Passione in pediatria: Harmony Bianca
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Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Anteprima del libro
Passione in pediatria - Carol Marinelli
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
NYC Angels: Redeeming The Playboy
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2013 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Giacomo Boraschi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A..
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-744-4
1
«Nina Wilson.»
Jack ebbe cura di fingersi impassibile, ma alzò al cielo i cinici occhi grigi quando apprese che Nina era l’assistente sociale incaricata di occuparsi della piccola Sienna.
Nina era un osso duro. Jack lo sapeva per esperienza, perché nel corso degli ultimi due anni si era scontrato con lei in varie occasioni.
La pediatra Eleanor Aston aveva chiesto a Jack, il primario pediatra, di affiancarla nella riunione sul caso che si sarebbe tenuta quel mattino alle nove.
«I servizi sociali sembrano decisi a dimettere Sienna dal nido per affidarla ai suoi genitori» gli aveva detto. «Per due settimane sono stata là ogni giorno, assistendo alla disintossicazione di Sienna dal metadone. I servizi sociali hanno già tolto due figli alla madre. L’anno scorso mi sono occupata personalmente di un figlio.»
Strinse le labbra al ricordo di quel periodo, ma Jack finse di non accorgersene. Sfogliò il fascicolo mentre la voce di Eleanor si caricava di un’emozione alla quale lui non rispose. Preferiva i fatti. «Non capisco perché le offrano un’occasione con il terzo figlio quando le hanno tolto i primi due.»
«Con questo argomento non riuscirai a spuntarla contro Nina Wilson» l’ammonì Jack mentre leggeva gli appunti, alcuni dei quali scritti di suo pugno.
Uno di questi risaliva alla settimana precedente. Cinque giorni, instabile, sotto shock... Il team notturno lo aveva chiamato per un consulto, aveva scritto. Ma mentre cercava di rievocare la bimba, scoprì costernato di non ricordare la piccola Sienna.
Si disse che era normale. L’Ospedale Pediatrico Angel Mendez era uno dei pochi ospedali gratuiti di New York e questo significava che la gente lo prendeva d’assalto. Jack non dirigeva soltanto il team pediatrico ma trattava regolarmente con la direzione e si occupava delle innumerevoli iniziative necessarie per raccogliere fondi.
I Carter erano un’importante famiglia di New York. Come erede di una dinastia medica di Park Avenue provvisto di innumerevoli conoscenze e dotato di un fascino naturale, Jack veniva chiamato spesso non soltanto per le sue eccellenti qualità professionali ma anche a causa delle sue conoscenze... e delle donazioni che il nome della sua famiglia sembrava attirare come un magnete.
Tuttavia quel mattino doveva occuparsi della piccola Sienna e prendere le migliori decisioni possibili per il suo futuro.
Terminata la storia clinica, Jack cominciò a leggere gli appunti di Nina. Erano particolareggiati, esaurienti e alquanto distaccati... a differenza di Nina che sembrava ignorare il distacco e si batteva per i suoi pupilli con incredibile passione. Era giovane, nemica giurata della burocrazia e decisa a rifare il mondo mentre Jack, a trentaquattro anni, era molto più realista.
«Nina parteggia sempre per i genitori» gli fece osservare Eleanor.
«Non sempre» la corresse Jack, scuotendo la testa. «Ma so quello che vuoi dire.»
Oh, sicuro, lo sapeva.
Nina credeva nelle famiglie. Certo, a volte bisognava ricorrere a misure estreme e Nina faceva la sua parte, ma mentre leggeva gli appunti, Jack capì che la riunione sarebbe stata lunga.
Le discussioni con Nina sembravano interminabili partite di tennis: tutto quello che le si serviva veniva reso con forza raddoppiata. Jack non si stupì per il fatto che Eleanor le avesse chiesto di spalleggiarla nella riunione. Nina conosceva sicuramente a memoria tutta la storia della famiglia, così sarebbe occorsa una montagna di argomenti e controargomenti per avere qualche speranza di spuntarla.
«Okay, andiamo.»
Jack indossò la giacca. Non ebbe bisogno di guardarsi allo specchio per controllare il proprio aspetto... una combinazione di geni e di ricchezza lo rendeva sempre inappuntabile. I suoi capelli color mogano venivano regolati ogni quindici giorni, la governante si occupava del suo raffinato guardaroba. Il mattino Jack doveva soltanto baciare l’amante di turno, fare la doccia, radersi e indossare l’abito del giorno per emergere qualche minuto dopo bello ed elegante come un top model, pronto a spezzare qualche altro cuore.
Mentre andava alla riunione, Jack pensò brevemente alle lacrime che Monica aveva versato quel mattino.
Perché le donne domandavano sempre il motivo quando una storia giungeva alla fine?
Perché volevano sempre sapere dove avevano sbagliato, se potevano cambiare e in che modo, che cosa fosse accaduto per fargli cambiare idea all’improvviso?
Non era accaduto niente di speciale.
Jack non voleva lunghe relazioni, tutto qui.
Così, al suo ingresso nella sala riunioni, si preparò per il secondo round di emozioni femminili nel corso della mattinata. Nina era già arrivata, si stava togliendo la sciarpa e sbottonando la giacca. Aveva ancora qualche fiocco di neve sui capelli. Quando si volse e lo guardò entrare nella stanza, Jack la vide stringere leggermente le labbra. Forse stava pensando che Eleanor si era portata quella che riteneva la sua l’arma fatale.
«Buongiorno, Nina» la salutò, scoccandole un sorriso al puro scopo d’irritarla.
«Jack.»
Nina gli rivolse un sorriso mielato, poi gli volse le spalle e si tolse la giacca.
Accidenti.
Nina non lo aveva detto, naturalmente. Si limitò a slacciare la cintura e togliersi la giacca, ma nonostante la propria calma apparente si sentiva incredibilmente scombussolata. E non soltanto perché Jack era il primario pediatra.
Si scontravano spesso.
Sempre calmo e distaccato, Jack la conduceva regolarmente sull’orlo delle lacrime, anche se lei aveva cura di nasconderlo. Due mesi prima Nina aveva fatto parte del team intervenuto su una famiglia che aveva portato un bimbo al Pronto Soccorso. Jack si era opposto alla dimissione del piccolo Tanner con il conseguente affido alla madre, ma il team di Nina si era battuto per quello scopo e aveva vinto. Quindici giorni prima l’avevano chiamata al Pronto Soccorso dove il bimbo era stato portato di nuovo, privo di sensi e vittima della sindrome del bambino scosso.
Mentre Nina entrava nel cubicolo, Jack non le aveva rivolto la parola. Tuttavia il suo sguardo era stato abbastanza eloquente: te lo avevo detto. Quando i loro sguardi si erano incontrati, Nina aveva visto i suoi occhi grigi raggelarsi e si sentiva ancora rosa dal rimorso.
Tuttavia quel mattino non era quel ricordo a scombussolarla. Jack Carter era molto bello e ovviamente la sua qualità non passava inosservata. Tutti conoscevano il suo comportamento da playboy e la sua vita privilegiata. Nina si sentiva irritata dalla conseguente arroganza.
No, non si trattava soltanto di questo.
Era qualcos’altro a irritare Nina: il fatto che lui riuscisse a scombussolarla.
Era arrogante e maschilista, tutto quello che Nina detestava in un uomo. A rigor di logica non avrebbe dovuto desiderarlo... ma il suo corpo raccontava un’altra storia.
Lo notava e reagiva.
E a Nina quella reazione non piaceva per niente.
Mentre si toglieva la giacca, si sentì osservata. Fu incredibilmente consapevole della presenza di Jack Carter mentre appendeva la giacca e si dirigeva verso il tavolo per cominciare la riunione. Previde le osservazioni inappropriate che sarebbero sicuramente scaturite dalle sue labbra increspate in un sorriso beffardo.
Jack non la deluse. «Sono contento di vedere che alla riunione c’è qualcun altro che porta un vestito» disse mentre lei si avvicinava al tavolo, perché tutti a parte lui e Nina portavano il camice ospedaliero.
Tutti i presenti risero a quella facezia. Tutti, notò Jack, ma non Nina.
Per la verità non l’aveva mai vista sorridere, almeno a lui. Era sempre seria e appassionata. Si rilassava soltanto quando era occupata con i suoi assistiti.
Quel mattino sfoggiava un completo grigio sopra un pullover rosso, ma quella tenuta non sembrava un’uniforme scolastica. Le calze rosse e gli stivaletti neri disperdevano quell’impressione. I capelli biondi erano raccolti sulla nuca, le sue guance erano rosse a causa del calore dell’ospedale dopo il gelido mattino di gennaio.
«Scusatemi per il ritardo» disse, prendendo posto di fronte a lui. Mentre Jack si chiedeva se una lavoratrice così zelante potesse dormire troppo, lei corresse il suo pensiero. «Ho ricevuto una chiamata urgente.»
Jack si sorprese a chiedersi se fosse stato un marito a brontolare vedendo Nina balzare dal letto all’alba... o magari una donna a protestare perché la sua compagna la lasciava troppo presto. Jack si rese conto che Nina non aveva mai flirtato con lui. Non gli aveva mai rivolto lo sguardo dei suoi occhi color cobalto allo scopo di stregarlo e quel comportamento gli sembrare anormale, per non dire arrogante. A un uomo di nome Jack Carter ogni donna doveva almeno un piccolo flirt.
Ma Nina si rifiutava di pagare il tributo.
«Okay.» Nina guardò le persone sedute attorno al tavolo. Le parvero tutte ostili, così non si curò di sorridere. «Vogliamo cominciare, allora?»
Nina non era affatto impaziente di affrontare quel mattino.
In altre circostanze avrebbe passato gran parte del weekend a leggere appunti e storie cliniche, ma aveva lavorato al Centro di Volontariato oltre a trasferirsi nel suo nuovo appartamento di tre locali. Quel giorno aveva sperato di andare al lavoro di buon’ora per avere il tempo di rileggere gli appunti. Invece alle quattro del mattino, mentre suonava la sveglia, si era messo a squillare anche il telefono e ora Nina non si sentiva abbastanza preparata.
Una cosa del tutto insolita.
Certo, non era da lei. Di lì a qualche settimana la sua stessa famiglia sarebbe stata oggetto di una riunione. Avrebbe voluto che l’assistente sociale di suo fratello e sua sorella fosse preparata e appassionata come lei. Ma anche se non si era preparata meticolosamente come sempre, Nina era ugualmente informata. Considerato il fatto che Sienna aveva soltanto quindici giorni, ricordava bene i particolari del caso.
Sapeva che i medici erano in gran parte contrari alla dimissione di Sienna perché fosse affidata ai genitori. Avevano espresso le loro riserve e ora le stavano ripetendo.
Prima ascoltò Brad Davis, capo dell’unità prenatale. Brad aveva visto Hannah durante una breve visita prenatale e aveva aiutato Sienna a venire al mondo, ma per