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Segreti sotto il vischio
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Segreti sotto il vischio
E-book250 pagine3 ore

Segreti sotto il vischio

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Info su questo ebook

Belgio/Inghilterra, 1819 - Una caduta accidentale su una strada ghiacciata di Gand con tanto di collisione con una suora non è sicuramente il modo migliore per iniziare il periodo delle festività. Soprattutto se la religiosa in questione muove nell'impenitente scapolo, Alexander Tempest, Visconte di Weybourn primitive emozioni difficili da tenere a bada. Ma la dolce Tess Ellery è solo una fanciulla con un passato da dimenticare e scarse possibilità economiche, cresciuta in un convento. Chiarito l'equivoco il visconte decide di offrire alla ragazza un impiego come governante. Nonostante la ferrea regola di Alex di passare il Natale da solo, la solare presenza di Tess riesce a trasformarlo tanto da fargli credere di essere in grado di perdonare i torti subiti in passato e di poter iniziare una nuova vita con lei.



Miniserie "I disonorevoli Lords"- vol. 1/4
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2016
ISBN9788858959480
Segreti sotto il vischio
Autore

Louise Allen

Tra le autrici più lette e amate dal pubblico italiano.

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    Segreti sotto il vischio - Louise Allen

    successivo.

    1

    Gand, novembre 1819

    Travolgere le persone durante una passeggiata non era sua abitudine. Alexander James Vernon Tempest, Visconte di Weybourn era controllato, elegante, aggraziato e prestante.

    Di certo non si aspettava di svoltare l'angolo e scivolare sui ciottoli ghiacciati in un pomeriggio grigio di fine novembre, quando stava già pregustando la compagnia degli amici e uno squisito punch al rum.

    Piombò addosso a un'ignara suora, la quale emise un grido soffocato, mentre la sua valigia volava davanti ai cancelli chiusi del convento.

    «Sono mortificato» si scusò. «Lasciate che vi aiuti» aggiunse, alzandosi e tendendole la mano.

    «Non sono...» Lei si era seduta e aveva allungato un mezzo guanto nero. Dopo aver sistemato il sobrio cappellino grigio, ormai quasi giunto sul naso, sollevò lo sguardo.

    «... ferita?» concluse Alexander per lei. «Ne sono davvero lieto. Siete inglese?»

    «Sì, però non son...»

    Esistevano monache protestanti?, si interrogò Alexander. «Fareste meglio ad alzarvi, il marciapiede è gelato» le suggerì. «Afferrate le mie mani.»

    Forse a una suora non era consentito toccare un uomo, rifletté. In ogni caso, per quel peccato insignificante, molto meno grave del fatto di esserle caduto addosso, lui non rischiava la scomunica.

    La malcapitata indossava un mantello nero, troppo leggero, che lasciava intravedere l'orlo di una veste grigio scuro e la punta di un paio di comodi stivaletti neri.

    Con un sospiro rassegnato, lei accettò la mano tesa, zoppicò per un attimo, barcollò e finì tra le braccia del visconte.

    Dal momento che lasciar cadere una gentildonna era fuori discussione, Lord Weybourn trovò l'equilibrio e abbassò lo sguardo, anche se il mantello svolazzante della sconosciuta e quel terribile cappellino gli coprivano la visuale.

    Era giovane, snella e flessuosa, intuì lasciandosi inebriare da quel profumo di sapone, lana umida e pelle quasi gelata.

    Torna in te, vecchio mio. Le suore sono sulla lista proibita. «Vado a chiamare qualcuno» annunciò, indicando con un cenno del capo la catena arrugginita accanto alla porta del convento.

    Con ogni probabilità, era la stessa a cui si aggrappavano i criminali disperati, venuti a invocare asilo, anche se, a giudicare dallo spioncino ostruito, quel luogo non doveva essere molto più ospitale di una prigione.

    «Vi siete slogata una caviglia, temo» aggiunse con la certezza di aver appena commesso un altro peccato, perché aveva menzionato una parte del corpo.

    «Non credo. Vi ringrazio...» replicò lei, irrigidendosi sempre di più. Per fortuna non lo aveva obbligato a recitare un rosario per penitenza.

    «Sarebbe meglio che andassi a chiedere aiuto.»

    «Suor Clare mi aspetta, devo raggiungere la darsena del canale» fu la replica asciutta e gentile.

    L'amore per il prossimo o le buone maniere le impedivano di lasciar trapelare la rabbia che provava nei suoi riguardi, dedusse lui, ascoltando quella voce raffinata e venata di tristezza.

    Conduceva molte trattative, quindi era abituato ad ascoltare e a percepire quanto si celava dietro le parole. Che cosa nascondeva quella suora? Era infastidita e ne aveva tutte le ragioni. «Dovreste lasciarvi visitare, per assicurarvi di non avere qualcosa di rotto» le consigliò.

    Il minimo che poteva fare era portarla dove desiderava e non nel luogo dal quale, a giudicare dal modo in cui il suo corpo si era irrigidito, intendeva allontanarsi. Si chinò, continuando a sorreggerla, afferrò la valigia con la punta delle dita e si raddrizzò. «Quale canale?» le chiese.

    «Domattina andrò a Ostenda. Suor Clare gestisce un piccolo ostello giù al porto, e io trascorrerò la notte con lei. Comunque, non sono...»

    «Da questa parte, allora» la interruppe, incamminandosi. «Nel frattempo, vi accompagnerei da un dottore.»

    «Non vorrei darvi disturbo...»

    «Non siete in grado di proseguire a piedi e, come sempre, quando servono, le carrozze non si trovano. La deviazione non mi porterà fuori strada, state tranquilla.»

    Grant, in realtà, non era un vero e proprio medico, perché era stato costretto a ritirarsi poco prima di aver terminato gli studi di medicina a Edimburgo.

    «Sì, io però...»

    «Non avete denaro?» Gli sembrava di ricordare che le suore non potessero portare soldi con sé. «Non preoccupatevi, vi siete fatta male per colpa mia e vi vedrà un mio amico. Come vi chiamate? Io sono il Visconte di Weybourn.»

    Si augurava che il titolo nobiliare, con il quale non aveva l'abitudine di presentarsi, rassicurasse la sua interlocutrice, che aveva sospirato come se avesse bisogno di riprendere fiato. Senz'altro la umiliava l'idea di essere portata in braccio da un uomo, ma l'unica alternativa era tornare in convento.

    Con un enorme sforzo di volontà, Alexander si impose di ignorare il corpo femminile premuto contro il suo. Di solito, quando stava così vicino a una gentildonna, l'epilogo era diverso per volontà di entrambi.

    «Teresa...» rispose lei.

    «Suor Teresa. Le monache prendono il nome dai santi, vero? Siamo arrivati.»

    Come un marinaio che avesse appena avvistato un porto sicuro e conosciuto, il visconte andò incontro alle luci de I quattro elementi, che si intravedevano nel crepuscolo.

    «Una locanda? Lord Wey...»

    «È un luogo molto rispettabile» le garantì. «Gaston!» chiamò.

    Erano stati accolti dalla luce, dal calore e dal brulichio di un locale ben gestito.

    «Lord Weybourn» lo salutò l'oste uscendo in fretta dal retro. «Che piacere vedervi. I vostri amici sono già nel solito salotto privato.»

    «Grazie, Gaston.» Lui si diresse verso la porta sulla destra. «Che cosa gradite, suor Teresa? Tè o caffè?»

    «Amici? Salotto privato?» ripeté lei, sconcertata. «Mettetemi giù...»

    «Tè» decise Alexander. Era sicuro che l'avrebbe fatta sentire meglio.

    Non era l'unica ad aver bisogno di conforto, rifletté, pensando a qualcosa di diverso da una bevanda calda. Sentiva la mancanza di una donna. Quanto tempo era passato? Un mese? Troppo. Dopo essersi richiuso la porta alle spalle, si appoggiò un istante per ritrovare il controllo. Le suore non indossavano il bustino, scoprì con un pizzico di inquietudine. Il peso morbido del seno di suor Teresa sull'avambraccio lo metteva a disagio e quella reazione da adolescente non gli piaceva affatto.

    «Mio caro Alex, perché tanta concitazione?» Crispin de Feux ripose il documento che stava esaminando, si alzò e osservò la scena con freddo distacco. Forse, pensò Alexander, se l'avesse visto entrare nella stanza inseguito da una truppa di soldati con le spade sguainate, avrebbe lasciato trasparire qualche emozione. «Hai iniziato a rapire le suore?»

    «Non è possibile!» esclamò Grant Rivers.

    Aveva tirato giù gli stivali dal parafuoco e si era passato una mano tra i capelli, con la sua consueta aria preoccupata e colpevole.

    «Scommettiamo?» si intromise Gabriel Stone, gettando i dadi. «A onor del vero, Alex di solito preferisce le fanciulle ambiziose...» Aveva spogliato Teresa con lo sguardo e si lasciò cadere sulla sedia con una smorfia, senza raccogliere la sfida che il visconte gli aveva lanciato stringendo gli occhi.

    «Sono scivolato sul ghiaccio e sono piombato addosso a suor Teresa, che si è slogata una caviglia» spiegò Lord Weybourn. «Puoi darle un'occhiata, Grant?»

    «Suor Teresa, siete in buone mani, e il tè sta arrivando. Grantham Rivers si prenderà cura della vostra caviglia» le assicurò, presentandole un affascinante gentiluomo con i capelli castani.

    «Non sono...» confidò lei al dottore, non appena rimasero soli, appartati in un angolo del salotto. Non le era sfuggita l'occhiata che i due amici si erano scambiati.

    «... una suora. Lo so.» Pur essendo gentile, non sembrava troppo contento. «Al contrario di Alex, so che le monache indossano il soggolo e non se ne vanno in giro da sole.»

    «Nessuno di voi ha l'abitudine di consentire a una gentildonna di terminare una frase?»

    Una settimana prima, un colloquio con la Madre Superiora aveva spazzato via tutte le sue certezze, facendole toccare il fondo. Si era imposta di accettare l'accaduto, come aveva fatto quando erano morti i suoi genitori, però, dopo l'incidente con il visconte, era molto irritabile.

    Non era in grado di stabilire se tutti gli uomini facevano lo stesso effetto, perché aveva conosciuto soltanto un sacerdote, un vecchio giardiniere e qualche commerciante.

    Per la prima volta in vita sua la castità le sembrò interessante, anche se si trovava in compagnia di quattro gentiluomini in apparenza seri e rispettosi.

    «Di solito i nostri modi sono migliori» convenne Grant. «Alex è ancora sconvolto per essere stato tanto maldestro, io invece non ho scusanti. Ho il piacere di parlare con...?»

    «Miss Ellery. Tess Ellery, dottore.»

    «Non sono un medico, comunque sono in grado di curare ferite lievi, visto che ho quasi terminato il tirocinio in un ospedale di Edimburgo. Volete darmi mantello e cappellino?» le domandò, guardandola come se fosse un corvo ferito. «Dovrò chiedervi di togliere lo stivaletto e le calze per esaminare la caviglia. Desiderate l'aiuto di una cameriera?»

    Mr. Rivers sembrava una persona per bene. Considerando che da anni ormai si toglieva al massimo i guanti, di fronte a un uomo, Tess si stupì della propria tranquillità. Dov'era finita l'agitazione? Forse reagiva in quel modo perché il suo mondo era andato in frantumi.

    «Miss Ellery?» Grant stava attendendo paziente.

    Nel tentativo di ritrovare compostezza e cortesia, lei riuscì a sfoderare un sorriso che le morì sulle labbra nel momento in cui incrociò gli occhi più tristi che avesse mai visto. «Faccio da sola, grazie» replicò, porgendogli cappellino e mantello. Aveva avuto l'impressione di frugare nel suo dolore e continuare a fissarlo era decisamente inopportuno.

    Dopo aver appoggiato gli indumenti in fondo alla panca, Grant si voltò per coprirla mentre lei armeggiava con le calze.

    «Non riesco a sfilare lo stivale» affermò Tess.

    «La caviglia si sta gonfiando. Proverò a toglierlo senza tagliarlo.»

    «Ve ne sarei molto grata.»

    Era l'unico paio di stivaletti che aveva.

    «Avete battuto la testa?» si informò Grant sfilando la calzatura con piccoli movimenti rapidi ma delicati. «Vi siete storta il polso?»

    «No.»

    La caviglia le faceva male e, per distrarsi, Tess iniziò a osservare gli altri tre gentiluomini.

    Mr. Rivers aveva uno sguardo affranto, le mani delicate e il viso affascinante, Lord Weybourn, il suo salvatore, era alto, elegante e fin troppo disinvolto, visto il modo in cui l'aveva portata in braccio. E poi c'erano il biondo glaciale, l'incrocio tra un arcangelo e un giudice inflessibile e il pigro giocatore di dadi, che sembrava un assiduo frequentatore di osterie malfamate.

    Uno strano gruppo di amici che stavano bene insieme, come fratelli. Erano una famiglia.

    Il visconte incrociò il suo sguardo e la fissò, perplesso.

    «Vi ho fatto male, mi dispiace» si scusò Grant continuando a tastare e piegare. «Dove sentite dolore? Riuscite a flettere le dita? Perfetto. E a puntare il piede? No, non forzate il movimento.»

    Sembrava competente, constatò Tess. Le avrebbe fasciato la caviglia e poi l'artefice di quel guaio si sarebbe preoccupato di trovarle un mezzo di trasporto.

    Nessuno di loro la metteva a disagio. L'assenza di sguardi maliziosi, ammiccamenti o allusioni la indusse a rilassarsi, e decise di dare ascolto al suo sesto senso: era al sicuro. Quando vide il visconte senza cappello e soprabito, che rideva a una battuta del giocatore di dadi, comprese che era elegante anche nei modi, non soltanto nell'aspetto.

    Essendo cresciuta in convento, non era un'esperta di abbigliamento maschile, comunque aveva notato i tessuti costosi, le spalle larghe, le gambe muscolose e la biancheria curata.

    Non era bello nel senso convenzionale del termine, rifletté con il piede su uno sgabello, in attesa che le portassero compresse fredde e bende.

    Mr. Rivers, invece, era il prototipo del perfetto gentiluomo inglese: fisico possente, profilo perfetto, lisci e folti capelli castani, stupendi, tristi occhi verdi.

    Il biondo glaciale sembrava uscito dalla vetrata istoriata di una chiesa e senz'altro faceva battere il cuore alle fanciulle combattute tra il desiderio e il terrore che i suoi occhi blu si posassero su di loro o che quella bocca scolpita pronunciasse qualche feroce rimprovero.

    Anche il giocatore di dadi, con la sua folta chioma nera, l'insolente sguardo gitano e le spalle larghe aveva il fascino di un maschio nel fiore degli anni.

    Nonostante fosse molto virile, Lord Weybourn era diverso.

    Al solo ricordo della facilità con cui l'aveva presa in braccio e portata fin lì, Tess venne scossa da un brivido.

    In quell'uomo c'era qualcosa di pericoloso... La bocca senz'altro. Aveva i capelli biondo scuro, il naso sottile, la mascella volitiva e, sotto le ciglia scure, occhi castani.

    Continuava ad abbozzare un sorriso come se stesse pensando a qualcosa di piacevole e al contempo misterioso, forse addirittura pericoloso.

    Le ricordava una creatura soprannaturale, il signore delle foreste, dove i lupi stavano in agguato nel buio...

    Lui la guardò di nuovo e si alzò interrompendo il corso dei suoi pensieri, influenzati dalle storie da brivido che suor Moira era solita raccontare durante la ricreazione, quando la Madre Superiora non sentiva. L'unica differenza era che quelle creature di fantasia non le avevano mai suscitato certe sensazioni...

    «Rivers vi sta facendo male?» le domandò.

    Aveva degli splendidi stivali, osservò Tess tenendo lo sguardo fisso sulla sua gamba per evitare di incontrare i suoi occhi.

    «Non ci sono fratture» annunciò Grant, che nel frattempo era tornato in salotto. «È freddo» aggiunse, avvolgendole un panno umido attorno alla caviglia. «Dopo che avrete bevuto il tè e vi sarete riposata, ve la fascerò.»

    «Questa locanda sembra molto accogliente» osservò lei nel tentativo di trovare un argomento neutro. Non era abituata a conversare con i gentiluomini. «Voi venite spesso qui?»

    «Da molto tempo» le rispose il visconte. «Persino durante la guerra, alcuni di noi sgattaiolavano dentro e fuori da qui con vari travestimenti. I quattro elementi è diventata un luogo strategico.» Sorrise. «Dopotutto, anche i nostri cognomi erano in tema.»

    «Voi quale dei quattro elementi siete? Aria, acqua, terra o fuoco?»

    «Alex Tempest... aria.»

    «Quindi voi siete l'acqua, Mr. Rivers? Un connubio perfetto con la vostra capacità di curare.»

    Grant confermò, facendo mezzo inchino. «Cris si chiama de Feux e feu in francese significa fuoco.»

    Tess non faticava a immaginarlo come un arcangelo con una spada fiammeggiante. «E la terra?»

    «Gabriel Stone è molto terreno, pragmatico» le spiegò, indicando il giocatore di dadi intento a giocare.

    Lei ringraziò con un sorriso Mr. Rivers, il quale le aveva cambiato di nuovo la compressa fredda e, non appena una cameriera le appoggiò accanto un vassoio colmo di prelibatezze, dimenticò il resto. «Io dovrei...»

    Lord Weybourn, che aveva rubato un biscotto, raggiunse gli altri amici.

    «... mangiare» concluse Grant. «Scusate, vi ho interrotto di nuovo.»

    «Temo che non riuscirò a trattenermi» gli confidò.

    Il minestrone e il pane integrale che aveva mangiato a pranzo le avevano scaldato lo stomaco, ma avevano rappresentato un pasto frugale in un momento di tensione.

    Il gentiluomo si limitò ad annuire e la lasciò sorseggiare il tè zuccherato e a contemplare quella tentazione per il palato. Perché non assaggiarne un pasticcino per tipo? Sarebbe stato scortese non farlo.

    Mezz'ora più tardi, Tess si stava leccando le dita con un lieve senso di nausea.

    Grant si avvicinò al vassoio su cui erano rimaste soltanto le briciole e lo spostò, senza dimostrare alcuna disapprovazione per la sua ingordigia. «Dopo che vi avrò fasciato la caviglia, vi consiglio di concedervi un sonnellino. Un po' di riposo vi farà bene.»

    Lei non aveva fretta e osservare dei gentiluomini che godevano della reciproca compagnia era interessante.

    Stare al caldo e potersi rimpinzare di dolcetti deliziosi era una gratificazione, e la sensazione di aver commesso una marachella era molto intrigante.

    Non sarebbe dovuta rimanere lì, lo sapeva, però sembravano tutti così... Innocui? No, non era l'aggettivo giusto. Forse la sua ingenuità la stava traendo in inganno... Batté le palpebre e trattenne uno sbadiglio.

    La notte precedente aveva avuto freddo e i pensieri, le speranze e le preoccupazioni avevano tormentato il suo sonno.

    Mr. Rivers aveva ragione, un pisolino l'avrebbe aiutata ad affrontare la prospettiva di dover distribuire lo stufato ai viaggiatori dell'ostello.

    Poi l'attendeva l'arduo compito di dormire su un letto duro, in una gelida cella, in compagnia delle sonore russate di Suor Clare, aspettando un'alba ancora più gelida.

    Suor Moira sosteneva che quel russare rappresentava una penitenza, perciò sarebbe stata assolta per il suo peccato di gola, si consolò Tess.

    Rincuorata, si rannicchiò sul divano, mentre le voci dei gentiluomini si facevano sempre più distanti.

    Colonia agli agrumi, indumenti inamidati... Lord Weybourn l'aveva presa in braccio di nuovo.

    A Tess venne naturale appoggiare la testa sulla sua spalla e lasciarsi inebriare dal suo profumo.

    «A voi verrà il torcicollo, e noi facciamo troppo rumore. C'è una stanza graziosa in cui potrete riposare» le suggerì.

    Sembrava molto invitante. «Suor Clare...»

    «Me ne ricordo. Vi aspetta alla darsena stasera e domani mattina partirete per Ostenda.»

    Lei si domandò perché le suore dipingessero gli uomini come bestie fameliche. Aveva appena conosciuto quattro gentiluomini cortesi, affidabili e prudenti.

    Quando il materasso morbido cedette sotto il suo peso, si lasciò avviluppare dalle coperte calde e leggere. «Grazie» sussurrò nel sonno.

    «È stato un piacere, mia piccola suora.»

    2

    Tess si svegliò con una piacevole sensazione di calore e il bisogno impellente di usare il vaso da notte.

    Malgrado la caviglia dolorante, saltellò verso il paravento e poi tornò indietro. Era ancora molto chiaro, perciò non doveva aver dormito molto.

    Scostò la tenda e rimase a fissare un

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