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Una tentazione al giorno (eLit): eLit
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E-book154 pagine2 ore

Una tentazione al giorno (eLit): eLit

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Info su questo ebook

South Village 2

La dottoressa Nicole Mann ha un metodo infallibile per fare a meno degli uomini: lavoro, lavoro e lavoro. Con l'ambizione di diventare un chirurgo affermato, chi ha tempo per futili distrazioni come il sesso o l'amore? Ma quando incontra Ty O'Grady, l'architetto che dovrà sistemare il suo appartamento a South Village, certe distrazioni diventano improvvisamente attraenti agli occhi di Nicole.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2018
ISBN9788858990131
Una tentazione al giorno (eLit): eLit
Autore

Jill Shalvis

JILL SHALVIS è una scrittrice che ha fatto del rosa malizioso e seducente la sua bandiera. Donna eclettica e vivace, sa dimostrarlo pienamente in ogni suo libro.

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    Anteprima del libro

    Una tentazione al giorno (eLit) - Jill Shalvis

    1

    Naturalmente, se ci fosse stato un uomo nudo al suo fianco nel letto, tutto sarebbe stato diverso, ma purtroppo di quelli non c'era neanche l'ombra. Così, come ogni mattina, Nicole Mann si alzò da sola allo squillo della sveglia. Come al solito, fece una doccia, ingurgitò la sua colazione a base di burritos in meno di otto minuti e scese frettolosamente le scale per andare in ospedale. Quel giorno l'aspettava un doppio turno, visto che metà del personale era a casa per via di un'epidemia di influenza.

    Proprio così, tutta la sua vita era dedicata al lavoro. E allora? Non aveva mai desiderato altro che diventare una dottoressa. Era il suo sogno e finalmente si era realizzato. Se per questo avesse dovuto rinunciare a tutto il resto, uomini nudi compresi, era prontissima a farlo.

    Aveva desiderato studiare medicina fin da quando aveva finito le superiori alla precocissima età di quindici anni.

    «Psst...»

    Nicole sobbalzò udendo l'inaspettato richiamo proveniente dall'oscurità in cui era immerso l'atrio della palazzina. Non male per una che si vantava di avere nervi di acciaio. Ma non era un serial killer, né un pervertito assassino, bensì la padrona dello stabile, nonché sua amica, Taylor Wellington, che sbirciava da una fessura della porta del suo appartamento.

    Taylor era gentile e bellissima, ragioni già di per sé sufficienti per detestarla, ma come se non bastasse aveva anche la capacità di parlare fino a che non le faceva andare insieme la vista. Riusciva a prosciugarla completamente con fiumi di parole.

    Essere riuscita a stringere un legame di amicizia con una persona così diversa da lei l'aveva sorpresa.

    «Psst!»

    «Ti ho vista» disse Nicole, «ti ho per caso svegliata?» Non che la sempre-perfetta-e-splendida Taylor apparisse meno... perfetta e splendida del solito, ma erano pur sempre le prime luci dell'alba.

    «Oh, no. Neanche delle cannonate mi risveglierebbero» la rassicurò, «ma ho puntato la sveglia per poterti parlare.» Con i suoi occhi meravigliosi, scrutò l'amica dalla testa ai piedi. «Tesoro, mi sembrava che avessimo già discusso di questo abbigliamento mimetico che ti ostini a indossare.»

    Nicole guardò i larghi pantaloni verde militare e la canotta dello stesso colore che aderiva perfettamente alla sua esile figura. Il suo guardaroba era ancora lo stesso dai tempi dell'università quando, per pagare le costose rette annuali, era costretta a fare acquisti in negozi di abbigliamento di seconda mano e si era abituata a ricercare piuttosto la comodità che l'eleganza. Perché a Taylor importasse qualcosa di quello che indossava le risultava inspiegabile.

    Erano solo poche settimane che viveva in quello stabile a South Village, prima stava in un condominio ben più grande e raramente le capitava di incontrare i suoi vicini. Ma le era scaduto il contratto e così si era trasferita lì. Era vicino all'ospedale e anche se la palazzina era trascurata e fatiscente, non le importava. Bastava che ci fosse spazio per il suo letto. «Perché mi volevi parlare?»

    «Ero certa che te ne fossi dimenticata. Questa sera ci sono i preparativi per la festa di fidanzamento di Suzanne.»

    Maledizione, se n'era scordata. Suzanne Carter abitava nell'appartamento di fianco a quello di Taylor. Erano le uniche inquiline dello stabile oltre a lei. Avevano trascorso molte serate insieme e divorato chili di gelato in compagnia, ma a Nicole non andava comunque l'idea di una festa per la quale avrebbe dovuto mettersi in ghingheri. Odiava vestirsi elegante.

    «Te l'eri dimenticato, vero?»

    «No, io...» Va bene, se l'era dimenticato. Non poteva farci niente, era sempre la stessa storia. Solo nel corso di quell'anno si era dimenticata la festa di laurea di sua sorella, il compleanno di sua mamma e persino il proprio. Ma la sua famiglia capiva, a differenza di Taylor.

    Nicole era uno spirito solitario. I legami troppo stretti le facevano venire l'orticaria. «Mi dispiace, ma... oggi potrei non avere tempo.»

    Taylor la scrutò con scetticismo. «Non mi dire che ti devi fare un altro piercing.»

    Nicole sbuffò. Taylor non perdeva occasione per lanciarle frecciatine riguardo alla sfilza di orecchini d'argento che le pendevano da un orecchio. Ma non si trattava di semplici orecchini, ognuno di essi era un trofeo portato con fierezza e onore. «No, non si tratta di questo.»

    Dando prova di una pazienza da santa, Taylor si limitò ad alzare gli occhi al cielo.

    «È solo che siamo a corto di personale all'ospedale e così...»

    «Super Girl deve entrare in azione.» Taylor sollevò una mano come per fermarla prima che tirasse fuori qualche altra scusa. «Lo so, i matrimoni e tutte queste frottole non fanno per noi.» La guardò con aria severa. «Ma è per Suzanne.»

    Suzanne era stata l'unica persona insieme a Taylor che l'avesse accettata per quello che era, nonostante il suo caratteraccio, il suo egocentrismo e la sua eccentricità.

    Si erano conosciute di recente, dopo che Taylor aveva ereditato quella palazzina sgangherata. Prima aveva affittato un appartamento a Suzanne, solo in un secondo momento si era aggiunta anche Nicole. Avevano davvero ben poco in comune loro tre. Suzanne non poteva fare a meno di preoccuparsi per chiunque e, lavorando in una ditta di catering, non mancava mai di viziare le sue amiche con degli splendidi manicaretti. Taylor, con il suo acuto senso dell'umorismo, le faceva ridere e anche se avrebbe odiato sentirlo dire, faceva un po' da mamma a tutte. E poi c'era Nicole. Ancora non le era chiara quale fosse la propria funzione in quel terzetto e così davvero non riusciva a spiegarsi perché loro due si preoccupassero ancora per lei.

    Ma c'era una cosa che le aveva sempre accomunate tutte: il voto di rimanere single. Ne avevano parlato spesso e avevano fatto milioni di brindisi per suggellare quel patto al quale erano rimaste sempre fedeli, almeno fino a quando Suzanne non si era innamorata.

    Nicole sospirò. «Farò di tutto per venirvi a dare una mano stasera. Te lo prometto.»

    «Non ti preoccupare, dicono che la febbre da matrimonio non sia contagiosa.»

    «Io non corro rischi, il mio lavoro è tutto per me. Mi assorbe troppo e poi sono talmente egoista...»

    «Ben detto. Così il nostro patto è ancora valido?»

    «Assolutamente, non ti preoccupare.» Si fissarono reciprocamente, non riuscendo a mascherare una certa inquietudine. Il fatto che Suzanne, single impenitente, avesse deciso di sposarsi gettava un'ombra anche sul loro destino.

    Ma se avessero tenuto gli occhi ben aperti e i cuori ben chiusi, non avrebbero avuto problemi.

    Ventiquattr'ore dopo, poco prima dell'alba, Nicole trascinò il suo stanco corpo per le tre rampe di scale che conducevano al suo appartamento. Era buio. Le pareva di vivere costantemente nell'oscurità.

    Al lavoro era stato particolarmente massacrante. Un improvviso banco di nebbia aveva causato un tamponamento a catena in cui erano rimaste coinvolte dodici auto e lei aveva dovuto rimuovere due milze, ricucire quattro gambe, rimettere insieme un numero di casse toraciche che non riusciva neanche più a ricordare e far nascere due gemelli con un cesareo d'urgenza.

    Poi le avevano chiesto se poteva fare un altro turno. Così, dopo un breve sonnellino in cui aveva sognato di essere inseguita da un vestito da sposa, si era rimessa al lavoro.

    Tutto quello che desiderava in quel momento era un pasto caldo, una doccia e un letto. Non necessariamente in quell'ordine. Aveva in mano il suo sacchetto con il cibo messicano e sentiva l'acquolina in bocca. Non era esattamente quello che un dietologo avrebbe consigliato, ma desiderava qualcosa di piccante fin dalla seconda operazione.

    E dopo il cibo... l'oblio. Almeno fino a quando avrebbe dovuto tornare in ospedale, ovvero quello stesso pomeriggio, per una riunione dello staff e poi per coprire il turno serale di un collega malato. Aveva già quattro operazioni programmate.

    Si era ricordata di prendere le salse piccanti? Sperava proprio di sì, perché era certa che in cucina - o meglio nell'angolo del bilocale attrezzato per la cottura - non ci fosse assolutamente nulla che non fosse diventato verde di muffa almeno una settimana prima.

    «Piccolo pezzo di m...» Un rumore metallico e sinistro sigillò quell'imprecazione emessa da una voce gutturale dalla forte cadenza irlandese. «Maledizione, hai funzionato l'ultima volta, così ti converrà farlo anche questa se no...»

    L'accento era così forte che le ci volle una manciata di secondi per decifrare quelle minacce.

    Fantastico, era quello che ci voleva. Aveva proprio bisogno di sfogarsi un po', stando attenta a non rompere i tacos, ovviamente. Talvolta avere un quoziente intellettivo più alto del proprio peso corporeo aveva i suoi vantaggi. Durante gli anni di università, per distrarsi un po', aveva preso lezioni di karate. Come in ogni altra cosa su cui avesse puntato l'attenzione, le ci era voluto poco per eccellere.

    Si mise in posizione da difesa, ma la abbandonò subito dopo per appoggiare il sacchetto di cibo su uno scalino. Non c'era bisogno di mettere a repentaglio la colazione. Raggiunse la cima della rampa. All'ultimo piano non c'era nient'altro che il suo appartamento e un piccolo pianerottolo, nel mezzo del quale vide un uomo sdraiato. Aveva le braccia allargate e in mano reggeva uno strumento con il quale cercava di misurare il pavimento in doghe di legno senza smettere per un attimo di tirare giù tutti i santi del paradiso con quella inconfondibile cadenza irlandese.

    Nicole avrebbe riso se solo avesse potuto staccare lo sguardo da quel corpo virile, lungo e muscoloso. Le gambe arrivavano fino a Timbuctù ed erano avvolte da un paio di jeans che metteva in risalto i muscoli delle cosce e dei polpacci.

    E poi c'era il suo fondoschiena, anche quello deliziosamente fasciato dagli attillati pantaloni. La camicia era leggermente sollevata e lasciava intravedere una buona porzione di pelle liscia e abbronzata, sotto la quale si potevano intuire possenti fasce muscolari in tensione.

    Nonostante in un primo momento si fosse spaventata, ora sorrise tra sé e sé. «Mmh... mi scusi.»

    Lui non lasciò andare lo strano strumento che aveva in mano e che emetteva un debole fascio di luce rossa e intermittente, non si voltò neppure, non fece altro che emettere un sospiro. «Sii gentile» disse poi con voce bassa e roca, improvvisamente senza la benché minima inflessione, «passami i miei appunti.»

    Nicole, ancora in una posizione difensiva, guardò di lato e vide un piccolo blocco di fogli vecchio e malmesso. Evidentemente esitò un attimo di troppo, perché lui si sollevò sui gomiti e voltò la testa mettendo in mostra i suoi capelli di un nero corvino tagliati cortissimi e la guardò con gli occhi dell'azzurro più chiaro e trasparente che avesse mai visto.

    Lei era in guardia, con i pugni sollevati.

    «Vuoi

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