Weekend con sorpresa: Harmony Jolly
Di Shirley Jump
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Shirley Jump
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Weekend con sorpresa - Shirley Jump
1
Due linee rosa.
Molly Hunter rimase a fissare per almeno mezzo minuto il sottile bastoncino bianco che trasmetteva il suo scioccante messaggio come il lampeggiante di un sistema d’allarme. Quando alla fine lo mise giù, fu costretta a riprenderlo subito in mano e a guardarlo un’altra volta, perché non riusciva a convincersi della realtà di quello che vedeva.
Era impossibile, doveva esserci uno sbaglio.
Un attacco di nausea le mandò di nuovo in subbuglio lo stomaco, quasi sfidandola a ripeterlo. Erano due settimane che si svegliava stanca, con un lieve accenno di nausea, ma, con tre dei suoi allievi del corso estivo a casa con l’influenza, aveva attribuito quei disturbi a un principio di contagio. Non a...
Oh, mio Dio. Non a quella notte a Las Vegas.
Erano passati già due mesi. Perché non ci aveva pensato prima? Com’era possibile che non si fosse accorta di nulla?
Semplice. Non aveva un partner fisso, né tanto meno un fidanzato o un marito, quindi le probabilità che rimanesse incinta erano pressoché nulle. Invece...
Tutto a un tratto, si rivide dentro a quel bar, accanto a quello stupendo esemplare di maschio con gli occhi azzurri e i capelli castani del quale conosceva unicamente il nome di battesimo.
Linc.
«Niente cognomi.»
«Niente promesse.»
«Soltanto stanotte.»
Soltanto una notte di insana follia durante la quale Molly Hunter, una che non faceva nulla senza un piano preciso, senza riflettere bene sulle conseguenze, aveva gettato la cautela al vento e si era lasciata spazzare via dalla potenza di un’attrazione mai sperimentata prima.
Da allora, aveva fatto quanto in suo potere per dimenticare il conturbante sconosciuto incontrato per caso a Las Vegas e poteva sinceramente affermare di esserci riuscita piuttosto bene. Era stata una fascinazione estemporanea, l’aberrazione di un momento e, anche se qualche volta si sorprendeva a chiedersi dov’era Linc, come stava e se si ricordava ancora di lei, non aveva avuto difficoltà a riporre quell’evento nel luogo che gli competeva, vale a dire in quel particolare settore della memoria riservato alle belle sorprese destinate a non ripetersi più.
In fin dei conti, era una maestra d’asilo che d’estate non aveva nulla di più eccitante da fare che insegnare inglese a bambini bisognosi di ripetizioni. Una donna conservatrice nel senso letterale del termine. Una che non faceva mai niente d’impulso.
Be’, ora non aveva più diritto di affermarlo. Quasi mai era l’espressione giusta!
Era andata a Las Vegas con uno scopo ben preciso... aiutare la sua buona amica Jayne Cavendish a superare il trauma causato dalla devastante conclusione del suo fidanzamento con Rick Strickland. Le quattro amiche, Molly, Jayne, Alex Lowell e Serena Warren, avevano organizzato un weekend tutto al femminile, scandito da lunghe sedute in un salone di bellezza e altrettanto lunghe chiacchierate tra donne, scambiate sorseggiando Martini attorno alla piscina dell’albergo.
Per i primi due giorni, non avevano fatto altro che quello, poi l’ultima sera avevano deciso di darsi all’avventura e si erano separate, lanciandosi tra le luci sfolgoranti della città. Nel corso di quell’uscita solitaria, alcune di loro erano finite nei guai.
E nel suo caso, disgraziatamente, il guaio sembrava molto grosso. Molly scosse disperatamente il bastoncino, poi controllò di nuovo. Le due linee rosa erano sempre lì.
Sei incinta! parevano gridare nella loro morbida tonalità pastello.
Sì, e io sono totalmente impreparata a far fronte all’evento, gridò di rimando la sua mente.
Oh, mio Dio! Cosa doveva fare? Cosa diavolo doveva fare adesso?
«Ehilà! Molly?»
La voce allegra di sua madre echeggiò all’interno del bungalow situato a poca distanza del mare di San Diego. Molly trasalì, raccolse il bastoncino, la confezione di plastica e la scatola, e li seppellì nel cestino della carta straccia, gettandoci sopra tre o quattro kleenex. Poi emerse dal bagno e, stringendosi la cintura dell’accappatoio, si avviò verso la cucina. Rocky, il suo incrocio di Jack Russell, le trotterellava dietro occhieggiandola con aria speranzosa.
«Mamma. Qual buon vento ti porta, così di buon’ora la mattina?» chiese, chinandosi a prendere il cibo per cani dall’armadietto sotto il lavandino. Poi raccolse anche la ciotola e si apprestò a riempirla, evitando di incrociare lo sguardo di sua madre. Si augurava che Jayne non si alzasse proprio in quel momento, perché non avrebbe saputo come comportarsi in presenza della sua temporanea coinquilina, soprattutto considerando che Jayne era stata presente durante il fatidico weekend.
Molly si passò una mano tra i capelli. Era successo davvero? Era stata davvero così... imprudente? Era davvero... incinta?
«Di buon’ora?» ripeté Cynthia Hunter, inarcando le sopracciglia. «Molly, sono le otto e un quarto!»
Molly si fermò con il sacco a mezz’aria. «Sul serio? Di già?» Finì di riempire la ciotola e la posò a terra, per la gioia di Rocky, che si avventò sulle crocchette agitando freneticamente la coda. «Devo scappare.»
«Ma... Molly. Io ero venuta per fare quattro chiacchiere con te. Il tuo corso estivo è terminato ieri. Pensavo che oggi avremmo avuto tempo di...»
«Mi dispiace, no!» Molly girò i tacchi e lasciò la cucina, affrettandosi all’interno della sua camera. Era rimasta troppo a lungo nel bagno con quel dannato bastoncino in mano, come se fissare le due linee rosa potesse alterare il risultato del test. Gettò l’accappatoio sul letto disfatto... quel giorno sarebbe stata costretta a lasciarlo così, anche se le dava fastidio... e aprì l’armadio, tirando fuori le prime cose che la capitarono a tiro. Un paio di pantaloni grigi, una maglia lilla a maniche lunghe e gli stivaletti neri alla caviglia.
Mentre cominciava a vestirsi, sentì bussare alla porta. «Tesoro, vuoi fare colazione? Posso prepararti due uova in camicia.»
Solo a pensarci, il senso di nausea si accentuò. «No, grazie, mamma.» Molly si infilò la maglia, si abbottonò i pantaloni e si mise le scarpe. Qualche colpo di spazzola sui capelli, un velo di trucco e fu pronta... almeno per quel che bastava a superare un esame superficiale.
Uscì dalla camera facendo una lista mentale delle cose di cui aveva bisogno. In teoria, sarebbe potuta andare a quell’incontro senza portarsi dietro niente, ma, siccome le piaceva essere sempre preparata, prese la cartelletta nella quale aveva raccolto le sue idee per il programma del prossimo anno. E anche il progetto di sovvenzioni che aveva studiato nella speranza di ampliare le ore di lettura. In giro si diceva che alla Washington Elementary School ci sarebbero stati dei tagli e lei non aveva nessuna voglia di finire nel mucchio dei rami secchi.
Stava ancora pensando a quello che l’aspettava quando svoltò l’angolo del corridoio e... sbatté contro Jayne. «Oh, scusa!»
Jayne rise e sollevò una mano, scostandole una ciocca di capelli castani dalla fronte. «No, scusa tu. Dove vai così di fretta? Ah sì, oggi hai l’incontro con quelli dell’amministrazione?»
Molly annuì.
Jayne la osservò con occhio critico. «Mi sembri nervosa. Non è da te.»Le due donne raggiunsero assieme il salotto, dove Molly venne fatta oggetto degli sguardi inquisitori di sua madre e dell’amica. Come avrebbe fatto a mantenere un segreto di quel genere?
Be’, un modo doveva trovarlo. E poi non era ancora una cosa sicura. Non al cento per cento, almeno.
«Non sono nervosa.» Poi si lasciò sfuggire un sospiro. «Forse un po’.»
«Tu sei in gamba. Te la caverai benissimo» affermò Cynthia.
«Il punto non è questo, mamma.» Molly si avvicinò al piccolo scrittoio situato nell’angolo tra le finestre, prese due cartelle e le infilò nella sua ventiquattrore. «I fondi della scuola non sono illimitati. Se arriveranno i finanziamenti per tenere in piedi due classi, quest’anno avrò un lavoro. Altrimenti...»
«Non l’avrai, ma io sono sicura che andrà tutto bene» disse sua madre.
Jayne espresse un analogo convincimento e Molly annuì. Non poteva immaginarsi lontana dalla Washington Elementary School, dai nuovi bambini che trovava lì ad aspettarla ogni autunno. Quegli occhi innocenti, quei visetti concentrati che si aprivano in sorrisi raggianti man mano che apprendevano l’alfabeto, le prime addizioni... Molly amava il suo lavoro. Lo faceva da anni, giorno dopo giorno, sempre uguale, e le piaceva così.
Ma allora, se era davvero pienamente soddisfatta della sua vita, perché quella notte, appena le si era presentata l’opportunità, si era gettata a capofitto in un’avventura senza senso, comportandosi come se fosse un’altra persona?
Probabilmente, uno psicologo avrebbe detto che aveva cercato di colmare un vuoto interiore, ma Molly aveva scartato subito quell’ipotesi. Quella notte era stata un colpo di testa, un’aberrazione temporanea, niente di più. Nella sua vita non c’erano vuoti da riempire. Stava bene.
Era andata a Las Vegas soltanto per sostenere Jayne, che stava passando un brutto periodo. Tutto qui.
«Sei pallida» notò Cynthia, facendo un passo in avanti e posandole una mano sulla fronte. «La settimana scorsa mi hai detto che a scuola c’era un virus. Non è che te lo sei presa anche tu?»
«In effetti, hai un’aria un po’ sbattuta, Mol» confermò Jayne.
«È solo stanchezza. Tutto qui.» Non poteva raccontare a sua madre e alla sua amica del test di gravidanza, non prima di aver consultato un medico. A volte, quei test davano risposte inaffidabili, si disse tra sé.
Dopo due mesi? le sussurrò all’orecchio una vocina ironica. Ti sei completamente dimenticata di quello che hai imparato al corso di educazione sessuale?
Sua madre spinse in fuori le labbra. «Secondo me, dipende dal fatto che, da quando tu e Doug avete deciso di... prendervi una pausa di riflessione, hai smesso di prenderti cura di te stessa.»
Molly aprì la porta posteriore, lasciò che Rocky uscisse nel giardino recintato e si girò verso sua madre. Jayne capì al volo la situazione e si mise a trafficare con la macchina del caffè. «Mamma, non è stata una semplice pausa. Abbiamo divorziato.»
Cynthia scosse la testa. «Io sono sempre convinta che potreste...»
«No. Non possiamo.»
Sua madre si imbronciò ancora di più, ma non insistette. Per lei Douglas Wyndham era l’uomo perfetto, il marito perfetto, il genero perfetto, il medico brillante che frequentava i posti giusti.
L’unico problema era che avevano idee molto diverse su che cosa fosse un posto giusto. In breve tempo, le loro divergenze si erano ampliate fino a diventare una spaccatura insanabile. E adesso che aveva scoperto di essere...
No, un momento, non c’era niente di sicuro! Quelle due linee rosa potevano essere uno sbaglio. Avrebbe chiamato il suo dottore, per un appuntamento per la tarda mattinata, subito dopo l’incontro. A quel punto avrebbe saputo come stavano veramente le cose.
E avrebbe potuto affermare, senza tema di smentite, di aver commesso il più grave errore di tutta la sua vita. Lei, Molly Hunter, la donna che conduceva un’esistenza talmente lineare e diritta da sembrare disegnata con il righello.
«Molly, io sono ancora dell’idea che...»
«Signora Hunter, vuole una tazza di caffè?» chiese Jayne con un sorriso angelico, interrompendola e così meritandosi l’imperitura gratitudine dell’amica.
Rocky iniziò a grattare la porta. Molly lo fece entrare, recuperò da dietro il frigorifero il suo giocattolo preferito e gli diede un’ultima carezza. Passando per l’atrio, prese al volo la borsa e ci frugò dentro in cerca degli occhiali da sole. «Mi dispiace di non poter stare con te, mamma, ma voglio arrivare a scuola con un po’ di anticipo.»
«Pazienza.» Sua madre si chinò e diede una grattatina a Rocky, che ricambiò la coccola scodinzolando vivacemente. «Per fortuna c’è ancora qualcuno che mi ama.»
Molly aprì la porta di ingresso e la guardò, aspettando che si avviasse. «Appena termina la riunione, ti chiamo. Promesso.»
«Non dimentichi qualcosa?»
Molly abbassò gli occhi sulla ventiquattrore e su Rocky, che stava felicemente masticando il suo osso di gomma. «No, non mi pare.»