Compromesso con lo sceicco: Harmony Destiny
Di Tessa Radley
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Info su questo ebook
Quando la voce del deserto chiama, la passione accende i sensi e si compie un destino scritto nelle stelle.
Tessa Radley
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Compromesso con lo sceicco - Tessa Radley
1
Una mano maschile si agitò tra le volute di fumo, facendole cenno di muoversi.
Tiffany Smith strizzò gli occhi e riuscì a individuare Renate, seduta al bancone di marmo bianco del bar accanto a due uomini. Un’ondata di sollievo la travolse. Il club di Hong Kong era affollato, molto più di quanto avesse previsto. La musica assordante e le luci stroboscopiche l’avevano disorientata ed era tornata a provare l’ansia strisciante che già aveva sperimentato il giorno prima, quando all’aeroporto le avevano scippato la borsa con il passaporto, le carte di credito, gli assegni e tutto il denaro che possedeva.
Munita di due menu da cocktail, si diresse nella nebbia verso il trio. Il più vecchio dei due uomini aveva un aspetto piuttosto familiare, ma fu il più giovane che la seguì con lo sguardo – due occhi neri e penetranti, addirittura critici – mentre si avvicinava. Indossava un completo scuro e aveva un atteggiamento distante. Tiffany osservò i suoi zigomi alti, il naso sottile, il volto arrogante e sollevò il mento con aria di sfida per sostenere decisa il suo sguardo.
«Non so cosa voglia Rafiq» l’apostrofò Renate quando si avvicinò a loro, «ma Sir Julian desidera un gin and tonic. E io un cocktail allo champagne.»
Sir Julian! Certo! Ecco perché aveva un’aria familiare. Era Sir Julian Carling, il proprietario dei Carling Hotel. Se era quella, la clientela del Le Club, le mance sarebbero state stratosferiche.
Tiffany ringraziò ancora una volta la sua buona stella per averle dato la possibilità, il giorno prima, di incontrare Renate subito dopo aver lasciato l’ostello in cui aveva dormito in seguito al furto.
Quel giorno la ragazza le aveva offerto la colazione e le aveva proposto di recarsi con lei al Le Club per guadagnare qualche dollaro servendo da bere agli avventori.
Era stata sempre lei ad averle mostrato il posto dei vassoi per i cocktail allo champagne. In realtà si trattava di gassosa. Una bevanda economica per le ragazze, il cui compito era quello di far bere il più possibile gli avventori, addebitando loro anche i prezzi gonfiati delle gassose delle ragazze.
Tiffany aveva messo a tacere ogni scrupolo. In fondo Renate le aveva fatto un favore, e Sir Julian sembrava piuttosto soddisfatto alla prospettiva di coprire le spese per il finto champagne della ragazza.
Non erano affari suoi, si disse Tiffany. Avrebbe tenuto la bocca chiusa e avrebbe fatto quello che le veniva chiesto. Si trovava lì soltanto per le mance, e per quelle era disposta a sorridere finché non le avessero fatto male tutti i muscoli della faccia.
Guardò l’uomo più giovane, si apprestò a sorridergli, ma la sua espressione la bloccò. Aveva gli occhi velati, l’espressione cupa che nascondeva tutti i suoi pensieri, e anche in mezzo a quella folla sembrava in grado di creare il vuoto intorno a sé.
«Cosa posso portarvi da bere?»
«Renate ha indovinato. Per me gin and tonic» confermò Sir Julian.
«Per me una Coca-Cola. Con ghiaccio. Sempre che non si sia sciolto tutto.» L’uomo che Renate aveva chiamato Rafiq sorrise e il suo volto si illuminò, conferendogli un fascino che lasciò Tiffany senza fiato.
Era splendido.
«Certo. Torno subito da voi» mormorò imbarazzata.
«Saremo in uno dei tavoli sul retro» la informò Renate.
In realtà non le fu difficile trovarli, qualche minuto dopo. Servì i drink a Renate e a Sir Julian prima di rivolgersi al giovane seduto dall’altra parte del tavolo.
Rafiq. Era un nome che gli si addiceva: straniero, esotico, incredibilmente maschio. Senza una parola, Tiffany gli tese il bicchiere.
«La ringrazio.»
Per un folle istante, lei ebbe l’impressione di doversi genuflettere.
«Ecco, tieni.» Renate irruppe nei suoi pensieri tendendole il cellulare e per un attimo lei la fissò senza capire cosa avesse in mente. Poi la ragazza le fece cenno di scattare una foto, si strinse forte a Sir Julian e Tiffany sollevò il cellulare e fece un paio di scatti.
Soltanto nel veder lampeggiare il flash Sir Julian parve scuotersi dal torpore. «No, no, niente foto» protestò, agitando le mani.
«Chiedo scusa» mormorò Tiffany arrossendo come una scolaretta.
«Le ha cancellate?» La voce di Rafiq risuonò aspra.
Tiffany armeggiò alla svelta con i tasti del telefono. «Sì, sì, certo.» Si infilò il cellulare nella cintura di pelle che portava alla vita, ripromettendosi di controllare, più tardi, di aver effettivamente eliminato gli scatti.
«Brava.» Sir Julian le rivolse un sorriso di approvazione e lei riuscì a trarre un sospiro di sollievo. Non voleva farsi licenziare prima ancora di essere stata pagata.
«Siediti con noi, Tiff» la istruì in quel momento Renate. «Ecco, là, insieme a Rafiq.»
«Non credi che sia meglio che continui a servire gli altri tavoli?»
«Ti ho detto di sederti, Tiffany.» Non c’era alcuna traccia di dolcezza, nella voce di Renate.
Lei scoccò un’occhiata disperata agli altri tavoli. Molte ragazze erano sedute in compagnia degli avventori, sorbendo finto champagne, ma nessuna di loro dava l’impressione di aver bisogno di aiuto.
Non potendo fare altro che cedere, si appollaiò sul bordo del divanetto accanto a Rafiq e cercò di ignorare l’aria di disapprovazione con cui lui la fissava. Non aveva nessun motivo di guardarla dall’alto in basso.
«Ci vorrebbero delle luci più forti, quaggiù» commentò di punto in bianco.
Rafiq inarcò un sopracciglio. «Più forti? Non servirebbero allo scopo.»
«Quale scopo?»
«Quello di chiacchierare, si capisce.» La risata di Renate la lasciò sconcertata. «Nessuno parla, quando le luci sono troppo brillanti.»
«A me sembra piuttosto che sia il volume della musica a impedire la conversazione» obiettò ancora lei, ma si zittì in fretta.
Rafiq continuava a osservarla, e quello scrutinio attento la mise un tantino a disagio. «Vado a prendere qualcosa da bere» annunciò.
«Prendi un cocktail allo champagne» le suggerì Renate. «Sono squisiti. E portane un altro anche a me. Per Sir Julian, invece, un altro gin and tonic.»
Il ghigno sardonico di Rafiq le fece venire la pelle d’oca. Lui sapeva, realizzò Tiffany. Era al corrente del fatto che i drink delle ragazze non contenevano affatto alcol, ma che gli avventori li avrebbero pagati un occhio della testa. Forse, in sua presenza, era opportuno stare in guardia.
Dovettero trascorrere dieci minuti buoni prima che Tiffany trovasse il coraggio di tornare al tavolo con un altro vassoio di drink.
«Come mai ci hai messo tanto?» Renate sollevò lo sguardo verso di lei. «Jules sta morendo di sete» aggiunse, abbracciando l’uomo.
Jules?
Tiffany sgranò gli occhi. Erano bastati dieci minuti affinché Sir Julian Carling diventasse Jules. E Renate gli stava praticamente addosso, facendo le fusa come una gattina. Tiffany riprese posto accanto a Rafiq e ringraziò il cielo della freddezza che sembrava avvolgerlo. Nessuna donna si sarebbe potuta avvicinare tanto a lui da poter fare le fusa.
«Quello non mi sembra un cocktail allo champagne» commentò Rafiq guardando il suo bicchiere.
Lei fece spallucce. «Infatti è acqua.»
«E dov’è la bottiglia di Perrier?»
«È acqua del rubinetto» precisò lei. «Avevo sete.»
«E per questo ha scelto l’acqua del rubinetto?»
Era una nota incredula, quella che gli risuonava nella voce? Tiffany deglutì a fatica, di colpo sicura che a quell’uomo non sfuggisse un singolo dettaglio di quanto accadeva intorno a lui.
«Come mai non champagne?»
«Perché non ne bevo» replicò lei tranquilla.
«No?» Ancora una volta Rafiq parve perplesso.
«Non ho mai imparato ad apprezzarne il gusto.»
In realtà, detestava lo champagne da quando il padre e la madre avevano cominciato a offrirne a litri durante i ricevimenti che organizzavano a casa loro. L’emicrania che la affliggeva dopo quelle serate derivava dalla tensione causatale dalle feste, piuttosto che dalla bevanda stessa.
Un’improvvisa ondata di solitudine minacciò di travolgerla. Quelle feste erano ormai un ricordo del passato.
Il giorno prima aveva dovuto fare un grosso sforzo per reprimere la rabbia che aveva provato parlando con la madre. E subito dopo aveva telefonato al padre per chiedergli di mandarle dei soldi. E per fargli una ramanzina per ciò che aveva appreso.
Questa volta la poverina era rimasta davvero con il cuore infranto. Aveva dovuto tollerare per anni le scappatelle del marito, ma non aveva retto alla sua fuga con Imogen. Quella donna non era certo una stellina del cinema a caccia di denaro, ma era stata per anni la manager del padre.
Che diavolo! A Tiffany era sempre piaciuta. Si era addirittura fidata di lei. E adesso era fuggita chissà dove con suo padre.
Di Taylor Smith non c’era traccia. Chissà dove si era rifugiato con la sua nuova amante, per godersi una finta luna di miele?
«E cos’altro non le piace?» La voce di Rafiq fece irruzione nei suoi pensieri.
Come avrebbe reagito, si chiese Tiffany, se gli avesse risposto che non sopportava gli uomini arroganti che pensavano di essere un dono del cielo per tutte le donne sulla faccia della terra?
Lo sguardo duro e penetrante di lui, tuttavia, la fece desistere dal proposito di rispondergli per le rime. Si limitò a rivolgergli un sorriso fasullo e nel tono più dolce di cui era capace rispose: «Sono poche, le cose che non mi piacciono».
«Avrei dovuto immaginarlo.» Con quella replica, Rafiq serrò le labbra, assumendo un’espressione distante.
Che nelle sue parole ci fosse stata qualche frecciatina che le era sfuggita?, si domandò lei. Che avesse soltanto immaginato il tono irritato della sua risposta?
Dall’altra parte del tavolo, Renate sussurrò qualcosa all’orecchio di Sir Julian, il quale scoppiò a ridere e se l’attirò a sedere sulle ginocchia.
Consapevole del rossore improvviso che le salì alle guance, Tiffany azzardò un’occhiata in direzione di Rafiq. Anche lui stava osservando i giochetti degli altri due e un’aria di disapprovazione gli si era dipinta sul viso.
Ma cosa diavolo aveva in mente Renate?
Il suo comportamento la stava mettendo a disagio, la faceva sentire sporca.
Mandò giù ancora un sorso d’acqua, poi depose il bicchiere e scattò in piedi. «Ho bisogno del bagno» mormorò disperata.
Nella relativa quiete del bagno, Tiffany spalancò il rubinetto dell’acqua fredda e se la lasciò scorrere a lungo sulle mani e sui polsi, per poi chinare la testa e sciacquarsi il viso. Dietro di lei, sentì che qualcuno spalancava la porta.
«Non farlo.» Renate le afferrò un polso. «Ti rovinerai il trucco.»
«Ho caldo, mi sento soffocare» ribatté lei liberandosi della presa. Omise di aggiungere che si sentiva anche disgustata.
«Adesso mi toccherà rifarti il trucco.» Renate sembrava esasperata.
«Non è necessario.» Non intendeva farsi stendere sul viso un altro strato di fondotinta. «Ho caldo, il trucco non ha importanza. Non sono qui per trovare un uomo.»
«Ma hai bisogno di soldi» le fece notare l’altra, preparandosi ad aprire la trousse da trucco. «Jules dice che Rafiq è un collega. Deve avere un portafoglio ben fornito, se è in affari con lui.»
«Un portafoglio ben fornito?» ripeté Tiffany. «Vuoi dire che dovrei derubarlo?» Un’espressione incredula si diffuse