Rivincita perfetta: Harmony Destiny
Di Kat Cantrell
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Anteprima del libro
Rivincita perfetta - Kat Cantrell
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Baby Deal
Harlequin Desire
© 2013 Katrina Williams
Traduzione di Eleonora Motta
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-813-2
1
Juliana Cane non parlava con Michael Shaylen da otto anni, dal giorno in cui aveva preso la saggia decisione di lasciarlo. Visto che l’avrebbe perso comunque, almeno sarebbe accaduto secondo le proprie regole.
E oggi, aprendo la porta all’unico uomo che le avesse mai fatto toccare il cielo con un dito, il cervello le era andato completamente in tilt.
Si era preparata a pronunciare un appropriato Salve o un formale Sono felice di vederti, entrambi adatti a un ex ragazzo che ti chiama inaspettatamente.
Tuttavia, il suo conciso e diretto Devo parlarti l’aveva messa ko e tutto ciò che era riuscita a raffazzonare era stato Non hai le stampelle. Difatti, l’ultima volta che si erano visti, lui aveva una gamba rotta. Ma forse una frattura impiega meno di otto anni a guarire.
«Il giorno non è ancora finito.»
Un sorriso familiare e mozzafiato ammorbidì la mascella ricoperta da un velo di barba incolta, provocandole un forte spasmo in un punto femminile che aveva dimenticato da lungo tempo.
Incredibile ma, dopo tutti quegli anni, mente e corpo reagivano ancora alla sua presenza in maniera del tutto imprevedibile.
«Come stai? Ora sei la dottoressa Cane, giusto?»
«Esatto.»
Era una psicologa rinomata adesso ma, malgrado ciò, il cuore le rimbombava nel petto come un concerto di bonghi.
«Solo i miei pazienti mi chiamano così, però. Al telefono non hai menzionato se ti fermerai a lungo. Vuoi accomodarti?»
«Certo, grazie» accettò, lanciando un’occhiata all’elegante auto parcheggiata alle sue spalle.
«C’è qualcuno all’interno? Puoi farlo entrare con te.»
Di certo si trattava una supermodella taglia quaranta, con abiti costosi e una dentatura scintillante. Il suo solito tipo, insomma. Almeno secondo le riviste scandalistiche. «Non desidero crearti delle difficoltà, Michael.»
Pronunciare il suo nome le serrò la gola. Non l’aveva mai chiamato così.
Lui se ne doveva essere accorto. Increspò le labbra in un mezzo sorriso. «Puoi ancora usare il mio soprannome. Sono sempre Shay.»
Shay.
La sua esplosiva personalità saturò l’atmosfera, penetrandole la pelle. Quel fisico scultoreo cesellato da incessanti allenamenti negli sport più competitivi era rimasto immutato.
Una nuova cicatrice spiccava su un bicipite. Il profondo squarcio, rimarginato da diversi punti sbrigativi e imprecisi, indicava l’imperizia di un medico del Terzo Mondo. Probabilmente aveva avuto un incidente con lo zip line, uno sport estremo che consisteva nell’attraversare uno strapiombo appeso a una carrucola. Probabilmente senza anestetico o antibiotici.
Il solito Shay.
Lei fece un passo indietro, rifiutandosi di soffermarsi oltre sulle cicatrici – visibili o meno – e inciampò nel tappeto persiano dell’ingresso.
«Prego, entra pure.»
Dopo un ennesimo sguardo alla propria auto, lui la seguì all’interno della casa.
Dove sarebbe stato meglio farlo accomodare? Il tinello le parve troppo intimo, perciò decise per la formalità della sala, almeno finché non avesse riacquistato un certo equilibrio, sia fisico sia mentale.
Com’era possibile che Shay potesse ancora suscitarle un tale sconvolgimento dopo otto anni?
Forse per quel suo fascino selvaggio e irresistibile...
No! Quel tipo d’uomo non era più il suo genere, sebbene certe sue parti intime tentassero di convincerla del contrario.
Gli fece strada nella sala e gli indicò il divano blu scuro. Benché a due posti – e piuttosto ampi – Shay, con il suo metro e ottantacinque d’altezza, lo fece sembrare insufficiente e angusto.
Quando si sedette sui morbidi cuscini, lei strinse i denti, temendo che la debole struttura di metallo cedesse sotto il suo peso. Sollevando le sopracciglia, considerò che quel divano non le era mai sembrato piccolo quando ci si accomodava il suo ex marito.
Lei optò per una sedia, evitando di psicoanalizzarsi sul motivo per cui non aveva preso posto accanto a lui.
«Mi dispiace molto per Grant e Donna» farfugliò. Di certo, la morte dei suoi soci era ancora fresca nella mente. «Com’è stato il funerale?»
«Interminabile» commentò lui, gli occhi verdi ricolmi di dolore.
Juliana era ancora in grado di leggere dentro di essi e percepire l’orribile agonia di dover seppellire i propri migliori amici. La sua reazione istintiva verso le emozioni di Shay era rimasta, in maniera sorprendente, sempre la stessa: l’urgenza di consolarlo, di stringerlo forte a sé, fino a che lo strazio fosse scomparso.
Per trattenersi dal compiere gesti inconsulti, intrecciò le mani in grembo. Erano virtualmente estranei adesso, per quanto le sembrasse grottesco. Senza contare che aveva fatto di tutto per convincersi che il legame che li aveva uniti si era spezzato per sempre.
Non era stato così. Ma lei fingeva il contrario.
Un tempo era stata così attratta dal suo entusiasmo di vivere, dalla sua spumeggiante personalità e dalla sua passione per tutto – specialmente per lei – da esserne sopraffatta, fino a non riuscire più a venirne fuori.
Era troppo. Lui era troppo.
E lei non era mai stata abbastanza per Shay.
Perché adesso si trovava lì? Invece di andare dritta al punto, preferì un argomento più neutro, anche se doloroso.
«Raccontami del funerale.»
«I servizi sono stati tenuti insieme. Meglio così. Meno doloroso. Io sono arrivato quando avevano già chiuso le bare.»
«Comprensibile» lei mormorò.
Grant e Donna Green avevano perso la vita nell’esplosione della navicella sperimentale per il turismo spaziale. I notiziari di tutte le emittenti avevano continuato a riproporre il filmato e Juliana non aveva potuto credere che la coppia si trovasse all’interno, al momento dell’incidente. Un’immagine atroce.
Rammentava la coppia. Li aveva conosciuti anni prima, quando si erano cimentati tutti insieme nel bungee jumping, il sole tra i capelli e la spensieratezza dell’incoscienza.
Uno dopo l’altro, avevano saltato. Per primo Shay, che voleva sempre essere il numero uno, in ogni impresa. Poi Grant e Donna. Tutti si erano lasciati andare nel vuoto.
Tutti eccetto Juliana.
Lei proprio non ce l’aveva fatta. Il solo sbirciare oltre il ciglio del precipizio le aveva procurato una violenta vertigine. Così era indietreggiata, scuotendo la testa, incapace di parlare.
Shay era uno spericolato. Lei no.
Non erano fatti per stare insieme e Juliana era sicura che, alla fine, lui se ne sarebbe reso conto, si sarebbe annoiato o addirittura risentito.
Lei era solo giunta alla verità per prima.
Posò lo sguardo sul panorama mozzafiato delle montagne, fuori dalle enormi finestre di fronte a sé.
Era andata avanti con la propria vita, si era trasferita nel New Mexico da Dallas per una ragione precisa. Doveva allontanarsi da una relazione con un uomo che viveva di espedienti e con il quale non avrebbe potuto costruire un futuro, una famiglia.
Nel New Mexico aveva trovato il proprio equilibrio, l’esatto contrario di quanto aveva vissuto nella sua famiglia o con Shay. Finalmente, era stata in grado di costruire un’esistenza solida.
Peccato che non tutto si era svolto come lei aveva pianificato.
«Come stai affrontando la cosa?»
La voce calma della dottoressa Cane non tradì nulla dei vividi ricordi che rischiavano di disturbare la sua concentrazione.
Eric non sopportava quando assumeva quel tono e rispondeva alle sue domande con altre domande. Shay, invece, non sembrava affatto infastidito che lei si celasse dietro la propria laurea.
«Giorno per giorno» lui sospirò, fissando il soffitto per qualche istante. «La GGS – cioè Green, Green e Shaylen – può contare su ottimi elementi per portare avanti gli affari. Almeno, finché non avrò le idee più chiare.»
«Mi dispiace davvero, Shay. Posso offrirti qualcosa da bere?»
«Prima devo spiegarti perché mi trovo qui.» Si schiarì la gola. «Grant e Donna avevano un figlio, ma forse lo sapevi. Nel loro testamento, mi hanno nominato suo tutore.»
Juliana trattenne il fiato. Quel povero bimbo, rimasto senza mamma e papà, era stato sballottato da una parte all’altra senza alcun riguardo per il suo potenziale trauma. D’istinto, si cinse l’addome e deglutì.
«I notiziari hanno menzionato un figlio, ma supponevo fosse stato affidato a dei parenti.»
Shay scrollò le spalle. «Io lo sono. Non per sangue, ma Grant era più di un fratello per me.»
Lei sbatté le palpebre, osservando la fierezza con cui aveva serrato le labbra.
«Non lo metto in dubbio. Non intendevo dire nulla di male.»
Con un gesto brusco, lui si ravviò alcune ciocche dei suoi ribelli capelli castani chiari. Nei due anni in cui erano stati insieme, aveva quasi sempre indossato un berretto da baseball per trattenere il disordine della sua folta criniera. Chissà se aveva cambiato cappello o adesso preferiva non portare nulla.
«Scusami. Sono state settimane caotiche. Ma fammi arrivare al punto.» Prese un profondo respiro. «Ora sono un padre e devo al figlio di Grant ogni mio sforzo per dargli il meglio. Ma non posso farlo da solo. Ho bisogno del tuo aiuto.»
«Il mio aiuto? Non ho più visto Grant e Donna dai tempi del college.»
Persino allora, la coppia faceva parte del mondo di Shay, non del suo. I tre ragazzi erano sempre insieme, assorti a studiare schemi complicati, o a blaterare in maniera incomprensibile di acceleratori e di missilistica. Tre delle menti più eccelse di una generazione di brillanti studiosi alla ricerca di soluzioni ottimali per viaggiare nello spazio, sempre pronti a lasciare la Terra alle loro spalle. E anche Juliana.
«Tu sei un’esperta di bambini. Ecco perché ho bisogno del suo supporto.»
Shay aveva seguito la sua carriera e, dal momento in cui anche lei aveva fatto lo stesso, non poteva meravigliarsi. L’unica differenza era che lui occupava le prime pagine dei giornali ogni settimana, specialmente da quando una serie di contratti governativi, conferiti alla GGS Aerospace, avevano catapultato i tre fondatori nella ristretta lista dei milionari sotto i trent’anni.
La storia della sua vita, invece, era di gran lunga meno eclatante. Un trattato sui metodi più classici per crescere ed educare i bambini. Un matrimonio con un uomo normale. Quattro tentativi falliti di gravidanza in vitro. Un tranquillo divorzio e un anno di confusione mentale.
Ciononostante, si era rimessa in carreggiata, con una professione da stimata psicologa e la prima stesura di un libro sull’educazione dei figli che le avrebbe garantito una buona rendita. Se non aveva avuto la fortuna di diventare madre, poteva almeno aiutare gli altri genitori a comportarsi nella migliore maniera possibile.
Per lo meno, molto meglio dei suoi che non sapevano niente di lei e non se ne curavano affatto. Erano sempre stati troppo impegnati a spostarsi da una città all’altra per sfuggire ai loro creditori, per curarsi dei problemi della loro figlia. Così Juliana aveva smesso di ripetere loro quanto si sentisse sola, senza radici. E aveva smesso di dirlo anche agli altri.
Avrebbe riversato tutta la propria angoscia e i propri sogni nel libro che aveva preso ad abbozzare da qualche settimana. Avrebbe dato alla luce un capolavoro di puericultura, invece di un figlio.
«Sì, sono una psicologa per bambini. Cosa posso fare per te?»
«Cosa devo fare per allevarlo al meglio? Come mi devo prendere cura di lui?»
Shay incrociò lo sguardo con quello di lei e la forza del suo appello aleggiò su di loro. Gli anni trascorsi svanirono e il corpo di Juliana reagì com’era sempre accaduto quando i suoi occhi la provocavano con quella conturbante intensità.
«Chiunque può mostrarmi come si fa a cambiare un pannolino o a preparare la pappa. Tu, però, sei l’unica che può insegnarmi a essere un padre.»
Con un ultimo, violento brivido, lei