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Conto su di te: Harmony Collezione
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E-book158 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Non aveva alternative.

In questo caso, infatti, il suo fiuto di investigatore privato non sarebbe servito proprio a niente. Aveva bisogno di aiuto molto concreto, per risolvere il delicato “problema” che gli si è appena presentato. Josh McKinley non si perde d’animo. Va al ristorante “Lucky Charm” e...
LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2017
ISBN9788858961827
Conto su di te: Harmony Collezione
Autore

Judy Christenberry

Ex professoressa di francese, ha lasciato la carriera per dedicarsi al suo vero amore: raccontare storie.

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    Anteprima del libro

    Conto su di te - Judy Christenberry

    successivo.

    1

    «Uèèè!»

    Josh McKinley guardò la bambina sistemata accanto a lui sul seggiolino dell'auto come se fosse un'aliena.

    «Ascolta» le disse, con una punta di disperazione nella voce. «Lo so che ti senti infelice, ma per me non è certo meglio. Voglio dire, non è che non voglio... insomma, tu sei... Santo cielo, non so neanche'io quello che voglio dire.»

    Un singhiozzo fu l'unica risposta. Non che ci si potesse aspettare una gran conversazione, da una bambina di otto mesi, ma con chi altro poteva parlare?

    La piccola prese fiato per poi strillare più forte, e lui accese nervosamente la radio. La musica rock che ascoltava di solito non gli parve molto appropriata, e cercò su parecchie stazioni prima di riuscire a trovarne una che trasmettesse una melodia rassicurante e un po' orecchiabile.

    Come per miracolo, la bambina smise di piangere.

    La bambina che era sua figlia.

    Quando il Centro di Assistenza Sociale aveva cercato di mettersi in contatto con lui, quella mattina, Josh non aveva richiamato subito. Era molto occupato. E, di solito, non trattava casi che riguardavano minori.

    Joshua McKinley, Investigatore Privato, era uno dei migliori di Kansas City. Poteva permettersi di scegliere tra gli incarichi che gli venivano offerti.

    Ma loro avevano richiamato, lasciando un messaggio.

    Lui aveva per le mani un caso difficile. Li avrebbe sentiti più tardi. Magari, volevano solo una donazione.

    Alle cinque e mezzo, dopo aver dipanato nel corso della giornata almeno un paio di faccende piuttosto complicate e difficili, stava chiacchierando al telefono con una modella che aveva già invitato un paio di volte a cena. All'improvviso, qualcuno aveva ricominciato a chiamare con insistenza, sulla seconda linea.

    Il primo impulso era stato quello di ignorare la chiamata ma, siccome era chiaro che la modella aveva segatura al posto del cervello, e magari, al telefono, qualcuno poteva proporgli un caso interessante, lui si era detto: Perché no?

    «Pronto?»

    «Parlo con Joshua McKinley?»

    «In persona. Che cosa posso fare per lei?»

    «Tanto per incominciare, potrebbe rispondere ai messaggi sulla segreteria» replicò in tono indignato un'acuta voce femminile.

    «Con chi parlo, scusi?»

    «Sono Abigail Cox, del Centro di Assistenza Sociale. Non ha ricevuto i miei messaggi?»

    Lui raddrizzò le spalle. «Mi dispiace, signora, ma io ho un lavoro da portare avanti, qui.»

    «E io, invece, qui ho una bambina che reclama suo padre.»

    «Di solito non mi occupo di minori. Se il caso non è troppo complicato e se lei mi manda la documentazione entro un paio di giorni, però, vedrò che cosa posso fare.»

    Forse non era un mostro senza cuore.

    «Signor McKinley, non ci vorranno le sue doti di detective, per scoprire chi è il padre. La bambina è sua figlia

    Lui aveva scostato il telefono e l'aveva guardato a bocca aperta. Poi si era convinto di non aver capito bene. «Come ha detto, scusi?»

    «È anche sordo, oltre che un po' lento di riflessi? Ho detto...»

    «Non sono disposto a tollerare insulti, signora.»

    «Va bene. Mi scusi. Ho avuto una giornata difficile.»

    Certo. Aveva la voce stanca, e lui poteva capirla. Non era facile occuparsi a tempo pieno di una masnada di ragazzini. Ma era comunque giusto che la poveretta si rendesse conto di aver commesso un errore a dir poco clamoroso.

    «Lei ha tutta la mia simpatia, signora. E le auguro di trovare al più presto il tizio che cerca.» Stava già per riagganciare, quando nella cornetta si udì uno strillo.

    «Signor McKinley, è lei il tizio che cerco!»

    Un altro strillo, nell'abitacolo dell'auto, lo richiamò alla realtà. Lo strillo venne seguito da altri acuti a distanza ravvicinata, sovrastò la musica e gli procurò un improvviso attacco di emicrania, proprio al centro della fronte.

    Che cosa doveva fare, in nome del cielo? Lui non ne sapeva niente, di bambini!

    Passò mentalmente in rassegna le sue conoscenze femminili, e non per una sola volta, poi scrollò la testa sconsolato. Aveva un'unica parente, una lontana cugina che viveva a Boston. Non era più riuscito a stabilire una relazione stabile dopo Julie, e guarda che cosa gli aveva fruttato. Lanciò un'occhiata ancora incredula alla bambina.

    Lungo la strada scorrevano le insegne dei negozi. Il mondo sembrava del tutto indifferente ai suoi guai. Una scritta luminosa attirò la sua attenzione: Tavola Calda Lucky Charm.

    Il locale di Mike O'Connor!

    Josh aveva lavorato per Mike un paio di anni addietro, poco prima che morisse. Mike aveva due figlie, e lui gliene aveva ritrovata una terza di cui si erano perse le tracce.

    Guarda che curiosa coincidenza.

    Come si chiamavano le figlie? Kathryn, Mary Margaret e Susan. Sì, Susan.

    Josh infilò in fretta la macchina nel parcheggio riservato. Erano quasi le dieci. Se non altro, avrebbe ordinato un latte tiepido per la bambina. E magari si sarebbe fatto dare qualche consiglio.

    Ne aveva un gran bisogno.

    Mary Margaret O'Connor sorrise. Kate sarebbe stata molto contenta. Non che dipendesse ancora dalla tavola calda o dall'impresa di catering, ora che aveva sposato il suo Will, ma più alto era il guadagno, e meglio avrebbero potuto aiutare Susan.

    Le tre sorelle si dividevano equamente i profitti dell'impresa lasciata loro dal padre.

    Povero papà. Non avrebbe più nemmeno riconosciuto il locale, se fosse stato vivo. Kate l'aveva trasformato in uno dei locali più in di Kansas City.

    Le riflessioni di Maggie vennero interrotte all'improvviso da un rumore che all'inizio le sembrò una sirena. Ma non era una sirena, era un bambino che strillava a più non posso.

    Un bambino ? A quell'ora della sera?

    Maggie sbucò dall'ufficio dietro la cucina, con la tazza del caffè in mano. Si fermò sulla soglia del loca le, e fissò il bel tipo fermo davanti al banco. Teneva il seggiolino portatile come se non sapesse bene che cosa farne.

    «Meno male che ci sei» esclamò Wanda, vedendola arrivare. Wanda era la cameriera del turno serale.

    «Serve aiuto?» chiese lei, faticando a farsi sentire, con tutti quegli strilli. Ma perché il tipo non faceva qualcosa?

    «Questo signore cercava te, oppure Kate.» La cameriera, che a quell'ora aveva già esaurito la pazienza e l'energia, tornò alle sue faccende.

    Maggie fissò il tizio in questione e desiderò che ci fosse anche Kate, lì con lei. Lo sconosciuto era così attraente, con quelle spalle larghe, i jeans stretti e gli occhi blu, da lasciare qualunque donna senza parole.

    «Sei Mary Margaret? La figlia di Mike O'Connor?»

    «Maggie, prego. Mi chiamano tutti Maggie.» Ma era chiaro che lui non si trovava lì soltanto per scoprire il suo soprannome.

    «Maggie, mi trovo in un grosso pasticcio.»

    Lo vedeva anche lei, pur sapendone pochissimo di bambini. Ma non erano affari suoi, no? «Di che cosa si tratta?»

    Con sua immensa sorpresa, l'uomo le tese istantaneamente il seggiolino portatile, con dentro il bambino. Lei, automaticamente, lo prese. Che cosa si fa, con un bambino in braccio? Si cerca di cullarlo. «Ehi, piccolino. È tutto a posto, non piangere.» O forse era una bambina?

    Sì, era una bambina. E smise di piangere.

    Dai clienti seduti ai tavoli si levò un evviva.

    Gli strilli ricominciarono.

    L'uomo si girò e, rivolto ai presenti, mise un dito sulle labbra per chiedere silenzio.

    Lui, chiedeva silenzio?

    Si rigirò e Maggie lo fissò con attenzione, mentre continuava a cullare quel fagotto urlante tra le braccia.

    «Ci conosciamo?» gli chiese quasi sottovoce. Il fagotto si quietò.

    «Sono Josh McKinley.»

    Lei ebbe la vaga impressione di aver già sentito quel nome in precedenza. Ma dove? L'uomo non lavorava di certo negli uffici di contabilità amministrativa dove lavorava lei. Non con tutti quei muscoli. Se lo sarebbe ricordata.

    «Mi dispiace, non...»

    «L'investigatore. Quello che tuo padre aveva incaricato di ritrovare tua sorella Susan.»

    «Oh, certo! Papà me ne parlò, una volta.»

    «Ecco, lo so che non mi dovete niente, ma io ho bisogno di una donna.»

    Maggie rimase per un attimo senza fiato. «Come, scusi?»

    Lui la considerò una domanda stupida. «Non per me, naturalmente» precisò in tono spiccio. E indicò con lo sguardo la bambina.

    Maggie guardò la piccina chiudere lentamente gli occhi, poi tornò a fissare lui.

    «Allora, sta cercando una babysitter. Ma perché si è rivolto a me, scusi?»

    «No, non cerco una babysitter.» Josh si passò nervosamente una mano dietro la nuca. «Voglio dire... ne avrò sicuramente bisogno, ma in questo momento mi occorre qualcuno che mi dica cosa fare

    C'erano mille domande intelligenti da rivolgergli, per riuscire a capirci qualcosa. A Maggie non ne venne in mente nessuna. «Cosa fare?»

    Dimenticò di bisbigliare, e la bambina spalancò gli occhi per poi ricominciare a strillare.

    «Che cosa fare in questa situazione!» esclamò Josh, esasperato.

    Maggie tolse la bimba dal seggiolino, l'appoggiò alla spalla e le batté dolcemente la schiena. Che conversazione insensata!, pensò. E finalmente si decise ad andare a fondo alla questione.

    «Per favore, signor McKinley, incominciamo dal principio. Di chi è questa bambina?»

    «Mia» rispose lui con riluttanza, quindi distolse lo sguardo altrove.

    Maggie sbatté le ciglia due volte. «Sua? Vuol dire che lei è il padre?»

    «Sì, maledizione! Come fa a sapere che è una bambina?»

    «È vestita di rosa.»

    «Uhm. Già.»

    «Come si chiama?» chiese Maggie.

    «Si chiama... Oh, maledizione! Non lo ricordo!»

    Lei lo guardò disgustata. «Non ricorda il nome di sua figlia?»

    Josh arrossì. «È stato uno shock. Fino a poche ore fa non sapevo neanche che esistesse. Me l'hanno detto...» Si massaggiò la fronte. «È un nome d'altri tempi. Mi verrà in mente, prima o poi.»

    «Non posso crederci!»

    «Ce l'ho sui documenti che sono rimasti in macchina.» Si girò verso la porta e Maggie ebbe il terrore che se ne andasse per non tornare.

    «Ehi! Dove va?»

    Lui si girò sorpreso. «A scoprire come si chiama. Lo volevi sapere, no?»

    «No. Quello che voglio dire è... Ha intenzione di tornare a riprenderla, vero?»

    Lui la fissò con espressione infelice. Poi d'impulso tirò fuori di tasca il portafoglio. «Tieni. Qui ho la patente e tutte le carte di credito. Contenta?»

    Lei rimase lì in piedi, con la bambina in braccio, a fissare il portafoglio come se avesse potuto mettere le ali e volarsene via da solo.

    Josh ricomparve due minuti dopo, con una borsa in mano. «Ecco, è tutto qui dentro.» Tirò fuori una manciata di fogli, con espressione trionfante. «Si chiama Virginia Lynn.»

    Maggie scostò la bambina per guardarla in viso. «Ginny? Ti chiami Ginny, tesoro?»

    La piccina soffocò un singhiozzo, e le prese i capelli.

    «Quando ha

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