La cosa giusta per Lizzie: Harmony Destiny
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Vicki Lewis Thompson
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
La cosa giusta per Lizzie - Vicki Lewis Thompson
successivo.
1
«Avanti, Sebastian, tesoro» sussurrò la donna staccandosi un attimo dalle sue labbra. «Fa' vedere alla piccola Charlotte cosa sai fare» aggiunse cercando di abbassargli la cerniera dei jeans.
Sebastian le afferrò il polso e le scostò la mano. Non avrebbe mai permesso a una donna di prendere l'iniziativa. «Ehi, non correre!»
«Okay» sospirò lei iniziando a sbottonargli la camicia. «Non ti facevo così timido. Non avrei mai immaginato che potessi esserlo, dopo tanti anni con Barbara.» Gli slacciò un altro bottone. «È per questo che hai preparato quella cenetta speciale, aperto una delle migliori bottiglie della tua cantina e acceso quel bel fuoco nel camino? Per calmarti i nervi?»
«Non sono nervoso. È che vorrei...»
«Anch'io, tesoro.» Charlotte finì di sbottonargli la camicia e gli scoccò dei baci umidi sul collo.
Accidenti, stava incominciando a eccitarsi. Non si era aspettato che Charlotte potesse essere tanto sensuale. Aveva sempre pensato che una donna dovesse piacergli, per portarsela a letto. Ogni volta che vedeva la ragazza dietro lo sportello della banca provava un certo pizzicorino. Senza contare che ormai stava arrivando la primavera, che entro un mese avrebbe compiuto trentacinque anni e che cominciava a sentire il passare del tempo.
Ma forse invitare Charlotte lì al ranch non era stata una buona idea...
Lei gemette e prese a sfregargli i seni contro il petto. «Spogliami» gli sussurrò prima di baciarlo di nuovo.
Quei seni lo tentavano. Erano stati una delle prime caratteristiche che lo avevano attratto in lei e, come gli avevano detto gli amici, se voleva darsi di nuovo alla caccia da qualche parte doveva pur incominciare.
Il fatto era che stava andando tutto troppo in fretta, rifletté mentre le sbottonava la camicetta, per poi fermarsi quando ebbe qualche problema a slacciarle il reggiseno.
Dovette riconoscere che i suoi seni sembravano fatti apposta per essere accarezzati dalle mani di un uomo, ma il suo profumo cominciava a risultare soffocante. Nonostante questo, l'eccitazione di Sebastian cresceva di minuto in minuto. Be', era per portarsela a letto che l'aveva invitata lì, no? Era per quello che aveva rinchiuso il cane, apparecchiato con tanto di candele e spento le luci per sedersi a sorseggiare dell'altro vino davanti al camino. Se adesso si fosse tirato indietro lei si sarebbe offesa a morte...
Se avesse continuato, forse avrebbe scoperto che dopotutto quella donna poteva piacergli davvero, si disse poco convinto.
Jessica aveva attraversato gran parte del Colorado controllando di continuo che nessuno la seguisse, ma forse, in realtà, aveva cambiato continuamente strada per posticipare il più possibile l'odiato momento. Ormai era quasi arrivata. Si era fermata solo una volta vicino a Canon City per bere una tazza di caffè, aveva superato Huerfano e adesso era quasi giunta a destinazione.
Sebastian l'aveva invitata ad andare a trovarlo al suo ranch parecchie volte, ma lei non ne aveva mai avuto il tempo, e dopo che si era ritrovata incinta una visita avrebbe suscitato domande alle quali non aveva nessuna voglia di rispondere. Non l'aveva nemmeno adesso, ma a un certo punto aveva deciso che il ranch sarebbe stato il posto più sicuro per Elizabeth, la dolce, innocente creatura che ora dormiva sul sedile posteriore.
Pensò ai genitori, blindati nella lussuosa residenza sul fiume Hudson. Elizabeth sarebbe stata altrettanto al sicuro laggiù, esattamente come lo era stata lei per ventiquattro anni della sua vita, anche se chiamarla tale le risultava difficile. Non avrebbe mai augurato a nessuno quel genere di esistenza, tanto meno a sua figlia...
Quando tre anni addietro aveva lasciato quella casa si era convinta che mantenendo solo dei brevi e sporadici contatti coi suoi sarebbe stata in grado di condurre una vita da comune mortale. Poche sere prima, invece, all'uscita dal lavoro, qualcuno aveva cercato di rapirla, una volta scoperto che era l'erede dei Franklin. Poiché sua figlia in quel momento era a casa da sola con la governante, lei ne aveva dedotto che i rapitori non fossero al corrente della sua esistenza e aveva deciso di approfittarne.
Nei giorni che erano seguiti aveva cercato di non lasciare troppo spazio alle emozioni e di trovare una soluzione, finché, una notte, aveva preso la bambina e aveva lasciato la casa in cui vivevano. Nei tre giorni seguenti aveva abituato Elizabeth a nutrirsi con il biberon.
Ora la luce della luna faceva brillare il fondo ghiacciato della strada, ai lati della quale si stendevano dei campi coperti di neve. Ringraziò il cielo che Sebastian fosse in casa, come le aveva rivelato la telefonata che gli aveva fatto da Canon City, riattaccando non appena aveva sentito la sua voce. Nonostante lo considerasse un buon amico, infatti, non era ancora pronta a raccontargli tutta la sua storia.
Rallentò per individuare la deviazione che portava al ranch, e al pensiero che di lì a poco avrebbe dovuto separarsi dalla sua bambina gli occhi le si riempirono di lacrime.
Sebastian avrebbe voluto spostarsi dal divano, sul quale Charlotte giaceva mezza nuda, alla camera da letto, dove avrebbe potuto allungare le gambe e stare più comodo. Oltretutto, non immaginando che la donna avrebbe cercato di sedurlo nel soggiorno, aveva messo i preservativi nel comodino. Purtroppo lei sembrava così coinvolta che l'idea di proporle all'improvviso di cambiare posto lo imbarazzava.
Prese il coraggio a due mani e si staccò da lei. «Charlotte, io avrei bisogno di...»
«Tu hai bisogno di me, tesoro» lo interruppe la ragazza attirandolo di nuovo a sé.
«Sì, ma prima dovrei...»
«Spogliarti» finì nuovamente lei slacciandogli la cintura dei jeans a tempo di record.
«Volevo dire che dovrei prendere un preservativo.»
Charlotte gli tirò giù la zip. «Non serve. Prendo la pillola.»
Lui chiuse un attimo gli occhi. «Voglio usarlo lo stesso.»
«Ti assicuro che non ho nessuna malattia infettiva.»
«Potrei averla io.»
«E come, dal momento che da quando la tua ex se n'è andata hai vissuto come un monaco?»
Sebastian si scostò. «E chi lo dice?»
«Tutta la contea, tesoro. Avanti, lascia perdere i preservativi. Fare l'amore senza quei fastidiosi aggeggi è molto più bello.»
Sebastian ne era certo. Ne era dannatamente certo, ma per quanto l'idea lo attirasse non avrebbe ceduto. «Non mi va di affidarmi al destino, Charlotte.» Non lo aveva mai fatto, soprattutto in quel genere di circostanze. Aveva rischiato il collo un milione di volte, ma per quanto riguardava i figli era abbastanza all'antica da pensare che il padre di un bambino dovesse essere sposato a sua madre e che, con un po' di fortuna, i due dovessero amarsi.
Charlotte ridacchiò. «Allora è meglio che ti sbrighi, tesoro. Hai tutta l'aria di essere sul punto di scoppiare.»
Sebastian non poté fare a meno di sorridere. La cosa avrebbe potuto rivelarsi divertente, anche se in quel tipo di faccende la fretta non gli era congeniale. «Già» borbottò tirandosi su i calzoni. «Torno subito.»
Il campanello suonò e lui si voltò in direzione dell'ingresso chiedendosi chi potesse essere a quell'ora. In quel periodo dell'anno era solo lì al ranch, e alle dieci di un venerdì sera nessuno si presentava improvvisamente alla sua porta a meno che non ci fosse un'emergenza. Il pensiero gli andò subito a Matty. Che fosse successo qualcosa giù al Leaning L? Matty ci viveva da sola, e anche se non aveva mai osato dirglielo, visto che era la donna più indipendente che avesse mai conosciuto, la cosa lo preoccupava.
Guardò Charlotte che sembrava seccata per quell'interruzione, e si strinse nelle spalle come per scusarsi. «Perché non vai nella mia camera da letto, mentre guardo chi è? Potrebbe trattarsi di un'emergenza e...»
«Sarà meglio che si tratti di un'emergenza» borbottò lei raccogliendo da terra la camicetta e il reggiseno. «Okay. Ti aspetto a letto.»
Sebastian si riabbottonò la camicia, la infilò nei jeans e si riallacciò la cintura, augurandosi che alla porta non ci fosse Matty. Non con Charlotte nuda nel suo letto. Non si sarebbe scandalizzata se lo avesse saputo, ma ne avrebbe riso per mesi e la cosa lo avrebbe imbarazzato.
Quando fu certo che Charlotte fosse ormai fuori vista raggiunse la porta d'ingresso nella semioscurità. Aveva tirato le tende delle finestre che dava no sul portico sia per difendere la propria privacy sia per tener fuori il freddo di quella gelida sera di marzo, per cui andò subito ad aprire la porta.
Rimase quasi accecato da due fari puntati contro il portico e piegò un braccio davanti agli occhi per difenderli da quella luce fastidiosa. «Chi è?» gridò.
Il guidatore diede un lungo colpo di clacson.
«Ehi!» urlò lui uscendo sul portico, infastidito da quello che gli sembrava uno scherzo idiota. «Chi diavolo...»
Il pianto di un neonato lo interruppe. Abbassò gli occhi, vide sulla sua destra un infant sit e si rese conto che era da lì che proveniva il pianto.
Mentre lo fissava attonito, incapace di muoversi, i fari disegnarono un arco lungo il portico perché la macchina stava girando. Sebastian corse giù dai gradini gridando: «Ehi! Fermati! Non puoi lasciare qui un bambino come fosse un cucciolo! Torna indietro, razza di delinquente! Cosa devo fare con questa creatura?».
Corse inutilmente dietro la macchina per alcuni metri, poi dovette rinunciare a inseguirla e tornò verso portico, dove il bambino continuava a piangere.
Mentre risaliva i gradini imprecò ripetutamente emettendo dalla bocca delle nuvolette di vapore per via del freddo. Ogni tanto capitava che qualcuno lasciasse lì al ranch dei cagnolini o dei gattini, come se la sua proprietà fosse il luogo perfetto in cui abbandonare i cuccioli non graditi, ma quello era un bambino, maledizione! Era un essere umano, povera creatura!
Comunque aveva memorizzato la targa della macchina, rifletté. Chiunque avesse lasciato quel bambino accanto alla sua porta non meritava di riaverlo. Meritava di essere punito dalla legge nel modo più severo, e lui avrebbe fatto di tutto