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La famiglia che vorrei: Harmony Bianca
La famiglia che vorrei: Harmony Bianca
La famiglia che vorrei: Harmony Bianca
E-book161 pagine2 ore

La famiglia che vorrei: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Sara:
Io e Cole stiamo insieme da tanti anni, ma la sua reticenza a formare con me una famiglia mi ha sempre ferito. Per questo, quando ho saputo che lui aveva avuto un figlio da un'altra, il mio mondo è andato in pezzi. Ma posso chiedere all'uomo che amo di rinunciare al suo bene più prezioso, il suo bambino?


Cole:
Ho scoperto da poco di avere un figlio e, dopo la morte della madre, ho portato Brody a casa nostra. Mi accorgo però che Sara soffre e l'ultima cosa che voglio è causarle altro dolore. Come potrò accudire mio figlio e allo stesso tempo salvare la mia famiglia?

LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2018
ISBN9788858984420
La famiglia che vorrei: Harmony Bianca
Autore

Jessica Matthews

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La famiglia che vorrei - Jessica Matthews

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Child Who Rescued Christmas

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2011 Jessica Matthews

    Traduzione di Silvia Calandra

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-442-0

    Prologo

    Di bene in meglio, pensò Sara Wittman con sarcasmo, leggendo il titolo di un quotidiano del mattino.

    Precipita elicottero dell’elisoccorso: muoiono tre persone. Detestava leggere quel tipo di notizie, era orrendo cominciare così la giornata, ma la curiosità morbosa e una sana paura la spinsero a concentrarsi sul breve articolo.

    In volo dal Medical Center dell’Università dell’Oklahoma a Enid, l’elicottero A-Star 350 si è schiantato per ragioni ancora ignote su un terreno agricolo a trenta miglia dalla sua destinazione. Le tre persone a bordo, il pilota James Anderson di Dallas, nel Texas, e le infermiere Ruth Warren di Tulsa, nell’Oklahoma e Lilian Gomez di Norman nell’Oklahoma sono tutte morte. Secondo le dichiarazioni rilasciate dall’AirMed, la società che gestisce questo servizio medico, le cause dell’incidente sono ancora da verificare. Le indagini condotte dalla Federal Aviation Administration e dal National Transportation Safety Board sono in corso.

    Come infermiera del reparto di chirurgia generale del Nolan Heights Hospital, di tanto in tanto le capitava di occuparsi di pazienti che dovevano essere trasportati in centri ospedalieri specializzati e perciò aveva conosciuto i colleghi che si occupavano di queste missioni. Anche se il Nolan Heights utilizzava un’altra compagnia per i suoi trasferimenti, gli uomini e le donne che prestavano servizio in questo tipo di assistenza erano altamente specializzati e meritavano grande stima.

    «Hai l’aria cupa stamattina.»

    Cole, suo marito da quasi tre anni, arrivò in cucina con indosso un paio di pantaloni scuri e una camicia color ruggine. Si vestiva sempre così per andare al suo studio medico. Le sfiorò la guancia con un bacio prima di prendere la tazza di caffè forte che lei gli aveva già preparato e che lo avrebbe aiutato ad affrontare la mattinata.

    «Stavo leggendo dell’incidente all’elicottero dell’elisoccorso in Oklahoma. Sono morti due infermiere e un medico.»

    «Triste» osservò lui, sorseggiando la bevanda calda e infilando una fetta di pane nel tostapane. «Spero nessuno che conosciamo.»

    «No» replicò lei, «anche se una delle due infermiere è delle tue parti.»

    «Di Tulsa?»

    «Considerato che hai trascorso quasi tutta la notte con un paziente, sei incredibilmente sveglio stamattina» scherzò lei.

    «È solo apparenza» rispose lui con un sorriso che, dopo un anno di fidanzamento, due di convivenza e tre di matrimonio, le faceva ancora battere forte il cuore. «Comunque Tulsa è una grande città. Non conoscevo tutti i miei coetanei e neanche tutti i compagni di scuola.»

    «Perciò neanche Ruth Warren?»

    Lui si raggelò. «Ruth Warren?»

    «Esatto» gli confermò. «Ma non dice la sua età.» Poi, notando che la notizia l’aveva colpito, gli chiese: «La conoscevi?».

    «Quella che conoscevo io insegnava biologia in una scuola superiore» rispose piano, lo sguardo preoccupato. «Adesso che ci penso, però, diceva sempre che avrebbe voluto studiare per diventare infermiera. Forse alla fine c’era riuscita.»

    «Allora potrebbe essere la tua amica.»

    «Dubito. Anche se avesse cambiato professione, la Ruth che conoscevo io era terrorizzata dall’altitudine. Diceva sempre che non sarebbe mai salita su un aereo.»

    «Potrebbero esserci due Ruth Warren» azzardò. «Sono nomi abbastanza comuni e il cognome potrebbe essere quello da sposata.»

    «È possibile» mormorò lui, con aria riflessiva. «La sua famiglia sarà distrutta.»

    «Hmmm.»

    «E poi siamo anche vicino a Natale perciò dev’essere ancora più difficile» commentò, pensando che quella festività non sarebbe più stata la stessa per quei familiari che, in un batter d’occhio, avevano perso i loro cari.

    «Già.»

    Sara riconobbe il suo tono preoccupato. Sicuramente stava già pensando alla giornata impegnativa che lo aspettava. «Per fortuna oggi in ospedale finiamo presto.»

    «Già.»

    Chiaramente non la stava ascoltando. «L’Amministrazione ha deciso di raddoppiare gli stipendi.»

    «Bella idea.» Tutt’a un tratto lo sguardo di lui si posò su di lei.

    «Cosa?»

    «Non mi ascoltavi, vero?» lo stuzzicò lei.

    Lui la guardò imbarazzato. «A quanto pare no. Scusa.»

    «Sei perdonato» replicò lei, con leggerezza. «Sempre se non dimentichi la nostra piccola fuga per l’anniversario.»

    «Non potrei mai» la rassicurò. «Abbiamo già prenotato l’albergo a Bisbee e l’aereo per l’Arizona giovedì mattina. Anche se mi ha stupito che tu abbia voglia di andare così in alto e di vedere tanta neve quando ben presto ne avremo un sacco anche qui» aggiunse con tono scherzoso. «Sarebbe stato più sensato scegliere una spiaggia assolata.»

    «L’anno scorso siamo andati al caldo» precisò lei. «Quest’anno faremo qualcosa di diverso. E poi...» gli lanciò un’occhiata maliziosa, «... se ci capitasse d’incontrare i fantasmi che il nostro hotel si vanta di ospitare, avremo una buona scusa per chiuderci in camera.»

    Lui sorrise e in quel momento l’orologio di Sara emise un segnale di avviso. Senza neanche controllare l’ora, finì di bere il caffè e mise la tazza nel lavello. «Devo muovermi o farò tardi» annunciò, soffermandosi a baciarlo velocemente.

    Lui le cinse la vita e l’attirò a sé, confortandola con la sua presa forte e calda. «Abbiamo progetti per stasera?»

    Lei pensò un istante. «No, perché?»

    Sul suo volto apparve quell’espressione scherzosa che lei conosceva bene. «Potremmo anche provare a mettere un bambino in cantiere» le mormorò con un sorriso malizioso e una voce sensuale.

    Se solo fosse stato possibile...

    «Non credo» replicò lei con tono piatto. «Ho avuto il ciclo qualche giorno fa e non sono incinta. Sarebbe il momento sbagliato.»

    Lo sguardo provocante di suo marito divenne compassionevole. «Oh, tesoro, mi dispiace. Magari andrà meglio il mese prossimo.»

    Il mese prossimo. Andava avanti così da un anno e mezzo e quelle parole erano diventate una sorta di mantra.

    «Già, magari.» Evitando il suo sguardo, cercò di divincolarsi, ma lui evidentemente aveva percepito la delusione nel suo tono di voce e non la lasciò andare.

    «Ehi.» La sua mano sulla guancia era dolcemente rassicurante. «Vedrai che prima o poi accadrà. Dobbiamo solo avere pazienza.»

    «Sono stanca di essere paziente, Cole. Dovremmo rivolgerci a un altro specialista. Il dottor Eller potrebbe indicarci...»

    «Sara» la interruppe lui, «Josh Eller è il miglior ginecologo ostetrico di questa parte del paese. Lo sai.»

    «Sì, ma un altro potrebbe avere un’opinione differente e un approccio più aggressivo.»

    «Ma Josh finora non ci ha dato consigli sbagliati. Una volta sei anche rimasta incinta. E da allora sono trascorsi solo nove mesi.»

    Purtroppo aveva abortito pochi giorni dopo aver scoperto di essere incinta. Se non si fosse preoccupata per quella che credeva una noiosa influenza intestinale, non sarebbe mai andata dal medico e al momento dell’aborto avrebbe pensato a un altro ciclo mestruale particolarmente doloroso e abbondante.

    «Ma non è più accaduto nulla» protestò lei. «Dovremmo...»

    «Avere pazienza. Il corpo ha bisogno di recuperare.»

    «Sì, ma...»

    «Josh ha detto di concederci un anno di tempo e non è ancora trascorso» le rammentò con dolcezza. «E poi noi due non stiamo così male da soli, o no?»

    La loro relazione non aveva sempre navigato in acque tranquille. C’era stato un breve periodo di dieci giorni in cui si erano lasciati e lei aveva temuto che non le avrebbe mai chiesto di sposarla e che perciò non avrebbero mai avuto una casa e una famiglia insieme, ma per il resto non poteva lamentarsi. «È vero, ma un bambino sarebbe la ciliegina sulla torta. E...»

    Lui la interruppe a metà frase. «Quando sarà il momento vedrai che un bambino arriverà. Devi fidarti di Josh, quando ci dice di non preoccuparci.»

    Avrebbe voluto che Cole fosse ansioso quanto lei di mettere su famiglia e invece il suo atteggiamento la irritava. Non riusciva proprio a capire quanto lo desiderava? Non si rendeva conto che a ogni mese che passava la sua fiducia e la sua autostima si sgretolavano?

    Eppure comprendeva la propensione di Cole a mantenere lo status quo quando si trattava della sua vita privata. Lui non lo ammetteva mai, ma Sara temeva che l’essere rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età lo rendesse riluttante a modificare la routine. Lei non apprezzava questo lato del suo carattere, ma lo accettava.

    «Capisco che per te sia difficile cambiare uno stile di vita che ti appaga. In effetti, tra fidanzamento e convivenza, ci hai messo tre anni prima di chiedermi di sposarti. Ma un figlio dovresti desiderarlo anche tu.»

    «Ed è così, infatti.»

    «Non sembra, però» borbottò lei.

    Lui inarcò le sopracciglia. «Cambierebbe qualcosa se assillassi Josh con mille domande?»

    Aveva ragione. «No» ammise. «Ma continuo ad avere l’impressione che non desideri un figlio con la mia stessa forza.» Cole era un uomo riservato, ma avrebbe voluto che fosse più entusiasta. «A volte penso che accetteresti di avere un figlio solo per accontentarmi.»

    «Oh, Sara.» L’abbracciò e le batté la mano sulla schiena. «È vero che sono felice da solo con te. Ma lo sarei anche se restassi incinta. Una bimba con il tuo nasino da folletto sarebbe carina. Lo vedi, sono un uomo felice.» Le strizzò l’occhio.

    Il suo tono spensierato mitigò la sua esasperazione e lei gli tirò un pugno con fare scherzoso. «Naso da folletto... Puoi ben dirlo.»

    «Sul serio, Sara...» aggiunse lui con sguardo intenso, «... tormentarci è inutile. Josh non ci darebbe mai consigli sbagliati.»

    «Hai ragione» ammise lei più rilassata, annuendo piano. «Non lo farebbe mai.»

    «Brava ragazza.» Le prese il viso tra le mani e la baciò. «Vedrai che quando meno te l’aspetti comincerai ad avere le nausee mattutine, le gambe gonfie e non riuscirai più neanche a vederti i piedi.»

    Lei sorrise debolmente. «Già. Adesso devo andare o farò tardi.»

    Dopo che fu uscita, ben imbacuccata per ripararsi dal freddo, Cole si rese conto di quanto era silenziosa la casa senza la presenza effervescente di Sara. Lo rattristava vederla depressa e avrebbe voluto che anche lei se ne facesse una ragione. Ma aveva sempre detto di volere una famiglia numerosa, due figli e due figlie, come quella in cui era cresciuta e anche se il pensiero di mantenere quattro figli, quattro, lo spaventava a morte, era disposto a fare la sua parte pur di realizzare il suo sogno. Sorrise ricordando l’ultima volta che avevano fatto l’amore. Avevano iniziato in cucina, poi si erano trasferiti in bagno nella loro vasca gigante e alla fine in camera da letto.

    Adorava quelle notti, anzi, le aspettava con ansia, e non aveva alcuna voglia di rinunciarci. In verità, gli piaceva avere sua moglie tutta per sé e l’idea che in futuro avrebbero potuto avere meno tempo solo per loro due, lo induceva a caldeggiare ancora di più i loro momenti d’intimità.

    Vedeva la loro incapacità a concepire come uno dei tanti ostacoli della vita, ma sapeva che Sara la interpretava come un fallimento personale. In realtà, una volta era rimasta incinta, dopo sei mesi da quando avevano smesso di utilizzare sistemi di contraccezione e anche se aveva perso il bambino, da allora erano trascorsi solo nove mesi. Perciò fino

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