Una sconvolgente verità: Harmony Destiny
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Info su questo ebook
Il milionario Alex Dalton è sicuro che sia Julie la madre del bambino che ha trovato abbandonato davanti alla porta di casa. Hanno condiviso una notte memorabile prima che la donna sparisse dalla sua vita. E non le darà tregua fino a quando lei non gli avrà detto tutta la verità. Se necessario, è pronto a sedurla ancora una volta.
Non osare minacciarmi!
Julie Bartlett è certa che Alex Dalton, uomo quanto mai intrigante, abbia perso il senno. Lei non ha messo al mondo alcun bambino. Stanca di ripetere sempre la medesima verità, è disposta a tutto per dargli la prova della sua innocenza. Anche a illuderlo di averla sedotta ancora una volta.
Merline Lovelace
Ex ufficiale dell'aeronautica militare statunitense, ha scritto più di sessanta romanzi di generi diversi, tutti molto apprezzati sia dal-le lettrici sia dalla critica.
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Anteprima del libro
Una sconvolgente verità - Merline Lovelace
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Paternity Proposition
Harlequin Desire
© 2012 Merline Lovelace
Traduzione di Franca Valente
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-246-7
1
«Accidenti!»
Nell’udire l’esclamazione del meccanico, Julie Bartlett sollevò di colpo la testa. Aveva caldo, era sudata ed era ricoperta di macchie d’olio e, di conseguenza, non era dell’umore adatto per un altro intoppo. Il vecchio Piper PA-36 Pawnee su cui stavano lavorando aveva circa il doppio dei suoi anni, e prima di essere acquistato dai suoi nuovi soci era passato attraverso diverse proprietà. Non lo avrebbe pilotato finché non avesse finito di sistemare le nuove ali con l’aiuto del capo meccanico della AgroAir.
In realtà Chuck Whitestone era il capo di se stesso, essendo l’unico meccanico dell’azienda. Chuck e l’altro socio di Julie, Dusty Jones, riparavano aerei agricoli da una vita.
Avevano tirato avanti a fatica durante i periodi di magra, quando il crollo dei prezzi aveva costretto tanti agricoltori ad abbandonare le loro terre. Ora che in America le produzioni agricole erano di nuovo in crescita, forse anche loro avrebbero visto crescere nuovamente i profitti.
La parola forse era, però, d’obbligo.
Dusty Jones non aveva rivali nel pilotare. Lo conosceva da quando aveva cominciato a distribuire fertilizzante sui campi di grano dei suoi genitori, permettendole di salire a bordo fin da quando era una bimba di nove anni; al suo secondo volo le aveva affidato la barra di comando. Grazie a lui, Julie aveva ottenuto il brevetto di pilota prima di avere l’età legale per guidare un’auto. Inoltre, dopo la morte dei suoi genitori, si era perfino pagata gli studi all’università dell’Oklahoma con una serie di servizi aerei, per poi essere assunta da una piccola aerolinea regionale appena terminati gli studi.
A quei tempi progettava di accumulare le ore di volo necessarie per poter entrare in una compagnia aerea commerciale. Purtroppo, l’aumento del prezzo del carburante aveva soffocato quel nobile obiettivo. Le compagnie aeree commerciali avevano limitato le rotte e sfoltito il personale, perciò Julie si era adattata a trasportare merci. Negli ultimi quattro anni aveva pilotato aerei attraverso tutto il continente, ma ricordava a stento le mete che aveva raggiunto e in cui aveva passato la notte. Sapeva che sarebbe stata ancora intenta a volare da un posto all’altro se Dusty non l’avesse chiamata per proporle di diventare socia della sua piccola compagnia insieme a Chuck Whitestone.
Dusty e Chuck erano ormai arrivati alla settantina, e quando l’avevano contattata le avevano detto che desideravano andare in pensione presto. Se Julie fosse rimasta con la AgroAir per un paio d’anni, avrebbe potuto rilevare tutta la baracca. Avevano bisogno di una modesta trasfusione di denaro per rimanere a galla, finché la crescita delle coltivazioni non avesse permesso loro di ritirarsi con una buona liquidazione.
Venne poi fuori che la modesta trasfusione di denaro differiva parecchio dall’idea che Julie se ne era fatta. Nonostante questo, non se l’era sentita di abbandonare i due uomini. Aveva quindi lasciato il lavoro trasferendo tutti i suoi risparmi nella AgroAir. Nonostante tutta l’esperienza di volo accumulata, aveva avuto difficoltà a impratichirsi con le tecniche necessarie per passare sotto i cavi dell’alta tensione e sfiorare le cime degli alberi. Dusty aveva anche insistito perché Julie facesse i lavori più antipatici: dalla guida dei camion, alla preparazione delle miscele da spargere, fino alla manutenzione dell’aereo. In quei due mesi aveva imparato ogni aspetto del mestiere. Durante quel faticoso periodo di apprendistato, Julie aveva anche scoperto che uno dei nuovi soci frequentava spesso i casinò. I soldi che aveva investito nella società sarebbero dovuti servire all’acquisto di nuove attrezzature. Invece, Dusty li aveva usati per pagare i debiti più pressanti.
Perciò eccola lì, a lottare per fare tornare a volare quella vecchia carretta. Di conseguenza, il fatto che Chuck avesse scoperto un altro problema nel motore non era affatto una buona notizia. Augurandosi che non si trattasse di un danno importante allungò il collo sul motore.
«Accidenti che cosa?»
Il meccanico masticò il tabacco che aveva costantemente in bocca sputando una scia nera prima di indicarle con un cenno del capo un punto alle sue spalle. «Abbiamo visite.»
Voltandosi, Julie guardò attraverso le onde di calore che si levavano dalla strada in direzione dell’hangar. Una Jaguar coupé stava percorrendo la pista, sollevando la tipica polvere rossa dell’Oklahoma.
«Merda!»
Si sentì rivoltare lo stomaco. Le venne in mente un solo motivo per cui un’auto sportiva così costosa potesse percorrere quella strada polverosa piena di buche fino a una pista di atterraggio nel mezzo del nulla.
Evidentemente, Chuck aveva pensato la stessa cosa. Sputando una seconda striscia nera, l’uomo scosse la testa.
«Dusty ci è ricascato!»
Tesa, Julie estrasse uno straccio dalla tasca della tuta per ripulirsi il viso macchiato di grasso. Il sole cocente di luglio l’aveva costretta a nascondere la sua indomabile chioma castana sotto un cappello da baseball. Era sudata fradicia, non certo dell’umore adatto per minacciare o cercare di rintuzzare un altro dei creditori dell’AgroAir.
A meno che...
Quando la Jaguar argentata si fermò, l’uomo che ne uscì non assomigliava per nulla agli altri creditori che li avevano ossessionati per qualche ritardo nei pagamenti. Julie inforcò gli occhiali da sole da aviatore. Studiò i capelli striati dal sole dell’uomo, le spalle larghe strette in una camicia immacolata, le maniche arrotolate sulle braccia muscolose. La fibbia d’argento della cintura scintillò sotto il sole, sopra un paio di pantaloni aderenti che solo un uomo con il ventre piatto avrebbe potuto esibire.
L’uomo avrebbe potuto addirittura apparire su un catalogo di moda, con qualche modella anoressica aggrappata al suo braccio. Julie si stava godendo lo spettacolo, finché lui non si tolse gli occhiali da sole per agganciarli sullo scollo della camicia.
«Oh, mio Dio!»
Ora riconosceva quei fianchi snelli e quelle spalle larghe. Non avrebbe potuto farne a meno. Erano le stesse che l’avevano tenuta inchiodata alle lenzuola circa un anno prima.
Fu assalita da un diverso tipo di calore, inaspettato e intenso. Il sangue prese a pomparle nelle vene mentre le immagini le affollavano la mente. Quell’uomo, snello e sudato, mentre lei lo cavalcava aggrappata ai suoi fianchi, le mani di lui sui seni. Lei che esplorava ogni centimetro di quel magnifico maschio sotto di sé.
Pensare che non riusciva neppure a ricordarne il nome. Andy? O era Aaron?
L’incapacità di farsi venire in mente il suo nome tra quei ricordi scottanti fu come ricevere una secchiata d’acqua gelida che scacciò il calore che l’aveva assalita, facendola vergognare di sé. Non aveva l’abitudine di rotolarsi in un letto con perfetti sconosciuti! Non le era mai successo, tranne quell’unica volta, e non sarebbe accaduto mai più. Era troppo prudente, troppo selettiva per decidere di buttarsi in un’avventura di una notte.
Di solito.
Se solo lui non fosse atterrato in quel piccolo aeroporto a Nuevo Laredo con il suo elegante bimotore Gulfstream...
Se non si fossero imbattuti l’uno nell’altra durante il check-in...
Se solo non le avesse offerto una birra...
Oh, accidenti! Tutti i se di questo mondo non avrebbero potuto cancellare l’idiozia di quella notte selvaggia.
O le ore di ansia dopo quella folle maratona sessuale. Avevano usato un preservativo, anzi, parecchi, ma il mese successivo aveva avuto un ritardo di dieci giorni.
Più avanti si era resa conto che la causa era stato il sovvertimento delle ore di veglia e di sonno, ma il ricordo della tensione che aveva provato in quei dieci giorni era ancora vivido nella sua mente, così come la paura che l’aveva assalita quando era entrata in farmacia per comprare un test di gravidanza. Julie si riscosse, determinata a non mostrare alcun nervosismo quando salutò quel fantasma di un passato non tanto lontano.
Ma lui non ricambiò il saluto. Le scoccò a malapena un’occhiata distratta mentre si avvicinava al motore dell’aereo per parlare con il capo meccanico.
«Sto cercando Julie Bartlett. È da queste parti?»
Chuck era in parte Cherokee e in parte afroamericano, e non era particolarmente incline a socializzare anche nei suoi momenti migliori, perciò squadrò il nuovo venuto da sotto in su.
«Può darsi» biascicò passando il grumo di tabacco da una guancia all’altra. «Chi la desidera?»
«Mi chiamo Dalton, Alex Dalton.»
Ah, Alex. Il nome accese una luce tra i ricordi di Julie, mentre Chuck lo squadrava di nuovo.
«Si occupa di casinò?»
Palesemente sorpreso per quella domanda, Dalton scosse la testa. «No, tratto attrezzature per pozzi petroliferi. Julie Bartlett» ripeté lui. «È qui?»
Chuck lasciò che fosse lei a rispondere, e lei colse la palla al balzo. Prima, però, si pulì di nuovo le mani con lo straccio inspirando profondamente.
«Eccomi qui.»
Poteva accettare l’idea che non l’avesse riconosciuta vestita con quella tuta larga e il cappello da baseball, ma non fu neppure contenta della seconda occhiata che le rivolse. Non riuscì a interpretare il lampo che gli attraversò gli occhi blu. Era sorpreso? Oppure era incredulo per avere arpionato quella scimmia sporca di grasso? Qualsiasi cosa fosse, quell’occhiata la ferì. Perciò la risposta di Julie fu piuttosto fredda. «Che cosa posso fare per te, Dalton?»
«Vorrei parlarti.» Guardò Chuck. «Da sola.»
Non lo ricordava tanto arrogante e per un attimo fu tentata di dirgli che potevano parlare anche lì. Ma qualcosa in lui la spinse ad accettare. La prudenza non era mai troppa con un uomo come Alex Dalton.
«D’accordo andiamo dentro. In ufficio c’è l’aria condizionata.»
Perfino Dusty avrebbe ammesso che ufficio era una parola grossa per quel cubicolo di compensato ricavato nell’hangar di metallo. Ma era dotato di un condizionatore appoggiato precariamente su un ripiano dell’unica finestra, e conduceva una valorosa battaglia contro il caldo di luglio.
L’aria fresca l’accolse piacevolmente mentre faceva entrare Dalton, il quale si fermò per guardarsi intorno. Julie poteva immaginare cosa gli passasse per la mente. La prima volta in cui era entrata lì, due mesi prima era rimasta senza parole. Bollettini meteorologici, orari di distribuzione dei prodotti, conti dei carburanti, fatture dei prodotti chimici occupavano ogni spazio disponibile, quasi coprendo il computer che Dusty aveva comprato in un indefinibile momento del passato, forse nel Medioevo. Anche l’arredamento era piuttosto disastrato.
Su una delle due uniche sedie era distesa la gatta di Dusty. Belinda aprì l’unico occhio dorato per accertarsi se ci fosse qualche cosa da mangiare, ma quando li vide a mani vuote perse ogni interesse per loro e si acciambellò.
Julie cercò di farla sloggiare per lasciare il posto a Dalton, quando uno sguardo alla camicia immacolata dell’uomo la bloccò. Se si fosse seduto si sarebbe ricoperto di peli di gatto. Sembrò che lui fosse giunto alla stessa conclusione. Dopo un’occhiata al muso di Belinda decise di stare in piedi.
Julie non riusciva a conciliare l’immagine fredda e sofisticata dell’uomo che aveva davanti con lo smaliziato pilota a cui si era concessa con inusitato trasporto. Maledicendo il rossore che le colorò le