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Uno scapolo da redimere: Harmony Bianca
Uno scapolo da redimere: Harmony Bianca
Uno scapolo da redimere: Harmony Bianca
E-book179 pagine2 ore

Uno scapolo da redimere: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

La famiglia Halliday 4/4
Una famiglia speciale.
Quattro fratelli alla ricerca del vero amore.

Tornata nella cittadina natale del padre insieme ai suoi due gemelli, la dottoressa Emma Crawford trova lavoro presso l'ospedale locale, dove incontra il pilota dell'elisoccorso Marty Graham. Allergico a qualsiasi tipo di impegno, Marty è lo scapolo d'oro della città. Decisamente troppo impegnativo per una come Emma, che è alla ricerca del vero amore e di un padre per i suoi figli. Tra i due nasce comunque un'intensa amicizia, e nonostante Marty si impegni per trovare a Emma l'uomo dei suoi sogni, le cose non vanno mai per il verso giusto. Fino a quando, dopo un turno di lavoro particolarmente traumatico, Emma e Marty danno sfogo al proprio dolore l'una fra le braccia dell'altro...
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2018
ISBN9788858990704
Uno scapolo da redimere: Harmony Bianca
Autore

Meredith Webber

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Uno scapolo da redimere - Meredith Webber

    successivo.

    1

    Emma Crawford guardava con ansia fuori dalla finestra della cucina mentre versava il latte nelle due scodelle piene di cereali. Oltre gli alberi si vedeva il fumo innalzarsi sempre più denso, ma gli ultimi notiziari avevano assicurato che gli incendi divampati nel parco nazionale appena fuori Braxton erano ancora a diverse miglia di distanza e che la città non era in pericolo.

    Gli incendi boschivi erano l'ultima cosa a cui aveva pensato quando era stata d'accordo con suo padre sul fatto che la cosa migliore per loro fosse tornare nei luoghi in cui lui era nato e cresciuto. Le era parsa un'ottima idea quella di far crescere i suoi figli in una cittadina di provincia; ma soprattutto a convincerla era stata la prospettiva di andare ad abitare nella grande, vecchia casa che recentemente suo padre aveva ereditato da un'anziana zia.

    Be', questo e anche un'altra mezza idea che le frullava nella testa...

    Per il momento, però, era meglio non pensare a quel progetto! Si era trasferita per motivi pratici e questa era la cosa più importante.

    Vivere in una grande città come Sydney non era male, ma era molto costoso, e per questo motivo abitavano in quattro – lei, i suoi due figli e suo padre – stipati in un appartamento che, con il passare del tempo, si era fatto sempre più stretto.

    A Braxton l'ospedale le aveva offerto un lavoro presso il reparto di Medicina d'Urgenza e, con il parco nazionale tutto intorno, una magnifica spiaggia a un'ora di auto e, soprattutto, la vecchia casa circondata da un magico e trascurato giardino perfetto per due bambini scatenati, le era parsa subito una meta attraente.

    E poi gli incendi scoppiavano anche nei dintorni di Sydney, rifletté Emma per scrollarsi di dosso il senso di inquietudine provocato dalla vista di tutto quel fumo.

    Appoggiò le ciotole sui vassoi dei seggioloni e sorrise ai volti angelici dei suoi due gemelli di tre anni: Xavier e Hamish. Adesso lei sarebbe andata al lavoro, e ci avrebbe pensato suo padre a pulire il disastro che le due piccole pesti avrebbero fatto con i cereali.

    Baciò entrambi sul viso, e raccomandò loro di fare i bravi con il nonno; poi baciò suo padre, e uscì con lo stomaco in subbuglio al pensiero della giornata che l'aspettava. Era il suo primo giorno ufficiale di lavoro, anche se era già stata un paio di volte in ospedale per conoscere il personale e vedere come erano organizzati.

    «Ottimo tempismo» osservò Sylvie Grant, l'infermiera di turno al triage, rivolgendosi a Emma appena la vide entrare. «L'incendio si è spostato verso Endicott e alcuni vigili del fuoco sono rimasti coinvolti. Si tratta soprattutto di intossicazione da fumo, perché grazie al cielo le tute ignifughe li hanno protetti dalle fiamme. Comunque il pompiere da visitare è al quattro.»

    Emma prese la cartella, si diresse verso il cubicolo e rimase sorpresa quando, tirando la tenda, vide una giovane donna distesa nel letto.

    «I suoi orari di lavoro devono essere sicuramente peggio dei miei in questo periodo» le disse Emma dopo essersi presentata.

    La ragazza sorrise e scrollò il capo, indicando la gola.

    «Fa male?» chiese Emma, controllando il monitor accanto al letto. La pressione sanguigna e il battito erano buoni, la saturazione dell'ossigeno normale, anche se due cannule nasali per l'ossigeno l'avrebbero di certo aiutata...

    «Vediamo la gola» cominciò, usando una spatola di legno per abbassarle la lingua.

    «Immagino che le faccia male parlare» disse alla paziente. «Ha bevuto un po' di acqua?» La giovane annuì. «Non ha difficoltà a deglutire?» L'altra scosse la testa.

    «Adesso le darò da bere un analgesico che dovrebbe attenuare il dolore, ma non si sforzi di parlare. L'aria calda che ha respirato le ha raggiunto la laringe, perciò le corde vocali sono un po' gonfie.»

    Diede istruzioni all'infermiera su come preparare il farmaco, e mentre scriveva sulla cartella clinica il risultato della visita, Sylvie entrò nella stanza.

    E da quel momento in poi la giornata proseguì come una qualsiasi altra giornata in Pronto Soccorso. Arrivarono un bambino con l'otite, una donna con dolori al petto, e infine un altro bambino che si era procurato una ferita alla fronte cadendo dall'altalena.

    Fino a che, verso le due del pomeriggio, come spesso accadeva, il reparto si svuotò e una collega propose di fare dieci minuti di pausa.

    Emma, allora, salutò il vigile del fuoco e suo marito che era venuto a prenderla e un attimo dopo che era entrata nella sala del personale, arrivò Joss, una delle infermiere che aveva conosciuto il giorno prima e che oggi faceva il turno pomeridiano.

    «Non avete idea!» esclamò, catturando l'attenzione delle tre donne presenti, proprio mentre Emma si preparava una tazza di tè e prendeva un panino dal frigorifero.

    «Ieri sera ho cenato al pub e ho assistito a una scena che non potete immaginare! Conoscete la bibliotecaria con cui esce Marty?»

    Tutte e tre annuirono.

    «Ecco, erano seduti al bancone ed evidentemente stavano litigando perché lei a un certo punto si è alzata, gli ha tirato uno schiaffo e se n'è andata.»

    «L'ennesima vittima» osservò Angie, la segretaria del reparto. «Chissà chi sarà la prossima?»

    Tutte si voltarono a guardare Emma che si era seduta in una di quelle sedie non molto comode e mangiava tranquillamente il suo panino, lieta di non doverlo condividere con i gemelli.

    Joss scrollò il capo. «Impossibile! Lo sapete che sta alla larga dal personale dell'ospedale, e poi Emma è minuta e scura, e lui le vuole alte e bionde.»

    «Io non sono alta e nemmeno bionda, però sono uscita con lui» intervenne una ragazza dai capelli rossi in evidente stato di gravidanza che Emma non aveva mai visto.

    «Lei è Helen» la presentò Angie. «Fa il turno di pomeriggio, ma viene prima per approfittare del nostro pranzo perché ha sempre fame.»

    «Non è vero» replicò Helen, anche se in effetti stava mangiando un panino. «Vengo prima perché Pete mi dà un passaggio, e comunque, per quanto riguarda Marty, tutte quelle che escono con lui sanno qual è il prezzo da pagare. Non nasconde di non essere interessato a relazioni a lungo termine, e infatti la maggior parte delle ragazze con cui è uscito sono rimaste sue amiche. È stato proprio Marty a presentarmi Pete.»

    Emma rifletté un istante su questo Marty. Forse era un medico di base che lavorava anche in ospedale, si chiese. Poi si rivolse a Helen per domandarle qual era la data presunta del parto.

    «Mancano ancora tre mesi e mi sento già una balena. Non so chi me l'ha fatto fare!» Fece una pausa prima di continuare. «Tu hai due gemelli, vero?»

    «La città è piccola e le voci corrono» spiegò Joss vedendo l'espressione sorpresa di Emma, ma lei sorrise e confermò che era la mamma di due gemelli.

    «Hanno tre anni e sono due teppistelli. Per fortuna c'è mio padre a darmi una mano.»

    «Se ne occupa lui quando sei al lavoro?» chiese Helen incredula.

    «Sì» rispose Emma, «anche quando ho il turno di notte.»

    Non aggiunse che era stato proprio lui a convincerla a usare lo sperma congelato di Simon per mettere al mondo un bambino – e poi scoprire con enorme sorpresa che si trattava di una coppia di gemelli.

    Suo padre era andato in pensione molto presto, subito dopo la morte precoce di Simon, evento che l'aveva profondamente prostrata. Si era trasferito da lei e aveva ricominciato a prendersi cura a tempo pieno della figlia. Cosa che aveva già fatto quando Emma aveva quattro anni e sua madre li aveva abbandonati.

    Il senso di colpa riaffiorò... una sensazione che conosceva fin troppo bene. Suo padre avrebbe dovuto avere una vita sua...

    Forse lì... Chissà...

    Ma nel frattempo le ragazze avevano continuato a parlare e lei si era sentita al centro della conversazione. Stavano pensando a qualche scapolo che potesse fare al caso suo.

    Non avrebbe dovuto meravigliarsi. Il fatto che poco prima l'avessero eletta a possibile candidata per una relazione con questo Marty significava che sapevano che era nubile.

    Era proprio vero che nelle piccole cittadine le voci correvano...

    Ma prima che potesse mettere in chiaro che non aveva intenzione di uscire con nessuno, la conversazione deviò sull'incendio. Joss abitava fuori città, vicino a un allevamento di bestiame, e anche se stavano sempre all'erta per le emergenze, questa volta era convinta che fossero al sicuro. E mentre spiegava che le stalle erano vicine alla casa, dove non c'erano alberi né erba alta, entrò di corsa Sylvie.

    «Emma, c'è bisogno di te per l'elisoccorso. Vengono a prenderti tra poco. Hai dieci minuti per prepararti. Ti hanno spiegato dove si trova la pista d'atterraggio, vero?»

    Emma annuì, ma in realtà era piuttosto nervosa. Sapeva che essendo il medico del Pronto Soccorso sarebbe dovuta intervenire anche per le emergenze dell'elisoccorso, ma non aveva ancora avuto il tempo di abituarsi all'idea.

    O forse si era rifiutata di pensarci. Aveva fatto il training per cercare di superare la sua paura dell'altezza, e anche se di solito le squadre di soccorso si caricavano di adrenalina quando andavano in missione, lei era più preoccupata che eccitata. Era brava nel suo lavoro, ma né l'esperienza né le esercitazioni l'avrebbero aiutata a non sentire tutte quelle farfalline nello stomaco all'idea di ritrovarsi a dondolare per aria appesa a un verricello.

    «... una festa di ragazzi disabili del liceo» le spiegò Sylvie mentre uscivano insieme dalla stanza. «Stavano camminando sul sentiero lungo la costa, ed erano quasi alla fine. Pare che il vento sia montato improvvisamente e il fuoco abbia iniziato a dirigersi verso di loro, perciò puoi immaginare il panico. Sappiamo di un ragazzo con l'asma che sta avendo problemi respiratori. Degli altri non ci hanno detto molto, ma sono bloccati e dobbiamo evacuarli.»

    Per fortuna erano sulla spiaggia... Non avrebbe dovuto calarsi con il verricello!

    La tensione si allentò immediatamente...

    Qualche attimo dopo, quando sentì il rumore dell'elicottero che si avvicinava, si affrettò a prendere il borsone nero delle emergenze. Controllò il contenuto e fortunatamente vide che c'era già un inalatore per l'asma, una maschera per rendere più efficace l'insufflazione del farmaco e dell'idrocortisone nel caso in cui l'attacco fosse stato grave.

    Uscì fuori e aspettò accanto all'edificio fino a che il velivolo rosso e giallo toccò terra dolcemente, poi corse verso di esso con il capo abbassato.

    La portiera laterale si aprì e un uomo con un casco in testa le tese la mano per aiutarla a salire. Aveva fatto appena in tempo a scorgere un paio di occhi molto azzurri, che subito lo sconosciuto la sollecitò a prendere posto velocemente accanto a lui.

    Lei si sedette, chiedendosi dove fosse il personale di volo, ma non c'era tempo per le domande perché il pilota era già di nuovo ai comandi e con un movimento brusco le porse un casco. «Mettilo così possiamo parlare» le ordinò prima che il velivolo si alzasse in aria lievemente.

    Emma si allacciò la cintura di sicurezza, sistemò ai suoi piedi il borsone e indossò il casco con le cuffie e il microfono.

    «Sono Marty» si presentò il pilota, tendendole la mano. «Tu devi essere Emma. Stephen mi ha detto che saresti arrivata.»

    «Stephen?» Lei si voltò a guardarlo e gli strinse la mano. Aveva una bella presa, e cercando di capire anche com'era fatto, si distrasse e non mise subito a fuoco chi era Stephen.

    «Stephen Ransome... È stato qui un paio di mesi fa per presentare la famiglia a Fran. È mio fratello in affido. Sapevi che si è sposato?»

    Steve Ransome era il fratello in affido di quell'uomo? Perché? Come? Non poteva certo fare tutte quelle domande a un estraneo, perciò non indagò.

    «Non lo sapevo, ma mi fa piacere. È una persona meravigliosa e merita il meglio.»

    «È vero» convenne Marty, ed Emma si voltò a guardarlo... se non altro per vedere ciò che la tuta e il casco lasciavano scoperto.

    Abbronzato, occhi azzurri, naso dritto e labbra sempre sul punto di sorridere.

    Ecco, era lui quel Marty, l'oggetto dei pettegolezzi piccanti. Era lui il farfallone locale!

    E ora sapeva che era anche fratello in affido di quello Steve che dirigeva una clinica per la fecondazione artificiale a Sydney e al quale si era rivolta quando aveva deciso di mettere al mondo un figlio.

    Simon... Per un istante si abbandonò ai ricordi, avvertendo la solita fitta di dolore; ma un attimo dopo richiuse il coperchio di quella preziosa scatola di ricordi.

    Era andata avanti... Non era forse per questo che si era trasferita a Braxton?

    Marty le stava parlando, mentre con una mano le indicava la zona interessata dall'incendio; poi, dopo una rapida manovra, raddrizzò l'elicottero per raggiungere velocemente la loro destinazione.

    Marty, l'uomo che non voleva relazioni serie e non prendeva impegni...

    Mentre nella mente lo depennava dalla sua lista – anche se in realtà non ne aveva

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