Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il cacciatore di daini
Il cacciatore di daini
Il cacciatore di daini
E-book596 pagine9 ore

Il cacciatore di daini

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

1740. Il giovane Natty Bumppo viaggia verso il lago Otsego per incontrarsi con il suo fratello di sangue, il mohicano Chingachgook. Sul lago fa la conoscenza di Tom Hutter, un pioniere che si è costruito una casa sull'acqua, e delle sue due figlie Judith ed Hetty.
La casa di Hutter viene assediata dagli  Huron e l'uomo, assieme al cacciatore di scalpi Hurry Harry decide di vendicarsi assediando l'accampamento Huron, nonostante la contrarietà di Natty. Tom e Harry vengono fatti prigionieri, e Natty si ritrova a dover proteggere le due ragazze e a negoziare la liberazione dei due cacciatori.
Una volta liberati Tom e Harry, Natty e Chingachgook assaltano a loro volta gli Huron per liberare la promessa sposa del mohicano, ma stavolta è Natty a venire catturato, e la bella Judith proverà a liberarlo...
In un susseguirsi di colpi di scena, si consuma l'ultimo romanzo di Cooper con protagonista "Calza di Cuoio" Natty Bumppo, di cui l'autore rievoca in questo volume gli anni giovanili, poco prima degli eventi narrati ne "L'ultimo dei Mohicani".
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2020
ISBN9788899403904
Il cacciatore di daini
Autore

James Fenimore Cooper

James Fenimore Cooper (1789-1857) was an American author active during the first half of the 19th century. Though his most popular work includes historical romance fiction centered around pioneer and Native American life, Cooper also wrote works of nonfiction and explored social, political and historical themes in hopes of eliminating the European prejudice against Americans and nurturing original art and culture in America.

Autori correlati

Correlato a Il cacciatore di daini

Titoli di questa serie (64)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa di azione e avventura per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il cacciatore di daini

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il cacciatore di daini - James Fenimore Cooper

    51

    Dello stesso autore nella collana Aurora:

    I pionieri o le sorgenti del Susquehannah

    La prateria

    Il cercatore di piste

    James Fenimore Cooper, Il cacciatore di daini

    1a edizione Landscape Books, giugno 2020

    Collana Aurora n° 51

    © Landscape Books 2020

    Titolo originale: The Deerslayer or The First War Path

    Traduzione di Maria Gallone, riveduta e aggiornata.

    www.landscape-books.com

    ISBN 978-88-99403-90-4

    In copertina: rielaborazione da Charles Marion Russell.

    Realizzazione a cura di WAY TO ePUB

    James Fenimore Cooper

    Il cacciatore di daini

    I.

    Nelle profondità di una foresta, la cui fronzuta superficie era percossa dalla vivida luce di una radiosa giornata di giugno, mentre tra le ombre sottostanti i tronchi degli alberi si levavano, cupamente solenni, risuonava un’eco di voci che si chiamavano a vicenda. I richiami erano di toni diversi e provenivano evidentemente da due uomini i quali avevano smarrito la via e stavano cercando di rintracciare il proprio sentiero in direzioni diverse. Rimbombò finalmente un grido di vittoria. E di lì a poco uscì dall’intrico labirintico di un breve fossato una figura d’uomo che avanzò sino a una radura, la quale sembrava essersi formata in parte per le devastazioni del vento, in parte per le distruzioni del fuoco. Questa piccola chiarita, che consentiva la vista di un buon tratto di cielo, si allungava sul fianco di una delle tante colline alte, o basse montagne, da cui era accidentata quasi tutta la superficie della regione circostante.

    «Finalmente un po’ di spazio per respirare!», esclamò il forestale uscendo all’aperto e scuotendo l’enorme corporatura al pari di un mastino che si sia allora allora posto in salvo da un banco di ghiaccio: «Evviva, Cacciatore-di-Daini! Ecco la luce del giorno, finalmente, ed ecco laggiù il lago».

    Aveva appena proferite queste parole che anche il secondo forestale uscì dai cespugli dell’acquitrino, apparendo nella radura. Dopo essersi sommariamente rassettate le vesti, scompigliate dal cammino nella foresta, questi si unì al compagno che già aveva iniziato i preparativi per una breve sosta. «Conosci questo luogo?», domandò colui che l’altro aveva chiamato Cacciatore-di-Daini, «oppure gridi di gioia alla semplice vista del sole?».

    «Grido per una ragione e per l’altra, amico; conosco il luogo e non mi dispiace di ritrovare un compagno provvidenziale qual è il sole. Ma finalmente ci siamo rificcati in testa i quattro punti cardinali e sarà tanto peggio per noi se torneremo a perdere la bussola come è capitato poco fa. Non mi chiamo Hurry Harry¹ se questo non è lo stesso posto nel quale si sono accampati l’estate scorsa e vi hanno trascorso una settimana i cercatori di terre. Guarda, laggiù ci sono ancora i rami secchi del loro rifugio, e qui c’è la sorgente. Ma per quanto mi piaccia il sole, ragazzo mio, non ho bisogno di lui per sapere che è mezzogiorno; il mio stomaco funziona quanto il migliore orologio della Colonia, e ad ascoltarlo sono già le dodici e mezzo. Apri dunque la bisaccia, e ricarichiamoci per un’altra marcia di sei ore».

    Al che si diedero entrambi a sbrigare i preparativi necessari per approntare il pasto, come al solito frugale ma sostanzioso. Approfitteremo di questa pausa nel loro discorso per dare al lettore un’idea dell’aspetto fisico di questi due uomini, destinati entrambi ad avere nel nostro racconto una parte tutt’altro che insignificante. Sarebbe stato difficile trovare un esempio di più nobile e più gagliarda virilità di quello offerto da colui che si autodefiniva Hurry Harry. Il suo vero nome era Henry March, ma la gente di frontiera aveva appreso dagli indiani l’usanza di appioppare soprannomi; perciò veniva chiamato assai più spesso Hurry che non con il suo appellativo vero e proprio, e non di rado era detto anche Hurry Skurry², nomignolo causato dai suoi modi audaci, temerari, scanzonati, e da una irrequietudine fisica che lo teneva costantemente sulle mosse e lo aveva fatto conoscere lungo tutto il percorso disseminato di abitazioni isolate che si stendeva tra quella regione e il Canada. La statura di Hurry Harry superava i due metri, e poiché era meravigliosamente proporzionata, la forza che emanava da lui rispondeva a perfezione all’idea suggerita dalla sua corporatura gigantesca. In quanto al viso esso non screditava il resto della persona, essendo a un tempo bello e bonario. Emanava da tutto il suo essere un senso d’indipendenza e, benché i suoi modi non potessero essere forzatamente scevri da una certa rudezza insita in tutti gli abitatori di frontiera, la solennità che ispirava un fisico così nobile gli impediva di cadere nel volgare.

    Cacciatore-di-Daini, come Harry chiamava il compagno, era una persona di aspetto e di temperamento assai diversi. In quanto a statura, mocassini compresi, era sul metro e ottanta, ma di struttura relativamente fragile e snella, sotto la quale però si rivelavano muscoli dotati, se non di forza insolita, certo di eccezionale agilità. Il suo viso non offriva nulla di speciale all’infuori della giovinezza, ma aveva in sé un’espressione che raramente mancava di conquistare coloro che avevano la possibilità di notarla, cedendo così irresistibilmente al senso di fiducia che emanava da essa. Questa espressione altro non era che una irradiazione di schiettezza assoluta, accompagnata da una serietà di propositi e da una sincerità di sentimenti che la rendevano inconfondibile. A volte questa aria d’integrità appariva talmente semplice da risvegliare il sospetto di una carenza dei consueti mezzi di discriminazione tra artificio e verità; ma ben pochi erano coloro che, conosciutolo a fondo, non si spogliassero di questa diffidenza circa le sue opinioni e i suoi intenti.

    Questi uomini di frontiera erano ancora giovani entrambi; Hurry era sui ventott’anni, mentre Cacciatore-di-Daini gli era di parecchi anni più giovane. Il loro vestire non richiederà una descrizione particolare, benché sia forse opportuno aggiungere che si componeva in buona parte di pelli di daino conciate, e offriva i consueti indizi del vestire di coloroche trascorrevano a quel tempo i loro giorni fra le estreme propaggini del mondo civile e le foreste sterminate. Vi era però, ciononostante, una certa ricercatezza di eleganza e di pittoresco nell’abbigliamento di Cacciatore-di-Daini, soprattutto per quel che riguardava le sue armi e il suo equipaggiamento. La sua carabina era in condizioni perfette e il manico del suo coltello da caccia era minutamente scolpito, il corno in cui conservava la polvere da sparo era ornato di motivi ispirati alla caccia e la sua cartucciera era tutta infiorata di conchiglie. Hurry Harry invece, o per la sua trascuratezza congenita, o per una segreta consapevolezza di quanto poco abbisognasse la sua prestanza fisica di aiuti artificiali, indossava qualsiasi cosa con noncuranza, quasi provasse un nobile disprezzo per tutti i vani accessori del vestire e dell’ornamento. Ma forse questa indifferenza sdegnosa e comunque non studiata aumentava anziché diminuire l’effetto insolito prodotto dalla sua aitante persona.

    «Andiamo, Cacciatore-di-Daini, fatti sotto, e mostra di possedere uno stomaco di Delaware e non soltanto un’educazione di Delaware, come sei solito vantarti», gridò Hurry, e diede il buon esempio aprendo la bocca per infilarvi una fetta di cacciagione fredda che avrebbe fornito a un contadino europeo un intero pasto; «fatti sotto, figliolo, e mostra su questa povera diavola di daina la forza della tua virilità anche con i tuoi denti, come già hai fatto con la tua carabina».

    «Eh, Hurry, non occorre grande virilità per ammazzare una daina, e fuori stagione per giunta; anche se possa esservene una certa dose nell’abbattere una pantera o un giaguaro», replicò l’altro disponendosi a ubbidire all’invito del compagno. «I Delaware mi hanno dato questo soprannome non tanto per l’audacia del mio cuore, quanto per la prontezza del mio occhio e l’agilità del mio piede. Non c’è nessuna vigliaccheria nel prevalere su una daina, ma neppure grande coraggio»

    «Per quel che li riguarda personalmente, però, i Delaware sono tutt’altro che eroi: se lo fossero non avrebbero mai permesso a quei vagabondi saltatori di Mingo di ridurli femmine».

    «Questo è un punto che non è mai stato ben chiarito o compreso», replicò con veemenza Cacciatore-di-Daini, il quale era fervente come amico, quanto il suo compagno era pericoloso come nemico; «i Mingo riempiono i boschi delle loro menzogne, e disconoscono parole e trattati. Io vivo con i Delaware da dieci anni, ormai, e li conosco per gente virile quanto qualsiasi altra, quando si presenti il momento giusto di colpire».

    «Ascolta, Messer Cacciatore-di-Daini, dal momento che siamo sull’argomento converrà che ci diciamo quello che pensiamo da uomo a uomo. Rispondi a questa sola domanda: tu devi aver avuto per quel che riguarda la selvaggina molta fortuna, lo dimostra del resto il tuo appellativo, ma hai mai colpito un essere umano o comunque dotato di ragione, hai mai premuto il grilletto contro un nemico capace di fare altrettanto nei tuoi confronti?»

    Questa domanda produsse nell’animo del giovane una curiosa lotta di sentimenti, preso com’era tra la mortificazione e il bisogno di dire la verità, lotta facilmente discernibile nel tormento delle sue ingenue fattezze, ma fu un confitto breve, ché la sua dirittura morale ebbe ben presto il sopravvento su ogni falso orgoglio e vanteria, difetti in genere caratteristici della gente di frontiera.

    «Per dire la verità, non mi è mai capitato, anche perché non mi se n’è mai offerta l’occasione propizia», rispose Cacciatore-di-Daini. «I Delaware si sono sempre mostrati pacifici, durante tutto il mio soggiorno presso di loro, e io ritengo che sia sleale prendere la vita di un uomo se non in guerra aperta e generosa».

    «Cosa! Non hai mai trovato un tizio che tentasse di rubacchiare tra i tuoi calappi e le tue pelli, e non hai cercato di farti giustizia da solo, con le tue mani, risparmiando così un sacco di noie ai magistrati dei Possedimenti e al farabutto le spese del processo?».

    «Io non sono un trapper, Hurry», rispose orgogliosamente il giovane; «io vivo della mia carabina, arma con la quale mi sentirei di gareggiare con qualsiasi uomo della mia età tra l’Hudson e il San Lorenzo. Non offro mai una pelle che non abbia un buco nella testa oltre a quelli fattivi da madre natura per vedervi o respirarvi attraverso».

    «Eh, eh, questo ragionamento va benissimo per quel che riguarda il mondo animale, ma fa una meschina figura quando si tratta di scotennamenti e di imboscate. Sparare a un indiano da dietro a un cespuglio significa agire secondo i suoi stessi principi, e ora che abbiamo per le mani quella che tu chiami una guerra legittima, quanto più presto ti sbarazzerai di simili calamità, tanto più sodo dormirai, se i tuoi sonni dipendono soltanto dal sapere che esiste nei boschi un nemico di meno in agguato. Non frequenterò a lungo la tua compagnia, amico Natty, a meno che tu non aspiri a un bersaglio ben più alto di qualche miserabile animale a quattro zampe su cui esercitare la tua carabina».

    «Il nostro viaggio è già bell’e terminato, se tu pensi questo, Padron March, e possiamo separarci stasera stessa, qualora ti sembri opportuno. Io ho un amico che mi aspetta, il quale non ritiene affatto vergognoso accompagnarsi a un uomo che non ha mai ucciso un suo simile».

    «Pagherei non so quanto per sapere che cosa ha portato in questo tratto di paese e così fuor di stagione quella gatta morta di un Delaware», borbottò Harry tra i denti per mettere bene in mostra la propria diffidenza e al tempo stesso quasi il dispetto di dover rivelare il suo pensiero. «Dove devi incontrarti con il giovane capo, hai detto?».

    «Presso una roccia piccola e rotonda, vicino alla riva del lago, dove, mi dicono, le tribù si riuniscono per stringere alleanze e per seppellire le asce di guerra. Ho spesso udito parlare dai Delaware di questa roccia, sebbene tanto questa quanto il lago mi siano parimenti sconosciuti. Il territorio è conteso dai Mingo e dai Mohicani contemporaneamente, e rappresenta una specie di terreno comune di caccia e di pesca: questo in tempo di pace; in guerra il Signore soltanto sa quello che può diventare!»

    «Terreno comune!», esclamò Harry, scoppiando in una sonora risata.

    «Mi piacerebbe sapere che cosa ribatterebbe a queste parole Tom Hutter! Egli sostiene che il lago sia proprietà sua, in virtù di un possesso di quindici anni, e non ha intenzione di darlo via senza lottare né a Mingo né a Delaware».

    «E la Colonia che ne pensa di un fatto simile? Il territorio deve pur avere un proprietario, e l’ingordigia dei signori aspira al possesso di queste solitudini, anche se non osano arrischiarsi di persona a darvi una occhiata sia pure superficiale».

    «Questi sistemi potranno andare in altri settori della Colonia, Cacciatore-di-Daini, ma certo non qua. A eccezione del Signore non un solo essere umano possiede sia pure un palmo di terreno in questo tratto di paese. Come ho inteso dire più volte dal vecchio Tom, non si è mai messo inchiostro su carta, per quanto riguarda queste colline e queste valli che ci circondano; perciò egli ne reclama il diritto di prelazione su ogni altro essere vivente; e Tom è tipo da sostenere quello che asserisce».

    «Da quel che ti ho inteso dire, Hurry, questo Tom non deve essere un uomo come gli altri; non è né un Mingo né un Delaware né un viso pallido. Anche il suo dominio dura da molto tempo, secondo quel che mi dici, e senza alcun limite di frontiere. Qual è dunque la sua storia, e che tipo è?».

    «Ecco, se vuoi sapere come sia il carattere del vecchio Tom, non posso dire che assomigli molto a quello degli altri uomini, ma ha piuttosto il temperamento del topo muschiato, giacché segue assai più le abitudini di questo animale che non quelle dei suoi simili a due zampe. Alcuni pensano che in gioventù abbia scorrazzato in lungo e in largo sull’acqua salata, e sia stato il compagno di un certo Kid che fu impiccato per atti di pirateria molto tempo prima che tu e io si fosse nati; dicono anche che si sia trasferito in seguito in queste regioni, ben sapendo che la flotta del Re non avrebbe mai valicato le montagne e che tra i boschi avrebbe potuto godersi in pace il suo bottino».

    «In tal caso aveva torto, Hurry, torto marcio. Nessuno può godersi in pace i frutti di un bottino, in nessun luogo».

    «Questo dipende da come è fatto il cervello di ciascuno di noi. Ho conosciuto certi che non si divertivano affatto se non nel bel mezzo di una baldoria e altri invece che se la godevano un mondo soltanto quando se ne stavano appartati in un angolino. Vi sono alcuni che non hanno pace se non trovano da predare, e altri invece che sono infelici nel caso contrario. La natura umana è assai arzigogolata a questo riguardo. Il vecchio Tom non mi sembra appartenere a nessuna di queste categorie, perché ammesso che le sue ricchezze siano effettivamente il frutto di saccheggi, egli se le gode con le sue figliole in una maniera assai tranquilla e pacifica, e non desidera altro».

    «Ah, ha anche delle figlie? Ho inteso i Delaware, che hanno cacciato parecchio da queste parti, raccontare molte storie sul conto di queste ragazze. Ma non c’è una mamma, Hurry?».

    «C’era una volta, come è logico; ma da due anni è morta e affondata».

    «Come dici?», domandò Cacciatore-di-Daini, fissando il compagno con una certa sorpresa.

    «Dico morta e affondata e spero di esprimermi in buon inglese. Il vecchio calò sua moglie nel lago, cosa di cui sono certo avendo assistito personalmente alla cerimonia; ma se Tom abbia fatto questo per risparmiarsi la fatica di scavare una fossa, il che tra tante radici non è impresa facile, oppure nel convincimento che l’acqua lava i peccati più rapidamente della terra, proprio non te lo saprei dire».

    «La povera donna era dunque così cattiva da costringere il marito darsi tanta pena per mondare il suo cadavere?».

    «Non eccessivamente, benché, si capisce, avesse i suoi difetti. Ritengo che Judith Hutter debba essere stata graziosa e dotata più o meno di tutte le qualità atte a fare di una donna una buona moglie quanto qualsiasi altra vissuta al pari di lei e per tanto tempo lontana da qualsiasi scampanio di chiesa; perciò immagino che il vecchio Tom l’abbia calata a fondo un poco per risparmiar fatica, ma un poco anche per darle una lezioncina. Devo convenire che la donna aveva un caratterino d’acciaio, e siccome il vecchio Hutter ha molto della pietra focaia, ogni tanto, quando si scontravano, lanciavano scintille, ma nel complesso si può dire che siano vissuti insieme d’amore e d’accordo. Quando però prendevano fuoco chi li ascoltava coglieva certi scorci delle loro esistenze passate come se ne vedono nei recessi più cupi della foresta, quando un raggio di sole vagabondo riesce a farsi strada sino alle radici dei tronchi. Io comunque stimerò in eterno Judith, per il semplice fatto che essa è stata la madre di una creatura inuguagliabile qual è l’attuale Judith Hutter!».

    «Ecco, Judith appunto era il nome fattomi dai Delaware, benché essi lo pronunciassero a modo loro. Dai loro discorsi non credo che quella ragazza debba essere molto di mio gusto».

    «Di tuo gusto!», esclamò March, che l’indifferenza e la presunzione del compagno sdegnavano in egual misura. «Come diavolo puoi parlare tu di gusti, e soprattutto trattandosi di una donna? Tu non sei che un ragazzo… un alberello che non ha ancora messo radici. Judith ha avuto degli uomini veri tra i suoi spasimanti, e questo sin da quando aveva quindici anni, cioè quasi cinque anni fa, e lei non si abbasserebbe a degnare di una sola occhiata un mezzo uomo come te!».

    «È il mese di giugno e non c’è una sola nuvola tra noi e il sole, Hurry, perciò tutto questo tuo calore è superfluo», replicò l’altro, per nulla turbato; «tutti i gusti sono gusti, e anche uno scoiattolo ha il diritto di dire quello che pensa di un giaguaro».

    «Certo, ma può non essere sempre saggio permettere al giaguaro di conoscere il tuo pensiero», borbottò March. «Tu però sei giovane e impulsivo e non terrò conto della tua ignoranza. Su, Cacciatore-di-Daini», soggiunse poi con una risata cordiale, dopo essersi soffermato un istante a riflettere; «noi siamo amici per la pelle e non staremo certo a litigare per una cavallina capricciosa e sventata, soltanto perché il caso vuole che sia anche bella; tanto più che tu non l’hai mai vista. Judith è soltanto per uomini che abbiano i denti solidi; perciò è sciocco aver timore di un ragazzo. Ma che cosa ti hanno detto di lei i Delaware? Poiché gli indiani, dopo tutto, in fatto di donne se ne intendono anche loro quanto qualsiasi bianco».

    «Mi hanno detto che è molto graziosa a vedersi, e di parola gradevole; ma che le piace troppo essere corteggiata e che è senza cervello».

    «Che demoni incarnati! Del resto chi può far da maestro a un indiano in quanto a conoscenza della natura umana? Alcuni ritengono che siano abili soltanto nel seguire una pista, o sul sentiero di guerra, ma io dico che sono filosofi, e sanno capire gli uomini quanto capiscono i castori, e conoscono le donne quanto questi e quelli. Ti hanno descritto il carattere di Judith fatto e sputato! Se devo dirti la verità, Cacciatore-di-Daini, io avrei sposato quella ragazza già da due anni se non fosse stato per due particolari motivi, uno dei quali appunto è la sua sventataggine».

    «E qual è l’altro?», domandò il cacciatore che aveva seguitato a mangiare tranquillamente, mostrando assai scarso interesse all’argomento.

    «L’altro motivo fu dovuto a una certa irresolutezza da parte sua nei miei riguardi. La ragazza è molto bella, e lo sa. Figliolo, non c’è un albero che cresca su queste colline più diritto di lei, né che ondeggi al vento con più naturalezza e disinvoltura. Se ciò fosse tutto, ogni lingua ne canterebbe le lodi, ma ha alcuni difetti che mi riesce difficile di superare, e a volte giuro di non tornare mai più al lago».

    «Questo è il motivo per il quale ci ritorni sempre! Non vi è nulla di peggio che giurare su simili argomenti».

    «Ah, Cacciatore-di-Daini, tu sei novellino di queste cose; ti mantieni fedele alle buone maniere come se non avessi mai lasciato i Possedimenti. Per me il caso è diverso, e non posso ribadire un’idea senza provare il desiderio di giurarci sopra. Se tu sapessi tutto quello che io so nei confronti di Judith, troveresti una certa giustificazione alla mia voglia d’imprecare, ogni tanto. Dunque, di quando in quando vengono sul lago per cacciare e pescare gli ufficiali di stanza nei fortini sul Mohawk, e allora sembra che quella figliola esca di senno! Lo capisci dal modo come si agghinda con i suoi vestiti migliori e dalle arie che si dà con quei bellimbusti».

    «Tutto questo mi sembra poco adatto alla figlia di un pover’uomo», replicò gravemente Cacciatore-di-Daini; «gli ufficiali sono gente fine e se si occupano di una ragazza come Judith non possono che farlo con cattive intenzioni».

    «Qui sta appunto il guaio! Io ho i miei dubbi a proposito di un certo capitano e, se m’inganno, Jude non ha che biasimare se stessa e la sua leggerezza. Dopo tutto io non desidero di meglio che considerarla una ragazza modesta e gentile e tuttavia le nubi che vagano su queste colline sono meno malfide di lei. Da quando era bimba non più di dodici uomini bianchi le hanno posto gli occhi addosso, eppure bisogna vedere che arie di donna fatale si dà con due o tre di questi ufficiali!».

    «Io se fossi in te non penserei più a una ragazza simile, ma dedicherei decisamente ogni mio affetto alla foresta; questa non t’ingannerà mai, perché è ordinata e guidata da una mano che non trema».

    «Se tu conoscessi Judith capiresti che è molto più facile predicare che agire. Se riuscissi a tranquillizzarmi sul conto degli ufficiali trascinerei di forza la ragazza al Mohawk, la costringerei a sposarmi malgrado tutti i suoi tentennamenti e lascerei il vecchio Tom a custodire Hetty, l’altra figliola, la quale se non è intelligente e bella come la sorella è però molto più ragionevole».

    «C’è dunque un altro uccellino nello stesso nido?», domandò Cacciatore-di-Daini inarcando le sopracciglia, lievemente incuriosito. «I Delaware mi hanno sempre parlato di una sola figliola».

    «Il che è più che naturale, trattandosi di Judith e di Hetty Hutter. Hetty è semplicemente graziosa, mentre sua sorella, te lo ripeto, amico mio, è tale che non se ne trova un’altra, uguale a lei, da qui al mare. Judith è piena di spirito, di scilinguagnolo, di astuzia, sembra un vecchio oratore indiano, mentre la povera Hetty è a parer mio un pozzo d’ignoranza, e talvolta mi sembra sul punto di oscillare sulla linea di demarcazione che divide questa dall’imbecillità».

    «Sono creature come lei quelle che il Signore tiene in particolare custodia», replicò solennemente Cacciatore-di-Daini, «poiché egli considera con speciale amore tutti coloro cui manca la debita porzione di raziocinio. I pellirosse onorano e rispettano gli esseri così dotati, perché sanno che lo Spirito Maligno si compiace maggiormente di dimorare in un corpo ricco di artifici che non in uno che non possieda in sé alcuna astuzia».

    «Ma io ti garantisco che lo Spirito Maligno non dimorerebbe a lungo nella povera Hetty. Il vecchio Tom ha un debole per lei, e così pure Judith, malgrado tutta la sua prontezza d’ingegno; se così non fosse non la riterrei affatto sicura in mezzo alla genia di uomini che a volte si radunano sulle rive del lago».

    «Credevo fosse uno specchio d’acqua sconosciuto e poco frequentato», mormorò Cacciatore-di-Daini, che il pensiero di essere troppo vicino al mondo rendeva palesemente inquieto.

    «È proprio così, figliolo, se pensi che vi si sono posati sopra gli occhi di non più di venti uomini bianchi; ma se pensi che si tratta di venti uomini di frontiera… cacciatori, accalappiatori, esploratori e gente simile… sono tipi che possono fare guai grossi, se ci si mettono. Cacciatore-di-Daini, sarebbe una cosa terribile per me se trovassi Judith sposata dopo sei mesi di assenza!».

    «Hai la promessa della ragazza per sentirti incoraggiato a sperare altrimenti?».

    «Affatto. Non so come sia… sono un bel figliolo, amico; questo posso ben vederlo entro ogni fonte su cui batte il sole… eppure non sono mai riuscito a strapparle una promessa, nemmeno un sorriso cordiale, consenziente, ancorché lì per lì rida tutta contenta. Se ha osato sposarsi durante la mia assenza conoscerà le gioie della vedovanza ancor prima di aver compiuto i vent’anni!».

    «Hurry, non oseresti recare offesa all’uomo che ella avrebbe scelto per il semplice fatto che lo ha trovato più di suo gradimento di te?».

    «E perché no? Se un nemico mi attraversasse il sentiero non lo caccerei forse via, fuor della mia strada? Guardami… sono forse uomo da permettere al primo miserabile mercante di pellicce che si presenti strisciando e supplicando di scavalcarmi in una questione che mi tocca tanto da vicino quanto l’affetto di Judith Hutter? Del resto, quando si vive al di fuori della legge, bisogna fare da soli da giudici e da carnefici. E se un uomo dovesse essere trovato morto nei boschi chi potrebbe dire chi lo ha ucciso, anche ammettendo che la Colonia prendesse in mano la cosa e ne facesse scalpore?».

    «Se quest’uomo dovesse essere il marito di Judith Hutter, dopo quanto mi hai detto ne avrei abbastanza, di cose da rivelare, da mettere la Colonia almeno sulla giusta pista».

    «Tu!… tu, mezza cartuccia, cacciatore di selvaggina, moccioso! Provati a far la spia ai danni di Hurry Skurry anche solo per quanto riguarda un visone o una marmotta!».

    «Hurry, io direi sempre la verità, sia nei tuoi confronti sia nei confronti di ogni uomo vivente».

    Per un attimo March fissò il compagno con silenzioso stupore, poi, afferratolo alla gola con entrambe le mani prese a scuoterne il corpo apparentemente fragile con una violenza che minacciava di stritolarlo. Né Hurry agiva certo per scherzo, poiché gli occhi gli fiammeggiavano di collera, e vari segni dimostravano come egli fosse spinto da un impulso di rabbia che la futilità del movente non giustificava certo! Quali potessero essere le vere intenzioni di March, ed è probabile d’altronde che non vi fosse nel suo animo alcuna determinazione precisa, il fatto è che egli era smodatamente infuriato; la maggior parte degli uomini, se si fosse venuta a trovare attanagliata alla gola da un gigante di quelle proporzioni, in un analogo accesso d’ira e in una solitudine altrettanto sterminata e totale, si sarebbe sentita impaurita e tentata di cedere, anche se nel giusto. Ma questo non era certamente il caso per Cacciatore-di-Daini. Il suo aspetto rimase impassibile, le sue mani non ebbero un tremito e la risposta ch’egli diede fu proferita con una voce che non ricorreva all’artificio di toni più elevati sia pure per dimostrare la risolutezza di chi parlava.

    «Puoi scuotere e squassare fino ad abbattere la montagna, Hurry», disse tranquillamente, «ma da me non caverai altro che la verità. È probabile che tu non abbia da uccidere nessun marito di Judith Hutter, né che mai ti si presenti l’occasione di appostarti dietro una fratta per colpirlo, perché nella prima conversazione che mi capiterà di avere con la ragazza potrei raccontarle della tua minaccia».

    March allentò la sua stretta e ristette a fissare il compagno in un silenzio meravigliato.

    «Pensavo fossimo amici», disse infine, «ma questo è l’ultimo segreto mio che mai avranno udito le tue orecchie».

    «Io non voglio i tuoi segreti, se devono essere tutti come questo. Lo so che noi viviamo nelle foreste, Hurry, e che ci crediamo al di sopra delle leggi umane… e forse lo siamo, in realtà, ancorché ciò possa essere ingiusto; ma esistono una legge e un legislatore che governano l’intero universo. Chi non rispetta questa legge e questo legislatore non si arrischi di chiamarmi amico».

    «Che io mi scanni, Cacciatore-di-Daini, se tu anziché essere, come pretendi, un semplice cacciatore dall’animo bonaccione, non sei invece in fondo al cuore un Moravo, un protestante eretico!».

    «Bonaccione o no, Hurry, tu mi troverai semplice negli atti così come lo sono nelle parole. Ma questo tuo abbandonarti a collere improvvise è puerile, e dimostra quanto poco tempo tu abbia dimorato con gli uomini rossi. Sicuramente Judith Hutter non è ancora sposata e tu hai parlato tanto per muovere la lingua, non già come ti dettava il cuore. Eccoti la mia mano, non pensiamo più a questo incidente e non parliamone più».

    Hurry apparve più che mai sorpreso, ma improvvisamente scoppiò in una forte risata bonaria che gli riempì gli occhi di lacrime. Quindi accettò la mano che gli veniva tesa ed esclamò, rimettendosi a mangiare:

    «Sarebbe stato davvero idiota litigare per una semplice presunzione: ciò è degno degli avvocati delle città, non di gente come noi, uomini sensati dei boschi. Mi dicono, Cacciatore-di-Daini, che tra la gente delle terre basse la lotta per le idee fa sgorgare molto sangue e che a volte costoro per difenderle arrivano agli estremi».

    «È così, infatti… è così; e anche per altre cose che molto meglio sarebbe non discutere. Ho inteso dire dai Moravi che vi sono dei paesi in cui gli uomini litigano persino a proposito della religione, e se non riescono a mettersi d’accordo su un argomento come quello, allora, Hurry, che il Signore abbia pietà di loro. Comunque non è il caso che noi seguiamo il loro esempio e soprattutto a proposito di un marito che probabilmente questa Judith Hutter non avrà mai, o non desidererà mai di avere. Per parte mia provo più curiosità nei confronti della sorellina semi-deficiente che non per la tua bellezza. Vi è qualcosa che commuove il sentimento umano quando ci si avvicina a un nostro simile il quale ha tutto l’aspetto esteriore di un comune mortale, ma non riesce a essere quello che sembra, unicamente per mancanza di raziocinio. Questo è già triste in un uomo, ma quando si tratta di una donna, giovane per di più e magari graziosa, tutti i nostri sentimenti di pietà sono sconvolti e agitati. Hurry, Dio sa se queste povere creature sono già abbastanza indifese anche quando siano provvedute di tutta la loro intelligenza, ma quanto più crudele è la loro sorte quando vien loro meno l’alta protezione e la sicura guida dell’intelletto».

    «Ascolta, Cacciatore-di-Daini… tu sai che razza di gente sono di solito i cacciatori, gli accalappiatori e i trafficanti di pellicce. E persino i loro migliori amici non potranno negare la loro cocciutaggine e la loro ostinazione quando vogliono quel che a loro piace, senza riguardi per i diritti e i sentimenti altrui; eppure non credo si possa trovare un solo uomo in tutta questa regione il quale oserebbe torcere un capello a Hetty Hutter; no, neppure un pellerossa».

    «In questo almeno, amico Hurry, tu rendi giustizia ai Delaware e a tutte le tribù loro alleate, poiché un pellerossa considera un essere così colpito dalla potenza di Dio come posto sotto la Sua speciale custodia. Mi rallegro nell’udirti dire questo, comunque, me ne rallegro di cuore; ma poiché il sole incomincia a volgere verso il cielo pomeridiano non ci converrebbe rimetterci sulla pista e proseguire il nostro viaggio? Avremo così l’occasione di vedere finalmente queste straordinarie sorelle».

    Harry March acconsentì di buon grado a questa proposta. I resti della colazione furono ben presto riposti, dopodiché i viaggiatori si rimisero i sacchi in spalla, ripresero le armi e abbandonando la piccola zona di luce si rituffarono nelle cupe profondità della foresta.


    ¹ Harry Frettoloso

    ² Fretta e Furia

    II.

    I nostri due avventurieri non ebbero da fare molta strada. Hurry, non appena ebbe trovato la radura e la sorgente, riconobbe la direzione e subito proseguì con il passo fiducioso di chi è sicuro della propria meta. La foresta era sempre cupa, naturalmente, ma non più impedita dal sottobosco, e il suo suolo era duro e asciutto. Dopo aver camminato per un miglio circa March si fermò e incominciò a guardarsi attorno attentamente, esaminando con cura ogni particolare e volgendo di quando in quando gli occhi sui tronchi degli alberi caduti che disseminavano il terreno, come spesso accade nelle foreste americane, soprattutto in quelle regioni dove il legname non è ancora divenuto pregiato.

    «Questo deve essere il posto, Cacciatore-di-Daini», osservò infine March; «ecco qua un faggio, presso questo arbusto di cicuta, con tre pini vicini, e guarda laggiù quella betulla bianca dalla cima spezzata; non vedo però nessuna rupe, né alcun ramo piegato, come ti avevo detto doveva essere».

    «I rami spezzati sono sempre punti di riferimento malsicuri, poiché anche i più inesperti sanno che i rami raramente si spezzano da soli», replicò l’altro; «inoltre infondono sospetti e creano il pericolo di essere scoperti. I Delaware non si fidano mai di rami spezzati, a meno che ciò non accada in periodi di amicizia, e soltanto su piste aperte. In quanto a faggi, pini, cicute, perbacco, se ne vedono da tutte le parti, qui intorno, e non due o tre soltanto, ma a dozzine, per non dire a centinaia».

    «Esattissimo, Cacciatore-di-Daini, ma tu non calcoli la posizione. Qui c’è un faggio e una cicuta…».

    «Già, e laggiù c’è un altro faggio e un’altra cicuta, vicini vicini come due fratelli che si vogliono bene o, meglio, assai più vicini di certi fratelli, e più lontano ancora ve ne sono altri, poiché queste due piante non costituiscono certo una rarità, nella foresta. Hurry, ho una gran paura che tu sia molto più capace a intrappolare castori e a cacciar orsi che non a far strada su una pista incerta. Ah! ma ecco quel che tu desideravi di trovare, malgrado tutto!».

    «Senti, Cacciatore-di-Daini, questa è una delle tue solite smargiassate da Delaware, perché che io m’impicchi se vedo qualcosa all’infuori di questi alberi che mi hanno l’aria di spuntare da ogni dove come per opera di magia».

    «Guarda da questa parte, Hurry… di qua, parallelamente alla quercia nera… non vedi una talea contorta che si attorciglia tra i rami del tiglio americano che le sta vicino? Ora quella talea fu una volta ricoperta di neve e si piegò così per eccesso di peso, ma non riuscì mai a raddrizzarsi e si abbarbicò come la vedi ora, tra i rami del tiglio. Fu una mano d’uomo a usare quell’atto di cortesia».

    «Quella mano era la mia!», esclamò Hurry; «ho trovato la poverina piegata come un disgraziato che l’avversità avesse abbattuto e inchiodato al suolo. Cacciatore-di-Daini, devo riconoscere però che i tuoi occhi stanno diventando abilissimi nello scoprire i misteri della foresta!».

    «Migliorano, Hurry… migliorano, lo ammetto; ma sono occhi da bambino a confronto di certi che conosco io. Non so se hai inteso parlare di Tamenund; è talmente vecchio che ben pochi si ricordano del tempo in cui egli era nel fiore degli anni; Tamenund ha una vista cui nulla sfugge, benché più che uno sguardo umano sembri il fiuto di un cane. In quanto a Uncas poi, padre di Chingachgook e capo legittimo dei Mohicani, è quasi impossibile passare inosservato ai suoi occhi. Sto migliorando, lo ammetto… ma sono ancora molto lontano dalla perfezione».

    «E chi è questo Chingachgook, di cui tanto discorri, Cacciatore-di-Daini?», domandò Hurry muovendo in direzione dell’alberello, «un pellerossa saltatore, senza dubbio».

    «Il migliore dei pellirosse saltatori, come tu li chiami, Hurry. Se gli fossero riconosciuti tutti i suoi diritti sarebbe un grande capo; ma così come stanno le cose è semplicemente un coraggioso e onesto Delaware; è rispettato e persino obbedito, sotto alcuni riguardi, questo è vero, ma proviene da una razza decaduta e appartiene a un popolo decaduto. Ah! Hurry Skurry, ti si scalderebbe il cuore in petto se tu sedessi sotto le loro tende durante una notte d’inverno ad ascoltare le leggende che ricordano le antiche grandezze e la potenza dei Moicani!».

    «Ascolta, amico Nathaniel», disse Skurry fermandosi di botto di fronte al compagno per dare maggior peso alle proprie parole, «se un uomo credesse a tutto ciò che la gente si compiace di affermare nei confronti di se medesima finirebbe col farsi un’opinione eccessiva degli altri e un concetto eccessivamente modesto di sé. I pellirosse sono dei gradassi di calibro notevole e io ritengo che almeno metà della loro fama sia semplice chiacchiera».

    «Vi è del vero in quanto tu dici, Hurry, non posso negarlo, perché io ho constatato e visto questo con i miei occhi. Sono vantatori, infatti, ma ciò dopo tutto è un loro dono di natura, ed è male opporsi alle doti naturali degli uomini. Ma guarda: ecco il posto che cercavi!».

    Questa scoperta tagliò corto alla discussione e i due uomini rivolsero immediatamente tutta la loro attenzione all’oggetto che stava loro dinanzi. Cacciatore-di-Daini indicò al compagno il tronco di un tiglio enorme che aveva fatto il suo tempo ed era caduto per effetto del suo stesso peso. Quest’albero, al pari di tanti milioni di suoi confratelli, giaceva nel punto in cui si era abbattuto e andava a poco a poco corrompendosi sotto il lento ma sicuro influsso delle stagioni. Il processo di decomposizione lo aveva però attaccato nel centro, quando ancora si ergeva diritto nella pienezza del suo rigoglio vegetale, scavandogli il cuore così come la malattia distrugge a volte i punti vitali della vita animale quando all’occhio dell’osservatore si presenta tuttora all’esterno un aspetto apparentemente bello e sano. Nel vederlo disteso così a terra, per una lunghezza di quasi trenta metri, lo sguardo acuto del cacciatore scorse questa caratteristica dell’albero e da ciò nonché da altre circostanze arguì che quella doveva essere la pianta di cui March andava in cerca.

    «Ecco proprio quello che volevamo», esclamò Hurry guardando entro la base del tiglio; «tutto è a posto come se fosse stato lasciato nella credenza di una vecchia nonnina. Su, dammi una mano, Cacciatore-di-Daini, e tra mezz’ora vogheremo in barchetta».

    A questa richiesta il cacciatore si affrettò a unirsi al compagno e i due si misero all’opera prontamente, metodicamente, con il piglio di gente abituata a quel genere di bisogna. Per prima cosa Hurry tolse alcuni pezzi di corteccia che erano stati disposti intorno e sopra la cavità del tronco in un modo che l’altro dichiarò assai più destinata ad attirare l’attenzione di un eventuale passante che non a dissimularne l’apertura. Trassero quindi fuori una canoa di corteccia, contenente sedili, pagaie e altri accessori, comprese lenze e canne da pesca. Era un’imbarcazione tutt’altro che piccola, ma la sua leggerezza era tale in paragone alla forza gigantesca di Hurry che questi se la caricò in spalla con la massima disinvoltura, rifiutando qualsiasi aiuto, malgrado l’equilibrio instabile con cui era costretto a reggerla.

    «Tu vai avanti, Cacciatore-di-Daini, a diradare i cespugli», disse March. «Il resto lo faccio da me».

    L’altro obbedì e i due si allontanarono, Cacciatore-di-Daini spianando il cammino al compagno e piegando ora a sinistra, ora a destra a seconda delle istruzioni impartitegli da quest’ultimo. In capo a dieci minuti circa uscirono all’improvviso nella fulgida luce del sole, su una punta ghiaiosa che l’acqua lambiva sin quasi a metà.

    Dalle labbra di Cacciatore-di-Daini proruppe un’esclamazione di sorpresa, esclamazione tuttavia sommessa e guardinga poiché i suoi modi erano assai più pensosi e riflessivi di quelli dell’avventato Hurry, allorché, giunto al margine del lago, scorse un panorama che il suo occhio non si aspettava di vedere. Era in verità uno spettacolo degno di meritare una breve descrizione. Al livello della punta si stendeva un vasto specchio d’acqua, talmente placido e limpido da assomigliare a una coppa di pura aria montana premuta entro una cerchia di colline e di boschi. Si stendeva in lunghezza per circa tre leghe, mentre la sua ampiezza era invece piuttosto irregolare, raggiungendo il mezzo miglio e anche più di contro alla punta e restringendosi a meno di un quarto di miglio più a sud. Naturalmente i suoi margini erano irregolari, dentellati com’erano da baie e interrotti da numerose, basse e sporgenti lingue di terra. Alla sua estremità settentrionale o più prossima era delimitato da una montagna isolata, mentre tutt’attorno digradava con curve graziose in direzione est ed ovest un tratto di terreno pianeggiante. Comunque l’aspetto del paesaggio era montagnoso; si levavano bruscamente dall’acqua, per la quasi totalità del suo perimetro, alte colline, o basse montagne. Le eccezioni in verità servivano soltanto a variare un poco la scena, ed anche là dove alcuni tratti del lido erano relativamente bassi, il paesaggio di sfondo, sebbene più lontano, era rupestre.

    Ma ciò che maggiormente colpiva di quello scenario era la sua solitudine solenne e il dolce senso di riposo che ne emanava. Da ogni parte, ovunque l’occhio si volgesse, non si scorgeva che la specchiante superficie del lago, la placidità serena del cielo, la fitta cerchia dei boschi. I contorni della foresta erano talmente morbidi e folti che non era possibile notarvi alcun varco, cosicché tutta la terra visibile, dalla tondeggiante cima della montagna al pelo dell’acqua, presentava una unica uniforme, ininterrotta sfumatura di verde. Quasi che la vegetazione non si accontentasse di un così completo trionfo, gli alberi si piegavano sul lago stesso, svettando verso la luce; e ve ne erano a migliaia lungo la sua riva orientale, dove un’imbarcazione avrebbe potuto tranquillamente ormeggiarsi sotto i rami di fosche cicute d’una cupezza rembrandtiana, di pioppi tremuli, di malinconici pini. In una parola, la mano dell’uomo non aveva ancora sfigurato e deformato quella scena primigenia, immersa nella radiosa luce solare, fulgida visione di lussureggiante opulenza boschiva, rammorbidita dalla balsamica dolcezza del giugno e ravvivata dalla piacevole bellezza offerta da una così vasta distesa d’acqua.

    «Che splendore! Che solennità! Che edificazione per lo spirito uno spettacolo come questo!», esclamò Cacciatore-di-Daini, che si era fermato a contemplare estasiato la scena, appoggiato alla propria carabina; «non un albero è stato disturbato, neppure da mano di pellerossa, tutto vi è stato lasciato secondo l’ordinamento del Signore, per vivervi e morirvi secondo i Suoi disegni e le Sue leggi! Hurry, la tua Judith dovrebbe essere una giovane donna dotata di tutti i princìpi della morale e della saggezza, se ha trascorso tanto tempo in un luogo così favorito dal Cielo».

    «Questa è la nuda verità, eppure la ragazza ha i suoi capricci. Non ha trascorso qui tutto il suo tempo, però, poiché il vecchio Tom aveva l’abitudine, prima che io lo conoscessi, di recarsi a svernare nelle vicinanze dei Possedimenti o sotto i cannoni dei fortini. No, no, Jude ha imparato dai coloni e soprattutto da quei vanesi di ufficiali molto più di quanto sia utile al suo bene».

    «Se così è… ebbene, Hurry, questa è una scuola che le raddrizzerà di nuovo il cervello in poco tempo. Ma che cosa vedo laggiù, di fronte a noi, che sembra troppo piccola per essere un’isola e troppo grande per essere una barca, sebbene si trovi in mezzo al lago?».

    «Mah, è ciò che quei bellimbusti dei fortini chiamano il castello del Topo Muschiato, e persino il vecchio Tom ride di questo appellativo che pur tanto rammenta la sua natura e il suo carattere. Quella è la sua casa fissa, poiché ve ne sono due: questa che non si muove mai e l’altra che invece galleggia e si trova talvolta in una zona del lago, talvolta in un’altra. Quest’ultima è conosciuta col nome di arca, per quanto io non sappia dirti quale sia esattamente il significato di questa parola».

    «Verrà dai missionari, Hurry, dai quali ho inteso parlare e leggere di questa roba. Loro dicono infatti che la terra una volta era ricoperta di acqua e che Noè con i suoi figli si salvò dall’affogare costruendosi un naviglio chiamato appunto arca nel quale s’imbarcò a tempo. Tra i Delaware alcuni credono in questa tradizione, altri invece la negano, ma è giusto che tu e io, che siamo nati bianchi, ne asseriamo la veridicità. Vedi qualcosa di quest’arca?».

    «Sarà a sud, certamente, oppure si troverà ancorata in qualche baia. Ma la canoa è pronta e due pagaiatori come noi arriveranno al castello in quindici minuti».

    Cacciatore-di-Daini si affrettò ad aiutare il compagno a riporre nella canoa, che già galleggiava sull’acqua, i vari accessori. Quindi i due forestali si imbarcarono e grazie a una spinta vigorosa allontanarono di otto o dieci spanne da riva il leggero schifo. Hurry sedette a poppa, Cacciatore-di-Daini sul sedile di prua, e con lenti ma forti colpi di pagaia la canoa prese a scivolare sul placido specchio lacustre, puntando verso la straordinaria costruzione che March aveva definito col nome di castello del Topo Muschiato. I due uomini s’interruppero più volte dal pagaiare per soffermarsi a contemplare il paesaggio, ogniqualvolta si aprivano dietro le punte nuovi scorci che consentivano loro di meglio vedere le propaggini del lago o di godere una vista più ampia delle montagne boscose. Ma i soli mutamenti da essi notati consistevano negli aspetti nuovi delle colline, nella variata lunatura delle baie, nei più vasti tratti della vallata meridionale, che tutta la terra sembrava rivestita di un abito di gala di foglie.

    «Questa sì che è una vista che riscalda il cuore!», esclamò Cacciatore-di-Daini dopo che si furono fermati per la quarta o la quinta volta; «il lago sembra fatto apposta per permettere di cogliere uno sguardo delle nobili foreste, e la terra e l’acqua sembrano cantare la bellezza e la provvidenza di Dio! Tu dici dunque, Hurry, che non esiste nessun uomo il quale si proclami legittimo proprietario di tutte queste meraviglie?».

    «Nessuno all’infuori del Re, figliolo. Ma per quanto possa accampare qualche diritto del genere, è talmente lontano che le sue pretese non daranno mai fastidio al vecchio Tom Hutter, il quale ne ha preso possesso, e ha tutta l’intenzione di non cederlo fino a che resterà al mondo. Tom non è allevatore di bestiame, non possedendo terre, ma io lo chiamo un galleggiatore».

    «Lo invidio!… lo so che è male e lotto contro questo mio sentimento, ma francamente lo invidio! Non credere, Hurry, che stia almanaccando di mettermi nei suoi mocassini, poiché un pensiero simile non mi passa neppure per il cervello, ma non posso fare a meno di provare una certa invidia! È un sentimento naturale, e anche i migliori tra noi sono naturali, dopo tutto, e si abbandonano a volte a sentimenti come questi».

    «Non hai che da sposare Hetty per ereditare metà della tenuta», replicò Hurry ridendo, «la ragazza è carina e se non fosse per la bellezza di sua sorella la si potrebbe chiamare addirittura avvenente; d’altronde è dotata di così scarsa intelligenza che non ti sarebbe difficile indurla a ragionare a tuo modo a proposito di tutto e di tutti. Se toglierai dalle braccia del vecchio il peso di Hetty m’impegno io a fare in modo che lui ti dia un interesse su ogni daino che ti riuscirà di abbattere nel raggio di cinque miglia intorno a questo lago».

    «La selvaggina è abbondante?», domandò a un tratto l’altro, su cui il sarcasmo di March sortiva scarso effetto.

    «Ha tutto il paese per sé. Si odono ben di rado scattar grilletti, da queste parti, e in quanto agli accalappiatori non è questa una regione che frequentino molto. Nemmeno io ci verrei spesso se non fosse che Jude mi tira da una parte mentre il castoro mi chiama dall’altra. In queste due ultime stagioni mi è costata più di cento dollari spagnoli, mi è costata, e tuttavia non so resistere al desiderio di rivederla ancora una volta».

    «I pellirosse visitano spesso questo lago, Hurry?», chiese Cacciatore-di-Daini perseguendo il corso dei suoi pensieri.

    «Mah, vanno e vengono; qualche volta in gruppi, qualche volta isolati. Sembra che la zona non appartenga ad alcuna tribù indigena in particolare; ecco come è caduta nelle mani della tribù degli Hutter. Il vecchio mi raccontò che certi furbacchioni erano riusciti ad estorcerla ai Mohicani mediante un patto indiano, per farsene un titolo d’onore presso la Colonia, ma non se n’è concluso nulla, dal momento che alla cosa non si è interessato nessuno che possa avere le spalle abbastanza solide per sostenere una simile responsabilità. Comunque i cacciatori hanno di questo terreno vergine un buon contratto d’affitto a vita».

    «Tanto

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1