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Una famiglia tutta mia: Harmony Bianca
Una famiglia tutta mia: Harmony Bianca
Una famiglia tutta mia: Harmony Bianca
E-book162 pagine2 ore

Una famiglia tutta mia: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Sara: Ho accettato di lavorare come babysitter per Grant Smithe perché ho bisogno di soldi per potermi prendere cura di mio padre. Questo non significa però che sia a sua completa disposizione, anche se la proposta che mi ha fatto è decisamente allettante...



Grant: Dopo il tradimento di mio padre l'ultima cosa che desidero è mettere su famiglia. Tuttavia, se voglio avere anche solo una possibilità di ottenere la custodia di Lily, la mia sorellastra, devo decidermi a prendere moglie. E Sara è sicuramente la donna giusta: affidabile, amorevole e... tremendamente sexy! Se accetterà di sposarmi, non mi accontenterò di una moglie a tempo determinato, ma la convincerò a dare una chance a questa imperfetta, splendida famiglia!
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2017
ISBN9788858966679
Una famiglia tutta mia: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Una famiglia tutta mia - Susan Carlisle

    successivo.

    1

    Il dottor Grant Smythe osservò la culla. Suo padre e la matrigna erano nella tomba soltanto da un giorno e la governante se n'era già andata.

    Che cos'altro poteva andare storto?

    Stava camminando nervosamente avanti e indietro nell'ingresso di quella che fino a poco prima era stata la casa di suo padre in attesa della nuova governante. Ricontrollò l'ora sul telefonino. Era atteso in sala operatoria. Il fegato da trapiantare non sarebbe rimasto nelle condizioni ottimali ancora a lungo.

    In quel momento la bimba iniziò a lamentarsi e il lamento si trasformò in pianto. Come si chiamava la nuova tata? Sydney, Sara, Sharon... o qualcosa del genere. La bambina lanciò un grido acuto. Che cosa c'era che non andava?

    Non riusciva a chiamare la piccola per nome. Osservò il visino angelico, che si stava contorcendo, pronto a emettere un altro grido. Non avrebbe dovuto riversare su di lei i problemi che aveva avuto con il padre. «Lily...» mormorò piano.

    La piccola chiuse la bocca e osservò Grant. Improvvisamente lui si sentì pervadere da un senso di meraviglia. Era bellissima. Somigliava così tanto a Evelyn, la madre... e la donna che un tempo lui avrebbe voluto sposare. Finché non l'aveva fatta conoscere a suo padre e... Ma erano pensieri tristi, sui quali non era il caso d'indugiare.

    Venne distratto dallo squillo del telefono. Quando rispose, riconobbe la voce di Leon, suo miglior amico e avvocato. Quando si era assunto la responsabilità di Lily, lo aveva contattato per tutelare se stesso e la bambina.

    «Sembra che la famiglia di Evelyn ci darà dei problemi» esordì Leon senza preamboli.

    «Non sapevo che avesse degli zii. Non ce ne aveva mai parlato.»

    «Forse dovresti prendere in considerazione la possibilità di affidargli Lily. Che cosa ne sai tu di bambini? Potremmo fare in modo che ti rimanga la supervisione sul suo fondo fiduciario.»

    Una coppia si era fatta viva al funerale, dichiarando di essere parenti di Evelyn. L'uomo aveva informato Grant che intendevano richiedere la custodia della bambina. Sua sorella. La sua famiglia... Sarebbe dovuta restare con lui.

    Perché nutrisse sentimenti così forti al riguardo non ne aveva idea. Pensava di dover dimostrare ancora qualcosa a suo padre?

    Aveva trascorso buona parte della sua vita adulta a lottare con quell'uomo. E ora lui era scomparso. Grant fu pervaso da un senso di desolazione. Non sopportava l'idea che se ne fosse andato per sempre. Lanciò un'occhiata a Lily. «Che cosa sappiamo di questa gente?» domandò a Leon.

    «Sembrano la coppia perfetta per adottare un bambino.»

    «E io, invece?» sbottò Grant irritato. «Non importa il tenore di vita che posso offrirle?»

    «Per essere sincero, non credo.»

    «E che cosa farebbe la differenza?»

    Leon emise un sospiro. «I giudici preferiscono sempre affidare i bambini a una coppia. Se fossi sposato, la tua posizione cambierebbe. Sei il parente più stretto e hai mezzi e capacità per occuparti di lei. Non credo che si potrebbe avere qualcosa da ridire contro di te.»

    «Stai dicendo che mi devo trovare una moglie?»

    «Praticamente sì.»

    Sara Marcum non riusciva a credere di aver accettato quel lavoro. Svoltò nel vialetto di accesso alla palazzina di due piani in mattoni rossi situata a Highland Park, il quartiere più elegante di Chicago. Il giardino era talmente curato che i fili d'erba sembravano sull'attenti.

    Kim, la collega che lavorava nel suo ospedale, l'aveva chiamata per informarla che il dottor Smythe aveva un disperato bisogno di una governante. Sapendo che Sara era libera, le aveva dato l'indirizzo, chiedendole di recarsi subito da lui. Il problema era che lei non voleva avere più niente a che fare con i bambini.

    «Sei la persona giusta per aiutarlo» aveva insistito Kim. «È soltanto un lavoro temporaneo e lo stipendio è ottimo.»

    Era in un momento di pausa tra i vari incarichi come infermiera all'hospice e non era sicura che le sarebbe stata offerta un'altra posizione. Quando il signor Elliot, uno dei suoi pazienti, era morto dopo lunghe sofferenze, aveva deciso che le serviva un cambiamento.

    Aveva bisogno di riprendersi, ma non poteva rimanere senza reddito. Era l'unica ragione per la quale aveva accettato quel ruolo di governante.

    Mentre percorreva il vialetto di accesso, il suo cellulare cominciò a squillare. «Ciao, papà.»

    «Abbiamo un problema, bambina.» Suo padre continuava ancora a chiamarla in quel modo.

    «Che cosa c'è che non va?» Era stanca di combattere con i creditori.

    «È appena passato il signor Cutter. Ha detto che vuole sfrattarci.»

    Sara strinse il volante con forza. «Che cosa? Ma non può farlo!»

    «Be', lo farà. Ha già sottomano qualcuno che desidera l'appartamento.»

    «Gli avevo detto che avrei cercato di pagare il più presto possibile. Gli ho dato un mese intero poche settimane fa.» Sarebbe mai finita?

    Suo padre aveva sempre lavorato duro per tirare avanti, ma dopo l'incidente le sue finanze si erano assottigliate. Ora riceveva solamente la pensione d'invalidità. L'azienda lo aveva incolpato dell'esplosione e non lo aveva risarcito. Lei si era indebitata per pagarsi gli studi da infermiera. Le ci erano voluti anni per restituire il prestito. E stavano ancora lottando per sopravvivere.

    «Non gli interessa. Vuole che ce ne andiamo per la fine della settimana.»

    Sara emise un sospiro esasperato. Avrebbero dovuto trasferirsi ancora. Ma dove?

    Avevano qualche risparmio e stavano cercando una casa da acquistare, quando suo padre aveva risposto a una telefonata di telemarketing. Sempre a casa da solo era stata la vittima perfetta di un venditore dalla parlantina sciolta, che si era approfittato di lui. Tutto il suo denaro era stato investito in un terreno in Florida, che era poi risultato inesistente e i guadagni di Sara servivano principalmente per pagare le sue cure. Anche con il nuovo lavoro avrebbero faticato non poco a stare a galla.

    «Devo andare, papà. Non preoccuparti. Troverò una soluzione.» Quale?

    Si fermò di fronte alla casa e ancor prima che fosse scesa dalla macchina venne raggiunta da un uomo alto, che stringeva al petto una bambina. Tra le sue braccia la piccola sembrava un fagottino. «Perché ci ha messo tanto?»

    Lei sostenne il suo sguardo. La bimba emise un grido.

    «Mi dispiace...» affermò lui, cercando di sovrastare le urla della piccola. «Mi aspettano in sala operatoria. Può entrare, per favore?» Si precipitò in casa, lasciando la porta spalancata. Le urla della bambina riempivano l'aria.

    Incapace di sopportare il disagio della piccola, Sara lo seguì in casa e si fermò all'ingresso.

    L'uomo le cacciò in braccio la bambina. «Le dispiace prenderla? Io devo proprio andare. Ho fretta.»

    Lei afferrò la piccola con un nodo in gola. Perché la vicinanza di un bambino doveva crearle un disagio così profondo? Era stato un errore. «An... andare?» balbettò.

    «Tornerò più tardi» annunciò il dottor Smythe. «Qualsiasi cosa di cui avesse bisogno...» indicò l'ampia scala, «... è in cucina o nella nursery al piano di sopra.»

    «Dottor Smythe...»

    «Non ho tempo adesso.» Prese le chiavi dal tavolo all'ingresso e si avviò verso la porta.

    Sara gli corse dietro. «Non può andarsene così.»

    «Proprio non posso fermarmi...» borbottò.

    «Non mi interessa se mi vogliono sfrattare, lei non mi paga abbastanza per mollarmi la bambina in questo modo. Torni qui, per favore!»

    «Parleremo di tutto più tardi.» E con quelle parole il dottor Smythe se ne andò di corsa, richiudendosi la porta alle spalle.

    Sara rimase incredula a guardare la piccola che aveva in braccio. Gliel'aveva lasciata senza esitazioni. Una reazione ben diversa da quella che aveva avuto lei, quando aveva dovuto consegnare la neonata data alla luce in qualità di madre surrogata. Ne soffriva ancora. In che situazione era andata a cacciarsi?

    Quando quel medico arrogante fosse tornato, gli avrebbe detto chiaro e tondo che non funzionava. Ma avrebbe comunque dovuto trovare una soluzione per la casa. Forse sarebbe riuscita a far ragionare il signor Cutter...

    Entrò nel soggiorno, il posto meno a misura di bambino che avesse mai visto. Divani bianchi imbottiti e sedie appoggiate su un tappeto candido. C'era da sperare che nella vita di quella bambina non entrasse mai del succo di frutta. Non sapeva nemmeno il suo nome... La bimba lanciò un altro strillo.

    Avrebbe dovuto cambiarle il pannolino e darle il biberon. Poi l'avrebbe messa a dormire. Ci doveva essere una nursery da qualche parte, ma per il momento le bastava trovare la cucina. Se si fosse concentrata sugli aspetti pratici, avrebbe sofferto di meno dal punto di vista emozionale. Prese quella che sembrava una borsa porta pannolini e andò a cercare la cucina.

    Trovò una stanza ampia con grandi finestre, dalle quali si vedeva una piscina, con una piccola casa accanto. Il giardino era verde e intonso come il prato davanti all'ingresso. Aveva sentito parlare della ricchezza degli Smythe, ma non era abituata a vivere nell'opulenza. La bimba ricominciò a piangere così lei cercò di distrarla.

    Lasciò andare la borsa e si avvicinò al tavolo. C'era una sdraietta su cui sistemò la piccola, per cercare poi il latte in polvere. Nel frigorifero trovò una serie di biberon già pronti. Ne prese uno e dopo averlo scaldato cominciò a dar da mangiare alla bambina.

    Il suo viso si rilassò man mano che mangiava. Come sarebbe stato vedere Emily nella stessa situazione? Non avrebbe dovuto pensarci, ma quell'esperienza le era rimasta dentro.

    Grant stese le braccia, aspettando che l'assistente di sala gli infilasse il camice, allacciandolo poi dietro la schiena. Non sapeva niente di bambini, ma gli era arrivata all'improvviso quella piccola e aveva intenzione di lottare per tenerla con sé.

    Durante l'adolescenza aveva avuto un rapporto difficile con il padre e il divorzio dei suoi genitori non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. La madre ne era rimasta devastata. Con il fratello maggiore in California, aveva riversato tutte le sue ansie su di lui.

    Fortunatamente era riuscito a convincerla a cercare aiuto e lei si era ripresa. Ora viveva in Florida e se la cavava piuttosto bene.

    Ma come se non bastasse, il padre si era risposato con Evelyn, la sua fidanzata. Quel tradimento era stato l'ultimo schiaffo. Il padre aveva tentato di riallacciare i rapporti, ma lui non era riuscito a perdonarlo. Sapere che aveva avuto una figlia con Evelyn lo disgustava.

    «Dottor Smythe, l'aspettano per l'intervento.»

    Grant aprì con la spalla la porta della sala operatoria. Il paziente, un uomo di mezza età, era già sul tavolo. «Scusate, ho fatto tardi» dichiarò, senza parlare a nessuno in particolare. Poi si rivolse all'anestesista. «John, siamo pronti?»

    «Le condizioni del paziente sono stabili.»

    «Dov'è il fegato?»

    «Sarà qui tra trenta minuti.»

    Grant annuì. «Bene. Prepariamo il paziente per il trapianto. Ha una famiglia che lo aspetta.»

    In sala operatoria sentiva di avere il pieno controllo della situazione. Fuori la vita era più complicata. Ora che suo padre era scomparso, si sentiva in colpa per non aver saputo costruire un rapporto con lui. Non poteva permettere che la bambina venisse affidata ai servizi sociali. E non voleva cederla agli zii di Evelyn. Voleva mostrarsi all'altezza della situazione.

    «Dottore, il fegato è arrivato.»

    Entrò un uomo con un frigorifero portatile. Non c'era più tempo per pensare a Lily.

    Rimosso il vecchio fegato e chiusi temporaneamente i vasi sanguigni, Grant esaminò il

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