicura che mai di avere a che fare con una versione di Ian Bradley molto diversa da quella che ho conosciuto pochi minuti fa. Una versione più pericolosa.

    «Le è piaciuto?» mi chiede a bassa voce.

    Il mio sorriso si spegne. «Mi scusi?»

    «Il giochetto di prima». Inclina la testa verso l’ufficio. «Si è divertita?»

    «In effetti, sì», dico, sollevando il mento spavalda.

    Lui si avvicina e io riesco a sentire la rabbia che irradia. «Come diavolo si permette? Venire nel mio ufficio, flirtare…».

    «Flirtare?» lo interrompo, furiosa. «Io stavo solo cercando di prendere una stupida tazza di caffè. È stato lei a comportarsi come un maledetto dongiovanni».

    «Non ho intenzione di scusarmi per aver invitato una donna attraente a bere un caffè» ribatte.

    Sbuffo. «Risparmi l’adulazione per qualcuno a cui interessi».

    Scuote la testa. «Deve avere una vita amorosa davvero triste se pensa che sia adulazione, signorina McKenzie».

    La sua frecciata colpisce un po’ troppo vicina al bersaglio, ma metto da parte il dolore

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