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Il marchese e la governante
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E-book273 pagine5 ore

Il marchese e la governante

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815 - Decisa a recuperare il tempo perduto con la figlia, data in adozione alla nascita due anni prima, Grace Bertram accetta il posto di governante nella casa di Nathaniel Pembroke, Marchese di Ravenwell e reduce di una guerra che lo ha segnato nel corpo e nell'anima. Nathaniel vive come un prigioniero nella sua stessa dimora, ossessionato dal passato, ma la presenza di Grace, a cui a poco a poco si abitua, e la sua avvenenza gli restituiscono la voglia di vivere e la fiducia nel futuro. Tuttavia, quando scopre che Grace è la vera madre della piccola Clara, Nathaniel non può fare a meno di domandarsi se la donna di cui si sta innamorando sarebbe pronta a tutto pur di restare vicino alla figlia, anche a sedurre un mostro come lui. Bacio dopo bacio però Nathaniel si convince che può esserci un lieto fine per la bestia e la sua bella.
LinguaItaliano
Data di uscita20 feb 2018
ISBN9788858977330
Il marchese e la governante

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    Anteprima del libro

    Il marchese e la governante - Janice Preston

    successivo.

    Prologo

    Inizi di ottobre, 1811

    Nathaniel Pembroke, Marchese di Ravenwell, gettò una sella su Zephyr, gli saltò in groppa e diresse lo stallone nero verso l'altura. Le parole della lettera ancora gli bruciavano la mente e il cuore. Mentre gli zoccoli di Zephyr volavano sul terreno, le lacrime che cadevano dai suoi occhi evaporavano nel vento.

    L'andatura del grande cavallo nero rallentò e, con riluttanza, Nathaniel lo mise al trotto. Il vuoto entro cui il suo cuore raggrinzito aveva lottato per sopravvivere negli ultimi nove anni era ancora lì, solo che adesso era una caverna.

    Hannah. Di nuovo le lacrime gli offuscarono la vista e lui batté furiosamente le palpebre, fissando disperato il cielo color metallo. Non avrebbe più visto il volto dell'amata sorella né avrebbe provato la sensazione delle sue braccia attorno a sé, che lo stringevano rassicuranti. E David, suo cognato da otto anni, e grande e leale amico... il suo unico amico. Anche lui andato.

    Il nodo che aveva in gola doleva insopportabilmente e le parole della lettera della madre gli riecheggiavano nella mente: era avvenuto un incidente, la carrozza si era rovesciata e Hannah e David erano morti sul colpo. La piccola Clara, la loro figlia di due anni, l'unica sopravvissuta.

    Sei stato nominato tutore della bambina, figlio mio. Se posso aiutarti, sai che lo farò, ma non sono in grado, alla mia età, di assumermi tutte le responsabilità della sua educazione. Né vivrei in quel luogo abbandonato da Dio che ti compiaci di chiamare casa per aiutarti in questo compito.

    Ti esorto a tornare a casa, a Ravenwell, e cresceremo Clara insieme. È tempo che tu ti impossessi di nuovo del tuo posto nel mondo.

    Se sceglierai di non farlo, dovrai venire a prendere la tua figlioccia. È tuo dovere, e lo devi alla tua povera, cara sorella di aver cura della bambina che lei ha amato più della vita stessa.

    La tua affezionata madre

    Nathaniel fece girare Zephyr verso casa, mentre la realtà di quella situazione gravava su di lui. Non poteva negare la veridicità delle parole della madre: non stava diventando più giovane e non sarebbe mai stata felice a Shiverstone Hall, né sarebbe stato positivo per la sua salute. Lei viveva la maggior parte dell'anno a Ravenwell Manor, la tenuta principale di Nathaniel, nella campagna molto più civilizzata che circondava la città di Harrogate.

    Considerò le alternative, nessuna delle quali lo attirava. Tornare a Ravenwell? Scosse la testa, in una muta negazione. Non poteva tollerare i ricordi, né gli sguardi di simpatia di coloro che lo avevano conosciuto prima. Ancor meno poteva sopportare il ritrarsi degli sconosciuti alla sua vista.

    Nel tempo che ci mise a raggiungere la corte dietro Shiverstone Hall, la decisione fu presa. Aveva una sola scelta, una sola. Doveva andare a prendere Clara e portarla a Shiverstone a vivere con lui. Al pensiero, quasi gli mancò il coraggio. Che ne sapeva, lui, di bambini, in particolare di una piccola come Clara?

    Hai delle responsabilità, Nathaniel. Non puoi continuare a nasconderti. Come farai a generare un erede, altrimenti? Non tutte le donne reagiranno come Miss Havers.

    Nathaniel represse un ringhio al ricordo di Miss Havers. Aveva sospettato come sarebbe finita non appena sua madre gli aveva menzionato la donna che aveva accettato un matrimonio di convenienza. Neppure l'attrattiva della sua ricchezza e del titolo era stata sufficiente a compensare le sue cicatrici. Miss Havers aveva cambiato idea dopo un solo incontro, e Nathaniel si era ritirato a Shiverstone Hall, deciso a vivere un'esistenza solitaria. Non era stata la prima donna a reagire con orrore al suo aspetto devastato: Lady Sarah Reece, con cui aveva avuto un'intesa prima dell'incendio, non aveva perso tempo ad accettare la proposta di un altro uomo.

    Non sentiva la mancanza della sua precedente vita spensierata: simili piaceri non esercitavano più alcun fascino per lui. Né gli mancavano gli amici di un tempo. Non avrebbe mai dimenticato l'espressione sconvolta sulle loro facce, né la velocità con cui gli avevano voltato le spalle, dopo l'incendio.

    Era felice della sua vita, dannazione! Aveva i suoi cani e i suoi falchi... gli animali non lo giudicavano per il suo aspetto.

    Lady Ravenwell si mise in bocca un pezzo di fagiano arrosto e poi piazzò coltello e forchetta sul piatto, osservando il figlio con aria d'attesa.

    «Ho solo trent'anni, madre» gli ricordò Nathaniel. «C'è tempo a sufficienza per generare un erede.»

    «Vorresti versarmi un altro bicchiere di vino, per favore, mio caro?»

    Lui obbedì. Stavano cenando da soli nella sala da pranzo di Ravenwell Manor. I domestici erano stati congedati da Lady Ravenwell non appena avevano servito i piatti, il che aveva spinto Nathaniel a sospettare che la conversazione si sarebbe rivelata spiacevole, e le sue difese si erano già innalzate.

    «Grazie.» La madre sorseggiò il vino, poi posò il bicchiere sulla tovaglia finemente ricamata. «Non credere che ignori i tuoi piani, figliolo» dichiarò. «Arrivi qui dopo il tramonto, a un'ora in cui sai che Clara sarà già addormentata. Qual è la tua intenzione? Di strapparla dal letto prima dell'alba e allontanarti senza vedere nessuno... o essere visto?»

    Lui odiava la simpatia nei suoi occhi, ma sapeva anche che dietro quel sentimento si ergeva una ferrea determinazione. La madre era incrollabile nel ritenere che lui dovesse compiere il suo dovere: verso la tenuta, la famiglia, la memoria di suo padre e il futuro del marchesato. La punzecchiatura sul fatto che aveva intenzione di portar via Clara dal suo letto andava troppo vicino alla realtà.

    «Sono venuto non appena ho potuto, dopo aver letto la vostra lettera, madre. Il mio arrivo a tarda sera è motivato dal fatto che non ho voluto aspettare fino a domani per viaggiare, ma temo di dover tornare a casa in mattinata.»

    «Devi?»

    «Non si può pretendere che una bambina di due anni viaggi tardi di notte.»

    «Allora fermati per alcuni giorni. Almeno dai alla povera piccola la possibilità di ricordarsi di te.»

    Nathaniel aveva visto Clara quattro mesi prima, quando era venuta a Shiverstone con Hannah e David dalla loro casa nel Gloucestershire. Erano rimasti con lui per una settimana. Pensare alla sorella e all'amico riportò nella sua gola quella dolorosa morsa soffocante. Abbassò la testa, fissando il cibo di fronte a sé senza vederlo, l'appetito svanito.

    «Potrei invitare pochi vicini per cena» suggerì Lady Ravenwell. «Solo persone che conosci, non estranei.»

    Io non posso... La bile gli risalì, bollente e amara, in bocca. Allontanò da sé il piatto con un movimento brusco. Lady Ravenwell sussultò, la forchetta ticchettò sul piatto e la sua faccia si raggrinzì, gli angoli della bocca che si curvavano all'ingiù mentre i suoi occhi luccicavano. Il senso di colpa lo pervase e Nathaniel aggirò il tavolo per stringere tra le braccia la madre che singhiozzava.

    «Perdonatemi, vi prego.» Sua madre aveva perso l'adorata figlia, e lui si preoccupava soltanto delle proprie paure. «Certo che mi fermerò per qualche giorno. Ma niente cene, ve ne prego. Non dimenticate che siamo ancora in lutto.»

    Le spalle della donna tremarono. «Hai ragione» sussurrò. «Però ti prego, resta un po' con me.»

    Lui depose un bacio sulla sua testa ingrigita. «Lo farò.»

    Povera mamma, della sua famiglia le era rimasto solo lui. E non era un sostituto per Hannah. Perché non poteva essere stato lui a morire? Hannah avrebbe avuto talmente tanto per cui vivere, mentre lui...

    Nathaniel respinse quei pensieri malsani. Non importava quanto oscuro potesse apparirgli il futuro, non aveva mai avuto la tentazione di togliersi la vita. Era abbastanza contento di quella che conduceva. Gli abitanti del villaggio lo evitavano e lui aveva i suoi cani, i suoi cavalli e i suoi falchi: loro gli offrivano tutta la compagnia di cui aveva bisogno.

    Riprese il suo posto, ma non tirò di nuovo il piatto a sé. «E riguardo alla bambinaia di Clara?» si informò. «Presumo che resterà con lei?»

    Lo sguardo della madre scivolò su di lui. «Temo di no. Ha famiglia a Gloucester e non vuole spostarsi così lontano. Dovrai assumerne una nuova e poi, più tardi, la bambina avrà bisogno di un'istitutrice.»

    Lui si sforzò di nascondere il disappunto e tuttavia ogni fibra del suo essere si ribellava all'idea che non solo una, ma due estranee entrassero nella sua casa.

    «Metterò un annuncio per un'istitutrice» decise. Una persona... Di sicuro poteva sopportare una persona. Una volta che lei si fosse abituata al suo aspetto, tutto sarebbe andato bene. Non avrebbe avuto bisogno di vederla spesso. «Così Clara, in seguito, non dovrà adattarsi a un'altra persona.»

    Povera, piccola anima. Non desiderata dalla propria madre – una sfortunata ragazza che si era cacciata nei guai – e adesso privata anche dei genitori adottivi. Era una dolce, piccola cucciola. Troppo giovane per reagire con orrore alle cicatrici, Clara lo aveva accettato e deliziato con i suoi gorgheggi e i primi tentativi di parlare.

    «Devi fare come ritieni giusto per Clara.» L'espressione scettica della madre suggeriva che fosse ben consapevole del vero motivo per cui il figlio intendeva assumere un'istitutrice anziché una bambinaia.

    «Lo farò» giurò.

    Lo doveva a sua sorella, che era stata una delle poche costanti della sua esistenza, dall'incendio che aveva tolto la vita al loro padre e cambiato la sua per sempre.

    Avrebbe scritto all'editore dello York Herald, con le indicazioni di pubblicare un annuncio per cercare un'istitutrice qualificata che fosse disposta a vivere alla Hall. Tuttavia non poté fare a meno di chiedersi quale tipo di donna avrebbe accettato di seppellirsi in un posto tanto isolato.

    1

    Inizio di novembre 1811

    Quando raggiunse la fine del fitto bosco, Grace Bertram respirò con più facilità.

    Il sentiero che aveva seguito dal villaggio di Shiverstone emerse al limitare di una brughiera desolata, e lei si fermò per prendere fiato e guardarsi attorno.

    La brughiera – o più correttamente altura, come la chiamavano gli abitanti dei villaggi circostanti, che avevano tentato con forza di dissuaderla dall'avventurarsi a Shiverstone Hall – si innalzava davanti a lei prima di fondersi nebbiosa con il cielo sovrastante. Poteva appena intravedere il tetto d'ardesia e gli alti camini di una casa accovacciata in una piega del terreno, unica traccia di insediamento umano in quel paesaggio minaccioso.

    Il polso di Grace accelerò in un misto di anticipazione e paura. Doveva essere quella. Shiverstone Hall. E là, sotto le scintillanti lastre d'ardesia, c'era Clara. La sua bambina, che adesso viveva in quel posto isolato con – a sentire gli abitanti del villaggio– un uomo spaventoso da guardare e che sputava fuoco e zolfo su chiunque si avventurasse sulla sua terra: il Marchese di Ravenwell.

    Grace non voleva – non poteva – permettere a quei racconti di scoraggiarla. Era sopravvissuta a quella raccapricciante foresta e sarebbe sopravvissuta all'ira di Lord Ravenwell. Non avrebbe voltato le spalle all'impegno che aveva preso con se stessa due anni prima. Lo doveva principalmente alla figlia che aveva dato via alla nascita.

    Passò la valigia nella mano sinistra e abbassò lo sguardo sugli stivaletti infangati. Il piede sinistro già sguazzava nello stivale e il destro era sospettosamente umido. Che razza di marchese viveva nel mezzo del nulla e non si prendeva neppure il disturbo di costruire un ponte sopra il fiume tra il villaggio e la sua casa? C'era un guado per gli animali e le carrozze, ma l'unico modo per una persona di attraversare il fiume era usando delle grandi, umide e scivolose pietre fissate nel letto del fiume come sentiero. Era una fortuna che solo il suo piede sinistro fosse stato sommerso.

    Grace arrancò, borbottando sottovoce. A diciassette anni, studentessa alla Scuola di Madame Dubois per giovani dame, a Salisbury, non aveva avuto altra scelta che dar via la sua bambina, ma si era ripromessa che un giorno l'avrebbe rintracciata e si sarebbe assicurata che fosse felice e amata e che vivesse la vita che meritava. E adesso era ancora più urgente che la trovasse, dopo aver scoperto che la coppia che l'aveva adottata era morta in un incidente.

    E se Clara non fosse stata amata e desiderata?

    Cosa avrebbe potuto fare, lei, una diciannovenne fresca di addestramento come istitutrice, senza casa e poco denaro in tasca? Scacciò il pensiero con un impaziente schiocco della lingua.

    Avrebbe affrontato il problema quando e se fosse diventato necessario.

    Finalmente superò la cima della salita e si fermò. La casa era più grande di quanto avesse immaginato, ma il suo aspetto – tetro e grigio, con rampicanti che ricoprivano le mura – e la posizione, non erano certo quelle della residenza in cui ci si sarebbe aspettati che vivesse un aristocratico.

    Un grido penetrante riecheggiò nell'aria, e lei si girò di scatto. Esaminò il paesaggio desolato, ma niente si muoveva. Un altro grido lamentoso le fece balzare il cuore in gola. Guardò in alto e scorse un enorme uccello, il più grande che avesse mai visto, innalzarsi nel cielo. Eseguì un circolo, prima di tuffarsi: una sfocata immagine scura contro le nuvole basse, finché non scomparve dietro la collina alle spalle della casa.

    Grace deglutì, sollevò le spalle, spostò di nuovo la valigia e avanzò stoicamente. L'educazione ricevuta nella casa di suo zio a Wiltshire e, dall'età di nove anni, nella scuola, non l'aveva preparata a niente di simile.

    Una ventina di minuti più tardi percorse il sentiero che passava attraverso un cancello in pietra. Il cuore le martellava nel petto mentre esaminava Shiverstone Hall, con le sue nude, minacciose finestre e la massiccia porta di legno, appena visibile nella cupa profondità di un portico.

    Non si sentiva alcun rumore. Perfino l'aria era immobile e silenziosa.

    È come se questa casa stesse aspettando me, pensò. Un castello incantato, addormentato, finché la principessa non lo sveglia e libera gli abitanti.

    Grace si morse il labbro, rimproverandosi per simili fantasie, degne di uno di quei romanzi gotici che Isabel contrabbandava a scuola. Un'ondata di nostalgia la colpì, al pensiero di Isabel, Joanna e Rachel. Le sue carissime amiche. Cosa stavano facendo adesso? Erano felici?

    Si liberò dei ricordi con un cenno del capo. Resistendo alla tentazione di fuggire, superò l'ingresso ad arco, entrò nel portico ed esitò, fissando con trepidazione la porta che incombeva su di lei.

    Sono arrivata fin qui, non posso rinunciare adesso.

    Trasse un profondo respiro e afferrò l'enorme battente di ferro. Avrebbe fatto le sue domande, si sarebbe tranquillizzata e poi sarebbe tornata al villaggio. Non desiderava attraversare di nuovo la foresta mentre la luce iniziava a scemare, come faceva troppo presto in quel periodo dell'anno. Doveva solo battere alla porta. E tuttavia esitava, le dita curvate attorno al freddo metallo. Lo lasciò andare, nervosa.

    Prima che potesse ritrovare il coraggio, un alto latrato, seguito da un improvviso affrettarsi di passi, la fece girare su se stessa. Una muta di cani, di tutti i colori e taglie, saltò, abbaiò e ansimò attorno a lei. Con il cuore in gola Grace arretrò contro la porta, la borsa stretta al petto per proteggersi. Un paio di zampe infangate si piazzarono contro il suo stomaco e una bocca ghignante, piena di denti e con la lingua ciondoloni, si lanciò sulla sua faccia, annusando e soffiando. Le sfuggì un gemito di terrore. Dopo quella che le parve un'eternità, udì il rumore di catenacci tirati e lo scricchiolio di cardini mentre la porta si apriva.

    «Giù, Brack!» La voce era profonda e non ammetteva disobbedienza. «Andate via, tutti quanti!»

    Grace si girò lentamente. Guardò in alto... e ancora in alto. E deglutì. Un uomo dall'aspetto possente torreggiava sopra di lei, la faccia girata, solo il lato sinistro visibile. I capelli castani erano lunghi in uno stile fuori moda, le spalle e il petto ampi, e la sua espressione – quel che se ne poteva vedere, almeno – era tetra.

    Lei non sarebbe potuta fuggire neppure se avesse voluto, le sue ginocchia tremavano troppo. Inoltre, non c'era nessun posto in cui rifugiarsi, non con quei cani latranti vicino.

    «Siete in ritardo» ringhiò lui.

    Il tempo parve rallentare. L'uomo continuava a non guardarla direttamente, mentre la mente di Grace esaminava e rifiutava tutte le risposte sincere a sua disposizione. «Mi dispiace» si limitò a mormorare.

    «Sembrate troppo giovane per essere un'istitutrice.»

    Istitutrice? C'erano altri bambini, oltre a Clara? «Sono adeguatamente addestrata» ribatté sollevando il mento.

    Le implicazioni delle parole dell'uomo la colpirono. Se Lord Ravenwell stava aspettando un'istitutrice, perché non poteva essere lei? Lei era addestrata. Se Sua Signoria la riteneva adatta, sarebbe potuta restare. Avrebbe potuto vedere Clara ogni giorno e controllare che sua figlia fosse felice e amata. Che non fosse considerata solo un fardello, com'era capitato a lei.

    Lo sguardo dell'uomo si abbassò e indugiò. Grace lo imitò e vide le strisce di fango sul suo mantello grigio. «È colpa dei vostri cani» affermò, indignata.

    L'uomo grugnì e si fece di lato, aprendo del tutto la porta e indicandole di entrare. Radunando il proprio coraggio, Grace lo superò. Fece due passi e si immobilizzò.

    L'ingresso in cui si trovava era cavernoso, si innalzava per due piani in un arcuato tetto a travi. Le pareti erano pannellate a metà di legno scuro e, sul lato sinistro, una scalinata saliva fino a un mezzanino e poi girava, proseguendo per dare accesso a una galleria. Sollevò lo sguardo e, a metà della seconda rampa di scale, vide una piccola faccia – occhi enormi, bocca all'ingiù – che scrutava attraverso la balaustra di legno.

    Il cuore di Grace sobbalzò. Avanzò come in un sogno, l'attenzione totalmente concentrata su quel visetto. Clara.

    Era possibile. L'amore inondò ogni cellula del suo essere, mentre attraversava l'ingresso, le lacrime che le offuscavano la vista. Sua figlia! La memoria – una neonata strappata troppo presto dalle sue braccia – adesso poteva essere rimpiazzata da quel piccolo angelo. Un angelo disperato, si rese conto Grace riconoscendo la tristezza in quel caro visino, la desolazione nei grandi occhi. Data via dalla madre naturale e adesso orfana e condannata a essere cresciuta da...

    Grace si volse ad affrontare l'uomo, che l'aveva seguita. La testa di lui scattò da un lato, ma non prima che la giovane notasse la pelle devastata della sua guancia destra, mezzo nascosta dai capelli che gli scendevano sulla faccia. Con impazienza, distolse lo sguardo. L'unica cosa che le importava era assicurarsi che sua figlia fosse debitamente curata. «Chi siete voi?» lo apostrofò.

    Un cipiglio increspò la fronte dell'uomo. «Il padrone di questa casa. Chi siete voi, piuttosto?»

    Il padrone. Lo zio di Clara. Il marchese.

    Bene, titolo o no, cicatrici o no, non mi fai paura. Lei si raddrizzò in tutta la sua altezza. «Grace Bertram» rispose.

    «Bertram? Io non... Voi non siete chi aspettavo...»

    «Sono venuta al suo posto.»

    «Oh.» Lord Ravenwell esitò, poi proseguì in tono scontroso: «Seguitemi. Ho bisogno di sapere qualcosa di voi, se devo affidare mia nipote alle vostre cure».

    Il cuore di Grace mancò un battito. Avrebbe avuto il coraggio di seguire il proprio cuore? Aveva bisogno di un lavoro e sembrava che, per qualche miracolo, potesse esserci una posizione, per lei, nella casa in cui viveva sua figlia.

    «Clara...» Ravenwell chiamò la bambina sulle scale. «Vieni con me.»

    Clara scese le scale strisciando sul sedere e Grace affidò ogni istante alla memoria, il cuore gonfio al punto che sembrava dovesse scoppiarle nel petto.

    «Vieni, cucciola.» Il marchese tese la mano.

    Clara dondolò attraverso l'ingresso, trascinando i piedi, la sua riluttanza palpabile. Raggiunse lo zio e mise la piccola mano in quella di lui, mentre si infilava l'altro pollice in bocca e lanciava un timido sguardo in direzione di Grace. Appariva così piccola e

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