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Brividi di Natale (eLit): eLit
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E-book161 pagine2 ore

Brividi di Natale (eLit): eLit

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Info su questo ebook

ROMANZO INEDITO
Susan McKnight è in pericolo.
La bella psicologa è scelta come tramite da uno psicopatico, che le preannuncia una serie di delitti.
Jack Carter si prende cura della donna e dei suoi due figli adottivi. E non sarà solo il caso poliziesco ad angustiarlo. Gli affari di cuore infatti...
LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2018
ISBN9788858995594
Brividi di Natale (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Brividi di Natale (eLit) - Joanna Wayne

    successivo.

    Prologo

    Mercoledì, 15 dicembre

    ore 16:00

    La mano inguantata dell'uomo versò una goccia di acqua di colonia sul biglietto. Era la sua firma. Alla bella psicologa non sarebbe sfuggita.

    La dottoressa Susan McKnight. Bella e crudele. Le bastava formulare un giudizio per sconvolgere la vita di un essere umano. Quanto avrebbe voluto vedere la sua faccia quando lei avrebbe ricevuto il messaggio.

    Pazzo. Era così che lo aveva definito. Presto, avrebbe scoperto quanto fosse lucido. E crudele.

    «Prova a fermarmi, se ci riesci» sghignazzò, mentre inumidiva il lembo della busta con una spugnetta. Non avrebbe regalato alla Scientifica neanche una traccia di saliva da esaminare.

    Susan McKnight si sarebbe ritrovata con un bel caso tra le mani e con tre sole possibilità per risolverlo. Ridendo tra sé, l'uomo infilò la busta in un sacchetto di plastica.

    La partita era cominciata.

    1

    Mercoledì, 15 dicembre

    ore 17:00

    Mancavano ancora dieci giorni a Natale, ma i suoi pazienti erano già in preda al panico. Susan McKnight lo intuiva dalle voci tremolanti, dagli occhi sbarrati e persi nel vuoto: come quelli della donna che le sedeva di fronte.

    «Spero soltanto di poter sopravvivere a un altro Natale con Gregory. Se trascorresse più tempo a casa sarebbe diverso, ma da quando ha ricevuto la promozione, s'interessa più all'azienda che a me.»

    «A lei importa molto di lui?»

    «Credo di sì. Non era mia intenzione parlargliene, ma, dal momento che questa terapia mi costa quanto un viaggio in Europa, tanto vale che le racconti tutto.»

    Susan le rivolse un sorriso rassicurante. «Di che si tratta?»

    «Mi vedo con una persona.»

    «Un amante?»

    «Sì. Che cosa ne pensa?»

    «Lei che ne pensa?»

    «Non sono fiera di me stessa, se è ciò che vuol sapere. Il mese scorso ho rotto con quel maestro di tennis, come mi ero riproposta, ma ora è Natale. Non potrei farcela da sola.»

    Susan non si scompose. Tenne le sue opinioni per sé. I pazienti la pagavano non per essere biasimati, ma aiutati.

    «Dottoressa McKnight, trarrei maggiore beneficio da queste sedute se mi dicesse quel che devo fare. Se fossi in grado di decidere per il meglio da sola, non avrei bisogno di lei.»

    «Soltanto tu puoi decidere che cosa sia meglio per te. Io posso aiutarti a capire il perché delle tue scelte e sostenerti nei mutamenti comportamentali che vorrai realizzare. Neanch'io conosco tutte le risposte.»

    Non più, almeno. Lo scorso Natale era fermamente persuasa del contrario. Gli avvenimenti degli ultimi dieci mesi l'avevano spogliata di ogni parvenza di autostima e avevano polverizzato in lei qualsiasi presunzione di superiorità.

    «Che si aspetta da questa relazione?»

    Carolina fece spallucce.

    «Frequenterebbe quest'uomo anche se Natale non fosse alle porte?»

    Susan continuò a rivolgerle domande, dandole il tempo di mettere a nudo i suoi veri sentimenti. La giovane moglie del magnate dell'editoria era in terapia da lei da oltre un anno e quelli che parevano i suoi modelli comportamentali non si erano spostati di un millimetro.

    «Si concentri su ciò che sta cercando in questa relazione e su quello che è disposta a dare. Poi ne parli con Gregory. Potrebbe essere il più bel Natale della sua vita.» Susan l'accompagnò alla porta e sostò sulla soglia. «Se ha bisogno di me, mi chiami pure. In caso contrario, ci vediamo tra due settimane.»

    Carolina uscì sul portico e le ombre del giardino le oscurarono il viso. «Dovrebbe chiudersi a chiave nello studio» consigliò alla psicologa, intravvedendo una sagoma un isolato più giù.

    «Ho un altro appuntamento a minuti, e poi non ho mai avuto problemi in questo quartiere.»

    «C'è sempre una prima volta.»

    «Terrò gli occhi aperti» replicò Susan sorridendo, e tornò nello studio.

    Aveva scoperto quel posto per caso, mentre cercava il ristorante in cui alcuni amici le avevano dato appuntamento. Le era piaciuto subito e, in tre anni, non si era pentita una sola volta dell'acquisto.

    Il verde e la quiete circostanti avevano un effetto sedativo sui suoi pazienti e tonificante su di lei. Lavorare fino alle prime luci dell'alba era stata la prassi, prima dell'incidente.

    Prima dell'incidente.

    Il cuore le saltò un battito mentre quei ricordi riemergevano in superficie. La sua migliore amica aveva perso la vita in uno scontro frontale e lei si era ritrovata con Rebecca, di sei anni, e con Timmy, di tre, che, in pieno stato confusionale, piangevano davanti alla porta di casa sua.

    Lo squillo del telefono la riportò al presente. Forse il paziente delle diciotto la chiamava per informarla che avrebbe fatto tardi. Gli annullamenti degli appuntamenti andavano eseguiti con un anticipo di ventiquattro ore.

    Susan si accostò l'apparecchio senza filo all'orecchio, recuperò la pratica di Carolina e fece scorrere il classificatore.

    «Zia mamma?»

    «Che c'è, Rebecca?»

    «Per quale motivo mi hai risposto tu e non il segretario?»

    «Lui se ne va alle cinque.»

    «Perché non vieni via anche tu? Timmy e io siamo stanchi di stare con Lucy. Vogliamo te.»

    «Credevo che lei vi piacesse.»

    «Questa sera avrei preferito che ci fossi tu.»

    «Qualcosa non va?»

    «Babbo Natale esiste?»

    Susan si lasciò cadere sulla poltroncina di pelle. La verità era il miglior modo di rispondere alle domande dei bambini. Lo ripeteva da anni, ma mettere in pratica i suoi stessi insegnamenti diventava ogni giorno più difficile.

    «Ne abbiamo già discusso sabato.»

    «Lo so. Babbo Natale incarna lo spirito della bontà» recitò Rebecca, «ma è uno spirito vero o immaginario?»

    Dei passi risuonarono all'ingresso: il paziente era arrivato.

    «Temo che dovremo aggiornare la discussione al mio rientro. Ho una visita, ora.»

    «Ma la signorina Sippen ha visto con i suoi occhi Babbo Natale che metteva i giocattoli sotto l'albero, l'anno scorso. Uno spirito può farlo?»

    «Ti ho detto che ne parleremo a casa.»

    «D'accordo. Senti, posso guardare La Bella e la Bestia

    Quando Susan riattaccò era esausta. Freud avrebbe riso di un'analista che aveva una risposta per i problemi di chiunque e non per i propri.

    Guardò in direzione della porta. Strano, avrebbe giurato di aver udito dei passi. Doveva essere stato il vento. Recuperò l'agenda e verificò gli impegni del giorno dopo.

    Un nuovo paziente alle nove e una consulenza familiare per conto del tribunale alle quindici e trenta. Non c'era un buco neanche a pranzo. Aveva accettato di tenere una lezione su I pericoli delle ingannevoli attese festive.

    Susan estrasse il portacipria dalla borsa e si specchiò. I capelli erano in ordine. Lo chignon le conferiva un'aria professionale e la faceva apparire più matura di una trentatreenne. D'altronde la gente diffidava delle analiste giovani.

    La porta si aprì e lei fece scivolare il portacipria in borsa mentre il signor Bingham avanzava nella stanza.

    «Le chiedo scusa per il ritardo» mugugnò, sfilandosi la giacca e scaraventandola sul divano. «Sono rimasto imbottigliato nel traffico. In questa città la gente guida al rallentatore.»

    Susan lo esaminò con occhio esperto. Il signor Bingham si era giocato una promozione per via del suo temperamento e ora sua moglie minacciava di chiedere il divorzio. Come ultimatum, gli aveva ingiunto di farsi dare una controllatina da uno strizzacervelli.

    «Perché non si accomoda? Cerchiamo di sfruttare il tempo che ci resta.»

    «Già. Sborso fior di quattrini per questo privilegio.» Le porse una busta e si sedette. «L'ho trovata sotto il tappetino dell'ingresso. Dev'essere di qualche maniaco che non aveva trentadue centesimi per il francobollo.»

    Lei guardò la busta. Il suo nome era scritto a macchina. Niente cognome né indirizzo e nessuna traccia del mittente. La mise nel cassetto, andò a sedersi di fronte al signor Bingham e per i successivi cinquanta minuti lo ascoltò sparare a zero su chiunque, dalla moglie al presidente degli Stati Uniti.

    Erano le diciannove passate quando riuscì a liberarsene. Fuori pioveva. Sfilò l'impermeabile dall'attaccapanni e tornò nell'ufficio a recuperare la borsa e la valigetta. Mentre rovistava nel cassetto in cerca delle chiavi, sfiorò con le dita la busta che l'uomo le aveva consegnato.

    Aveva diversi pazienti che soffrivano di manie suicide. Se fosse stata una richiesta d'aiuto, avrebbe fatto meglio a leggerla fintanto che era ancora in ufficio.

    Aprì la busta con il tagliacarte e, alla vista del biglietto dattiloscritto, sprofondò sulla poltrona con lo stomaco contratto in una morsa.

    Dottoressa McKnight,

    buone feste!

    Troverà la sua prima sorpresa in un campo appena fuori Algiers. È il cadavere di una ragazza. Ne seguiranno altri. Per Natale, implorerà pietà e io le riserverò la stessa che ha avuto per me.

    Sogni d'oro.

    Scioccata dalle immagini cruente che quelle righe evocavano, Susan piegò il foglio con dita tremanti e lo ripose nella busta.

    Quale mente malata poteva elaborare pensieri tanto insani? Uno dei suoi pazienti avrebbe potuto realmente commettere un omicidio? O il mittente di quella lettera voleva punirla per un torto che soltanto lui conosceva?

    Susan tentò di convincersi che si trattasse di una minaccia fine a se stessa, ma il timore che l'autore di quel messaggio fosse lì fuori a spiarla le fece correre un brivido lungo la schiena.

    Doveva andarsene subito. Avrebbe chiamato la polizia dall'auto.

    Raggiunse la berlina e avviò il motore. Poi, reggendo il volante con una mano, chiamò il 113 dal cellulare.

    «Dammi un cinque, piccolo.» La voce di Jack Carter rimbombò tra le pareti dell'Ospedale dei Bambini, mentre si accostava al letto successivo. «Allora, Matilda, che regalo vuoi per Natale?»

    La brunetta tese il braccio medicato per sfiorare la barba bianca dell'uomo. «Come sai il mio nome?»

    «Sono Babbo Natale.» E il suo nome era inciso sul braccialetto che aveva al polso. Un particolare che non era il caso di rimarcare. Anche Babbo Natale aveva diritto a qualche segreto.

    La bimba rise. «E come sapevi che ero qui?»

    «Io so tutto.»

    «Allora, che bisogno hai di chiedermi quello che voglio per Natale?»

    «Nessuno.» L'uomo affondò la mano nel sacco e ne estrasse una Barbie con il vestito rosso. «Ecco. L'ho scelta per te.»

    «Oh! È bellissima! La mamma aveva detto che Babbo Natale quest'anno non sarebbe venuto perché avevamo i conti dell'ospedale da pagare. Sono caduta da un albero in giardino e mi sono rotta le ossa in sette punti.»

    Matilda gli gettò le braccia al collo e, in quel momento, il cercapersone di Jack vibrò. Aveva lasciato la ricetrasmittente al parcheggio. «Promettimi che starai lontana dagli alberi.»

    La piccola glielo giurò e mentre si girava a sistemare la bambola sul cuscino, Jack sgattaiolò in corridoio in

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