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La favola della governante
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E-book258 pagine5 ore

La favola della governante

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1811 - Joanna Radcliff ha sempre sognato il giorno in cui sarebbe diventata una governante e sarebbe entrata a far parte, in questo modo, di una famiglia per bene. Ma ora che è arrivata a Huntford Place, invece di un caloroso benvenuto, si è trovata ad affrontare una gelida accoglienza mista a indifferenza da parte dei suoi nuovi datori di lavoro. L'unica persona che sembra far caso a lei è il focoso Luke Kensington. Nonostante le loro appassionate conversazioni rubate e gli sguardi sfuggenti durante un ballo, Luke e Joanna sanno bene che le loro posizioni all'interno della società sono troppo distanti per tentare un'unione. Ma quando la vita della bella "Cenerentola" si trasforma all'improvviso e i loro ruoli si invertono, forse pensare di stare insieme diventa un sogno realizzabile.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mag 2017
ISBN9788858965245
La favola della governante

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    Anteprima del libro

    La favola della governante - Georgie Lee

    successivo.

    Prologo

    Agosto 1811

    «Joanna, che... stai facendo in biblioteca?» chiese Rachel, ansante, dalla soglia.

    «Mi stavo chiedendo se Madame Dubois se ne accorgerebbe, se portassi con me questo libro.» Joanna Radcliff afferrò il sottile volume e indirizzò all'amica un sorriso malizioso. «Nel caso in cui fossi costretta a colpire il figlio del mio futuro datore di lavoro, se dovesse farmi qualche proposta inappropriata.»

    Rachel roteò gli occhi castani. «I figli di Sir Rodger sono ancora bambini, e sono a scuola. Non dovrai insegnare a loro.»

    «Allora lo userò con le sue figlie.» Joanna rise, e l'amica si unì a lei.

    L'allegria di Joanna svanì mentre faceva scivolare il libro di favole al suo posto sullo scaffale. Era stato il suo preferito, da bambina. Era difficile lasciarlo, ma non poteva rubarlo. Sarebbe stato un modo miserabile di ringraziare Madame Dubois per tutti quegli anni di gentilezze.

    «Andiamo, la carrozza sarà qui tra poco.» Rachel la prese per mano e la spinse verso la porta. «Non abbiamo molto tempo.»

    Si affrettarono fuori della biblioteca buia e verso l'ingresso vivacemente illuminato dell'atrio. La Scuola di Madame Dubois per giovani dame era un edificio imponente sulla Cathedral Close, di fronte alla cattedrale di Salisbury. Un tempo era stata la casa di uno squire. Memorie della sua storia restavano nelle cornici classiche sopra le porte e nella lunghezza senza fine delle modanature sulle pareti. Il mobilio era meno regale, ma robusto, per adeguarsi alle molte giovani signore che erano passate attraverso le sue stanze, nel corso degli anni.

    I vecchi pettegolezzi sussurrati alle nuove studentesse suggerivano che fosse stato uno degli innamorati di Madame Dubois a donarle la casa. Vedendo la donna nel rigido abito nero, i capelli scuri spruzzati d'argento e tirati in una crocchia, severa quanto il suo portamento, nessuno avrebbe potuto credere che fosse mai stata travolta da una passione degna di quella proprietà.

    All'estremità dell'atrio c'era un'ampia scalinata. Rachel vi trascinò Joanna e superò una sala piena di ragazze sedute sui banchi.

    «La plume de ma tante est sur la table» pronunciò Madame La Roche camminando di fronte alle sue alunne.

    «La plume de ma tante est sur la table» ripeterono le ragazze a voce alta.

    Non era passato molto tempo da quando Joanna, Rachel, Isabel e Grace erano state sedute nella stessa aula, ripetendo quelle frasi. Il loro periodo come studentesse era terminato. Finalmente avrebbero assunto la loro posizione come istitutrici. Quel giorno Joanna sarebbe stata la prima a partire.

    «In fretta.» Rachel corse su per le scale.

    «Più in fretta e volerò.» Non era possibile, non con tutti i ricordi che le pesavano addosso. La scuola di Madame Dubois era stata l'unica casa che Joanna avesse mai conosciuto. Non era pronta ad andarsene, ma doveva. Era quello per cui era stata istruita da Madame Dubois e dalle altre insegnanti. Era una separazione, ma anche un'opportunità. Forse, dagli Huntford, avrebbe finalmente scoperto cosa significasse far parte di una vera famiglia.

    In cima alle scale Isabel girò l'angolo, bloccandosi così di colpo che la sua gonna sventolò prima di ricadere sulle caviglie. «Cosa vi sta trattenendo tanto a lungo? Morirò se non possiamo dare un appropriato saluto a Joanna, prima che siamo tutte mandate in esilio.» Premette il dorso della mano sulla testa con l'atteggiamento dell'attrice che avevano visto recitare a Sandhills, l'anno precedente.

    Rachel incrociò le braccia, niente affatto divertita. «Non sarà poi così male.»

    «Be', qualunque sarà la mia destinazione, vi assicuro che non mi fermerò a lungo» replicò Isabel.

    «Che cosa stai complottando, Isabel?» Joanna fissò gli occhi sospettosi sull'amica.

    «Niente. Non importa. Andiamo, Grace sta aspettando.» Isabel la spinse lungo la hall e Rachel la seguì.

    «Assicurati di scrivermi quando il tuo niente si trasformerà in qualcosa» insistette Joanna. Conosceva troppo bene l'amica per farsi liquidare così facilmente. «Odierei scoprirlo dai giornali.»

    «Te l'ho detto, non è niente» ripeté Isabel, sistemando una forcina tra i capelli rosso rame.

    «Peccato, potrei aver bisogno di qualche storia divertente per ravvivare i miei giorni in campagna.»

    «Anch'io.» Isabel le diede un colpetto sulle costole ed entrambe risero, prima che Rachel piazzasse le mani sulle loro spalle e le spingesse avanti. «Continuate a camminare, prima che facciamo tardi.»

    Si affrettarono verso l'ultima stanza alla fine dell'atrio e si fermarono davanti alla camera che avevano condiviso da quando avevano nove anni.

    «Chiudi gli occhi» ordinò Rachel.

    «Perché?» Joanna non amava le sorprese.

    «Vedrai. Ubbidisci, su.» Isabel le prese le mani e gliele portò sugli occhi. Le due amiche ridacchiarono mentre la guidavano all'interno.

    Il leggero odore di umidità della stanza, quello della lavanda che usavano per rinfrescare le lenzuola, il profumo dei dolci preferiti di Rachel e la fragranza di mughetto di Grace avvolsero Joanna. Le ricordarono l'inverno in arrivo, il loro ultimo Natale insieme e quanto sarebbero state lontane le une dalle altre, il dicembre successivo. La tristezza oscurò l'emozione della sorpresa.

    «Va bene, apri gli occhi» ordinò Isabel.

    Joanna abbassò le mani. Isabel, Rachel e Grace stavano attorno a un piccolo tavolo coperto da un telo. Rachel aveva cucinato la sua torta al limone preferita, che stava su un'alzatina circondata da tre regali avvolti nella carta.

    «Congratulazioni!» esclamarono le ragazze in coro.

    «Oh, mio Dio!» ansimò Joanna.

    «Dato che sei la prima a lasciare questa casa, non potevamo accomiatarci solo con un addio» dichiarò Grace. «Non sappiamo quando ci rivedremo.»

    Joanna le gettò le braccia al collo. «Smettila, o mi farai piangere.»

    «Non essere sciocca, tu non piangi mai.» Grace la strinse con forza, poi la lasciò andare. «Su, assaggiamo il dolce.»

    Mangiarono, mentre Joanna apriva i pacchetti, trovando una penna da parte di Rachel, della carta da Isabel e dell'inchiostro da Grace.

    «Così potrai scriverci» spiegò Rachel.

    «Grazie a tutte, di cuore.» Joanna si strinse gli oggetti al petto, profondamente grata. Quelle tre ragazze erano ciò che aveva avuto di più simile a delle sorelle. Non voleva perderle di vista né che si spezzasse il profondo legame che avevano forgiato.

    La loro allegra celebrazione fu interrotta da un colpo alla porta. Si immobilizzarono, mentre Miss Fanworth entrava nella stanza.

    La piccola insegnante dai capelli castani, con la morbida rotondità di una mamma oca, batté un piede in segno di ammonimento. «Che cosa state combinando? Cibo in camera da letto! A Madame verrà un colpo, se lo scoprirà.»

    «Ma voi non glielo direte, vero?» la pregò Isabel con più drammaticità che sincerità.

    Un sorriso si aprì sulle labbra piene di Miss Fanworth. «Certo che no. Adesso tagliatemene una fetta.»

    Non era l'unico segreto che avrebbe mantenuto per le sue ragazze. L'altro avrebbe visto Grace rovinata e distrutto la fiducia di Madame Dubois nella loro migliore insegnante e nelle sue alunne preferite, se fosse stato scoperto.

    «Anch'io ho un regalo per te.» Miss Fanworth scambiò il suo regalo per la fetta di torta che Joanna le porgeva.

    Joanna lo aprì e trovò una piccola borsa di pelle piena di monete. «È per la posta, così potrai pagare per le lettere che ti spediremo» spiegò l'insegnante mentre assaggiava il dolce. «Mi aspetto di riceverne alcune in cambio.»

    «Certo, come potrei non scrivere a tutte?»

    Miss Fanworth spinse via il suo piatto e poi si alzò. Posò le mani sulle spalle di Joanna, le lacrime che facevano brillare i suoi occhi rotondi. «Eri solo una neonata quando ti abbiamo trovato sulla soglia di questa casa con una coperta e un foglio di carta strappato con sopra il tuo nome. E ora guardati, sei cresciuta e pronta a lasciarci.»

    «Spero di poter rendere orgogliose voi, Madame Dubois e tutta la scuola.»

    «Finché terrai a mente tutto ciò che ti abbiamo insegnato, lo farai.» Miss Fanworth mise il braccio sulle spalle di Joanna e girò entrambe a fronteggiare le altre. «Tutte voi dovete ricordare le vostre lezioni, specialmente riguardo a ciò che vi ho detto sui gentiluomini che potreste incontrare. Non fatevi raggirare dalle loro parole gentili, non finisce mai bene... guardate la povera Madame.» Schioccò la lingua mentre scuoteva la testa, facendo danzare i riccioli castani sui lati della faccia.

    «Che cosa intendete dire?» domandò Isabel. Le ragazze si tesero, ansiose di saperne di più.

    Non era la prima volta che udivano Miss Fanworth alludere a qualcosa sul passato di Madame. Forse, visto che stavano per partire, l'insegnante avrebbe finalmente rivelato il segreto che le aveva incuriosite dal primo giorno alla scuola.

    Le guance piene di Miss Fanworth assunsero una tinta rossastra. Poi, dalla strada sottostante giunsero il rumore di zoccoli di cavallo e il richiamo del cocchiere. Miss Fanworth emise un lungo respiro, sollevata per la distrazione e allo stesso tempo rattristata per ciò che significava. «Joanna, è ora che tu vada» annunciò. «Sei pronta?»

    No. Joanna unì le mani davanti a sé, determinata a essere coraggiosa. Sarebbe rimasta alla scuola come insegnante, se glielo avessero permesso, ma Madame Dubois aveva insistito che si trovasse un impiego. Lei non aveva protestato. Non lo faceva mai, andava sempre avanti, non importava cosa desiderasse. «Lo sono.»

    «Vorrei venire con te.» Rachel tirò su col naso mentre prendeva un braccio di Joanna.

    Isabel prese l'altro. «Anch'io.»

    «A me piacerebbe che potessimo andare tutte insieme» affermò Grace dietro di loro, al fianco di Miss Fanworth, mentre lasciavano la stanza.

    «Lavoreremmo ben poco se stessimo nella stessa casa» osservò Joanna, ridendo attraverso la gola stretta.

    Scesero le scale più lentamente di quando erano salite, trattenendo le lacrime con scherzi e ricordi condivisi.

    Madame Dubois attendeva accanto alla porta principale. L'abito nero privo di grinze le cadeva regalmente dalle spalle. Era una donna formidabile e più di una ragazzina era scoppiata in lacrime la prima volta che l'aveva vista, ma Joanna e le sue amiche avevano imparato presto quanto profondamente tenesse alle sue assistite. Non avrebbe abbracciato Joanna, né pianto con lei come avrebbe fatto Miss Fanworth, ma ciò non significava che non le fosse affezionata.

    Anche se non al punto da tenermi alla scuola. Joanna bandì il pensiero non appena si presentò. La scuola era piena di bambine mandate dalle loro famiglie. Non doveva aspettarsi di essere trattata in modo diverso da Madame Dubois solo perché aveva contribuito a crescerla.

    In un turbinio di abbracci e promesse di scrivere, le ragazze si salutarono. Con riluttanza, Joanna le lasciò per avvicinarsi alla direttrice. Restò dritta ed eretta davanti alla francese. Fuori, il cocchiere gettò in cima al veicolo il piccolo baule contenente tutto quello che possedeva.

    «È un giorno emozionante per voi, Miss Radcliff. Ci state lasciando per diventare un'istitutrice.» Madame Dubois teneva le braccia davanti a sé con le mani intrecciate, ma la morbidezza nella sua voce e il leggero scintillio di umidità agli angoli degli occhi grigi la tradirono.

    Non vorrebbe lasciarmi andare. Joanna deglutì con forza, inghiottendo la richiesta di restare. Non serviva chiedere, quando sapeva già che le sarebbe stato opposto un rifiuto. Madame non sarebbe mai tornata su una decisione né tanto meno avrebbe permesso a Joanna di fare marcia indietro.

    «Sì, madame.» Avrebbe voluto avvolgere le braccia attorno a lei e stringerla come facevano le bambine con le loro madri, quando si dicevano addio, il primo giorno alla scuola, ma non poteva. Madame poteva essere rattristata dalla separazione, ma non ci sarebbero stati abbracci o lacrime. Non era nel suo stile.

    «Siete una giovane brillante, intelligente e beneducata, e rappresenterete adeguatamente la qualità delle alunne della nostra scuola.»

    «Sì, madame. Mi avete preparata bene.»

    1

    Un mese dopo

    Madame Dubois non mi aveva preparata a questo!

    In un angolo buio della biblioteca di Huntford Place, Joanna si strinse il libro al petto. La figlia maggiore degli Huntford e il luogotenente Foreman si erano infilati nella stanza, incuranti di tutto ciò che li circondava.

    Il luogotenente spinse Frances contro la parete e le palpeggiò i seni e i fianchi attraverso l'abito. Invece di ribellarsi alle sue avance, la giovane abbracciò lo snello soldato, arrivando addirittura a sollevare una gamba ben tornita sul suo fianco.

    Joanna guardò verso la porta. I sospiri e gemiti della coppia riempivano la stanza, mentre lei si chiedeva come uscire dalla biblioteca senza essere notata. No, non posso, sono l'istitutrice. Non poteva permettere che Frances si rovinasse, ma non aveva la minima idea di come separarli. A parte quello che le aveva raccontato Grace, il sesso era al di fuori del suo campo di competenze. Pur comprendendone gli aspetti più tecnici, era la parte del desiderio che non riusciva ad afferrare, quella che aveva messo nei pasticci Grace e che ora stava per rovinare Frances.

    Se non li avesse fermati subito, avrebbe saputo di più, sui particolari fisici, di quanto desiderasse. La mano del luogotenente Foreman era già sotto l'abito di Frances.

    «Ehm...» Joanna si schiarì la gola. Quando vide che il suo intervento non sortiva alcun effetto, aumentò il volume. «Ehm!»

    Il luogotenente Foreman ruotò su se stesso, mentre, alle sue spalle, Frances si sistemava il corpetto del costoso abito di seta giallo. Lui si aggiustò la giubba rossa. La spada non era la sola arma sporgente sotto la sua cintura.

    Joanna tentò di non notarlo, ma era difficile, perché i suoi pantaloni bianchi nascondevano ben poco.

    «Scusatemi, Miss Radcliff.» Il giovanotto si inchinò a Joanna, poi si lanciò fuori della stanza, lasciando Frances ad affrontare da sola il suo destino.

    Joanna aprì e chiuse le dita sudate sulla copertina del libro, sperando che l'episodio insegnasse a Frances qualcosa sugli uomini e le facesse comprendere il suo errore. Stava per aprire bocca quando la ragazza, le guance rosse di rabbia invece che di vergogna, le rivolse un'occhiata feroce. «Come avete osato intromettervi?» le sibilò.

    «Non mi sono intromessa, mi trovavo già qui quando voi e il luogotenente Foreman...»

    «Non osate parlarne, né con me né con chiunque altro, avete capito?» Frances si lanciò su Joanna e le fece volar via il libro dalla mano. Il volume atterrò con un tonfo sul pavimento tra loro.

    «No, certo... che no» balbettò Joanna, colta di sorpresa da tanta aggressività. Si supponeva fosse lei quella che doveva dare ordini alle sue pupille. Restò in silenzio, timorosa di peggiorare la situazione.

    «Bene, perché se vi azzarderete a pronunciare una sola parola, farò in modo che veniate licenziata senza referenze.» La giovane tirò indietro la testa di riccioli biondi e uscì dalla stanza come se fosse lei, e non suo padre, Sir Rodger, il suo datore di lavoro. Al pari delle sue tre sorelle era stata oltremodo viziata dai genitori.

    Joanna trovò il bracciolo della poltrona e lo afferrò con forza mentre sprofondava nei cuscini polverosi. Non era così che un'istitutrice avrebbe dovuto comportarsi. Le ragazze avrebbero dovuto guardare a lei per ricevere educazione e guida. Mantenere il segreto di Frances non gliel'avrebbe resa più amica. Avrebbe dovuto raccontare a Sir Rodger e a Lady Huntford dell'atteggiamento sconsiderato della loro figlia, ma, se lo avesse fatto, di certo sarebbe stata lei a essere biasimata.

    Vorrei che Rachel fosse qui. L'amica aveva un dono speciale per dirigere le ragazze giovani e anche alcune delle più grandi, alla scuola. Lei avrebbe saputo cosa fare. Peccato però che non fosse lì. Nessuna delle sue amiche, o Madame Dubois e Miss Fanworth, poteva aiutarla. Era da sola, proprio com'era stata fino ai nove anni, quando Grace, Rachel e Isabel erano arrivate alla scuola. Avrebbe voluto avere una copia del ritratto che Grace aveva fatto loro l'ultimo Natale. Avrebbe alleggerito la sua solitudine, ricordandole quanto fossero state felici insieme, e gliele avrebbe fatte sentire più vicine invece che a centinaia di miglia di distanza.

    Si alzò e sollevò il libro dal pavimento, rifiutandosi di crogiolarsi nella commiserazione di sé. Le sue amiche non erano lì e, nonostante le minacce di Frances, era suo dovere guidare e fare da chaperon alla giovane dama. Avrebbe dovuto trovare un modo per riuscirci. C'era poco altro che potesse fare.

    Luke salì i gradini della casa in Mayfair. L'odore di muffa e umidità della nave che l'aveva riportato dalla Francia permeava la lana della sua giacca rossa. Strofinò la mano sulla corta barba sul mento. Avrebbe dovuto fermarsi all'Army Service Club per lavarsi e radersi, ma dal momento in cui era sbarcato a Greenwich non aveva pensato ad altro che a rivedere Diana Tomalin, la sua fidanzata.

    Era stato richiamato a casa con le istruzioni di sposarsi e generare un erede per la famiglia. Più in fretta avesse concluso la faccenda con Diana, prima avrebbe potuto raggiungere il proprio scopo e tornare al suo reggimento in Spagna. Gli era costata molta sofferenza essere costretto a vendere il brevetto da ufficiale quattro mesi dopo aver rischiato la vita per ottenerlo, e che fosse dannato se l'avrebbe abbandonato per sempre.

    Collins, il maggiordomo della famiglia Tomalin, aprì la porta d'ingresso. I suoi piccoli occhi nella faccia tonda si spalancarono alla vista di Luke. «Maggiore Preston!»

    «'Giorno, Collins. C'è Miss Tomalin?» Luke si tolse lo shako e lo tese all'uomo, mentre faceva il suo ingresso nell'atrio.

    «Sì, signore, ma...» Il domestico agitò il berretto militare, facendo ondeggiare la piuma come la sua voce.

    «Collins, chi è?» chiamò Diana dal salotto.

    «Sono io.» Luke entrò nella stanza illuminata dal sole e si fermò di colpo. La sua eccitazione svanì da lui come fumo da un cannone.

    Diana stava al centro del tappeto e i suoi occhi evitavano i suoi mentre faceva scorrere la mano sopra il ventre arrotondato. La fascia d'oro sul suo anulare tintinnò sui bottoncini lungo il davanti del voluminoso abito da mattina. «Bentornato a casa, maggiore Preston.»

    Il pendolo sull'orologio accanto a lui ondeggiò avanti e indietro con un irritante e nitido clic.

    «Quando pensavi di dirmi che non eravamo più fidanzati?» l'apostrofò Luke. «O speravi che Napoleone avrebbe risolto la faccenda per te?»

    Lei ruotò l'anello nuziale, la pietra incastonata nell'oro troppo grande per le sue dita delicate. «Mamma ha detto che non dovevo infastidirti, non quando avevi così tante cose di cui preoccuparti. Ha detto anche che non avrei dovuto aspettarti più a lungo, che cinque anni erano abbastanza. Saresti potuto morire in battaglia e poi la mia gioventù e tutte le mie possibilità di sposarmi sarebbero state sprecate.»

    «Tua madre è stata sempre molto pratica in merito al nostro fidanzamento.» Era il motivo per cui Luke aveva accettato di mantenerlo segreto finché non fosse tornato dalla Spagna con una borsa piena e un rango superiore. Che il cielo risparmiasse a Mrs. Tomalin lo strazio di sopportare l'orrore di un modesto luogotenente, semplice figlio cadetto di un conte, come genero. «Chi è il felice gentiluomo?» le domandò.

    «Lord Follett» sussurrò lei, più vergognosa che orgogliosa della sua scelta.

    «Capisco.» Come quasi tutte le donne che aveva incontrato prima di arruolarsi e ogniqualvolta era tornato a casa in licenza, Diana era corsa dietro un uomo con più titoli e terre di lui. Luke osservò il pendolo ondeggiare avanti e indietro nella cassa dell'orologio, desiderando colpirlo e metterlo a tacere. «Dunque adesso sei Lady Follett. Dove è il tuo distinto marito? A Bath, a prendere le acque per i suoi reumatismi?»

    «Con le spese di mio padre che aumentavano e la possibilità che tu non tornassi, non ho avuto altra scelta che accettarlo» ribatté lei, stizzita dal suo sarcasmo. «Tante cose sono cambiate, in Inghilterra, da quando te ne sei andato. Con gli inverni freddi e i raccolti rovinati anno dopo anno, papà ha finito per riempirsi di debiti.»

    E senza dubbio il suo vizio del gioco non ha aiutato, considerò Luke fra sé, provando per lei più simpatia di quanta meritasse. La sua famiglia non era l'unica ad affrontare la rovina e a lottare per nasconderla. Suo padre e il nonno avevano passato anni a ricostruire Pensum Manor, dopo che il suo inetto bisnonno se l'era quasi persa al gioco. I continui raccolti rovinati stavano minacciando di condurli di nuovo

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